STORIA- Pagina 6

Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum

Breve storia di Torino


1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

1.Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum

Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia. Queste le parole del grande intellettuale Italo Calvino, forse un po di parte, certo, ma non per questo meno veritiere.
Così abituati a guardare lontano, intenti ad indagare il mondo oltre i confini visibili, perennemente alla ricerca di qualcosaltro in un laggiù” di labile definizione, spesso diamo per scontato ciò che ci circonda, e talvolta nemmeno ci impegniamo a conoscere i luoghi a noi più vicini.
Rifletto spesso su tale tematica con i miei studenti a scuola, approfittando delle potenzialità della materia che insegno; quando chiedo ai ragazzi di raccontarmi una loro esperienza riguardo a mostre darte, musei o luoghi culturalmente conosciuti, mi rendo conto di quanto poco conoscano il territorio in cui vivono, è più probabile infatti che essi si siano ritrovati per le strade di qualche capitale straniera e non di aver visitato Palazzo Madama, Palazzo Reale, un qualunque museo torinese di arte contemporanea o qualche luogo cittadino che proprio nulla ha da invidiare all esotico estero.
Non ne faccio loro una colpa, anche io tendo spesso a incappare nel medesimo errore, protesa verso il desiderio di prendere aerei e partire, corro per prima il rischio di tralasciare interessanti occasioni di visita di esposizioni darte di artisti che magari apprezzo particolarmente e che si svolgono proprio a Torino.

È secondo questottica che ho deciso di scrivere tale serie di articoli dedicati alla capitale sabauda, per riscoprire e tentare di approfondire la storia e le vicissitudini di quella che è la mia città natale, la stessa che mi pare così lontana anche se abito nei suoi vicinissimi confini, che talvolta mi ha stancato, che non sempre mi ha accolto o confortato, della quale spesso mi sono dimenticata, ma a cui rimango indissolubilmente affezionata.
Torino è così, una città antica che accetta le sfide della globalizzazione e della multiculturalità, attenta alla qualità ambientale, dove da sempre il saper fare si accompagna al saper pensare, è localitàforte delle proprie radici eppure pronta a fronteggiare le numerose riqualificazioni urbane che nei secoli si sono succedute, invasive e necessarie, le medesime che ora stabiliscono laspetto multiforme di quella che è stata la prima capitale dItalia.
Nel capoluogo popoli, culture, tradizioni e differenti consuetudini si sono stratificate nel tempo, a partire dagli usi e costumi degli antichi romani, fino ai cittadini odierni, autoctoni, migranti e tutte quelle etnie in equilibrio tra il mantenere le proprie usanze e limparare il dialetto locale.
La storia di Torino è qualcosa di tangibile, passeggiando per le vie della città infatti ci si imbatte continuamente in testimonianze del passato: le Porte Palatine, gli edifici di Italia 61, le palazzine barocche e le ville liberty, le chiese ed i monumenti, tutti tasselli di ununica grande vicenda che comincia più di duemila anni fa, ai tempi di un piccolo insediamento chiamato Taurasia, distrutto da Annibale nel 218 a.C.  

La nascita e lo sviluppo della città sono indissolubilmente legati alla posizione geografica che essa occupa: Torino sorge sulla sponda occidentale del Po, nella regione chiamata Pedemontium ossia la terra ai piedi delle montagne, uno strategico crocevia assai significativo  per i commerci, sia via terra che via acqua. Fin dai tempi antichi eserciti, mercanti e pellegrini erano costretti ad attraversare il fiume in quel preciso punto geografico, laddove sorgeva il piccolo villaggio Taurasia. Nei secoli sono molti coloro che ambiscono al controllo dello stabilimento, rilevante scalo tattico e commerciale, nonché snodo significativo posto sulla via che collega il Sud della Francia e il Nord dellItalia.
Tuttora Torino sorge lungo la principale articolazione stradale e ferroviaria dellarea alpina, su un percorso che da sempre è ritenuto di considerevole importanza, da qui infatti sono passati, secondo gli studiosi, dapprima Annibale, nella sua marcia verso Roma e successivamente, nel 773, lesercito di Carlo Magno, durante la calata in Italia.
Il tempo conferma la centralità della posizione strategica dellantica Augusta Taurinorum, abbracciata dai fiumi e protetta dal duplice ruolo delle montagne, da una parte le Alpi, dallaltra i Colli del Monferrato, che sia mettono in comunicazione la città con i comuni limitrofi, sia fungono da barriera protettiva naturale; gli stessi Savoia, i custodi dellItalia approfitteranno dellubicazione dellurbe per gestire i propri poteri.
La natura dunque favorisce la nascita di un insediamento destinato ad ingrandirsi nei secoli, ma se da subito le condizioni di vita paiono favorevoli per la cittadinanza, sarà necessario attendere diversi secoli prima che la Storia si accorga della bella Torino, relegata per tempo immemore alla condizione di cittadina di provincia, adombrata dalle limitrofe Asti e Vercelli, infatti solo verso la fine del Cinquecento, grazie ai Savoia che qui sposteranno la propria corte, al capoluogo viene riconosciuto peso politico e comincia a brillare di luce propria.
Ma andiamo per ordine, poiché assai remote sono le origini della nostra città; larea appare abitata fin  dallepoca tardo paleozoica, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di utensili in pietra.
Allepoca la regione doveva essere ricoperta di foreste e acquitrini, tuttavia già i coltivatori delletà neolitica erano intervenuti a favore di una repentina trasformazione del paesaggio, processo che continueràattraverso diverse azioni di bonifica dalletà medievale fino alletàmoderna.
I primi abitanti del Piemonte sono i Celto-Liguri, gruppi migranti celtici che mentre si spostano verso il Nord della Penisola si fondono con alcune tribù liguri già presenti sul territorio.
Si tratta di popolazioni dedite allagricoltura, con un livello di organizzazione politica e culturale non molto sviluppata, vivono sparsi per le radure tra le foreste, coltivano segale e granaglie e allevano pecore e maiali. Nello specifico sono gli Insubri e i Taurini ad occupare le sponde del fiume Po.
Come è noto, il destino di Torino risulta legato almeno a livello di nomenclatura-  ai Taurini, da cui deriva lappellativo Augusta Taurinorum, dallanimale totemico attribuito alla tribù, ossia il taurus, -che tuttoggi rimane simbolo indiscusso della moderna cittàpiemontese-.
Ben poco sappiamo di tale popolazione, se non che compare negli annali nel 218 a.C., quando tenta invano di fermare la discesa di Annibale, per poi entrare a far parte delle tribù inglobate nella sfera culturale e politica di Roma che,  a partire dalla metà del II secolo a.C., colonizza la zona subalpina nordoccidentale per aprirsi una piùfacile via verso la Gallia.
Lo spirito decisamente concreto e pratico dei romani fa sì che le cittàfondate nel territorio piemontese rispondessero a precise funzioni: si tratta di avamposti militari  e centri di governo che favoriscono il controllo e la comunicazione lungo il tragitto verso le Alpi.


Tra questi insediamenti spicca per importanza Augusta Taurinorum.
Le leggende prendono il sopravvento sulle sporadiche fonti accreditate riguardanti le origini di Torino, se diverse sono le versioni fantasiose legate alla fondazione del capoluogo, dallaltra sono poche e controverse le notizie degli studiosi dedicate a tale argomentazione.
Lo stesso appellativo apre a diverse ipotesi interpretative: secondo alcuni Iulia Augusta Taurinorum viene fondata da Giulio Cesare durante le sue campagne militari in Gallia, secondo altri invece il nome della cittadina si rifà allimperatore Ottaviano, meglio noto con lappellativo di Augusto.
Vi è poi la versione di una duplice fondazione, suggerita da diversi studi del terreno, dai quali si denota una lavorazione dei campi limitrofi alla città che suggerisce una edificazione svoltasi in momenti differenti.
Quel che invece è noto riguarda la trasformazione del villaggio tribale prima in colonia militare poi in civitas, ossia una città con una propria struttura amministrativa ben definita; allincirca nello stesso periodo viene fondata Augusta Pretoria, lodierna Aosta, con lo scopo di assicurare il dominio romano sulla vallata circostante e sui valichi del Grande e del Piccolo San Bernardo.
Dalle fonti tuttavia si evince che ledificazione effettiva di Augusta Taurinorum avviene nel corso del I secolo a.C.; i lavori di costruzione seguono lo schema prefissato dalla tradizione romana e la colonia si struttura secondo una griglia rettangolare circondata da una cinta muraria di circa 2,5 km.
Lo spazio interno è diviso da due strade principali, il Cardo e il Decumano le attuali via Garibaldi e via San Tommaso -, rimane invece incerta lubicazione del foro, anche se probabilmente doveva occupare lattuale zona in cui oggi si trova il municipio. Allinterno delle mura, le strade secondarie suddividono lo spazio urbano in insulae, isolati residenziali dotati di fognature sotterranee e pavimentazioni regolari e ordinate.
La nuova colonia viene inoltre dotata di un acquedotto per la fornitura idrica, bagni pubblici, templi e un teatro, le cui fondamenta sono ancora visibili accanto a Palazzo Reale.
Lo schema rettilineo rimane alla base della Torino moderna e resta inevitabile punto di partenza per tutti i successivi sviluppi urbanistici eseguiti fino ai giorni nostri.
Altra questione aperta riguarda gli abitanti: molto probabilmente si tratta di immigrati provenienti direttamente da Roma o veterani dellesercito, solo in una minoranza potevano discendere direttamente dalla tribù dei Taurini.
Limportanza della colonia rimane relegata al transito stradale e alla riscossione dei pedaggi; essa  tuttavia è indicata  nei documenti dellepoca come snodo primario allinterno della grande rete di comunicazione costruita dai Romani  per agevolare il transito di merci, truppe e messaggeri imperiali in tutta lItalia settentrionale.
La situazione muta bruscamente nel III secolo a.C., quando la guerra civile, la recessione economica e le incursioni barbariche minano lesistenza stessa di Roma. La crisi colpisce tutto lImpero, ma sono proprio le colonie sorte lungo le rive del Po che devono fronteggiare in prima linea gli invasori germanici.
Augusta Taurinorum rimane per molto tempo, come le altre province, in una situazione instabile, preda del vuoto di potere dovuto al crollo delle istituzioni governative e politiche romane fino allemergere di una nuova autorità: il vescovo, simbolo della Chiesa Cristiana. Per i secoli a venire è questa la figura essenziale a cui tutta la comunità si rivolge e sulle cui spalle pesa il gravoso compito di organizzare la nuova vita cittadina allalba dellavvento del Cristianesimo.
Non si sa molto riguardo alla diffusione della nuova religione in Piemonte, la tradizione si sofferma sullavvento del culto dei tre martiri (Ottavio, Avventore, Solutore), particolarmente apprezzato proprio a Torino, cerimoniale religioso surclassato poi dalladorazione di Giovanni Battista.
Scarse sono le notizie a proposito del primo vescovo di Torino, probabilmente un certo Massimo, pupillo di Eusebio  e forse anche di Ambrogio, arcivescovo di Milano. Massimo era un buon imprenditore edile, a lui infatti si deve ledificazione del primo edificio ecclesiastico locale, una chiesa probabilmente dedicata al Salvatore, ubicata dove ora sorge il Duomo. Attraverso larchitettura egli ritiene di esorcizzare i demoni pagani che albergano tra le rovine dellantica città romana, costruendo chiese e santuari laddove sorgevano gli antichi templi dedicati agli dei. Inoltre egli riveste la figura del principe-vescovo, così come i suoi contemporanei Ambrogio di Milano, Agostino dIppona e Gregorio di Tours. La sua figura austera, severa e forte si fa punto di riferimento per i suoi successori, i quali come lui si adoperano per difendere la città dai barbari, dare asilo ai profughi e riscattare i prigionieri.
Decisamente interessanti sono i sermoni redatti da Massimo, grazie ai quali ci è possibile immaginare come doveva essere la lontana societàtorinese agli albori della diffusione del Cristianesimo.
Allinterno dei testi spiccano le critiche feroci mosse dal vescovo nei confronti dei cittadini, costantemente invitati al pentimento, ad allontanarsi dai beni materiali, sovente accusati di pigrizia e venalità: della prima comunità torinese ne esce un quadro tuttaltro che edificante.
Eppure tali sono le origini di Torino.
Affondiamo le nostre arcaiche radici in una turbolenta cittadinanza ancora legata ai vecchi culti, che tuttavia con fatica e forza si è poi evoluta fino ai giorni nostri, passando per le guerre contro i barbari, la dominazione sabauda fino a Napoleone e oltre.
Complessa e stimolante è la vicenda di Torino e questo è solo linizio.

Alessia Cagnotto 

Cuneo ricorda Marcello Soleri

La manifestazione in ricordo di Marcello Soleri alla Provincia di Cuneo con gli studenti delle scuole superiori della Città. Con Ivana Casale,  Olimpia Soleri, Pier Franco Quaglieni e il presidente del Memoriale degli Alpini in Russia. Un incontro storico che ha unito giovani di scuole diverse nel ricordo dello Statista liberale morto 80 anni fa.

Carducci e la sua ode al Piemonte dalle “dentate scintillanti vette”

Su le dentate scintillanti vette salta il camoscio, tuona la valanga da’ ghiacci immani rotolando per le selve croscianti :ma da i silenzi de l’effuso azzurro esce nel sole l’aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero volo solenne. Salve, Piemonte! A te con melodia mesta da lungi risonante, come gli epici canti del tuo popol bravo,scendono i fiumi…”.

Chi non l’ha imparata a memoria e recitata a scuola questa poesia? Secondo alcuni esperti di storia della letteratura, i versi dell’ode “Piemonte” vennero composti da Giosuè Carducci durante il suo soggiorno al Grand Hotel di Ceresole Reale nel luglio del 1890.

 

Nato a Valdicastello, una frazione di Pietrasanta, nella Versilia lucchese, il 27 luglio 1835, il poeta e scrittore, fortemente legato alle tematiche “dell’amor patrio, della natura e del bello”, fu il primo italiano – nel 1906 – a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.  Questa la motivazione con la quale gli  venne assegnato, vent’anni prima di Grazia Deledda, l’ambito premio dell’Accademia di Svezia: “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”. Giosuè Carducci morì un anno dopo, il 16 febbraio 1907, all’età di 72 anni, lasciando alla cultura italiana una vasta produzione di poesie, raggruppate in diverse raccolte: dagli “Juvenilia” fino ai lavori della maturità. Tra questi ultimi si distingue in particolare la raccolta  “Rime nuove”, composta da 105 poesie, tra cui sono contenuti i versi più conosciuti dell’autore, presenti in “Pianto antico” ( “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano..”) e “San Martino” (“La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar..”).

Nella sua produzione non mancano anche alcuni lavori in prosa, tra cui la raccolta dei “Discorsi letterari e storici” e gli scritti autobiografici delle “Confessioni e battaglie“.  Alla notizia della sua morte – nella sua casa delle mura di porta Mazzini, a Bologna –  la Camera del Regno ( Carducci, dopo essere stato a lungo Senatore del Regno era stato eletto alla Camera nel collegio di Lugo per il gruppo Radicale, di estrema sinistra)   sospese la seduta. L’Italia intera vestì il lutto per la scomparsa del poeta  che aveva cantato il Risorgimento. Durante i funerali, che si svolsero il 18 febbraio, i cavalli che portavano il feretro alla Certosa avevano gli zoccoli fasciati. Il cuore di Bologna, piazza Maggiore, e molte case private si presentarono parate a lutto. I fanali lungo il percorso vennero accesi e “guarniti di crespo“. La salma del poeta, fu “rivestita dalle insegne della massoneria, alla quale fu affiliato, e molti massoni partecipano alle esequie”.  Pochi giorni dopo la casa e la ricca biblioteca del poeta vennero donate dalla regina Margherita al Comune di Bologna. 

Marco Travaglini

Napoleone alla Palazzina di Caccia di Stupinigi

Domenica 21 settembre

Stupinigi con Saint Cloud, tra le residenze più amate da Napoleone e dalla sua famiglia. Il capolavoro di Filippo Juvarra, voluto dai Savoia, è stato il luogo di svago della corte imperiale e, sebbene per un tempo brevissimo, di Paolina Borghese Bonaparte, la bella e irrequieta sorella di Napoleone, venuta a Torino con il marito, il principe Camillo, governatore del Piemonte.

Domenica 21 settembre è in programma un viaggio nel periodo napoleonico per “Life, istantanee di vita di corte”, l’evento di Living History che rievoca la vita quotidiana di un momento storico particolare, dando la possibilità ai visitatori di assistere ad uno spaccato di vita ricostruito il più fedelmente possibile. Alle 15,45 una speciale visita focus consentirà di interagire con i figuranti.  

Dopo più di 200 anni, tornano personaggi e simboli che hanno popolato la Palazzina di Stupinigi, quando era residenza ufficiale di Napoleone con dame vestite di impalpabili sete, preziosi gioielli e prestanti ufficiali a mostrare il gusto e la raffinatezza della corte imperiale.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 21 settembre, ore 15,45

Speciale visita focus

Prezzo attività: 5 euro + biglietto di ingresso

Durante tutta la giornata, nell’orario di apertura, “Life, instantanee di vita di corte”

Prezzo compreso nel biglietto di ingresso

Biglietto di ingresso: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Prenotazione obbligatoria per l’attività entro il venerdì precedente

(Per prenotazioni via e-mail attendere sempre una conferma scritta, controllare anche lo spam)

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Info: 011 6200601 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Il conte Cozio e il mito di Stradivari. Capolavori in Piemonte tra ‘700 e ‘800

A cura di Giovanni Accornero e Duane Rosengard

Palazzo Madama

Corte Medievale

Piazza Castello – Torino

 

19 settembre – 23 novembre 2025

 

Immagini a uso stampa a QUESTO LINK

Il conte Cozio e il mito di Stradivari. Palazzo Madama Torino ph. Studio Gonella

Ricercare, interpretare ed esporre il patrimonio culturale, materiale e immateriale, con la partecipazione della comunità è uno dei ruoli essenziali di un Museo. E più che mai di un Museo Civico. Su queste basi Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino dedica una grande mostra a una straordinaria, ma ancora poco conosciuta, storia di eccellenza piemontese.

In occasione della celebrazione dei 270 anni dalla nascita del conte Ignazio Alessandro Cozio di Salabue, gli spazi della Corte Medievale ospitano una mostra organizzata insieme all’Associazione Il Salabue e curata da Giovanni Accornero e Duane Rosengard, che intende promuovere e divulgare al grande pubblico la figura di questo singolarissimo protagonista piemontese, nato a Casale Monferrato il 14 marzo 1755.

Il Conte Cozio fu il più importante tra i collezionisti e gli appassionati di strumenti ad arco del passato, affermandosi in seguito come il primo studioso capace di comprendere il valore della liuteria classica italiana – in particolare quella cremonese – e l’importanza dei segreti del “saper fare con le mani”, un patrimonio che già all’epoca stava gradualmente scomparendo. A differenza di altri collezionisti del tempo, mossi da principi puramente estetici, Cozio si distinse per un approccio consapevole e sistematico, ispirato da criteri di ricerca storica e scientifica. Il conte non si limitò, infatti, a raccogliere strumenti pregiati: egli ne indagò la provenienza, ne studiò le caratteristiche costruttive, confrontò le scuole liutarie, annotò osservazioni sulle tecniche degli autori, contribuendo alla definizione di un sapere che anticipa, in qualche modo, l’approccio organologico moderno.

La mostra si sviluppa attraverso l’affascinante, avventurosa e per certi versi incredibilmente “moderna” biografia del nobile e lungimirante collezionista, attraverso la selezione di 20 strumenti ad arco, tra violini e viole di eccezionale rilevanza storica, di cui 12 appartenuti al conte Cozio e molti dei quali esposti per la prima volta al pubblico.

Gli strumenti provengono, per la maggior parte, da collezioni e istituzioni private, quindi difficilmente accessibili al pubblico, affiancati da altri strumenti, non solo ad arco, che arricchiscono il corpus principale delle opere esposte, offrendo al visitatore una prospettiva più ampia sul contesto storico, culturale e musicale dell’epoca.

Il conte Cozio e il mito di Stradivari. Palazzo Madama Torino ph. Studio Gonella

La mostra

Per la prima volta nella storia giungono a Torino due importanti violini appartenuti ai virtuosi del Teatro Regio: il violino Antonio Stradivari costruito a Cremona nel 1718 (che Cozio descrisse nei suoi carteggi) appartenuto a Giovanni Battista Viotti e il violino Giuseppe Guarneri “del Gesù”, realizzato a Cremona nel 1736, appartenuto a Gaetano Pugnani. Entrambi sono presentati con le rispettive custodie originali e accompagnati dai ritratti dei due celebri violinisti. Tra questi spicca lo straordinario ritratto di Viotti eseguito dalla nota ritrattista francese Élisabeth Vigée Le Brun, considerato disperso nei primi anni del Novecento e recentemente riapparso sul mercato antiquario, per questa ragione esposto per la prima volta al pubblico.

La sezione più significativa della mostra è dedicata all’esposizione di dodici strumenti appartenuti al conte Coziosei violini e due viole di Guadagnini realizzati tra il 1773 e il 1776, il violino “Ames” di Antonio Stradivari (1734) e il celebre “Salabue” del figlio Francesco (1742), un violino di Nicolò Amati (1668) appartenuto a Carlo Francesco Cozio, padre del conte, e da lui ereditato, e infine il magnifico violino di Carlo Bergonzi, noto oggi come “Cozio-Tarisio”, realizzato a Cremona nel 1733, lo strumento preferito dal conte tra i cinque esemplari di Bergonzi in suo possesso.

Completano l’esposizione due violini dei fratelli Celoniato (Giovanni Francesco e Giovanni Giuseppe), quattro violini di Chiaffredo Cappa, una viola di Giacomo Rivoltatre mandolini e una chitarra realizzati dai figli di Guadagnini: Giuseppe, Carlo e Andrea.

Il percorso espositivo è arricchito da un’installazione 3D interattiva intitolata “La forma del suono”, che consente ai visitatori di esplorare in dettaglio ogni componente del celebre violino “Salabue-Berta”, costruito da Giovanni Battista Guadagnini a Torino nel 1774 e presente in mostra. Grazie alle annotazioni organologiche redatte dallo stesso Cozio, sarà possibile entrare nel cuore della liuteria storica e comprendere a fondo le caratteristiche tecniche di questo iconico strumento.

In mostra anche oggetti e attrezzi provenienti dal “Fondo Stradivariano” e documenti originali d’archivio provenienti dal “Carteggio Cozio” che approfondiranno aspetti poco noti della figura del nobiluomo piemontese e dell’ambiente musicale in cui visse e sviluppò la sua passione per gli strumenti ad arco.

Bernardo Morera, Ritratto del Conte Ignazio Alessandro Cozio di Salabue, 1831. Ph. Studio Gonella

Il Conte Cozio di Salabue

L’attività di Cozio rappresenta uno dei primi casi in cui il collezionismo abbia assunto un’elevata dimensione culturale, fondata su criteri di selezione e conservazione, coerenti con una visione storicamente informata e scientificamente orientata. La sua passione, coinvolgente e intensa, fu vissuta e sviluppata in parallelo ad un’attività frenetica di commercio di strumenti ad arco, legata inscindibilmente ad una fitta rete di relazioni con mercanti, musicisti, studiosi e liutai dell’epoca, tra questi ultimi, principalmente, Giovanni Battista Guadagnini di cui Cozio fu il mecenate. Per avere una chiara dimensione della statura e dell’importanza di questo personaggio, è emblematico il fatto che nella sua collezione, tra i numerosi violini di Antonio Stradivari, fosse presente il celebre e leggendario “Messia”. Realizzato a Cremona nel 1716, questo straordinario strumento, oggi custodito presso l’Ashmolean Museum di Oxford, è tuttora considerato uno dei capolavori più celebri e meglio conservati del grande Maestro cremonese.

Sotto il profilo organologico, Cozio si rivelò un autentico visionario per l’epoca. Nel 1775, a soli vent’anni, acquistò da Paolo Stradivari, figlio di Antonio, l’intero fondo della bottega: un patrimonio di inestimabile valore che comprendeva le forme, gli attrezzi, i cartoni e i disegni preparatori utilizzati da Stradivari per costruire i suoi strumenti. Questo prezioso patrimonio di informazioni, si rivelò indispensabile per i suoi studi, contribuendo a preservare una parte fondamentale della memoria storica della tradizione liutaria cremonese. Grazie alla lungimiranza del conte Cozio questo patrimonio è oggi custodito presso il Museo del Violino di Cremona.

Nel cuore di Torino, con Ernest Hemingway

Un giovane Hemingway a spasso in centro, in via Pietro Micca, piazza Castello, piazza Solferino e poi a Superga per entrare nella grande Basilica di Filippo Juvarra. Cosa faceva lo scrittore americano (1899-1961), premio Nobel per la letteratura nel 1954, sotto la Mole all’inizio del Novecento? È il 1918, Ernest parte da Parigi diretto a Milano. L’amore lo porta a Torino dove si ferma per vedere Bianca, la fidanzatina, e si innamora anche della città “ per la sua eleganza austera e il suo spirito operoso” che all’epoca contava mezzo milione di abitanti e in cui tornerà nel 1922. Una città in piena trasformazione e in fermento dopo la Grande Guerra, immersa nello splendore del Liberty, tra eleganti vie e storici caffè. Fa la corte a Bianca Bellìa, figlia di un magnate delle costruzioni e proprio dai rapporti con la famiglia Bellìa e da via Pietro Micca, dove i costruttori abitavano, parte l’itinerario alla scoperta di piazze, palazzi, bar, hotel, e monumenti che hanno fatto la storia di Torino e che ancora oggi parlano della presenza di Hemingway. Grazie alla storia d’amore tra Ernest e Bianca, Francesco Nugnes e Angelo Toppino hanno tracciato il passaggio di Hemingway in città e lo hanno descritto nel libro “ Hemingway a Torino, sulle tracce di Ernest per le vie della città, Gondour edizioni.
Una ricerca dettagliata e ricca di illustrazioni, condotta attraverso articoli, racconti, biografie, cartoline d’epoca e ricordi, anche se gli autori invitano i lettori a “rivedere con gli occhi della fantasia” la Torino che si presentò al giovane Ernest. Come detto, nel 1918 il romanziere passò da Porta Nuova prima di arrivare a Milano mentre nel 1922, all’età di 23 anni, soggiornò a Torino lasciando tracce di sé in via Pietro Micca e in collina. Visse una relazione sentimentale durante un periodo di convalescenza a Stresa dopo essere stato ferito sul fronte italiano nella Grande Guerra e lì, nelle corsie dell’ospedale, conobbe Bianca Bellìa, infermiera volontaria e la sua famiglia, molto nota a Torino. Scoppiò l’amore, lui volle sposarla, ma la famiglia di lei si oppose. Troppa fretta e poi la differenza sociale, lei ricca mentre lui non era ancora diventato famoso come scrittore e premio Nobel. Non se ne fece nulla e qualche anno dopo Hemingway sposò Hadley Richardson, la prima delle sue quattro mogli, ma tornando in Piemonte nel 1948 e nel 1954 attraversò le vie di Torino insieme al suo biografo ricordando quel suo passato amore torinese. L’amicizia con i Bellìa non finì, anzi proseguì negli anni successivi tramite corrispondenza e visite nella nostra regione. È davvero godibile la passeggiata nel cuore della città sabauda insieme ad Ernest descritta da Nugnes e Toppino. Il passaggio nella prima capitale d’Italia del turista Hemingway è dunque segnato dal legame con Bianca Bellìa e con lei avrà certamente passeggiato mano nella mano in piazza Castello, piazza Solferino, piazza San Carlo, in mezzo a negozi, bar, birrerie, chiese e palazzi. Possiamo immaginare lo stupore di Hemingway davanti a Palazzo Reale e a Palazzo Madama con Bianca che gli racconta la storia di queste residenze reali oppure sotto i portici di via Pietro Micca 4, al 1 piano, insieme a Ernest, alla sartoria Fratelli Cavallo, e ancora al Ristorante degli Specchi al numero 18 di via Pietro Micca anche se non sappiamo se Ernest pranzò qui ma era comunque il classico ristorante del centro molto frequentato da scrittori, giornalisti e nobili famiglie. Non è esclusa una pausa dello scrittore al bar Norman mentre sicuramente è entrato al Bicerin in piazza della Consolata che era, secondo lui, “tra le cento cose da salvare al mondo”. Poi la visita alla Basilica di Superga che lo scrittore dell’Illinois visitò accompagnato dal conte di Torino Vittorio Emanuele, fratello del duca d’Aosta. Si recò inoltre, come riportano i giornali dell’epoca, al Grand Hotel delle Isole Borromee e alla pasticceria Arione in piazza Galimberti a Cuneo, aperta da pochi anni, dove ordinò un whisky e mangiò i leggendari cuneesi al rhum.       Filippo Re

“Savoia, l’albero genealogico e i protagonisti della Dinastia”

Uscito il libro  di Andrea Carnino e Pierangelo Calvo

È recentemente uscito insieme a La Stampa, lo scorso 9 settembre, il libro “Savoia, l’albero genealogico e i protagonisti della Dinastia”. Autori del volume sono Andrea Carnino e Pierangelo Calvo. La professoressa Bruna Bertolo, esperta in materia, ha curato la prefazione, mentre l’introduzione è di S.A.R. il Principe Sergio di Jugoslavia, figlio di S.A.R. la Principessa Reale Maria Pia di Savoia, figlia di Re Umberto II e della Regina Maria Josè. Il libro suddetto è un’opera unica nel suo genere, ogni capitolo è dedicato ad un sovrano, da Umberto I Biancamano, fondatore della dinastia, fino a Umberto II, ognuno con il proprio albero genealogico. I lettori potranno così scoprire attraverso i matrimoni contratti dai figli e dalle figlie dei monarchi i numerosi legami di parentela dei Savoia con le più importanti case reali e imperiali d’Europa. Un’apposita sezione è dedicata ai rami cadetti; chiude il tutto un grande albero genealogico che va dal Biancamano fino agli attuali esponenti del Casato.

Il volume, scritto in modo semplice, coniuga la piccola storia con la grande storia. Non si parla solo di Conti, Duchi e Re, ma anche delle loro residenze e del loro legame con fante piccole nobili famiglie legate ai nostri territori, come Provana e i comuni del Piemonte. Nel 1618, per esempio, il Duca di Savoia Carlo Emanuele I, per ottenere i fondi necessari alla retribuzione dell’esercito, mise in vendita le frazioni di Buttigliera, Uriola e Nicola, che volevano staccarsi da Avigliana. Esse furono acquistate da Giovanni Carron, il quale, il 25 aprile 1619, venne infeudato Signore di Buttigliera Alta. L’idea di questo volume è stata di Angelo Panassi, titolare della casa editrice Susalibri, il quale ha proposto a Pierangelo Calvo, vicepresidente dell’Associazione Internazionale Regina Elena ODV, nonché cultore di storia sabauda, di scrivere un libro sulla genealogia dei Savoia. Egli ha proposto ad Andrea Carnino, giornalista e divulgatore storico, di affiancarlo nella stesura di questo volume. Il libro è stato dedicato a tre importanti aristocratici deceduti: un napoletano, un romano e un piemontese, il Duca Don Giovanni de Giovanni Greuther di Santa Severina, il Barone Roberto Ventura e il Barone Guglielmo Guidobono Cavalchini Garofoli, e allo scrittore e giornalista Luciano Regolo.

Mara Martellotta

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso: Viva Jaquerio!

Domenica 14 settembre, ore 15 

Una visita immersiva alla scoperta di uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale del Piemonte per i 650 anni dalla nascita

 

In occasione dei 650 anni dalla nascita di Giacomo Jaquerio, la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso propone una speciale visita immersiva nella vita di uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale del Piemonte che a Ranverso ha lasciato proprio la sua firma e il suo più grande capolavoro.

Nato nel 1375 circa a Torino da una famiglia con una lunga tradizione nella pratica della pittura, vive la prima parte della sua vita tra continui spostamenti fra Torino, Ginevra, Thonon-les-Bains ed altre località d’oltralpe, lavorando al servizio di Amedeo VIII di Savoia e ricevendo commesse da istituzioni religiose e da importanti casate nobiliari. Dal 1429 in poi abitò stabilmente a Torino. Della sua vasta produzione solo pochissime opere sono documentate. Il primo documento certo relativo a Jaquerio è la sua firma, scoperta solo nel 1914 sugli affreschi dell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, databili intorno al 1410, epoca in cui l’artista doveva già essere a capo di un’ampia bottega. La Salita al Calvario è il suo capolavoro caratterizzato da toni marcatamente realistici di crudeltà e dolore che ne fanno un brano pittorico di grande tensione drammatica.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Domenica 14 settembre, ore 15

Viva Jaquerio!

Costo visita: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietti: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

È indispensabile la prenotazione entro il giorno precedente.

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603 ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

L’Europa minacciata. Perché è ancora importante il 12 settembre 1683?

Il 12 settembre 1683 ha un grande significato storico, soprattutto per l’Europa, in particolare per alcune nazioni centro-orientali.
Questa data segna la Battaglia di Vienna, uno degli eventi più decisivi nella storia europea. Fu combattuta tra l’esercito dell’Impero Ottomano e le forze europee riunite in un’alleanza di eserciti cristiani sotto la guida del re polacco Giovanni III Sobieski. L’assedio di Vienna faceva parte di un tentativo di espansione dell’Impero Ottomano in Europa centrale. Conquistata Vienna sarebbe toccato a Roma, la capitale della Cristianità? La vittoria dell’esercito cristiano, con l’intervento decisivo delle truppe del re polacco Giovanni Sobieski e dei suoi celebri ussari alati fermò l’avanzata ottomana in Europa segnando l’inizio del declino dell’Impero Ottomano nel nostro Continente. Perché è ancora importante questa data? La vittoria a Vienna ha contribuito a rafforzare l’idea che l’Europa dovesse difendersi ad ogni costo dagli attacchi e dalle influenze esterne. Attuale anche oggi. Nell’odierno e delicato contesto geopolitico, quel 12/9/1683 è anche simbolico per le questioni legate alla difesa dei confini europei e alla protezione dei nostri valori di democrazia e di libertà minacciati da grandi potenze con ambizioni espansionistiche imperiali, la Russia, la Cina e la stessa Turchia del sultano Erdogan che sogna di ricostituire una una sorta di Impero Ottomano in miniatura. Il 12 settembre 1683 non viene certo celebrato in pompa magna come il Giorno della Liberazione ma negli Stati coinvolti, come Austria, Ungheria e Polonia, viene ricordato come una parte essenziale della storia patria. In Polonia, per esempio, Sobieski è un eroe nazionale. È solo una riflessione ma quella data ha ancora oggi un preciso significato.                           Filippo Re
Nella foto, il re polacco Sobieski manda al Papa il messaggio della vittoria a Vienna, dipinto di Jan Matejko (1838-1893)