STORIA- Pagina 57

Palazzina di Caccia di Stupinigi: La Mode Illustrèe

Domenica 21 maggio

 

Per Life, istantanee di vita di corte, uno spaccato sulla moda attraverso i secoli e il laboratorio per famiglie “Royal Paper Dools”

 

 

L’uso di crinoline, gorgiere, busti, parrucche caratterizzava la moda a corte. La storia del costume attraverso i secoli è il tema di Life, istantanee di vita di corte che domenica 21 maggio farà rivivere uno spaccato di vita quotidiana ricostruito il più fedelmente possibile. Dalle 10 alle 18.30 con “La Mode Illustrèe” si scoprirà la vita a palazzo di una corte dedita al loisir, alla moda e allo stile, tra grandi battute di caccia e nozze regali.

Alle 15 è in programma un laboratorio per famiglie dal titolo “Royal Paper Dools” di costruzione di bambole di carta.  

L’evento è realizzato in collaborazione con l’associazione Le Vie del Tempo.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 21 maggio

La Mode Illustrèe

Dalle 10 alle 18.30:

Life, istantanee di vita di corte, compreso nel biglietto di ingresso

Ore 15.45:

Laboratorio per famiglie “Royal Paper Dools”

Prezzo del laboratorio: 8 euro, oltre al costo del biglietto di ingresso

Biglietto: 12 euro intero; 8 euro ridotto; gratuito minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte, Royal Pass e Torino+Piemonte Card

Prenotazione per il laboratorio entro il venerdì precedente

Info e prenotazioni: 011.6200634 stupinigi@info.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orario di apertura: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Quando in Piemonte c’erano i Templari

Dal cuneese a Tenda, da Acqui ad Alessandria, da Asti a Casale, da Chieri a Ivrea, da Novara a Moncalieri, dalla Val Susa a Torino e a Vercelli, i Templari hanno cavalcato pianure e montagne piemontesi attraversando da nord a sud anche le strade della nostra regione.

Avevano precettorie e magioni, ospizi e domus, al servizio di pellegrini e forestieri, e piazzavano i loro insediamenti vicino ai fiumi, in campagna, nei pressi dei valichi alpini, in paesi e città, in zone frequentate da viaggiatori e mercanti vicine alle arterie principali del Piemonte che i Cavalieri del Tempio potevano controllare agevolmente. Difendevano abbazie, conventi e monasteri dall’assalto di briganti e banditi, raccoglievano fondi, alimenti e armi da inviare ai Cavalieri che combattevano in Terra Santa al tempo delle Crociate.

Sono numerosi i luoghi dove vissero i Templari in Piemonte, come si vede nella mappa a fianco. Il più antico insediamento templare in Piemonte, ai piedi del sistema viario alpino, era quello di Susa, datato 1170, con un ospedale per i pellegrini dedicato a Santa Maria a cui ne seguirono tanti altri, San Giorgio Canavese, Biandrate, Mondovì, Fossano, Alba, Vercelli, Ivrea, Savigliano, Testona, Casale e Tortona, solo per citarne alcuni. Una domus templare che offriva assistenza ai pellegrini si trovava al Colle di Tenda mentre a Cavallermaggiore sorgeva un grande centro templare, la commenda di San Giovanni della Motta, oltre al cascinale di San Bartolomeo, detto “castello dei Templari”. Ad Alessandria, in posizione strategica tra il Bormida e il Tanaro, la chiesa di Santa Margherita nel rione Bergoglio era una mansione templare passata dopo il 1312 all’Ordine giovannita, i futuri cavalieri di Malta.

Ad Asti gli studiosi concordano sul fatto che Santa Maria del Tempio, che sorgeva lungo l’attuale corso Alfieri, era l’insediamento più importante della città mentre a Casale Monferrato i Templari, che facevano riferimento alla precettoria di Santa Maria del Tempio alla periferia della città, si erano stanziati lungo il Po per proteggere i pellegrini che andavano a pregare sulla tomba di Sant’Evasio. Cavalieri rossocrociati presenti anche a Chieri dove si insediarono verso la fine del 1100 nella chiesa di San Leonardo la cui domus templare conserva tuttora la facciata in cotto con un grande rosone e il portone decorato con formelle che riproducono croci latine alternate a croci di Malta.

A Ivrea esisteva un convento di Templari presso San Nazario che passò poi ai Cavalieri di Malta e secondo gli storici potrebbe trattarsi del più antico insedimento templare in Italia. Alle porte di Torino i Cavalieri del Tempio si stanziarono nella grande mansione di Sant’Egidio di Testona, vicino al Po, nel 1196. Oggi resta la chiesa, più volte ristrutturata, e una lapide ricorda l’origine templare. Cavalieri del Tempio presenti anche a Nizza Monferrato nel Duecento e a Novara con le domus di Santa Maria e di San Guglielmo che nel secolo successivo passarono all’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni.

A Vercelli invece i Templari possedevano la chiesa di San Giovanni d’Albareto nell’attuale piazza Camana che fu abbattuta nell’Ottocento. Mentre a Savigliano il documento più antico che certifica la presenza dei Templari in città risale al 1181, in Val Susa l’Ordine del Tempio arrivò verso la fine del XIII secolo. Oltre a Susa, nella vicina San Giorio si trovano alcune croci templari murate nella facciata della canonica e sopra il portone di un’altra cappella di fronte alla chiesa parrocchiale. A Torino i cavalieri rossocrociati si erano stabiliti nella magione di Santa Margherita e possedevano case e beni nei sobborghi di Vanchiglia, di San Solutore e in Val San Martino.

A Moncalieri, dai documenti disponibili, emerge una presenza templare molto attiva nel Duecento mentre a Villastellone i Templari possedevano la magione di San Martino della Gorra. “I Templari in Piemonte” dell’antropologo Massimo Centini e “Quando in Italia c’erano i Templari” della studiosa Bianca Capone Ferrari sono due eccellenti libri, ricchissimi di informazioni e note storiche su luoghi, personaggi e vicende dei Templari in terra subalpina. Il volume di Bianca Capone, in particolare, è dedicato “alla memoria della Cavalleria templare, immolatasi eroicamente per la difesa di San Giovanni d’Acri nel 1291, ultimo baluardo cristiano in terra d’Oltremare”.

Filippo Re

Quaglieni scrive a Crosetto: “Aquileia, una situazione desolante”

LETTERA APERTA AL  MINISTRO DELLA DIFESA GUIDO CROSETTO
Signor ministro,
Credo di poter dire che  noi non ci conosciamo personalmente, anche se ci siamo visti in passato con i miei amici Marcello Pera e Jas Gawronski. Io l’ho molto apprezzata quando, insediandosi al ministero della Difesa, è andato ad inginocchiarsi davanti al sacello del Milite Ignoto al Vittoriano. Credo che sia stato l’unico ministro dopo tanto tempo.
Le scrivo oggi dopo essere riandato ad Aquileia dove più volte mi ero recato  in passato (anche nel 2021 per il centenario del Milite Ignoto) come storico contemporaneista.
Aquileia nel 2021 ha vissuto giorni di intenso patriottismo, testimoniato da qualche tricolore che ancora sventola, in verità un po’ stancamente.
Ma la situazione oggi è desolante. Le fotografie scattate lo dimostrano. Il  cimitero degli eroi e’ in condizioni di abbandono non solo per l’erba alta che impedisce di leggere le parole Milite Ignoto. Le scritte a volte sono illeggibili e anche le poche e scarne indicazioni stampate sono state rovinate dall’acqua pur in tempi di siccità.  Il ricordo del 1921 e del 2021 non c’è più. Gli studenti in visita (neppure tutti) vengono accompagnati dai loro docenti per pochi minuti al cimitero.
 Le parole che ho sentito da alcuni maestri mi hanno indignato per l’ignoranza storica o la solita malafede che porta a vedere tutto ciò che e’ sacrificio per la Patria come bolsa retorica patriottarda e guerrafondaia. Nella basilica attigua le visite sono state  giustamente ampie e dettagliate anche perché il patrimonio archeologico e’ oggetto di cure neppure confrontabili. Allo shop del Museo ho visto tanti oggetti  in vendita,  perfino degli accendini con l’immagine della basilica, ma non ho trovato nulla sul Milite Ignoto o su Maria Bergamas  che lo scelse nel 1921.
Anche la tomba di Maria non è curata a dovere. Unico elemento positivo il fatto che alcuni libri sul Milite e la Grande Guerra sono in vendita allo Shop. Quel cimitero e’ luogo sacro per gli Italiani,  un piccolo tempio di Santa Croce sui luoghi della IV Guerra di indipendenza.
Mi permetto di sollecitare un Suo intervento per Aquileia.  E già che ci sono Le segnalo che anche al Sacrario di Redipuglia le cose da rivedere e migliorare ci sono.
La stessa velocità delle auto davanti al Sacrario è un pericolo per l’incolumita’ dei visitatori . Tra l’altro gli studenti che erano ad Aquileia non c’erano alla vicina Redipuglia, malgrado non piovesse più.
Io credo che questi luoghi vadano valorizzati a tutela della memoria storica degli Italiani.
Grazie, Signor Ministro per la Sua attenzione.  Cordiali saluti.
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Pier Franco Quaglieni

Il percorso musicale di Attilio Zanetti, il “profeta” Zeta

 

(*28-6-1944 +19-12-1986), il singolare personaggio monferrino che ha soggiornato a Cereseto negli anni 1974-’78. Di professione musicista e compositore dilettante eclettico e versatile, faceva parte di una categoria di artisti rimasto fuori da un professionismo che avrebbe limitato il suo progetto. Con l’intelligenza e la personalità stravagante e anticonformista che lo distinguevano, costruiva quotidianamente il suo mito personale che si sarebbe stabilizzato nel tempo senza un programma specifico, attorniato da molti seguaci in Monferrato.
Sui muri del piccolo borgo medievale erano apparse scritte come  “è arrivato il profeta, il re serpenzio, viva il nibbio”. Ad una vigilia elettorale casalese degli anni ’70 furono appese delle locandine sui muri della città con le scritte “vota per me coccodè, vota il partito tropicale, il partito che non sta né in cielo né in terra”. Mi confidò che alcuni politici che si erano presentati nelle liste elettorali gli chiesero collaborazione, anche perché i voti che avrebbe consegnato loro erano circa 5000. Questo numero importante era derivato dalle copie vendute nelle edicole monferrine per le sue due pubblicazioni di fine ’76 dal titolo “Zeta il mensile del profeta”, numero zero composto da quattro fogli in omaggio e “Il nuovo Zeta giornalibro del profeta”, numero unico formato da otto fogli al costo di L. 250, entrambi subito andati a ruba.
I due mensili, molto dissacratori, contenevano storie delle nostre genti e interviste ad importanti musicisti come Fausto Leali, l’antidivo e al jazzista Chet Baker, il cacciatore di foche. Naturalmente le pubblicazioni successive furono sospese, dato che l’autorizzazione del tribunale di Casale non arrivò mai. Partecipò come l’ospite più originale ad una serie di trasmissioni televisive locali che venivano trasmesse durante il pranzo serale del fine settimana. La nostra curiosità ci aveva spinti ad assistere a spettacoli di varia natura, il concerto del sassofonista Gerry Mulligan purtroppo molto ubriaco, la grande tecnica del quintetto del pianista Bill Evans, il Mistero Buffo di Dario Fo dove, attratto dalla sua grande teatralità, non esitò a salire sul palco per offrirgli da bere.
Dario, stupefatto, interruppe il suo monologo in grammolot con accento inglese, si accordò con Attilio per una birra e dopo aver acquistato la bevanda al bar Pavia risalì sul palco dalla scaletta posteriore e gli disse “ma lei è troppo bravo, arriva forse dalla luna?”. Ricordo la nostra incredulità durante l’esibizione del Living Theatre, famoso spettacolo anarchico messo in scena nella sala del mercato Pavia da Julian Beck, attore scelto da Pasolini per il suo film Edipo re, dove noi spettatori venivamo aggrediti e provocati dagli attori in scena, eliminando così ogni soluzione di continuità tra il  palcoscenico e la platea. L’amore secondo il sig. G, spettacolo di Giorgio Gaber, spinse Attilio alla pubblicazione di “Olio sesso”, una enciclica antifemminista contenente i nostri malumori e fallimenti sentimentali dell’epoca.
Numerosi i suoi viaggi in Florida, Spagna, Venezuela, Germania e Sud Africa dove conobbe una ragazza e scrisse su una cartolina “ho incontrato una bionda talmente bella che per guardarla devo mettere gli occhiali da sole”. La sua eredità musicale è composta da una ventina di brani registrati su nastro di bassa qualità ma pieni di poesia.
Era stato influenzato dal jazz di Thelonious Monk e dalla bossanova di Antonio Carlos Jobim, definito da Frank Sinatra il Beethoven a ritmo di samba.
Queste influenze musicali si avvertono nei piccoli intervalli, appoggiature, dissonanze e gusto armonico dei suoi brani anche se non era a conoscenza della teoria musicale, ma il suo orecchio sensibile gli permetteva di trasmettere le note trasognate sulla tastiera accompagnate da momenti di tristezza e allegria.
Nel 1974 aveva riscosso successo a Key West esibendosi con alcuni brani al piano solo, presentandosi in pigiama nella TV nazionale della Florida e rifiutando un contratto. Si era esibito anche a Monaco di Baviera il 20-2-1982 con il suo pianoforte Seidler. Il nostro beat monferrino fu il protagonista per eccellenza di un movimento culturale e popolare che ha segnato un’epoca, uno sciamano che, rifiutando ogni tipo di condizionamento o forse per proteggersi, non gliene importava proprio nulla. Chissà quali invenzioni ci avrebbe regalato se avesse incontrato sognatori visionari e surreali come Federico Fellini e Renzo Arbore.
Il sogno della generazione anni ’60 era giunto al termine, unico e destinato a non ripetersi.
Jack Kerouac era ormai lontano.
Armano Luigi Gozzano 

Torino tra architettura e pittura. Filippo Juvarra

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Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7 I Sei di Torino
8 Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)

1) Filippo Juvarra

Stiamo lentamente avanzando verso la primavera, le giornate si fanno poco a poco più luminose e più tiepide e la natura che ci circonda presto inizierà a sgranchirsi, intorpidita dal lungo sonno invernale. Non rimane che incrociare le dita e sperare che l’arrivo della bella stagione porti con sé anche la possibilità di fare qualche passeggiata in più, anche se muniti ovviamente di mascherina, outfit ormai egualmente essenziale e indispensabile. Nella speranza che questi pensieri possano trasformarsi in realtà, mi piace immaginare di poter organizzare un’uscita didattica con i miei studenti alla scoperta delle bellezze barocche di Torino; ribadisco infatti il concetto che l’arte vada insegnata nel modo più concreto possibile, invitando i ragazzi a guardare le architetture dal vivo -nel limite del possibile ovviamente- e non solo sulle pagine dei libri o attraverso la LIM, convincendoli a toccare colori e materiali, e se anche se ci si sporca un po’ non è un problema. È così che mi piacerebbe poter spiegare alle mie classi il “Barocco”, portando i ragazzi a passeggiare per le vie del centro, fermandoci a commentare e a chiacchierare tra piazza Castello e Piazza Vittorio, desidererei poterli condurre alla Palazzina di Caccia di Stupinigi o alla Basilica di Superga, rendendo loro lo studio un’esperienza concreta e trasformando delle nozioni prettamente storico-artistiche in un autentico ricordo di vita.

Sono consapevole di quanto sia utopico il mio pensiero, non solo per la drammatica situazione pandemica che pone ovvi divieti e limitazioni alle nostre abitudini quotidiane, ma anche perché il tempo scolastico pare trascorrere a ritmi insostenibili, le lezioni si susseguono e le ore non sono mai abbastanza per stare al passo con i programmi ministeriali. Non mi dilungo poi su quanto sia diventato complicato a livello burocratico organizzare attività sia dentro che fuori le aule.
Facciamo un gioco, facciamo finta che quanto appena premesso non sia del tutto vero, e fingiamo di poter organizzare un tour della Torino barocca. Prima di tutto occorre mettere in evidenza la personalità che più di tutte ha contribuito alla trasformazione dell’aspetto del capoluogo piemontese, si tratta di Filippo Juvarra, nato a Messina in una famiglia di orafi e cesellatori, è stato scenografo, disegnatore e architetto, la sua formazione è stata decisamente “pratica”, volta a migliorare le qualità tecniche artigianali.
Filippo Juvarra, (1678-1736), arriva a Torino nei primi anni del Settecento. Quando l’architetto messinese mette piede nel territorio si trova circondato da cantieri, lavori di ammodernamento e di ristrutturazione urbanistica, tutti interventi volti a rendere la città esteticamente degna del ruolo di capitale che le era stato decretato da Emanuele Filiberto nel 1563. In questo senso era risultato essenziale il contributo di Guarino Guarini, al servizio dei Savoia a partire dalla seconda metà del Seicento; all’architetto si deve infatti l’edificazione di vari edifici, tra cui la chiesa di San Lorenzo e la realizzazione della Cappella della Sacra Sindone.

E’ tuttavia con Juvarra che la città acquista effettivamente un nuovo aspetto, degno delle idee innovative che investono il Settecento.
Nel 1714 Vittorio Amedeo II di Savoia chiama a suo servizio l’artchitetto siciliano e lo nomina “primo architetto del re”, grazie a questo titolo Juvarra ottiene immediata visibilità all’interno dell’ambiente artistico e la sua ben più che meritata fama viene riconosciuta in poco tempo anche in territori stranieri. Egli infatti intraprende molti viaggi durante la sua vita, lavorando in Austria, Portogallo, Londra, Parigi e Madrid, città in cui morì improvvisamente nel 1736.
La sua formazione avviene prevalentemente a Roma, dove frequenta lo studio di Carlo Fontana e ha l’occasione di studiare dal vivo le opere classiche, rinascimentali e barocche, soffermandosi soprattutto sugli esempi di Michelangelo, come attestano i numerosi schizzi sui quali era solito appuntare le sue osservazioni. A Roma Juvarra esordisce anche in qualità di scenografo, come attestano i fondali che egli realizza per il teatrino del cardinale Ottoboni, al cui circolo arcadico era strettamente legato. I fogli juvarriani del periodo romano evidenziano i suoi molteplici interessi: progetti per architetture e apparati effimeri, capricci scenografici e vedute equiparabili a quelle del Vanvitelli, con cui in effetti Juvarra era entrato in contatto.
Juvarra esercita la sua opera come architetto soprattutto in Piemonte, più precisamente a Torino e dintorni. Egli non solo progetta chiese e residenze reali ma si occupa anche di riorganizzare interi quartieri periferici; lavora sullo spazio urbano e si conforma ai dettami dell’urbanistica torinese, riuscendo tuttavia a creare nuovi punti focali, quali i “Quartieri Militari” nei pressi di porta Susa, la facciata principale di Palazzo Madama (che di conseguenza rinnova anche l’aspetto di Piazza Castello), le chiese di San Filippo Neri, Sant’Agnese del Carmine, e, soprattutto, la Basilica di Superga, che si erge sulla collina e determina un nuovo confine visivo della città. Decisamente degni di nota sono anche i suoi interventi extraurbani, come dimostrano i nuclei architettonici nei pressi di Venaria, Rivoli e Stupinigi.

Tutte le sue costruzioni si inseriscono nell’ambiente in modo armonioso e studiato, ogni cantiere viene soprinteso con rigorosissimo controllo dallo steso architetto messinese; per ogni progetto egli recupera sapientemente il proprio ricco bagaglio culturale, riuscendo di volta in volta a riplasmare e innovare i modelli di riferimento in senso moderno e suggestivo, secondo una razionalità e una sensibilità del tutto settecentesche.
Continuiamo il gioco e immaginiamo di poterci fisicamente spostare per il territorio alla ricerca delle realizzazioni architettoniche di Juvarra. Partiamo da Palazzo Madama: per la ristrutturazione di tale edificio Juvarra parte da modelli francesi, (fronte posteriore di Versailles), e romani, (palazzo Barberini), e arriva però a una soluzione originale: conferisce unità alla parete grazie all’utilizzo di un unico ordine corinzio sopra l’alto basamento a bugnato piatto e sottolinea la zona centrale dell’ingresso con colonne aggettanti e lesene plasticamente decorate. Il palazzo, classicheggiante nella netta spartizione degli elementi, risulta settecentesco nelle ampie finestre attraverso le quali una ricca luce illumina adeguatamente i vani interni. Nella realizzazione dello scalone d’onore, opera unica nel suo genere, Juvarra fa invece affidamento alla sua esperienza teatrale: lo spazio che la gradinata marmorea occupa è uno spazio scenografico. La struttura si presenta di grande impatto visivo ma al contempo è calibrata e misurata, le decorazioni, segnate da delicati stucchi a forma di conchiglie e ghirlande floreali, aderiscono alla scalinata e si amalgamano all’architettura, rendendo più incisivo l’effetto della luce che trapassa le vetrate.

Immaginiamo ora di prendere un pullman e di allontanarci dei rumori della città. La nostra direzione è la verdeggiante collina torinese, dove ci aspetta uno dei simboli della città subalpina. La Basilica di Superga, edificata tra il 1717 e il 1731, svolge una duplice funzione, essa è sia mausoleo della famiglia Savoia, sia edificio celebrativo dedicato alla vittoria ottenuta contro l’esercito francese nel 1706. L’edificio svetta su un’altura, la posizione è tipica dei santuari tardobarocchi, soprattutto di area tedesca. L’impianto centralizzato con pronao ricorda il Pantheon, la cupola inquadrata da campanili borrominiani, invece, si ispira a Michelangelo. Nonostante i modelli di riferimento, sono del tutto assenti quelle tensioni tipiche del Buonarroti o dell’arte barocca: il nucleo centrale ottagonale si dilata nello spazio definito dal perimetro circolare del cilindro esterno, perno di tutto l’edificio; da qui si protendono con uguale lunghezza il pronao arioso e le due ali simmetriche su cui si innestano i campanili. Quest’ultima parte è in realtà la facciata del monastero addossato alla chiesa che su uno dei lati corti fa corpo con essa. L’edificio si estende nello spazio e asseconda l’andamento della collina, e diventa un nuovo e interessante punto di osservazione per chi si trova a guardare verso le alture torinesi.
Impossibile non ricordare la tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949, alle ore 17.03, quando l’aereo su cui viaggiava il Grande Torino si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica, provocando trentuno vittime. Certi luoghi assorbono tristezza e per quanto siano architettonicamente belli, rimangono velati di malinconia e accoramento. Sempre rimanendo sul nostro iniziale filone dell’ipotetico tour scolastico, immagino che mi sarei allontanata dalla Basilica riferendo ai miei allievi una certa superstizione: meglio non visitare la chiesa in compagnia della propria metà, pare infatti che porti sfortuna alla coppietta innamorata.
Saliamo sul nostro pullman e dirigiamoci ora verso un’altra meta.

Nella Palazzina di Caccia di Stupinigi (1729-1733), troviamo un oscillamento tra la tradizione francese e la pianta italiana a forma di stella. Qui ritorna il motivo della rotonda, ma da essa fuoriescono quattro bracci a formare una croce di sant’Andrea, schema su cui Juvarra medita fin dagli anni giovanili. Il nucleo centrale e centralizzato costituisce il punto focale di un disegno vasto e articolato: esso è preceduto da una corte d’onore dal perimetro mistilineo, che si innesta nell’ambiente naturale e per gradi conduce fino al palazzetto vero e proprio; lungo il perimetro della corte d’accesso si dispongono le costruzioni dedicate ai servizi. L’impianto del grande salone richiama precedenti illustri, ma il tutto è trasfigurato in senso rococò, grazie ai ricchi stucchi, alle elaborate pitture, agli arredi e al particolare cadere della luce sui dettagli preziosi delle decorazioni artistiche e artigianali. La muratura esterna è scandita da una successione di lesene piatte nettamente profilate. Tutta la struttura della Palazzina risulta raffinata e in studiato rapporto dialettico con la natura che la circonda; le numerose finestre che si trovano su tutto il perimetro contribuiscono a dare un senso di generale leggerezza, controbilanciando l’impatto visivo dato dalle dimensioni imponenti dell’edificio.
Siamo alla fine del nostro gioco immaginato e ci manca ancora una meta per terminare la lezione sul Barocco.

Le chiese juvarriane presentano soluzioni architettoniche originali, soprattutto la chiesa del Carmine (1732-1735), dove le alte gallerie aperte sopra le cappelle si rifanno ad uno stile nordico e medievale. In queso edificio (che si trova in via del Carmine angolo via Bligny) l’impianto tradizionale a navata unica con cappelle lungo i lati è rinnovato dalla riduzione del muro delimitante la navata a una ossatura essenziale di alti pilastri di ribattutta e dalla sapiente modulazione della luce che, piovendo dall’alto fra i pilastri, si diffonde nella navata e nelle cappelle. Lo storico dell’arte Cesare Brandi così descrive l’elaborata chiesa del Carmine: “L’invenzione appare così una felice contaminazione coll’architettura del teatro e aggiunge un segreto senso di festa e di leggerezza all’ardita struttura della chiesa che solo nella volta, appunto a somiglianza di un teatro, ha una superficie unita, e quasi un velario teso sugli arredi delle grandi pilastrate.”
Ecco, il tour fantastico è terminato, e così anche l’articolo che concretamente sto scrivendo: come nelle favole realtà e immaginazione si mescolano, si sovrappongono e si uniscono, in una sorta di “kuklos” che alla fine fa quadrare tutto.
D’altronde sognare è gratis. Per ora.

Alessia Cagnotto

“Dialoghi sulla Memoria” all’interno del Salone Internazionale del Libro

 

Cinque incontri organizzati dal “Comitato Resistenza e Cosituzione” e dall’“Anpi”,

Da giovedì 18 a lunedì 22 maggio

Tatiana Bucci aveva solo 6 anni. La sorella Andra, 4. Originarie di Fiume, nel 1943 vissero sulla propria pelle il dramma della deportazione ad Auschwitz. Scambiate per gemelle, vennero tenute in vita per fungere da cavie per gli esperimenti medici condotti dal dottor Josef Mengele e vennero per questo risparmiate. Il 27 gennaio 1945, quando i sovietici arrivarono ad Auschwitz, erano in vita solo 650 bambini di varie nazionalità. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni deportati nel campo di Auschwitz, ne sopravvivranno solo 25. Tra questi Tatiana e Andra. Oggi le sorelle Bucci sono fra i più importanti testimoni dello sterminio nazista e la loro storia l’hanno raccontata nel libro “Noi, bambine ad Auschwitz”, da cui è stata tratta la versione per ragazzi “Il baule dei segreti” e il film di animazione “La stella di Andra e Tati”.

Il 18 aprile scorso sono state anche fra gli accompagnatori del Presidente Mattarellanella sua visita ad Auschwitz. E anche di questo, insieme al dramma della “Shoa” e delle disumane brutture perpetrate dai nazisti in quei “luoghi dell’orrore” che furono i lager, Tatianaparlerà il prossimo giovedì 18 maggio, alle 14, in “Sala Oro”, nella giornata  di apertura della XXXV edizione (18 – 22 maggio; tema “Attraverso lo Specchio”) del “Salone Internazionale del Libro” di Torino. A dialogare con lei e a raccoglierne la testimonianza, in un incontro dal titolo “Testimoni allo Specchio”, sarà PIF (al secolo, Pierfrancesco Diliberto), volto noto e amato dal grande pubblico, regista, attore, conduttore televisivo e radiofonico, nonché scrittore, presente al “Salone” con il suo ultimo romanzo “La disperata ricerca d’amore di un povero idiota”. L’incontro (condotto dall’attrice e scrittrice Sara D’Amario) è il primo, per un totale di cinque tutti incentrati sul tema della “Memoria”, organizzati e promossi negli spazi del “Lingotto” – ampliati per la prima volta allo Spazio “Pista 500” – dal “Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte” e dall’“ANPI”. Spiegano, in proposito, Daniele Valle, vice presidente del “Consiglio Regionale”, e Nino Boeti, presidente dell’ “ANPI” torinese: “Siamo convinti che oggi per ‘fare Memoria’ non siano sufficienti le cerimonie di commemorazione in occasione delle date fondamentali del nostro calendario civile. Crediamo che si debba parlare di Resistenza e Costituzione anche adoperando modalità, formule e linguaggi in grado di arrivare alle nuove generazioni, che sono le più esposte ai tentativi di riscrittura e falsificazione della Storia, ai negazionismi vari, al ritorno di simboli e di parole neofasciste e antisemite”. In linea con queste parole anche gli altri quattro incontri. Sempre giovedì 18 maggio, alle 17,30, presso l’“Arena Piemonte” (Padiglione 2), Andrea Ripetta(curatore del volume “Le Pietre di inciampo. Gunter Demnig, Accademico d’onore”) e Michele Cella (“ANPI Novara”) si confronteranno, sul tema “Alla fine vince sempre l’oblio? Le ‘pietre d’inciampo’ e la forza delle microstorie”, con Anna Foa e Adachiara Zevi. Figlia di Vittorio e Lisa Giua, la prima ha di recente pubblicato, con Lucetta Scaraffia, il libro “Anime nere. Due donne e due destini nella Roma nazista”; la seconda – curatrice dal 2002 della “Biennale Internazionale Arte in Memoria” nei resti della Sinagoga di Ostia Antica e, dal 2010, del progetto “Memorie d’inciampo” – è autrice del volume “Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle Pietre d’inciampo”.


“Valori che non mutano col scender della sera”
in ricordo di Adriano Bianchi (partigiano, politico, capogruppo della DC in Consiglio regionale, che nel 1978 non esitò a salire sul palco di piazza San Carlo per esprimere lo sdegno di una comunità intera, nel giorno del rapimento di Aldo Moro) sarà invece il tema su cui, venerdì 19 maggio, alle 15, in “Sala Argento”, si confronteranno lo storico Gianni Oliva e il costituzionalista ed ex Ministro della Salute Renato Balduzzi. A seguire, alle 17, sempre in “Sala Argento”, sarà poi lo storico Alessandro Barbero a confrontarsi – sul tema “Raccontare i luoghi della Memoria” – con il presidente della rete nazionale dei “Paesaggi della Memoria” Daniele Borioli, Tatiana Bucci e il presidente nazionale dell’“ANPI” Gianfranco Pagliarulo, autore del recente volume “Antifascismo adesso. Perché non è ancora finita”.

Infine, lunedì 22 maggio, alle 10,30, presso lo “Spazio Città di Torino”, Padiglione 1, è in programma l’incontro, organizzato in collaborazione con la “Città Metropolitana” di Torino, dal titolo: “Gli Istituti Storici Piemontesi e le giovani generazioni: quale dialogo?”

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Tatiana e Andra Bucci, con il cugino Sergio De Simone, anch’egli deportato ad Auschwitz

–       “Testimoni allo specchio” – PIF e Tatiana Bucci

–       Anna Foa

 

Amiens e Jules Verne, il padre dei racconti di fantascienza

Ci ha fatto sognare a occhi aperti, viaggiare con la fantasia, accompagnandoci con le sue storie in fondo al mare, a bordo del Nautilus, in giro per il mondo per ottanta giorni o nel cosmo con un razzo verso la luna.

Jules Verne è stato un grande della letteratura negli anni della giovinezza e sostare davanti alla sua tomba nel cimitero di Amiens provoca una profonda emozione. Tra i cinque autori più tradotti al mondo, lo scrittore che di fatto inventò la letteratura di fantascienza con i suoi romanzi  era nato l’ 8 febbraio 1828 a Nantes, città portuale francese, e  morì di diabete all’età di 77 anni  il 24 marzo 1905 ad Amiens, in quello che un tempo era il capoluogo della Piccardia ed oggi del dipartimento della Somme. Il cimitero in cui riposano le sue spoglie mortali è quello della Madeleine, a nord-ovest della città, all’estremità occidentale de quartiere di Saint-Maurice.  Nel parco alberato di diciotto ettari colpisce la scultura realizzata da Albert Roze, intitolata Vers l’Immortalité et l’Eternelle Jeunesse (Verso l’Immortalità e l’Eterna Giovinezza) collocata due anni dopo la morte dello scrittore sulla sua lapide.

La statua, utilizzando la reale maschera di morte di Verne, ne rappresenta la figura che rompe la propria lapide emergendo dalla tomba con il braccio teso verso il cielo, simboleggiandone la resurrezione. Abbandonata prestissimo la carriera giuridica, dopo aver portato a termine gli studi di giurisprudenza, Verne frequentò a Parigi gli ambienti letterari, scrivendo testi per il teatro e svolgendo attività impiegatizie. Dal 1963, compiuti trentacinque anni, iniziò la carriera di scrittore che continuò fino alla morte e ancora dopo, con la pubblicazione postuma di molti suoi lavori: sessantadue romanzi e diciassette racconti. Il suo successo si dovette in gran parte all’editore Pierre-Jules Hetzel (nato a Chartres nel 1814 e morto a Montecarlo nel 1886, sepolto nel cimitero parigino di Montparnasse) il quale, dopo aver pubblicato proprio nel 1863 il primo volume di racconti Cinque settimane in pallone, propose a Verne un contratto ventennale  con l’impegno di pubblicarne tre all’anno, consentendo all’autore di abbandonare l’impiego di agente di cambio e dedicarsi completamente alle sue opere. Nel 1870, per meriti letterari, gli viene conferita la Lègion d’Honneur e viene nominato per due volte presidente dell’Académie des Sciences, des Lettres et des Arts.

Collaborò inoltre con la Societé de Géographie, alla redazione della Géographie Illustrée de la France. Il suo primo romanzo fu il Viaggio al centro della Terra (1864), dove accompagnò i protagonisti, attraverso il cratere di un vulcano spento, fino alle viscere del pianeta in cui viviamo. L’anno successivo, con Dalla Terra alla Luna, immaginò la conquista dello spazio con dei primi astronauti in orbita attorno al pallido astro lunare a bordo di un proiettile sparato da un enorme cannone. Una storia che trovò seguito cinque anni più tardi ( nel 1870) con la pubblicazione del romanzo Intorno alla Luna  dove si scoprirà che l’equipaggio, dopo aver osservato il nostro pianeta  dal cosmo, rientrerà nell’orbita terrestre grazie ai razzi di bordo terminando la sua corsa tra le onde dell’Oceano Pacifico, esattamente come accadde cent’anni dopo, nel luglio del 1969, con la missione spaziale statunitense dell’ Apollo 11 che portò i primi uomini sulla Luna, gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Poco prima Verne aveva pubblicato l’avventura marinara de I figli del capitano Grant mentre è datato 1870 quello che per molti è stato il suo capolavoro, uno dei capisaldi della letteratura d’avventura: Ventimila leghe sotto i mari.

Un viaggio incredibile nel profondo degli abissi oceanici a bordo  del Nautilus, il sottomarino costruito e comandato dal capitano Nemo. La lunga serie dei suoi viaggi straordinari conta decine di titoli ma è utile ricordare anche la sfida de Il giro del mondo in ottanta giorni ( datato 1873), con  Phileas Fogg e il fedele domestico Passepartout, un viaggio verso est, in cui – tra continui colpi di scena impegnati nell’impresa di compiere il giro del globo avvalendosi di ogni possibile mezzo di trasporto, tra mille problemi, ostacoli e disavventure. Spulciando tra cronache e ricordi è interessante e curioso che, quando scrisse Parigi nel XX secolo ( era il 1863, ai tempi degli esordi) il testo venne rifiutato da Hetzel e si dovettero attendere 131 anni per vederlo pubblicato, nel 1994. Un pronipote dello scrittore aveva fatto aprire una vecchia cassaforte di cui si erano perdute le chiavi scoprendo il manoscritto dell’opera, che l’editore Hachette pubblicò, a dire il vero, con scarsa convinzione. In pochi giorni ne vennero vendute duecento mila copie, costringendo la prima casa editrice di Francia a ricredersi, prendendo atto dell’immutato fascino dei romanzi di Jules Verne. Nel centro di Amiens, al numero due di Rue Charles Dubois c’è la casa in cui Jules Verne visse per diciotto anni e che oggi, trasformata in museo, accoglie i visitatori svelando davanti ai loro occhi il fantastico mondo dello scrittore. Attraverso numerosi oggetti e documenti, si racconta la vita e le opere dello scrittore.

Costruita in mattoni rossi dal notaio Jean-Baptiste Gustave Riquier nel 1854 e conosciuta come la “casa della Torre”, fu la dimora di Jules Verne dal 1882 al 1900. Restaurata nel 2006 fa parte del circuito  delle case degli scrittori francesi aperte al pubblico. Dal piano terra alla soffitta, su quattro piani, attraverso arredi, libri e oggetti che hanno rappresentato alcune delle fonti d’ispirazione e i ricordi di Jules Verne, si respira l’atmosfera del tempo. Di grande interesse le carte geografiche, le mappe dei viaggi, alcuni dei giocattoli  e dei modellini realizzati dallo stesso Verne. Un’occasione straordinaria per fare un viaggio nel tempo, rinverdire ricordi delle letture giovanili e delle emozioni evocate dalle sue opere che facevano sognare avventure e sconfinamenti nel futuro. Forse risiede proprio in questa capacità di emozionare l’intramontabile fascino dei racconti e delle storie che il padre della fantascienza moderna ha saputo narrare a intere generazioni.

 Marco Travaglini

Amori e amanti alla Corte dei Savoia

Fu un matrimonio sereno, nessun dubbio, malgrado la differenza di età, ben 18 anni, e nonostante le nozze combinate.
Ma la vita coniugale di Cristina di Francia, la prima Madama Reale, durò poco perché suo marito Vittorio Amedeo I di Savoia, sposato all’età di 13 anni, morì in circostanze misteriose, malaria o sospetti di avvelenamento.
Ebbero però il tempo di mettere al mondo diversi figli e di non passarsela tanto male tra feste e banchetti a corte, visite a palazzi e castelli, passeggiate nei parchi di Mirafiori e del Lingotto. Tutto insomma scorreva in modo tranquillo e piacevole. Ciò però non significa che la duchessa non abbia vissuto altre relazioni sentimentali durante il matrimonio. L’amato consorte è spesso lontano, sui campi di battaglia, Cristina è bella e giovanissima, ama divertirsi e ballare, e le cronache del tempo le attribuiscono avventure galanti. Alcune di queste relazioni sono provate mentre altre sono inventate di sana pianta come quelle che dicevano che Madama Reale ricevesse i suoi amanti nel Castello del Valentino. Tutte malignità ma comunque il vero grande amore della sua vita fu il conte Filippo d’Aglié, proprietario del famoso castello, la cui bellezza non passò inosservata alla duchessa. Un amore a prima vista. I due si cominciano a frequentare, si vedono spesso, le voci sul loro legame giungono alle orecchie di Vittorio Amedeo ma non è il caso di suscitare scandali, meglio tacere.
Per la duchessa Cristina, Filippo è un amante entusiasta ma anche un consigliere politico saggio e fedele. Un amore profondo che durò per il resto della loro vita. Dagli amori di Madama Cristina, la prima Madama Reale, passando per quelli di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours e gli intrighi dell’epoca di Vittorio Amedeo II per arrivare fino a Vittorio Emanuele II con la Bela Rosin, “da facile conquista a compagna di vita”, e alla contessa di Castiglione, il libro del fossanese Pier Giorgio Viberti “Amori e amanti alla corte dei Savoia”, Edizioni del Capricorno, rilegge le vicende di Casa Savoia in un modo nuovo e intrigante. Non un romanzo storico ma un saggio di storia a tutti gli effetti che riporta eventi realmente accaduti puntando l’attenzione sulle vicende amorose di alcuni personaggi vissuti dentro la corte dei Savoia dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento. E che dire di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, la seconda Madama Reale? Quando morì suo marito, il duca Carlo Emanuele II, Maria Giovanna Battista assunse la reggenza del Ducato di Savoia ma non tralasciò di certo le avventure sentimentali, numerose e assai vivaci, all’interno di una corte amante dei piaceri, stile Versailles. D’altronde, lo stesso Carlo Emanuele II, durante la loro relazione, ebbe molte amanti e figli illegittimi. Ma attenzione, sottolinea l’autore, “l’uso del potere come strumento di seduzione e di conquista, precisa l’autore, non è stato prerogativa del solo genere maschile e lo dimostrano in modo clamoroso le vicende delle due Madame Reali che guidarono il Ducato Sabaudo nel Seicento. Alla morte dei rispettivi consorti, Cristina di Borbone e Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours vissero intense vicende passionali, del tutto simili a quelle dei colleghi maschi”.
Poi il racconto si fa avvincente e si accendono i riflettori sulla capacità seduttiva delle donne per fini politici. Si entra nel campo delle spie o degli 007. Un compito svolto, per brevi periodi, da personaggi femminili presenti nella corte di Torino. Come la contessa di Verrua che non esitò a tradire il suo amante, Vittorio Amedeo II, inviando informazioni segrete al cardinale Richelieu. Oppure l’attrice teatrale torinese Laura Bon, il primo grande amore di Vittorio Emanuele II, della quale si servì Cavour per spiare il governatore austriaco del Lombardo-Veneto. Ma la più nota professionista in questo campo “paragonabile a Mata Hari per bellezza e fama”, fu la contessa di Castiglione, cugina di Cavour, ritenuta tra le donne più belle e affascinanti della sua epoca. Per la sua attività di agente segreto ebbe numerosi amanti di prestigio tra cui l’imperatore Napoleone III. La crisi dei rapporti matrimoniali e la libertà sessuale erano una consuetudine nelle famiglie regnanti in tutta l’Europa. Tutto ciò non accadeva solo alla corte sabauda ma anche, e in modo più spettacolare, a Parigi, Vienna, Mosca, San Pietroburgo e in altre città europee. Leggere il libro di Viberti è un po’ come indagare dietro le quinte della grande storia, un testo ben documentato in cui amori, amanti e tradimenti di Casa Savoia mettono in luce i meccanismi politici e sociali della vita di Corte dal ‘6oo alla fine dell’800. “Per scoprire che, per i Savoia come per tutte le grandi dinastie europee, amore e politica non sono due mondi così lontani e incomunicabili..”.
Filippo Re
nelle foto  Cristina di Francia
Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours
la Contessa di Castiglione (Virginia Oldoini)

“Lustro e lusso dalla Spagna islamica”

Dal X al XVI secolo, il “MAO” di Torino fa luce sullo straordinario “sincretismo culturale” fra mondo islamico ed Europa attraverso l’area mediterranea

Fino al 28 maggio 2023

Autentica chicca, fra le non molte opere esposte, un frammento della bordura di un tappeto, datato fine XV o inizi XVI secolo, appartenente alla Collezione Istituto “Valencia de Don Juan” di Madrid e proveniente da un esemplare del gruppo di tappeti ‘Mudejar’ a stemmi araldici realizzati in terra iberica in epoca medievale al termine del dominio musulmano. Sulla sinistra dell’opera (in visione solo fino al 12 febbraio) si individua la fascia a fondo blu con elementi pseudo-cufici – secondo lo stile calligrafico della lingua araba – molto stilizzati con riquadri, contenenti alternativamente un albero o un vaso fiorito affiancato da uccellini stilizzati e figure di animali. In alto, la raffigurazione, purtroppo tagliata nella parte superiore, di un “uomo” con il corpo rosso maculato, ricoperto di pelliccia, che tiene in una mano una specie di scudo e nell’altra, nascosta, probabilmente una spada o una lancia. Nella parte destra sono invece presenti dei motivi floreali geometrici e stilizzati, sempre su fondo blu, disposti entro una griglia di losanghe tratteggiata in rosso. L’opera, nella sua interezza, doveva essere per davvero da “mille e una notte”.

Come suggerisce la sua presenza nell’esposizione “Lustro e lusso dalla Spagna islamica. Frontiere liquide e mondi in connessione”, curata da Filiz Çakır Phillip (specialista in “Arte Islamica”, già curatrice dell’“Aga Khan Museum” a Toronto e membro dell’“Association of Art Museum Curators & AAMC Foundation” di New York) con cui il “MAO- Museo d’Arte Orientale” di Torino intende presentare negli spazi della “Galleria” dedicata all’arte dei Paesi Islamici dell’Asia una mirata selezione di opere provenienti da collezioni pubbliche e private (dall’ “Instituto Valencia de Don Juan” di Madrid, dalla “Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica” di Genova, da “Palazzo Madama” e dalla galleria “Moshe Tabibnia” di Milano), poste in dialogo con quelle presenti nelle collezioni permanenti del “Museo” di via San Domenico. Assemblati in saggio rigore documentaristico, troviamo così esposti pregiati tappeti e frammenti tessili e ceramiche ispano-moresche di provenienze diverse datati tra il X e il XVI secolo, capaci di trasportare il visitatore in territori ancor oggi poco esplorati, mettendo in evidenza la relazione tra il mondo ispanico europeo e quello islamico nel contesto del Mediterraneo. Due mondi accomunati da uno strettissimo “sincretismo culturale” che, proprio nell’area mediterranea, trova una sua sintesi ideale, “una storia secolare – spiegano dal Museo – di trasformazioni e contaminazioni artistiche, linguistiche e di conoscenza scritta nelle trame dei tessuti e sulla superficie lucente delle ceramiche”. Poiché il “Mare Nostrum” non è e non è mai stato “solo un mare e solo Europa, ma invece una possibilità dall’identità mutevole”. Dire “Mediterraneo” è dire “contaminazione”. Così è accaduto con la lingua araba e così, soprattutto, è accaduto con le arti figurative: “diverse raffigurazioni e tecniche della produzione di tappeti, tessuti e vasellame, custodite come segreti preziosi nei territori del Medio Oriente e del Nord Africa, sono approdate nella penisola iberica insieme ai conquistatori, quasi un ‘effetto collaterale’ della secolare dominazione, dando origine a una straordinaria ‘produzione autoctona ibridata’”. Realtà ben sottolineate dalla mostra, dove degni di particolare attenzione sono ancora due frammenti di un tappeto a ghirlande (provenienti dalla “Fondazione Bruschettini” e risalenti agli inizi del XVI secolo), che compongono una ghirlanda circolare, caratteristica del gruppo di tappeti di Alcaraz definito ‘rinascimentale’ e un capitello in marmo scolpito in rilievo del periodo “omayyade” (seconda metà del X secolo) ascrivibile a Cordoba, capitale di Al-Andalus (Spagna islamica), con decorazioni profonde, decise e delicate, dove le foglie d’acanto sono una reminiscenza dell’eredità classico-ellenica in combinazione con il repertorio di artisti e artigiani del califfato.

E non finisce qui. La rassegna, infatti, non è che “il primo esito – tengono a precisare dal ‘MAO’ – di un più ampio progetto di collaborazione con la ‘Fondazione Bruschettini’ e altre collezioni pubbliche e private che culminerà nell’ottobre 2023 con l’apertura di una grande mostra strutturata come un viaggio nel tempo dal periodo ‘Tang’ (VII secolo d.C.) ai giorni nostri; inoltre vuole gettare le basi per un ‘consorzio di musei’ del Mediterraneo per avviare uno scambio di mezzi e conoscenze volto a facilitare la circolazione di opere e progetti vari”.

Gianni Milani

Lustro e lusso dalla Spagna islamica”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436931 o www.maotorino.it

Fino al 28 maggio

Orari: mart. – dom. 10/18

Nelle foto:

–       Allestimento “Galleria Islam”, ph. Perottino

–       Frammenti tappeto a ghirlande, inizi XVI sec., “Fondazione Bruschettini”

–       Capitello, seconda metà X sec., “Fondazione Bruschettini”, Ph. Alessandro Muner

 

La Notte Europea dei Musei, una festa dedicata all’arte

Ogni anno si svolge la Notte Europea dei Musei, serata dedicata all’arte e diffusa nelle più grandi città europee.
L’iniziativa è organizzata dal Ministero della Cultura francese e patrocinata dall’Unesco, dal Consiglio d’Europa e dall’ICOM.

Per l’occasione, anche Torino partecipa alla sua diciottesima edizione, con la possibilità di visitare le mostre e le collezioni di diversi musei a tariffe agevolate o con ingresso gratuito

Il tema della Giornata Internazionale dei Musei 2023 è  “sostenibilità e benessere”.

Quest’anno la Notte Europea dei Musei si svolge sabato 13 maggio 2023.

Tutti i musei statali aderiscono alla Notte Europea dei Musei.

A Torino sarà possibile visitare i Musei Reali sabato 13 maggio dalle 19.30 alle 22.30 (chiusura biglietteria ore 21.30) e accedere al costo di 1 euro ai seguenti musei:

 

Fondazione Torino Musei
GAM, MAO e Palazzo Madama saranno straordinariamente aperti fino alle 23 (ultimo ingresso ore 22)
A partire dalle 18, si potranno visitare con la tariffa speciale di 1 euro le collezioni permanenti e la maggior parte delle mostre in corso.
La tariffa speciale di 1 euro sarà applicata anche ai possessori di Abbonamento Musei.
La Fondazione Torino Musei e Theatrum Sabaudiae propongono inoltre in ogni museo una serie di visite guidate alle collezioni e alle mostre temporanee, oltre a workshop serali.

  • GAM 
    Oltre alle collezioni permanenti del ‘900 Il primato dell’opera, saranno visitabili con il biglietto unico a 1€ le mostre Ottocento Collezioni GAM dall’Unità d’Italia all’alba del Novecento, Alberto Moravia Non so perché non ho fatto il pittore e Giuseppe Gabellone Km2,6 in VideotecaGAM.
    Aggiungendo 1€ si potrà visitare anche la mostra Viaggio al termine della statuaria. Scultura italiana 1940-1980 dalle Collezioni GAM.dalle 20.00 alle 20.45 – dalle 21.00 alle 21.45 LETTERE DALLA NOTTE
    In occasione della Notte Europea dei Musei la GAM propone un workshop in orario serale. L’attività si svolge a flusso continuo, scandita da poche pause di un quarto d’ora durante la quale si sperimenterà la tecnica del collage. A partire da diverse immagini che riproducono opere della GAM esposte in museo e visitabili durante la serata, il pubblico è invitato a ritagliare, comporre e ibridare le diverse parti delle opere per creare una personale cartolina da portare via. Questa potrà essere spedita, conservata o donata, come testimonianza della creazione di un messaggio ‘proibito’, da custodire o donare. Il tema sarà quello della notte: da intendere in maniera figurata, ma anche come simbolo. Le opere scelte rimandano infatti a un immaginario di divertimento, di libertà e di mistero, di oscuro e inconscio, realizzate da artisti attratti da tematiche spigolose, misteriose… notturne.
    Costo del workshop: 5 € (+ biglietto di ingresso 1 €) Info e prenotazioni: 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com
  • MAO
    Accesso con biglietto unico a 1€ alle gallerie delle collezioni permanenti, alle mostre in corso Lustro e lusso dalla Spagna islamica e Hidden flowers | Jacopo Miliani (t-space X MAO)
    Tra le ore 21:00 e le 22:00 si potrà assistere e partecipare alla performance Sonic Blossom di Lee Minwei.
    Aggiungendo 1€ sarà possibile visitare la mostra Buddha10 Reloaded.ore 18:30 BUDDHA 10 RELOADED
    L’incontro con straordinarie statue buddhiste delle collezioni del MAO, alcune delle quali mai esposte al pubblico, messe in dialogo e in contrasto con alcuni esemplari provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma e dal Museo d’Arte Orientale E. Chiossone di Genova e con significative opere di artisti contemporanei, diventa l’occasione per riflettere su temi come l’originaria collocazione e funzione delle opere, le modalità di importazione in occidente, le logiche e procedure di restauro, le complesse relazioni fra vero e falso. Questi e altri interrogativi saranno al centro della visita guidata che si propone come momento di condivisione e riflessione su questioni che si celano dietro a soggetti dalla natura e funzione essenzialmente sacra.
    Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietto di ingresso 1 €) Info e prenotazioni: t. 011 5211788, prenotazioniftm@arteintorino.com
    ore 21:00 – 22:00 SONIC BLOSSOM di LEE MINGWEI
    Commissionata per l’inaugurazione del National Museum of Modern and Contemporary Art, Corea, nel 2013, e dopo essere stata presentata nelle più prestigiose istituzioni internazionali quali il Centre Pompidou di Parigi e il Metropolitan Museum of Art di New York, la performance partecipativa dell’artista taiwanese-americano LEE Mingwei arriva per la prima volta in Italia al MAO. Nelle sale del museo si avvicendano 7 cantanti della Scuola di musica vocale da camera di Erik Battaglia del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, selezionati e formati da Lee Mingwei in collaborazione con lo stesso professor Battaglia. Fra tutti i visitatori che incontreranno, ne sceglieranno uno a cui offrire in dono un Lied di Schubert; se questa persona accetterà l’offerta, sarà condotta nel Salone Mazzonis al primo piano e avrà inizio la performance.

    ore 21:00 VISITA ALLE GALLERIE DEDICATE A CINA E GIAPPONE
    L’itinerario attraverso le opere esposte si trasforma in un viaggio verso l’Asia Orientale. Il percorso parte dagli oggetti d’arte della Cina antica, caratterizzati da vasellame neolitico, bronzi rituali, lacche e terrecotte – databili dal Periodo Neolitico al X secolo d.C. – per proseguire nella suggestiva galleria dedicata al Giappone, che presenta statue lignee di ispirazione buddhista, eccezionali paraventi, armature dei samurai e dipinti su rotolo verticale e xilografie policrome note come ukiyo-e, ‘immagini del mondo fluttuante’.
    Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietto di ingresso 1 €) – Info e prenotazioni: t. 011 5211788, prenotazioniftm@arteintorino.com

  • Palazzo Madama 
    Con il biglietto a 1€ il pubblico potrà accedere alle collezioni permanenti e La porta della Città. Un racconto di 2.000 anni.
    Aggiungendo 1€ si potrà visitare la mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario.ore 18:30 e ore 21:00 DA PORTA ROMANA … A CASTELLO… A MUSEO
    È la Notte Europea dei Musei: un’occasione per vivere l’arte e la storia in un orario diverso. Tarda serata e fuori il buio: momento perfetto per visitare le collezioni di Palazzo Madama. Il sito fu in origine porta romana, poi divenne fortezza medievale e castello dei principi d’Acaia,  proseguendo quale residenza delle due Madame Reali e divenendo successivamente la sede del primo Senato Subalpino. Dal 1934 assume un nuovo ruolo: si inaugura la sede del Museo Civico d’Arte Antica con un patrimonio che vanta oltre 70.000 opere.
    La visita rivela ogni aspetto senza nulla tralasciare, scandendo ogni passaggio che, nei secoli, in questo luogo si è verificato. Architettura, arte e apparati decorativi: venti secoli di storia da respirare in orario inconsueto.
    Costo della visita guidata: 6 € (+ biglietti di ingresso 1 €) – Info e prenotazioni 011 5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Palazzo Carignano
Apertura straordinaria dalle 18.00 alle 21.00 e biglietti di ingresso a 1 euro.
Info e prenotazioni 011 5641711.

Altri musei

  • Polo Museale degli Istituti Anatomici
    sabato 13 maggio 2023 dalle ore 10 fino alle 23 con ingresso gratuito a partire dalle 18
    Sarà possibile visitare:
    Museo di Anatomia Umana
    Museo Lombroso
    Museo della Frutta
    Dalle ore 18 verranno organizzate visite guidate gratuite, senza prenotazione
    Non è necessaria la prenotazione.
  • Planetario di Torino
    In occasione della Notte dei Musei sarà possibile, dalle 18.30 alle 24.00 (ultimo ingresso ore 22.30), visitare con ingresso gratuito il Museo interattivo.
    Acquistando un biglietto aggiuntivo, si potrà assistere a uno spettacolo all’interno del Planetario digitale. L’ingresso al Museo interattivo è gratuito, mentre lo spettacolo all’interno del Planetario digitale ha un costo di 5 euro ed è facoltativo.
    Il Planetario di Torino è in via Osservatorio 30 a Pino Torinese.