STORIA- Pagina 6

I “chiodini” intelligenti della Quercetti

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore 67 anni fa. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti

 

Caro Alessandro, i “plonini” hanno compiuto sessantacinque anni. Sette in più del tuo papà, più del doppio dei tuoi. Ma sono sempre quelli, di plastica colorata, che infilavi nei buchi per disegnare figure”. Così scriverei a mio figlio, in una ipotetica lettera, ricordando il tempo in cui giocava con i chiodini della Quercetti. Sì, erano quelli i “plonini” ( i bimbi tendono a reinventarsi i nomi; anche Snoopy era diventato “Stuyng” e i Puffi si erano ritrovati come d’incanto ad essere dei “fuppi” ) che nel 1950 uscirono dalla fabbrica torinese di Corso Vigevano,25. Esattamente 67 anni fa, Alessandro Quercetti, diede vita a uno fra gli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia. E, nonostante il paese sia cambiato dall’inizio del secondo dopoguerra e almeno tre generazioni di italiani hanno giocato con quei chiodini di plastica, sembra che per la “Quercetti & C.” il tempo si sia fermato. Certo, la fabbrica è più grande, moderna e tecnologica, ma il nome sulla porta è sempre lo stesso ed a  guidarla è sempre la stessa famiglia: Andrea, Alberto e Stefano Quercetti, i figli di Alessandro. L’azienda torinese rappresenta uno degli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia, un comparto che, nella maggior parte dei casi, ha dovuto arrendersi allo strapotere dei produttori asiatici.

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti. E il “pezzo forte” dell’azienda è sempre lui, il mitico “Chiodino“, intuizione straordinaria che ha reso il marchio “Quercetti” e i suoi giochi riconoscibili in tutto il mondo. La gamma dei giochi nel tempo è decuplicata, e sono cambiati materiali e tecnologie produttive: ai chiodini, si sono aggiunti biglie, costruzioni, aerei, magneti. Ma ogni pezzo viene realizzato ancora oggi in Italia, nello stabilimento di Torino, dove la Quercetti  può vantare di essere una delle pochissime realtà con un controllo diretto dell’intera filiera produttiva. Tutto il lavoro, a partire dalla progettazione del giocattolo fino al confezionamento del prodotto finito è interamente realizzato in Corso Vigevano. L’intero ciclo di produzione, dall’idea al prototipo, dallo sviluppo del prodotto alla costruzione degli  stampi, dallo stampaggio al confezionamento fino alla spedizione è svolto in Italia, sviluppando un indotto sul territorio. Così, nel tempo, la Quercetti  ha mantenuto la sua identità e non è mai scesa a compromessi. Perché per fare giocattoli, per essere in grado di offrire ai bambini una ricca gamma di esperienze, per realizzare un prodotto che non si limiti ad attrarre ma che stimoli l’intelligenza dei bambini. Rispettandola e coltivandola nel tempo, chiodino dopo chiodino.

Marco Travaglini

Il 31 agosto visite alle dimore storiche del Pinerolese

Con la fine dell’estate e le prime giornate d’autunno torna il desiderio di gite fuori porta che, seppure a pochi chilometri da casa, possano offrire spunti di visita originali ed adatti a tutta la famiglia.

A breve distanza da Torino, domenica 31 agosto (orario indicativo dalle 10 alle 12.30 e  dalle 14.30 fino alle 17.30 )alcune Dimore Storiche del Pinerolese  iscritte all’ A.D.S.I (Associazione dimore storiche Italiane) aprono le porte al pubblico per visite accompagnate dagli stessi proprietari (a pagamento). Ville, palazzi ed antiche proprietà di epoche e stili diversi fra loro che preservano il fascino e le suggestioni tramandate e custodite da generazioni. Attraverso testimonianze ed aneddoti sarà possibile ricomporre momenti di arte, economia storia pubblica e privata del Piemonte. L’itinerario intende valorizzare sotto un profilo turistico – culturale una zona del Piemonte che fu strategica per la storia,l’arte e l’economia della regione e della stessa Capitale.

Ecco l’elenco delle dimore aperte domenica 31 agosto

Bricherasio                                  Palazzo dei Conti di Bricherasio                                 

Pinerolo                                       Villa Le Peschiere (ultima apertura di stagione)

                                                      Cascina Losetta – Tenuta del Colombretto

                                                      Parco Storico il Torrione

Piobesi T.se                                 Villa La Paesana

Piossasco                                    Casa Lajolo

San Secondo di Pinerolo          Castello di Miradolo

Villafranca Piemonte                Castello di Marchierù

                                                    Castello dei Conti Piossasco

Volvera                                       Palazzotto Juva

Oltre alla abituale visita guidata, da segnalare che Cascina Losetta propone nel pomeriggio letture per bambini seguita da merenda per tutti con gelato e Palazzotto Juva di Volvera invita alla visita di una mostra d’arte.

L’ultimo romanzo di Cesare Pavese

Il 27 agosto del 1950, Cesare Pavese si toglieva la vita nella stanza 346 dell’hotel Roma in piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione di Porta Nuova a Torino. Il suo ultimo romanzo La luna e i falò, uno dei capolavori della letteratura del ‘900 e libro di formazione per intere generazioni, rappresentò per più versi il viaggio dello scrittore alla ricerca di se stesso e delle proprie origini. Fu il suo testamento letterario, composto in meno di due mesi, tra il 18 settembre e il 9 novembre del 1949, e dato alle stampe nell’aprile del 1950. Pavese scrisse in proposito: “È il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo – forse sempre – non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dèì”. E non solo gli dei, se Pavese scelse di terminare la propria esistenza “nella stanza d’un albergo nei pressi della stazione; volendo morire nella città che gli apparteneva come un forestiero”, come scrisse Natalia Ginzburg. Sul comodino della stanza era posata una copia dei Dialoghi con Leucò su cui lo scrittore aveva lasciato una raccomandazione: “Non fate troppi pettegolezzi”.
Un epitaffio che invitava il mondo a rispettare la sua scelta di andarsene prematuramente e di farlo in silenzio, in punta dei piedi, con quel riserbo tutto piemontese che ha sempre contraddistinto la sua vita. Settantaquattro anni dopo la sua scomparsa i messaggi e i valori che le pagine dei romanzi e dei racconti di Pavese ci trasmettono continuano a essere attuali nella loro straordinaria semplicità e immediatezza, a partire da quello del profondo legame con la terra dove si nasce, quel legame che non si spezza mai e che ciascuno di noi porta dentro di sé perché “avere un paese vuol dire non essere soli sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Perché avere un paese, avere delle radici, un luogo al quale aggrappare i propri pensieri, nel quale rifugiarsi anche nei momenti più difficili come quello che abbiamo vissuto, come quello che stiamo vivendo, significa sapere di appartenere a una comunità con la quale potremo continuare a lottare. Cesare Pavese ha amato molto il Piemonte, le Langhe, le grosse colline nelle quali ambientò i suoi romanzi più belli, trasportando il lettore tra borghi e vigneti, falò e sentieri, tra la sua gente. La lapide posta sulla tomba che custodisce i resti mortali del poeta, trasferiti dal cimitero monumentale di Torino al camposanto di Santo Stefano Belbo nel settembre del 2002, riporta queste parole “Ho dato poesia agli uomini”, una frase struggente che testimonia la forza e l’immortalità dell’arte.

Marco Travaglini

I Catari a Monforte d’Alba

Venerdì 5 e sabato 6 settembre, dopo tre anni di attesa, ritorna a Monforte d’Alba l’unica rievocazione storica dedicata ai Catari, in grado di trasformare l’antico borgo in un teatro a a cielo aperto, dove riecheggeranno  suoni e atmosfere dell’Alto Medio Evo.
Conosciuto in tutto il mondo per i grandi vini, la ristorazione di eccellenza, il festival Internazionale Monfortinjazz e per le iniziative della Fondazione Bottari Lattes, Monforte non dimentica le proprie radici storiche e rievoca un episodio realmente accaduto  nel 1028, quando nel castrum di Mons Fortis prese forma uno dei primi focolai eretici documentati in Italia settentrionale.

La rievocazione storica venerdì e sabato alle 21.15, con un suggestivo corteo di 150 figuranti, ripercorre con suggestione e realismo queste vicende drammatiche, che affondano le proprie radici nella setta proto- catara che, sostenuta dalla contessa Berta, trovò a Monforte un centro di predicazione. Guidati dal carismatico Girardo, un gruppo di nobili e popolani avevano abbracciato una dottrina di forte impronta gnostica, fondata sulla castità,  la comunione dei beni, l’astinenza dalla carne e la preghiera continua. Le idee raggiunsero presto l’arcivescovo di Milano, Aribèrto d’Intimiano, che decise di intervenire di persona, ordinando l’arresto di Girardo  e il suo trasferimento a Torino, davanti a un tribunale ecclesiastico. Il processo mise in luce la natura profondamente razionalista della nuova fede, il Figlio inteso come “anima dell’uomo amato da Dio”, lo Spirito Santo come “intelligenza delle scienze divine” e Maria Vergine “come raffigurazione simbolica delle Sacre Scritture”. Dottrine che portarono inevitabilmente alla condanna, il castellodi Mons Fortis fu raso al suolo, gli abitanti deportati a Milano e, di fronte alla scelta tra abiura o rogo, i seguaci rimasero fedeli alla propria dottrina scegliendo il martirio.
Per due giorni il borgo si trasformerà in un viaggio nel tempo, con cortei, scene teatrali, atmosfere medievali che permetteranno al pubblico di vivere da vicino una pagina cruciale della storia medievale italiana e del pensiero religioso europeo.

Domenica 7 settembre si completerà il programma  negli spazi dell’Auditorium Horzowzki con, alle 19, lo spettacolo del gruppo musicisti e sbandieratori Patin e Tesor di Alba. Dalle 20.30 cena con menù cataro organizzata dalla Pro Loco di Monforte. Prenotazioni al 3397189282.

La rievocazione è organizzata dall’Associazione  Monfortearte e dal presidente Adolfo Ivaldi in collaborazione con l’associazione Monforte Martina Libri e la Pro Loco di Monforte.

Mara Martellotta

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

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AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI
5-11 settembre 2025

 

VENERDI 5 SETTEMBRE

 

Venerdì 5 settembre dalle ore 18

MOSTRE D’ARTE TRA ITALIA E GIAPPONE NEGLI ANNI VENTI. IL CASO DI ETTORE VIOLA

MAO – Conferenza a cura di Motoaki Ishii, Università delle Arti di Osaka

Introduce Stefano Turina, Università degli Studi di Torino

In collaborazione con CeSAO  – Centro Studi sull’Asia Orientale

Nel 1923 l’ambasciatore del Regno d’Italia a Tokyo, Giacomo De Martino, ebbe l’idea di organizzare una mostra d’arte italiana nella capitale del Giappone che però venne sopressa due volte: la prima a causa del Grande Terremoto del Kanto avvenuto lo stesso anno e la seconda per l’opposizione dell’importante critico d’arte Ugo Ojetti. Bisognerà aspettare il 1928 per vedere sbarcare la prima mostra d’arte italiana contemporanea a Tokyo grazie al deputato e militare Ettore Viola. Lo stesso Viola collaborò in seguito alla realizzazione della celebre mostra d’arte giapponese a Roma nel 1930. La conferenza indagherà le travagliate vicende dell’organizzazione della prima mostra d’arte italiana in Giappone grazie a Ettore Viola, e dell’importante mostra d’arte giapponese giunta poi in Italia.

Partecipazione gratuita fino a esaurimento posti disponibili.

Nato a Maebashi, Gumma, Giappone, il Prof. ISHII Motoaki si è laureato in Legge presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università statale di Tokyo, poi in Lingua e Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere della medesima università. Cambiando l’indirizzo a Storia dell’Arte, ha conseguito il titolo di Master e il Ph. D. nel 1997 alla Graduate School dell’Università di Tokyo. Nel frattempo si è recato in Italia grazie a una borsa di studio del Governo Italiano ottenendo nel 2001 il Ph. D. alla Scuola Normale Superiore di Pisa con la tesi dal titolo “Venezia e il Giappone – studi sugli scambi culturali nella seconda metà dell’Ottocento”. Attualmente il professore ordinario all’Università delle Arti di Osaka, il prof. Ishii ha tenuto un corso sulla storia degli scambi culturali tra l’Italia e il Giappone al Corso di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale e Arti visive, spettacolo e design dell’Asia Orientale dell’Università degli Studi di Milano nel 2019.

 

Venerdì 5 settembre dalle ore 18.30

S.O.N.O.G.E.O.M.E.T.R.I.A. Un’azione condivisa tra scultura e suono, sguardo e corpo.

FINISSAGE MOSTRA ALICE CATTANEO. DOVE LO SPAZIO CHIAMA IL SEGNO

GAM – Performance musicale

Intervento sonoro di Alice Cattaneo, Chiara Lee e freddie Murphy

Performer: Camilla Soave

All’interno della mostra dedicata al lavoro di Alice Cattaneo, Dove lo spazio chiama il segno, S.O.N.O.G.E.O.M.E.T.R.I.A. è un intervento site-specific a sei mani (e molti speaker) che mette in dialogo le sculture dell’artista con una tessitura sonora, composta da gesti, materiali e frammenti d’ambiente.

Nessuna messa in scena, nessuna interpretazione: piuttosto un attraversamento diretto e spaziale, materico e organico.

Una performer, corpo consapevole, interagisce con le opere tramite una serie di azioni minime: attivazioni sonore che si espandono nello spazio attraverso dieci casse Bluetooth, ognuna depositaria di un suono-ombra. Sono i suoni delle opere stesse, raccolti e registrati — lo spostamento, la caduta, il trascinamento, la frizione con il suolo — e poi lavorati per essere reimmessi nello spazio come eco materiche. Una forma di campionamento ambientale che si fa geografia, archivio, presenza.

Durante l’intervento, il suono si dispone nello spazio, si sedimenta, si sovrascrive negli interstizi dell’ambiente. L’interfono — come gesto finale e intrusivo — interrompe e ridefinisce il paesaggio acustico, mentre la performer raccoglie e riposiziona le casse in un nuovo assetto.

Il giardino che ne emerge, o foresta sonora, diventa un’ulteriore opera, effimera ma concreta, in cui tutto si stratifica e si tiene: corpo, gesto, materia, voce degli oggetti.

L’installazione rimarrà visitabile fino al 7 settembre.

Info: gamtorino.it

 

 

SABATO 6 SETTEMBRE

 

Sabato 6 settembre ore 12-16

FINISSAGE MOSTRA HAORI

MAO – presentazione catalogo, rinfresco e proiezione

La giornata di sabato si apre con la presentazione del catalogo della mostra, edito da Silvana Editoriale. Il catalogo si sviluppa seguendo passo dopo passo il percorso espositivo e le sue sezioni tematiche, proponendo approfondimenti critici che offrono chiavi di lettura storiche, artistiche e culturali, con particolare attenzione alla complessità iconografica degli abiti esposti e al contesto in cui furono creati e indossati. Ampio spazio è dedicato alle opere degli artisti contemporanei invitati: Kimsooja Royce Ng, Yasujirō Ozu, Tobias Rehberger e Wang Tuo.

Il volume include inoltre saggi inediti a cura di Lydia Manavello, Silvia Vesco e Anna Musini, che approfondiscono temi quali l’estetica maschile nell’abbigliamento giapponese, le dinamiche storiche del periodo Taishō e Shōwa, e il ruolo della moda come veicolo di propaganda, identità e trasformazione culturale.

Il catalogo intende essere anche un dispositivo di lettura trasversale, che consente di cogliere le interconnessioni tra passato e presente, tra patrimonio materiale e riflessione artistica contemporanea. Un invito a proseguire idealmente il viaggio iniziato in mostra, alla scoperta di un Giappone più complesso e stratificato di quanto spesso le narrazioni canoniche lascino immaginare.

Al termine della presentazione, sarà offerto un light lunch a tutti i partecipanti, un momento di convivialità per favorire il dialogo tra esperti, appassionati e visitatori.

Nel pomeriggio, alle ore 14, il programma prosegue con la proiezione del film Inizio d’estate (1951), capolavoro di Yasujirō Ozu che, attraverso la sua poetica delicata e profonda, offre uno sguardo intimo sulla società giapponese dell’epoca.

L’ingresso è gratuito previa prenotazione al link.

DOMENICA 7 SETTEMBRE

 

Domenica 7 settembre

CHIUDONO LE MOSTRE ALLA GAM

FAUSTO MELOTTI. LASCIATEMI DIVERTIRE!

ALICE CATTANEO. DOVE LO SPAZIO CHIAMA IL SEGNO

GIOSETTA FIORONI

Info: gamtorino.it

 

Domenica 7 settembre

AL MAO CHIUDONO LA MOSTRE

HAORI. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone

ADAPTED SCENERIES

PAESAGGI DA SOGNO. Le 53 stazioni della Tokaido

Info: maotorino.it

 

Domenica 7 settembre ore 15

PROIEZIONE VIAGGIO A TOKYO (1953) DI YASUJIRŌ OZU

MAO – proiezione film in occasione del finissage della mostra Haori

Domenica 7 settembre alle ore 15 il MAO propone la proiezione del maggiore capolavoro di Ozu, Viaggio a Tokyo (1953). Il film, unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi film della storia del cinema di tutti i tempi, esplora con straordinaria sensibilità i mutamenti della società giapponese nel secondo dopoguerra, dialogando idealmente con i temi di trasformazione culturale e sociale evocati dalla collezione di abiti in mostra ma, al contempo, evocando emozioni universali.

L’ingresso è gratuito previa prenotazione al link.

 

 

LUNEDI 8 SETTEMBRE

 

Da lunedì 8 a giovedì 11 settembre

FUTURES LITERACY / CAPTURING THE INTANGIBLE

GAM – Workshop

Negli spazi della GAM si svolge il workshop condotto da Caterina Tiazzoldi, architetta e artista di fama internazionale. L’iniziativa è rivolta in particolare agli studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti, al Politecnico di Torino ed altri cittadini. Rappresenta un’opportunità formativa di alto livello per riflettere, creare e dialogare intorno al tema dei futuri urbani. Il laboratorio esplorerà, attraverso il quadro concettuale dell’UNESCO Futures Architecture Literacy e il Progetto Europeo Dialog City (https://dialogcity.eu/), come lo spazio pubblico possa diventare luogo di socializzazione e visione condivisa, utilizzando strumenti digitali, materiali riciclati e pratiche collaborative.

Info e prenotazioni: infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it e sul sito

 

 

MERCOLEDI 10 SETTEMBRE

 

Mercoledì 10 settembre

PROIEZIONE A THOUSAND DREAMING PLATEAUS DI DABAL KIM

MAO – dal 10 al 20 settembre – proiezione in loop

Il MAO, in collaborazione con il Consolato Generale della Repubblica di Corea, propone la proiezione del film A Thousand Dreaming Plateaus, cinepoema di 14 minuti senza dialoghi che attraversa tre luoghi simbolici della Corea del Sud: dall’antico altare imperiale di Hwangudan a un’isola immaginaria dove acqua e terra si fondono. Privo di una narrazione lineare, il film si configura come uno scavo poetico del tempo, sulle tracce di riti dimenticati e paesaggi in continua trasformazione.

Attraverso performance scultoree e gesti rituali, l’opera esplora le intersezioni fluide tra memoria, corpo e territorio, trasportando lo spettatore in un regno ipnotico e sensoriale. Il titolo evoca una molteplicità di significati stratificati: “mille” indica infinite variazioni, “sognare” è un viaggio tra memoria e realtà, mentre “altopiani” allude a paesaggi contemplativi in cui storia e natura si riscrivono costantemente.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

 

GIOVEDI 11 SETTEMBRE

 

Giovedì 11 settembre ore 18:00

RICCARDO VENTURI

Giardini di carta. L’erbario dalla botanica alle arti visive

GAM – conferenza del ciclo RISONANZE – Primo ciclo di Conferenze tra Arte e Filosofia

Tra giugno 2025 e marzo 2026 la GAM di Torino organizza un ciclo di incontri, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino, curato da Chiara Bertola e Federico Vercellone. Gli incontri, articolati in singole conferenze, ripercorrono i temi delle Risonanze che attraversano la programmazione espositiva della GAM dall’ottobre il 2023 alla primavera del 2026: luce, colore e tempo; ritmo, struttura e segno; incanto, sogno e inquietudine, e vedono la partecipazione di studiosi e studiose di rilievo internazionale nel campo della filosofia, della storia dell’arte e delle scienze umane, offrendo un’occasione unica di riflessione interdisciplinare, in cui pensiero e visione si intrecciano per generare nuovi livelli di lettura delle opere e dell’esperienza estetica.

Quarto appuntamento:

RICCARDO VENTURI

Giardini di carta. L’erbario dalla botanica alle arti visive

Curioso è il destino dell’erbario: nato come strumento scientifico nelle mani della botanica per raccogliere, classificare e illustrare specimen vegetali, come farmacopea o elenco di farmaci, non ha cessato di affascinare filosofi, scrittori e artisti. Senza ricusare la sua origine scientifica, l’erbario è così diventato un giardino di carta, un dispositivo verbo-visivo o un iconotesto poetico da cui si sprigiona la potenza delle immagini, la capacità di cogliere il dettaglio, di salvare l’effimero dall’oblio. Malgrado il carattere mortifero delle piante seccate e spillate sulla pagina, l’erbario è stato percepito come un eden in miniatura se non come un vero e proprio oggetto magico, una rêverie capace di riconnetterci e non alienarci al mondo vivente. Radicato nella tradizione naturalista, non mancano infine tentativi di realizzare erbari della vita quotidiana e urbana, a partire dal flâneur – quel “botanico del marciapiede” impegnato a erborare sull’asfalto, secondo la visione di Baudelaire e Walter Benjamin – e fino all’ecologia ferroviaria. Con questo intervento mi propongo di rivenire sulla parabola e sul destino degli erbari, dalla botanica alle arti visive.

Costo per ogni conferenza: 6€

Abbonamento per le 6 conferenze: 27,96 € comprensivo del diritto di prevendita

Acquisto solo online a questo link: https://www.gamtorino.it/it/evento/riccardo-venturi-giardini-di-carta-lerbario-dalla-botanica-alle-arti-visive/

 

 

 


Visite guidate in museo alle collezioni e alle mostre
 di Palazzo Madama, GAM e MAO
a cura di Cooperativa Sociale Mirafiori.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Quando gli Astigiani corsero il Palio sotto le mura di Alba

Era il primo vero Palio, correva l’anno 1275. Asti e Alba si detestavano. Guelfa la prima, ghibellina e roccaforte angioina la seconda, tra le due città scoppiò un lungo conflitto che si concluse con la vittoria astigiana e, per scherno, gli astesi corsero il primo Palio proprio sotto le mura di Alba. Ma come gli astigiani vivevano il Palio nel Duecento? Mentre Asti si prepara a correre il Palio 2025 andiamo indietro nel tempo di 750 anni quando nacque la storica manifestazione. Tutta la città vi partecipava, anche più di adesso, gli astigiani si riversavano in massa per le strade cittadine, affollavano quello che oggi è corso Alfieri accompagnando fantini e cavalli montati a pelo, senza sella, come avviene oggi, con urla forsennate sullo sfondo di una “foresta” di torri, oltre 120 che circondavano Asti. Otto secoli fa il Palio non era solo una festa religiosa, aveva un carattere anche politico, come segno di sfida simbolica al potere angioino. Era più di una corsa, era un momento di unità e di orgoglio per la città che cercava di riaffermare la propria indipendenza con una competizione accesa e spettacolare tra le contrade, con banchetti, musica e celebrazioni. Così Asti viveva il Palio verso la fine del XIII secolo ed era tutt’altro che una piccola comunità, contava quasi 50.000 abitanti contro i 73.000 di oggi.
 Sono molte le città che organizzano il Palio, il più popolare è quello di Siena in Piazza del Campo ma non è il più antico d’Italia. Per trovare il più antico bisogna andare proprio ad Asti. I 750 anni del Palio di Asti verranno festeggiati domenica 7 settembre con la tradizionale corsa a cavallo nella centrale piazza Alfieri ma come si svolgeva in pieno Medioevo? A quell’epoca Asti era una potente città guelfa, nemica di Alba, Alessandria e Acqui Terme, tutte ghibelline, e con l’arrivo di Carlo I d’Angiò nel nord della penisola, Asti scese in guerra contro le le truppe angioine. Il conflitto durò quindici lunghi anni e terminò con la battaglia di Roccavione nel novembre 1275 e la vittoria degli astigiani. In quell’occasione, come scrisse il cronista locale Guglielmo Ventura, gli astigiani corsero il primo Palio proprio sotto le mura della nemica Alba, sostenuta dagli angioini, dopo aver saccheggiato le vigne confinanti. Un sorta di “Palio di guerra” fortemente voluto dagli astesi per umiliare Alba. In realtà, fino alla metà del Trecento, la corsa si svolse “alla tonda” in un percorso circolare che corrispondeva più o meno all’area delle piazze Alfieri e Libertà. Quando Gian Galeazzo Visconti, signore di Asti, fece costruire una nuova cittadella fortificata, la corsa non si tenne più “alla tonda” ma “alla lunga”, su un percorso lineare di due chilometri e mezzo lungo corso Alfieri. Rispetto ad oggi il Palio si correva il 1 maggio, giorno della festa di San Secondo, patrono della città.                                              Filippo Re
nella seconda foto affresco della corsa del Palio “alla lunga” di Ottavio Baussano nel palazzo del Comune di Asti.

Torino d’antan, quando il biglietto del tram costava 30 lire

Ogni età ha i suoi problemi. Torino negli anni 50/60 dello scorso secolo era più vivibile. Quella che definiamo Provincia Granda, almeno in Piemonte, era però grande solo per la povertà. Il Veneto era un serbatoio di voti democristiani e mercato di braccia da lavoro, esattamente come il meridione.

C’era la Fiat che impiegava 150.000 persone su 3/4 turni (e tutto il suo indotto) che richiedeva una moltitudine di ‘omini blu’.

La popolazione di Torino arrivò a contare nel 1971 ben 1.168.000 di abitanti.

In corso Tazzoli, via Settembrini, corso Agnelli, negli orari di cambio turno, per la calca era meglio non passare. Davanti agli ingressi si sentivano le articolazioni dialettali delle varie province piemontesi, gli infiniti dialetti del sud, il veneto dei “terroni del nord”.

La città, dopo l’ingresso dell’ultimo turno degli operai, era morta, le facciate degli stabili erano spesso scrostate e agli ingressi degli stabili c’erano cartelli con scritto “Non si affitta ai meridionali”. Successivamente, quando tutti i piemontesi avevano soddisfatto le loro esigenze abitative e non fu più possibile non affittare ai “terroni”, si passò a un meno regionalizzabile: “Non si affitta a famiglie con figli”.

I più fortunati potevano permettersi un film: l’ultimo spettacolo era alle 22.30 e se non abitavi in centro ci si doveva affrettare perché l’ultimo autobus era prima dell’inizio del nuovo giorno. Alle 04.30 iniziava il servizio dell’ATM e i mezzi a quell’ora erano già pieni dei tanti operai del primo turno che dovevano attraversare la città.

I locali da ballo aprivano solo il fine settimana e chiudevano inderogabilmente alle 02.00 … se si era senza auto o amici disponibili, si arrivava a piedi fino a casa.

La domenica i torinesi (al tempo, detti “Polentoni”) dopo la messa passavano in pasticceria per il cabaret di pastarelle, i “terroni” si svegliavano al “pippiare” del sugo che bolliva da ore, i “terroni del nord” colmavano invece la nostalgia di casa con il Tocaj o con il vino Zignago.

Proprio altri tempi ….

Il pomeriggio alle 14.00 iniziavano le partite e tutti, proprio tutti gli esponenti del genere maschile senza il biglietto dello stadio “Comunale” si attaccavano all’orecchio la radiolina a transistor per seguire “Tutto il calcio minuto per minuto” con le loro Signore sottobraccio a passeggio per il Valentino. Più tardi, tornando a casa – sempre con le Signore sottobraccio e qualche pargolo tra i piedi – iniziava “90mo minuto”. La cena era al massimo alle 18.30 perché il giorno dopo iniziava prima del sorgere del sole.

Il biglietto del tram costava 30 lire come il cono gelato e l’abbonamento a corse multiple veniva perforato di volta in volta da un severo bigliettaio al fondo di ogni mezzo. Quando il biglietto aumentò a 50 lire quasi in contemporanea con il gelato, per la cosiddetta Classe Operaia del periodo fu una mezza tragedia.

La Fiat 500 costava 360.000 lire, alternativa economica della più solida 600; per chi era più facoltoso c’erano la 1100 e un potente 1300.

L’inflazione, dal 2% del 1960 è andata via via aumentando fino all’8% del 1963, superando nel 1980 il 20%. I tassi d’interesse (il costo del denaro) furono stabili al 3,5% fino al 1967 (!!!) ma poi sempre in salita fino a quasi il 22% del 1982.

Tra gli anni ‘60 e 70 prendevano spazio tra i giovani gli allucinogeni e in particolare l’LSD, che nella seconda metà degli anni ‘70 furono purtroppo soppiantati dalla letale eroina.

Pressoché in contemporanea aprivano le prime birrerie, locali per tiratardi, categoria a cui tanti di noi hanno fatto parte. In quel periodo i giovani avevano tante opportunità lavorative, sia definitive che stagionali o comunque complementari alle attività scolastiche. Tanti dei lavori che oggi sono prerogativa di persone che con quell’attività vivono – e magari ci mantengono la famiglia – a quei tempi erano semplicemente un’opportunità per tanti studenti in vacanza.

Nato nella provincia di Napoli nel 1958, non so se mi piacerebbe tornare indietro nel tempo; in quegli anni le nostre responsabilità erano limitate ma non era lo stesso per i nostri genitori che cominciavano ad avere a che fare con stipendi che, malgrado un calmierato paniere dei prezzi, perdevano sempre più potere d’acquisto e con tempi alla catena di montaggio sempre più corti. Erano anni di scioperi, scontri con la polizia, manganellate, difficoltà a mandare i figli a scuola, arrivare a fine mese con tutte le bollette pagate.

Una non era però da tutti: quella del telefono.

Anche chi aveva un telefono di bachelite sul tavolino dell’ingresso o appeso al muro (chi si ricorda del Duplex?), in caso di chiamate interurbane – o peggio, internazionali – a causa del caro bolletta SIP preferiva raggiungere una cabina telefonica con una certa quantità di gettoni telefonici in lega di rame, più pesante in caso di lunghe telefonate.

A proposito! Vi ricordate il servizio militare di leva?

In libera uscita era obbligatorio portare un gettone telefonico, un fazzoletto e non ricordo più quanti strappi di carta igienica.

Mah, penso che anche se la nostra contemporaneità sembra oscurata e senza più la forza di volersi migliorare, se ci volgiamo indietro ci rendiamo conto che da quando la storia ha avuto inizio, la società umana si è poi sempre evoluta.

Felicio De Martino

Liberty misterioso: Villa Scott

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 4. Liberty misterioso: Villa Scott

Talvolta il cinema va in cerca di luoghi suggestivi e unici, per rendere la pellicola ancora più indimenticabile. Uno di questi ambienti da cellulosa si trova nella collina torineseuna villa silenziosaNascosta in un elegante “vedo non vedo” tra il verde degli alberil’abitazione si affaccia indifferente sul panorama torinese che si prostra poco più in  delle sue fondamenta. È Villa Scott, situata in Corso Giovanni Lanza 57, uno dei più fulgidi esempi dello stile floreale a livello nazionale. Il committente, Alfonso Scott, consigliere delegato della Società Torinese Automobili Rapid, nel 1901 acquista un appezzamento di terreno precollinare affidando l’incarico di costruire una villa per la propria famiglia all’ingegnere Fenoglioche allora aveva 36 anni

Fenoglio si impegna nella costruzionedando al  progetto caratteristiche architettoniche di alto pregio, con una chiara apertura al Liberty, e con prospetti caratterizzati da decorazioni floreali in litocemento e in ferro battutoAlla morte di Alfonso Scott, la villa passa alle Suore della Redenzioneche la utilizzano per ospitare un collegio femminilenoto con il nome di Villa Fatima. Fenoglioche lavora al progetto di Villa Scott in collaborazione con il collega Gottardo Gussonirisolve le difficoltà di realizzazione – dato che vi è un dislivello di ben 24 metri tra la villa e il cancello d’ingresso – con una scalinata e con l’inserimento di diversi corpi di fabbricaaccanto al complesso principale lievemente curvilineo della villa. Il volume della costruzione è arricchito da un apparato decorativo che trae vita anche dalla scala esternaL’edificio viene completato nel 1902, anno in cui Fenoglio si dedica anche alla palazzina Fenoglio-La Fleur di corso Francia angolo via Principi d’AcajaNel contesto dell’ampio spazio verde in cui è ubicata Villa Scott, si stagliano netti i due corpi laterali a torrettauno su quattro livelliun altro sutre, ma con un bovindo quadratocollegati da una veranda vetrata sormontata da una terrazza.  La pianta di Villa Scott è amabilmente articolata in un gioco di loggebovindivetrategli elementi litocementizi di finitura murariaripieni e turgidi con misura, quasi rinviano all’ultimo barocco, con radiosi richiami ecletticiLa fantasmagoria floreale, la fitta lavorazione del terrazzinogli ariosi loggia-ti laterali, la decorazione a stucchi e boiseries di color crema e oroil tutto perfettamente in armoniacon l’arredo interno, un mobilio apertamente ispirato a un fioritoLuigi XVI, ne fanno una dimora elegante e raffinata, e piuttosto suggestivatanto che il regista Dario Argento vi ha ambientato uno dei più celebri gialli italianiProfondo rosso, del 1975.

Villa Scott viene infatti scelta per essere la villa del bambino urlante e gioca un ruolo essenziale per lo svolgimento della trama: è tra queste mura che si trova la soluzione del mistero. Tra gli appassionatialcuni indentificano la sfarzosa e terribile residenza del film giallo-horror con l’altrettanto celebre Villa Capriglioanch’essa situata in collina e nascosta tra la vegetazionesede inquietante di vicende 

orrorifichepurtroppo più veritiere rispetto a quelle altrettanto spaventose ma irreali di Villa Scott. 

Occorre ricordare che all’epoca delle riprese la villa era utilizzata come collegio femminile e abitata da suore e fanciulle che ovviamente non potevano rimanere  mentre veniva girato il film. La produzione dovette allora trovare un escamotagepoiché non si poteva abbandonare quella location così perfettamente suggestiva! Si decise dunque di offrire un periodo di villeggiatura a Rimini alle suore e a tutte le ragazze del collegio, le quali non opposero alcuna obiezione e con la loro vacanza inaspettata contribuirono alla realizzazione di una delle pellicole horror più conosciute. Dopo un breve periodo di abbandono, la villa è stata  restaurata e adibita a residenza privata.

Alessia Cagnotto

La Torino oscura di Profondo Rosso

Cinquant’anni fa, nel settembre del 1974, iniziavano a Torino le riprese di Profondo Rosso, un film che sarebbe diventato un riferimento classico per gli appassionati di cinema, uno dei migliori thriller italiani di sempre. Il regista Dario Argento per la terza volte sceglieva la prima capitale d’Italia e le sue atmosfere magiche dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano, la Galleria San Federico e piazza CLN, dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). Hemmings (che nel film interpretava il pianista inglese Marc Daly ) incrociò sulla collina torinese alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca: Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57.

 

È quella, infatti, la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò. “L’avevo scoperta per caso — confessò il regista — mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”. Un’ulteriore curiosità merita di essere segnalata. Quando Marc, nel film suonò al campanello di casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai) che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede nel film era probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima avventura cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero maestro del brivido made in Italy.

Marco Travaglini

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Un  violento antisemitismo che riaffiora dal passato – Ungaretti fascista  e il mancato Nobel – La notizia e la malattia – Lettere

Un  violento antisemitismo che riaffiora dal passato
Salvo Umberto Terracini e pochi altri, i comunisti sono sempre stati anti israeliani.  Il loro antisionismo diventava spesso  anche antisemitismo. Il sionismo ha avuto  prevalentemente  una matrice socialista non marxista e questo aspetto socialdemocratico era un’altra delle fobie dei comunisti che  ad un certo punto odiarono Craxi più di Almirante. Vedo che si sta riscoprendo persino l’adesione di gran parte degli ebrei italiani  al fascismo, al fine di denigrarli, dimenticando volutamente  le leggi razziali del 1938, la deportazione in Germania e il loro sterminio. Magari torneremo anche a dover leggere pagine negazioniste o forme di esaltazione del Gran Mufti’ di Gerusalemme  che fu alleato di Hitler nella caccia agli Ebrei. Il clima odierno prevalente  è quello di un antisemitismo che divampa in Italia e in Europa in modo sempre più virulento e colpisce gli ebrei, come ha denunciato il presidente della comunità ebraica  di Milano.
L’attacco del 7 ottobre è stato dimenticato. Io non sostengo Netanyahu da cui anzi dissento, ma non posso per altri versi  sostenere in modo acritico la Palestina che come Stato non esiste e quindi non può essere riconosciuto. I primi a diffidare dei Palestinesi sono i Paesi arabi confinanti con quell’area maledetta. Chi scrive ha sempre diffidato dalla politica filoaraba di molti governi Italiani, citata oggi  come esemplare da chi avversò quei governi. La stessa Lega araba ha diffidato Hamas a non insistere con le sue imprese terroristiche. In molti post comunisti è riaffiorato l’antisemitismo della loro giovinezza in nome del quale Stalin uccise e deportò milioni di ebrei, seguendo e inasprendo la logica antisemita dell’ impero degli Zar. Anche Putin, il nuovo zar post – sovietico è antisemita. Circolano pure in Italia eleganti magliette con la controversa bandiera della Palestina esibite  snobisticamente anche al mare e un po’ dappertutto come una specie di divisa. L’episodio più folle mi è sembrato quello di un medico e di un’infermiera che gettano farmaci israeliani. Secondo gli autori, che si sono anche filmati,  il loro sarebbe “un gesto simbolico per la pace”. L’atto non merita un commento.

Merita invece solidarietà Tommaso Cerno (nella foto di copertina), direttore del “Tempo”, letteralmente aggredito e minacciato di morte  da  gruppi anarchici  per le inchieste giornalistiche sulla contiguità tra ambienti politici italiani ed estremisti arabi. C’è da sperare che a Cerno giungano tutte le più alte solidarietà a tutela della libertà di stampa minacciata. E’ scontato il sostegno della presidente del Consiglio e di alcuni governatori del Centro – destra. Va riconosciuta la solidarietà  a Cerno di Giuseppe Conte, non così scontata. Ma non basta, perché essere solidali con chi è stato minacciato di morte è un dovere da parte di tutti coloro che rifiutano la violenza. Difendere la libertà di pensiero e di stampa è un dovere elementare di tutti. C’è da augurarsi che la campagna di odio non abbia cancellato  anche  la tolleranza volterriana di chi non condivide le idee altrui. Voltaire diceva di voler lottare fino alla morte per difenderle.
Oggi la faziosità è tale che l’idea di Voltaire appartiene ad un passato remoto.  Per altri versi lo stesso filosofo e polemista francese era, a sua volta, un intollerante. Ciò non giustifica chi, di fronte alle minacce contro Cerno e i giornalisti del “ Tempo”, volta gli occhi da un’altra parte, fingendo di non capire. Ma ci sono anche gli estremisti filo-palestinesi, i fondamentalisti  professionali che da sempre  stanno dalla parte dei violenti. E sono orgogliosi della loro faziosità manichea contro la democrazia liberale e l’Occidente.
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Ungaretti fascista  e il mancato Nobel
Giuseppe Ungaretti fu fascista e amico di Mussolini che conobbe durante la I Guerra Mondiale. La sua prima raccolta di poesie divenuta poi “L’allegria “venne dedicata al futuro Duce di cui si dichiarò “fieramente” sostenitore. Venne nominato Accademico d’Italia e poi chiamato nel 1942  “per chiara fama” , quindi senza superare concorsi, ad insegnare Letteratura italiana  alla “Sapienza” di Roma. Non ci sono documenti che attestino una sua laurea neppure all’estero: a Parigi consegui’ un diploma biennale Dopo la caduta del regime tolse la dedica a Mussolini alla sua raccolta poetica e fece il pesce in barile.
Croce chiese che venisse riconsiderata la sua posizione universitaria. Venne difeso dal neo- comunista ex crociano  Natalino Sapegno, da Carlo Bo ed altri e venne reintegrato in cattedra. Fu  anche difeso da  Giuseppe De Robertis ,studioso delle “varianti ungarettiane” (che ignoro’ la cancellazione della dedica  e la premessa rimaneggiata) il quale aveva ricoperto la cattedra di Attilio Momigliano, cacciato per motivi razziali. Ungaretti, togliendo la dedica e cambiando la  compromettente premessa, passò indenne nella bufera del dopoguerra. Ma la cosa non passò inosservata alla Giuria del Nobel dove tentò parecchie candidarsi all’ambito e lucroso riconoscimento. Ebbe immeritatamente il Nobel Salvatore  Quasimodo piccolo poeta del secondo Ermetismo, mentre il poeta ermetico per eccellenza, Ungaretti, almeno in una parte della sua produzione,  rimase a bocca asciutta. Ebbe invece  il Nobel il più grande poeta italiano del ‘900 Eugenio Montale, ma lo ebbe scandalosamente anche il guitto Dario Fo, contiguo all’estremismo  rosso. Tutto sommato, se lo ebbe Fo, l’avrebbe dovuto ottenere Ungaretti che si allineò al fascismo come la maggioranza degli intellettuali. Andrebbe inoltre ricordato che Fo andò volontario nella  X Mas della Repubblica sociale italiana, niente al confronto di una dedica in un libro di poesia.
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La notizia e la malattia
Ho letto del ricovero in un ospedale di un alto prelato con nome e cognome per insufficienza respiratoria. La notizia si completa, facendo sapere anche  le gravi condizioni dell’illustre degente.
La privacy è gravemente violata, ma soprattutto nessuno ha pensato alla possibilità che il degente possa leggere la notizia che lo riguardi. Mi pare un giornalismo che non  sa rispettare i malati e gli effetti che anche poche righe possono determinare sulle persone.
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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com 
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Il futuro dei monarchici
Ho letto  in un suo articolo della sua sorpresa in merito al fatto storico che il principe Emanuele Filiberto  di Savoia ha posto fine alla diatriba dinastica con i cugini Aosta e ha fatto passare dalla sua il grande storico  e senatore prof.  Mola che è presidente della Consulta dei Senatori del Regno d’Italia che dichiarò addirittura la illegalità della discendenza del ramo legittimo  dei Savoia per il matrimonio di suo padre  Vittorio Emanuele IV che fu massone  e amico di Gelli come il grande Storico di Torre San Giorgio. È un bell’esordio anche in Piemonte ad un convegno a   Racconigi e a un pranzo a Piea. A ranghi riuniti i monarchici sapranno tornare ad essere decisivi per il futuro dell’Italia. Giuseppe Cuzzolin
Pubblico la Sua lettera perché cerco di dare spazio a tutte le opinioni anche a quelle  che altrove non troverebbero accoglienza. La Sua lettera mi ricorda molto l’operetta, un genere decaduto da tempo. Io mi ero limitato a segnalare un convegno su Umberto II a cui come relatori c’erano il principe e il prof. Mola, sostenitore  dei Duchi d’Aosta e autore di un documento in cui veniva dichiarato decaduto Vittorio Emanuele a causa del suo matrimonio. Adesso lei mi da’ una lettura dei fatti che non sapevo. Sarà così? Il futuro di questo disgraziato paese  comunque non dipende, per nostra fortuna, dalle novità che Lei ci racconta  quasi come un cortigiano devoto, miracolosamente   sopravvissuto alla fine del secolo scorso.
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I vaccini
Il ministro della Sanità  Schillaci ha azzerato la commissione sul Covid  da lui stesso creata perché composta anche da novax. È un atto di faziosità assurda che nega il pluralismo. Francesca di Nola
Io concordo con il ministro che ha ,sia pure tardivamente, escluso i novax che sono quelli che hanno remato contro il Paese in balia della tragedia pandemica in nome di una falsa  libertà che in effetti è licenza irresponsabile. Sono d’accordo su una commissione che valuti con equità  l’operato di Conte e Speranza e soprattutto dei loro più stretti collaboratori, persone  queste ultime, non proprio esemplari. A discolpa di Conte e di Speranza c’è il fatto incontestabile che si trovarono repentinamente di fronte ad una realtà totalmente nuova, anche se l’Italia avrebbe dovuto aggiornare il piano anti pandemico che rimase per anni lettera morta. Ci sono i soliti fessi che approfittano della confusione per chiedere la non obbligatorietà dei vaccini, dimostrando una superficialità infantile. I vaccini  – va ribadito – devono restare obbligatori. Altrimenti cadiamo nel baratro di un nuovo Medio Evo.
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Casa Pound
Secondo il ministro Giuli Casa Pound non deve essere sgombrata. Se vera è un’affermazione gravissima che dimostrerebbe la  sudditanza del governo verso l’estrema destra extra-parlamentare
Vincenzo Vittorelli
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Concordo con Lei. Nel mio articolo, in cui plaudo allo sgombero del Leoncavallo, ho scritto che adesso tocca a tutti i centri sociali che occupano abusivamente locali abusivi, in primis casa Pound che occupa locali del Comune  di Roma. Mi domando perché Gualtieri sia stato inerte, come la sindaca grillina. Ogni acquiescenza verso gli estremisti di destra e di sinistra sarebbe  anche un gravissimo errore politico da parte del Governo, direi che sarebbe  anche un regalo alle opposizioni, offerto su un vassoio d’argento.