Era il 15 ottobre 1967. Muore in un incidente stradale, a sera inoltrata e in una giornata piovosa, nel centralissimo corso Re Umberto, Gigi Meroni, il George Best del calcio italiano.
Un calciatore singolare, originale, estroso e straordinario. Un idolo del “popolo granata”, ma soprattutto una persona, un giovane ragazzo che ha saputo anticipare le dinamiche di una società in perenne evoluzione e in continuo cambiamento. Gigi Meroni è scomparso ad appena 24 anni e, per tutti, resta la famosa ala destra dal numero 7, i calzettoni abbassati, i capelli lunghi con baffi folti che abita in una soffitta di piazza Vittorio Veneto a Torino, che convive con una donna già sposata e che, soprattutto, entusiasma gli stadi di tutta Italia con i suoi dribbling inconfondibili e le sue fantasie inimitabili sul campo. Un ragazzo corretto in campo che non litiga mai con i difensori, anche quelli che lo marcano duro perchè non riescono a fermarlo nè sulle ali e nè, tantomeno, al centro del terreno di gioco. Eppure Gigi Meroni, anche nella sua trasparenza e correttezza di comportamento, è un “segno dei tempi”. Anticipa, forse inconsapevolmente, il ‘68. Con la sua personalità negli stadi, con il suo stile di vita – mai ostentato – nella dimensione privata e, soprattutto, con il suo modo d’essere nella società di quel tempo. Meroni, per fare un solo esempio, non gioca granché in Nazionale – pur avendone, come ovvio, il talento e le capacità – perchè la sua “capigliatura” è incompatibile con il clichè di quella stagione. E lo stesso Avvocato Gianni Agnelli, recita la leggenda, – ma non solo – rinuncia all’acquisto della mitica “farfalla granata” per ben 600 milioni di lire nel 1966 perchè le avvisaglie parlano già di una rivolta degli operai “granata” della Fiat se quella operazione dovesse andare in porto. E anche l’Avvocato, straordinario conoscitore dei talenti calcistici, si dovette fermare….
Ma Gigi Meroni si ferma per sempre in quella brutta, fredda e piovosa serata del 15 ottobre 1967. È ormai inutile raccontare le dinamiche di quell’incredibile incidente stradale e le ore che lo hanno preceduto. Si spiega solo con quel “destino” crudele e spietato a cui non ci si può ribellare. Ma da quella drammatica serata il “mito” di Gigi Meroni non solo è entrato per sempre nella leggenda granata ma è destinato a segnare la stessa storia del calcio italiano. Perchè oggi, come ieri e come ieri l’altro, quando si parla di Gigi Meroni il pensiero corre subito, e senza esitazioni, lungo la strada del talento calcistico, della capacità di stupire, dell’anticonformismo vissuto e non urlato e della sua voglia di fantasia creativa e non replicabile. E noi, tifosi “granata” ma anche e soprattutto amanti del calcio, ogni qualvolta corriamo lungo corso Re Umberto non possiamo non volgere lo sguardo o a destra o a sinistra – a seconda della direzione di marcia – per continuare a salutare Gigi ricordato da una targa, un pallone e quel suo sguardo triste, genuino e pulito. Uno sguardo identico a quello che lo vede uscire dal prato verde dello stadio “Comunale” di Torino nel tardo pomeriggio di quel 15 ottobre 1967 dopo aver contribuito, con la consueta maestria, a battere la Sampdoria per 4 a 2. In attesa del derby con la Juventus della domenica successiva che vincemmo con un sonante 4 a 0 ma dove Gigi Meroni lo seguì già in compagnia dei “campioni” del Grande Torino di Valentino Mazzola.
Giorgio Merlo