STORIA- Pagina 23

Fino al 12 luglio la mostra “Quando il tricolore si tinse di giallo”

L’istituto Credem ospita la mostra “Quando il tricolore si tinse di giallo. I campioni italiani al Tour de France” nella sede di Villa Frassati a Torino, dal 18 giugno al 12 luglio.

24 luglio 1949: Coppi festeggia il successo al Tour del France, accanto a lui Giannetto Cimurri
Martedì 18 giugno Credem aprirà la mostra “Quando il tricolore si tinse di giallo. I campioni italiani al Tour de France”, che avrà luogo fino al 12 luglio presso la sede dell’istituto di Villa Frassati in Corso Trento 2/A a Torino.
Nell’ambito della mostra, Credem intende celebrare le importanti gesta dei grandissimi del ciclismo italiano in terra francese attraverso biciclette, maglie gialle, cimeli e ricordi del Tour de France appartenuti allo storico massaggiatore Giannetto Cimurri (1905-2002), originario di Reggio Emilia.

Corridore mancato, massaggiatore nato, Cimurri era chiamato “mano santa”: guariva con le mani, ma anche con le parole, con la pazienza, con la saggezza. Da Bartali a Coppi, da Moser a Bugno, Cimurri è stato il massaggiatore della Nazionale di ciclismo per 34 anni, ha vissuto 74 campionati del mondo tra strada, pista e cross, 40 Giri d’Italia e 11 Tour de France, e ha partecipato a 8 Olimpiadi.
In mostra, oltre a rari cimeli storici, saranno presenti le biciclette di Coppi e di Bartali e un raffinato biciclo di fine ‘800 di pregiata produzione parigina, proveniente dalla collezione di biciclette storiche di Cimurri.
Più in dettaglio, l’iniziativa rientra tra le attività che il Gruppo Credem porta avanti da anni per valorizzare la storia, lo sport e la cultura dell’Italia e dei territori a favore della collettività ed è legata all’arrivo di tappa a Torino prevista per il 1° luglio della Grande Boucle (soprannome ufficiale del Tour de France). La mostra è allestita al piano terra degli eleganti spazi di Villa Frassati, realizzata nel 1916 dal celebre ingegnere ed architetto piemontese Giuseppe Momo (1875- 1940), presso cui è stata inaugurata la nuova sede Credem lo scorso anno a Torino. L’edificio è inoltre legato alla memoria di Piergiorgio Frassati (1901-1925), beatificato nel 1990 da Giovanni Paolo II.
L’iniziativa è stata resa possibile grazie alla preziosa collaborazione della famiglia Cimurri, del Museo del Ghisallo e di Gianfranco Trevisan.
L’esposizione sarà visitabile ad ingresso libero dal lunedì al venerdì dalle 8:20 alle 13:20 e dalle 14:45 alle 15:45.
Per informazioni: spaziocredem@credem.it

Vicoforte: un pilone, un cacciatore, un grande Santuario

L’abbiamo visto tutti la mattina del 17 dicembre 2017 quando il portone del santuario si è aperto per ricevere la salma di Re Vittorio Emanuele III giunta da Alessandria d’Egitto mentre due giorni prima erano arrivate, da Montpellier, le spoglie della Regina Elena.
Da allora riposano in una cappella del famoso santuario di Vicoforte Mondovì, sulle colline del monregalese. Accanto a loro, nel santuario della Madonna, come viene anche chiamato l’edificio religioso, si trova la tomba del duca di Savoia Carlo Emanuele I a cui si deve la costruzione del tempio. Fu proprio la cerimonia della traslazione delle due salme a riaccendere le luci sulla grandiosità del santuario, costruito tra la fine del Cinquecento e i secoli successivi, che nelle intenzioni di Carlo Emanuele I avrebbe dovuto diventare il mausoleo di Casa Savoia, poi superato dalla basilica di Superga. In quei giorni i piemontesi riscoprirono la fama e la bellezza della grande chiesa di cui in genere si parla poco, si vede poco e che invece meriterebbe più attenzione. Il pilone votivo di cinque secoli fa è diventato un monumentale santuario, un capolavoro del barocco piemontese, con una straordinaria cupola ellittica, la più grande al mondo con questa particolare forma. Certamente non una “piccola chiesetta di campagna” come l’ha definita il giovane Emanuele Filiberto, per polemiche tutte interne alla famiglia. Al di là delle tombe di illustri personaggi è la storia stessa del santuario di Vicoforte, intrisa di leggenda, che affascina i visitatori che ancora oggi si recano da queste parti in pellegrinaggio. Tutto cominciò alla fine del Quattrocento attorno a un pilone con il ritratto della Madonna con il bambino: la presenza di un cacciatore, folle di pellegrini e tanta fede fanno da contorno alla vicenda. Si racconta che il titolare di una fornace costruì un pilone campestre con un affresco, opera di un pittore locale, che raffigurava la Madonna per avere il suo aiuto nella produzione di mattoni. Passarono molti decenni finché un giorno un cacciatore colpì per errore la sacra immagine nascosta dai rovi e dalla boscaglia, il cui corpo, secondo le voci popolari, cominciò a sanguinare. L’episodio miracoloso creò nella popolazione una devozione eccezionale. A quel tempo c’era molta povertà, si moriva facilmente di peste e di altre malattie e la gente dei paesi circostanti, venuta a conoscenza di quanto era accaduto, accorreva nei pressi del pilone per chiedere la protezione dal cielo. Da quel momento eventi insperati e prodigiosi cominciarono a moltiplicarsi. La peste risparmiò da un giorno all’altro la maggior parte dei cittadini della zona, meno persone si ammalarono e i decessi diminuirono. Un sacerdote di Vicoforte si interessò subito al caso e, per ringraziare la Madonna, fece costruire una cappella attorno al pilone che era stato abbandonato in un bosco.
La notizia dei miracoli si propagò rapidamente nelle valli, centinaia e poi migliaia di fedeli entusiasti raggiunsero in pellegrinaggio la nuova chiesetta fermandosi a pregare e a chiedere la grazia alla Madonna. Nacque un autentico movimento popolare di devozione che interessò comunità e confraternite provenienti da tutto il nord-ovest dell’Italia. Il pilone e la chiesetta divennero meta di pellegrinaggi. Anche la piccola Vico ne beneficiò in termini economici: l’afflusso di pellegrini sempre più numerosi, anche dall’estero, fu una vera benedizione per commercianti e bottegai e nuove strade furono tracciate nell’intero territorio per agevolare l’arrivo dei fedeli. Il pellegrino più illustre fu Carlo Emanuele I, duca di Savoia che, alla fine del Cinquecento, decise di edificare in quel luogo un grande tempio da dedicare alla Madonna di Vico con al centro il pilone in marmo, oggi ingrandito e abbellito, con l’immagine della Madonna. Anche la moglie del Duca, l’infanta Caterina Michela d’Asburgo, figlia di Filippo II, re di Spagna, e nipote di Carlo V, subì il fascino di ciò che stava accadendo e sparse la voce in gran parte dell’Europa. Carlo Emanuele I, che troneggia nel monumento davanti al santuario, morì prima della fine dei lavori e fu sepolto nella chiesa. La grandiosa cupola ellittica, alta 74 metri, verrà completata nel 1731. I lavori del santuario si bloccarono più volte e terminarono verso la fine dell’Ottocento quando vennero costruiti i campanili e le tre facciate. Il santuario di Vicoforte è aperto tutti i giorni dalle 8.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00.                    Filippo Re

Il tempo in cui Ho Chi Minh era cuoco a Milano

Il ristorante Antica Trattoria della Pesa è tra i più antichi di Milano, espressione della grande tradizione gastronomica lombarda, in particolare meneghina.

Antipasto misto di salumi e sottaceti, risotto alla milanese e al salto, pasta e fagioli, bolliti, cassoeula con polenta, ossobuco e cotoletta non sfigurano accanto a piatti più raffinati. Insomma, come dire la tradizione e la qualità a tavola. Situato nel punto dove nell’Ottocento le merci giungevano da fuori città per essere pesate per il pagamento del dazio, il locale si trova a Garibaldi, poco distante dall’omonima stazione, in uno dei quartieri più vivaci di Milano, al n.10 di Viale Pasubio.

Dove un tempo c’erano i cortili degli artigiani, attorniati dalla case di ringhiera, oggi s’incontrano gli ateliers di grandi artisti e le gallerie d’arte. L’Antica Trattoria della Pesa offre un atmosfera del tutto particolare, dagli arredi al pavimento in granigliato rosso e grigio, comune a quello di molte case milanesi di inizio secolo, per non parlare delle splendide stufe in maiolica che rimandano ai tempi in cui i locali venivano riscaldati a legna. Insomma, basta uno sguardo per cogliere quel calore che apparteneva esclusivamente ai ristoranti di un tempo, in cui spesso ci si ritrovava seduti ai lunghi tavoli del secolo della borghesia e dei cambiamenti con persone mai viste prima. All’esterno della trattoria si trova la vecchia pesa rettangolare in ferro che diede il nome al locale che all’epoca si trovava sulla linea di confine tra la città e le campagne circostanti. Ma c’è anche una curiosità, testimoniata da una lapide posta sulla facciata dell’ingresso. L’epigrafe ricorda che quella stessa casa fu frequentata da Ho Chi Minh negli anni ’30, durante le sue missioni internazionali “in difesa delle libertà dei popoli”. Ma l’epigrafe pare non sia esaustiva poiché la tradizione popolare vorrebbe che il futuro presidente vietnamita lavorasse come cuoco proprio in quella trattoria. La storia narra che nel giugno del 1931 Ho Chi Minh venne arrestato a Hong Kong dalla polizia britannica  per attività sovversiva e la Francia ne chiese l’estradizione. Per evitare la pressione diplomatica sul governatore della colonia inglese, i suoi amici diffusero la falsa notizia della sua morte. Scarcerato nel gennaio del 1933, riprese le sue missioni ai quattro angoli del mondo e per un certo periodo dimorò anche a Milano in una caratteristica casa popolare di ringhiera tra viale Pasubio e via Maroncelli ( prorpio nei pressi dell’Osteria della Pesa). Che Ho Chi Minh (in realtà uno pseudonimo poiché il vero nome anagrafico era Nguyen Tat Thanh)  non disdegnasse di darsi da fare tra i fornelli è cosa del tutto plausibile. Nel 1912, partito per gli Stati Uniti a bordo di una nave, lavorò come cuoco. A New York visse facendo il panettiere e altri mestieri legati alla cucina e nel 1915 a Londra , all’hotel Carlton, il rivoluzionario vietnamita divenne chef pasticciere sotto la guida del famoso cuoco Auguste Escoffier , universalmente conosciuto come il cuoco dei re,il re dei cuochi“). Non si sa se il tradizionale prodotto del sud-est asiatico, cioè il riso, amava cucinarlo alla milanese, con lo zafferano, o alla Pesa si limitava alla lista dei dolci. E’ certo che alcuni anni dopo il fondatore del movimento Viet Minh, la lega per l’indipendenza del Vietnam traghettò il suo paese verso l’indipendenza e nel 1945 venne acclamato presidente della Repubblica democratica del Vietnam, guidando successivamente il Vietnam del Nord durante la guerra fino al 1969, anno in cui morì a 79 anni.

Marco Travaglini

Graffiti. Il pugilato casalese metà ‘900

Gli anni ’50 riportarono alla ribalta uno sport nobile e popolare dimenticato a causa del secondo conflitto mondiale, la Boxe. 

Sulla scia internazionale del pugile di Borgo San Martino Erminio Spalla campione europeo dei pesi massimi, cantante lirico, scultore e attore cinematografico, diversi dilettanti monferrini intrapresero questa attività sportiva anche senza gli spazi di informazione dell’epoca. Il peso piuma Antonello Roccheri classe 1932, nonostante non fosse in possesso di misure eccezionali, era dotato di spirito combattivo, forza incredibile e grande coraggio. Il suo esordio avvenne a soli 14 anni durante i tornei cittadini ai quali partecipavano anche militari in servizio nelle nostre caserme. Non avendo uno sponsor ufficiale, le spese organizzative degli incontri e del materiale agonistico erano sostenute da Giovanni Pagliano, titolare con il figlio Carlo del negozio di arredamenti in via Paleologi a Casale Monferrato. I pomeriggi pugilistici avvenivano in diversi punti della città: piazza Mazzini, palestra Leardi, giardini pubblici, palestra dello stadio, mostra di San Giuseppe e in alcune feste patronali del territorio con grande partecipazione di pubblico.
I continui successi del pugile emergente lo proiettarono alle fasi finali piemontesi e nel 1948 fu contattato per la pubblicazione di una sua immagine dalla rivista illustrata “La Settimana Incom” dove lavoravano firme importanti come Indro Montanelli, rivista romana che vide il proprio declino a causa dell’avvento della TV. Il matrimonio del 1954 con Anna Capra di Murisengo segnò la fine della sua breve carriera pugilistica. Per salvaguardare l’economia familiare trovò occupazione come operaio nella fabbrica di amianto Eternit, tragico destino di tante persone casalesi. I pugili dilettanti del periodo postbellico favorirono la nascita dell’Associazione Sportiva Boxe Casale, fondata nel 1955 da un gruppo di appassionati. Nel 1959 il sodalizio prese il nome di Franger Frigor Casale Ring portando a livello nazionale ottimi pugili come Bruno Zorzan, Paolo Amisano, Umberto Simbola e nel 1965 fu mutuato in Casale Ring Lambretta Innocenti. Dopo il declino inevitabile degli anni d’oro del pugilato casalese, oggi vengono organizzati incontri di diverse arti marziali quali Lotta Libera e Greco-Romana, Kick Boxing, Shorinji Kempo, Karate, Judo e Boxe tradizionale maschile e femminile come associazioni sportive dilettantistiche.
Armano Luigi Gozzano

Una cappella tra templari e cavalieri di Gerusalemme

Per vederla bisogna varcare i cancelli del cimitero. Si trova al centro del camposanto di Buttigliera d’Asti, a pochi chilometri da Castelnuovo don Bosco e da Riva di Chieri, è ricca di storia e di fascino.
Ci sono entrati crociati, cavalieri di Gerusalemme e forse templari. È la cappella romanica di San Martino, è lì da quasi mille anni. Dedicata a San Martino, vescovo di Tours, è la più antica chiesa del territorio e risale probabilmente all’epoca carolingia(774-887) quando i Franchi dominavano nell’Italia del nord. Nella prima metà del 1100 i conti di Biandrate, che di Crociate in Terra Santa ne hanno fatte tante, almeno le prime quattro, donarono la cappella di San Martino all’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, il futuro Ordine di Malta, nato nell’XI secolo per assistere pellegrini e viandanti diretti oltremare, ai luoghi santi nel Levante crociato. Nelle vicinanze della chiesa fu aperto un “hospitale”, un piccolo ricovero che metteva a disposizione posti letto, forniva cibo e curava i poveri e i malati che passavano da quelle parti, tra Villanova e Buttigliera. Un tempo chiesa dell’Ordine Gerosolimitano e ora cappella del cimitero, conserva elementi romanici dei secoli XII e XIII con affreschi sull’abside del Quattrocento. La chiesa si fa risalire al X secolo ma in realtà sarebbe molto più antica. Nel 2013 durante alcuni restauri fu trovato il coperchio di un antico sarcofago con un’iscrizione risalente al V-VI secolo, nell’epoca in cui era molto diffuso il culto del vescovo di Tours nella Gallia e nel nord d’Italia. La cappella di San Martino restò proprietà della commenda. Alla fine del Settecento, con la soppressione dell’Ordine di San Giovanni, passò al Comune di Buttigliera che ricostruì la facciata e restaurò l’altare e gli affreschi dell’abside. Sulle pareti esterne della chiesa si vedono antiche scritte e graffiti lasciati dai fedeli e dai pellegrini nel corso dei secoli, oltre a molte iscrizioni in latino e in italiano risalenti ai secoli XVI-XIX che si riferiscono ad abitanti deceduti in paese. Il luogo conserva un mistero legato alla presenza dei Cavalieri del Tempio. I possedimenti templari in Piemonte erano molto numerosi e tra questi figuravano chiese, domus, terreni, tenute agricole, allevamenti e altro. Le fonti storiche sulle proprietà dei Templari nella nostra regione fanno riferimento anche a un presunto insediamento templare a Buttigliera d’Asti. Secondo la studiosa Bianca Capone, sulla commenda di Buttigliera non ci sono fonti certe: “la carta più antica risale al 1543 in cui viene citata la commenda con dedica a San Martino, nome più templare che gerosolimitano, e i beni della commenda erano cospicui come si rileva da numerosi inventari”.                             Filippo Re

Guido Gozzano “genovese”

La Superba davvero fu importante per i suoi forti legami che aveva con Guido Gozzano, ma chi si è occupato di lui come poeta non ricorda che quei genovesi, amici e colleghi suoi, dell’età adulta. Il suo approdo marino quindi, non va considerato allo stesso modo che per quegli altri che, già adulti, dal Piemonte(via Alessandria-Novi Ligure-Ronco Scrivia) in treno raggiunsero  la Riviera e, curiosi, scesero magari a Principe (se proprio vogliamo nominare una stazione ferroviaria genovese), lasciando alle loro spalle il cielo grigio-livido che pesa su Torino per tanti giorni all’anno, ed erano più sensibili al fascino, che ancora oggi suscita in noi la vista del cielo terso che si stacca sul mare azzurro di Liguria, anche nella brutta stagione.

Segnale allora che azzurro è detto da Guido il color di lontananza(così nei versi intitolati «La più bella», che ripropongo nella pagina illustrata più volte pubblicata dall’editore Viglongo), e ricorderò che, per tutto il Rinascimento, anche la linea dell’orizzonte, dipinta sullosfondo di paesaggi e ritratti, era stata azzurra e proseguo senza altre dimore, poiché profondi erano i legami che univano a Genova Guido Gozzano!

A Genova il mazziniano poi deputato e commendatore Massimo Secondo Mautino (1816-1873) aveva sposato Rosina Origone (1829-1860), sua seconda moglie e madre di Diodata (1858-1947), oltre che nonna di Guido(1883-1916).  Fu là che Diodata, orfana di entrambi i genitori, visse con i nonni materni finché,diciannovenne, non fu portata ad Agliè dal padre di Guido, che, proprio a Genova, l’aveva impalmata e fusempre là che ella scelse, a padrino di battesimo per quelsuo figlio, Davide Castelli (1847-1931), un filodrammatico del teatro genovese (il cui profilo biografico incontriamo nel: Teatro popolare e dialettale: indagine enciclopedica sul teatro Piemontese, un fortunato libro di Domenico Seren Gay pubblicato nel 1977). Castelli che, per il teatro, scrisse in genovese alcune opere (destinate al successo perfino nei teatri subalpini), è tuttora ricordato come lo scopritore del talento di Gilberto Govi.

Ma allora, dal momento che aveva certamente a vedere con Castelli, perché non ricordare che a Genova la mamma di Guido aveva calcato per le prime volte la scena! E perché poi non pensare che, sempre su invito diCastelli, anche Guido proprio là avrebbe seguito i suoi passi? Ma c’è dell’altro, che fa credere che Castelli gli abbia reso facili altri incontri favorendolo in altri contatti che poi si rivelarono importanti per Guido. Infatti, a Genova, egli si approfondì nella fotografia, fotografiache certamente – come ho potuto provare – fu oggetto dei suoi primi interessi ad Agliè, grazie al francese Paul-Gaston-James Dosne (1855-1921), amico di famigliache, oltre ad essere ingegnere chimico di fama, era unfotografo, iscritto alla Société française de photographiefin dal 1897. Allora ricordiamo ancora che fu a Genova che Gozzano sentì forte il richiamo per il cinematografo, non tanto, perché ammirato delle foto delle soubrette le cui foto erano di facile accesso a Genova – come ha affermato qualcunoma perché era in contatto con lo studio fotografico Sciutto e Bosella.

Che contatti e incontri fossero stati favoriti dal padrino Castelli, noi non possiamo negarlo… Sappiamo che lavori fotografici di quei fotografi furono esposti a Torino, in una mostra fotografica (tra le prime realizzate nella capitale subalpina), e che, soli, furono oggetto di una segnalazione di Gozzano per la recensione, pubblicata nel 1914, che diventò famosa perché in essa definì la fotografia «L’arte nata da un raggio e dal veleno»! Eallora potrà non essere irrilevante ricordare che il nome di quei fotografi è legato al cinema genovese degli esordi!

Ma non solo questo, infatti a Genova viveva Mario Duboin (1879-1951), il cui nonno paterno era stato quel cav. (Carlo) Felice Amato (Giuseppe) Duboin (1796-1854) che sotto il suo nome tante pagine preziose per la storia del diritto sabaudo aveva raccolto in una ricca collana di volumi (ancora oggi di notevole interesse da parte degli storici). Mario, oltre che nipote di zia Diodata, era un ufficiale del Corpo Reale dei Carabinieri e nel 1908 aveva sposato la genovese Lina Maglio. AGenova nacquero i primi figli della coppia: Olga nel 1910, e Carlo nel 1912, quindi, se Umberto, Carlo e Ada videro la luce in altre città d’Italia (come capitava nelle famiglie dei dipendenti dello Stato costretti a spostarsi da una sede all’altra), gli ultimi due, Piero e Guido, furono, di nuovo, entrambi genovesi di nascita. Così è certo che la cartolina (con il villino Meleto fotografato da Celeste Scavini), che nell’estate del 1915 la zia Diodata glie l’aveva mandata a Cagliari, dove, all’inizio di giugno di quell’anno, era nato Umberto, il padre del mio amico Mario (omonimo nipote del precedente, che qui ringrazio, perché ha messo a mia disposizione quasi tutte le immagini per queste pagine).

E allora vediamoli,quei cugini “genovesi” di Guido (anche se Mario si sentì sempre torinese perché tra noi era nato) nel bel ritrattoda sposi, che qui si affianca a quello di “zietta Diodatacon il figlio Poeta, in una fotografia che, tra le ultime di lui, sempre fu molto cara a tutti, in casa Duboin…

Quindi, in ossequio al loro comune antenato, ricordiamo in ultimo la Genova romantica, che certamente fu cara ai nonni Mautino, e, da una raccolta di vedute della Città,pubblicata negli anni Ottanta dell’Ottocento, rimaniamo fermi sullo scorcio di San Lorenzo, perché quell’angolo di Genova certamente fu caro anche al nostro Gozzano, che lo frequentò fin dai suoi primi anni!

Carlo Alfonso Maria Burdet

(Dedico queste pagine a Giovanni Abrate, mio vicino di banco degli ultimi anni di liceo, che, da sempre appassionato di fotografia e di cinema, dalla sua residenza in Florida, è intervenuto per migliorare l’apparenza del materiale iconografico che ora propongo).

Alla scoperta della chiesa dello Spirito Santo con il Touring club

Sabato 22 giugno i volontari del Touring Club Italiano aprono le porte della Chiesa dello Spirito Santo, gioiello architettonico e artistico situato nel cuore della città.

Dal 21 al 23 giugno la bellezza è per tutti grazie al Touring Club Italiano con Aperti per Voi Sotto le Stelle: una grande festa diffusa, in occasione dei 130 anni del TCI, con visite a luoghi aperti eccezionalmente per l’occasione, così da permettere a tutti di conoscere e ammirare piccoli e grandi tesori del nostro Paese. Chiese, Palazzi, Monumenti e aree archeologiche vedranno aperture straordinarie e serali per raccontare storie, svelare spazi normalmente non accessibili, riscoprire luoghi e dettagli in ambienti suggestivi, fino al tramonto…e aspettando le stelle.

 

A Torino, l’appuntamento è per sabato 22 giugno dalle 11.00 alle 21.00alla Chiesa dello Spirito Santo.

Durante la visita, i volontari Touring permetteranno a tutti di scoprire i tesori nascosti dietro le porte di questo gioiello architettonico nel cuore della città: partendo dal Crocifisso ligneo del Cinquecento – venerato per i suoi presunti miracoli – fino al gruppo ligneo raffigurante la Crocifissione, capolavoro dello scultore torinese Stefano Maria Clemente. Senza dimenticare la preziosa croce lignea processionale, opera di Pietro Piffetti, che rappresenta un’eccellenza delle maestranze settecentesche, in particolare dell’ebanisteria alla Corte Sabauda.

L’accesso a questa iniziativa è senza prenotazione, con donazione. Maggiori info alla pagina dedicata.

Chiesa dello Spirito Santo

Aperti per Voi Sotto le Stelle è frutto della ultradecennale esperienza del progetto Aperti per Voi del Touring Club Italiano che, dal 2005, si impegna a diffondere la consapevolezza che i patrimoni del nostro Paese siano un bene condiviso e che, quindi, sia compito di tutti prendersene cura. Proprio per questo, per partecipare alle iniziative del 21, 22 e 23 giugno è prevista una donazione libera a sostegno dei progetti del Touring Club Italiano, così da continuare a prenderci cura dell’Italia come bene comune.

Tutti i programmi di Aperti per Voi sotto le Stelle, le modalità di partecipazione e di prenotazione (dove prevista) sono su www.touringclub.it/sottolestelle

Il Duca d’Aosta: sei ore per trasportarlo

Alla scoperta dei monumenti di Torino / La statua in bronzo fu  trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento

Il monumento è situato all’interno del Parco del Valentino, in asse con corso Raffaello e nel centro del piazzale nel quale confluiscono i viali Boiardo, Ceppi e Medaglie D’Oro. La statua che raffigura, sul cavallo ritto sulle zampe posteriori, il poco più che ventenne Amedeo di Savoia Duca d’Aosta durante la battaglia di Custoza, è posta su un dado di granito che poggia a sua volta su un basamento contornato da una fascia di coronamento in bronzo,rappresentante (in altorilievo) 17 figure tra cui numerosi personaggi celebri della dinastia sabauda. Ai gruppi di cavalieri si alternano vedute paesaggistiche come la Sacra di San Michele, il Monviso e Torino con il colle di Superga sullo sfondo.Sul fronte del basamento, poggiata sulla chioma di un albero al quale è appeso lo stemma reale di Spagna, un’aquila ad ali spiegate regge tra gli artigli lo scudo dei Savoia.Nato il 30 maggio 1845 da Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II) e da Maria Adelaide Arciduchessa d’Austria, Amedeo Ferdinando Maria Duca d’Aosta e principe ereditario di Sardegna, crebbe seguendo una rigida educazione militare.Nel 1866 gli venne affidato il comando della brigata Lombardia e partecipò alla battaglia di Custoza nella quale, nonostante fosse stato ferito da un proiettile di carabina, continuò a battersi distinguendosi così per il suo coraggio ed il suo valore.In seguito alla rivoluzione del 1868 e alla cacciata dei Borboni, in Spagna venne proclamata la monarchia costituzionale e nonostante la situazione risultasse molto difficile, Amedeo di Savoia accettò l’incarico così, il 16 novembre 1870, venne eletto Re di Spagna con il nome di Amedeo I di Spagna.Ma la situazione politica risultò ancora più instabile di come lui se la fosse prospettata e davanti a rivolte e congiure (nel 1872 sfuggì miracolosamente ad un attentato), nel 1873 abdicò rinunciando per sempre al trono.Tornato in Italia, venne nominato Tenente Generale e Ispettore Generale della Cavalleria; si spense il 18 gennaio 1890 a causa di una incurabile broncopolmonite.

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Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua amata città, fu (anche durante il periodo della sua sovranità in Spagna) un personaggio molto popolare e ben voluto tanto che, neanche una settimana dopo la sua morte, la città di Torino costituì un comitato promotore per l’erezione di un monumento a lui dedicato, sotto la presidenza del conte Ernesto di Sambuy. Venne aperta una sottoscrizione internazionale alla quale, la stessa città di Torino, partecipò con la somma di L. 25.000 e in seguito, il 6 marzo 1891, venne bandito un concorso tra gliartisti italiani per stabilire chi sarebbe stato l’autore dell’imponente opera. Tra i ventinove bozzetti presentati ne furono scelti sei che vennero esposti nei locali della Società Promotrice di Belle Arti, in via della Zecca 25 ed in seguito, tra i sei artisti vincitori, venne bandito un nuovo e definitivo concorso che vide come vincitore (nel dicembre del 1892) Davide Calandra. La decisione, secondo le parole della Giuria, fu motivata “dal poetico fervore immaginoso della concezione, dall’eleganza decorativa dell’insieme, dalla plastica efficacia del gruppo equestre e dalla vivace risoluzione del difficile motivo della base“. Inizialmente l’ubicazione del monumento avrebbe dovuto essere, secondo la proposta del Comitato Esecutivo approvata dalla Città di Torino nella seduta del Consiglio Comunale dell’11 giugno 1894, il centro dell’incrocio dei corsi Duca di Genova e Vinzaglio, ma a causa delle dimensioni maestose del basamento si decise che fosse necessario uno spazio più ampio per ospitare l’opera. Dopo avere effettuato delle prove con un simulacro di grandezza naturale in tela e legname (costato alla Città la somma di L. 2480), si decise di collocarla nel Parco del Valentino sul prolungamento dell’asse di Corso Raffaello, presso l’ingresso principale dell’Esposizione Generale Italiana tenutasi del 1898: il 9 novembre 1899 il ConsiglioComunale approvò la scelta della Giunta di tale ubicazione.

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La statua in bronzo fu dunque trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento. Il monumento venne inaugurato il 7 maggio 1902, in occasione della Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino, durante la quale lo scultore fu anche premiato per aver inserito nell’opera elementi di “Art Noveau”. Nel corso dell’inaugurazione il conte Ernesto di Sambuy, a nome del Comitato, consegnò l’opera al Sindaco di Torino. Originariamente il monumento venne circondato da una cancellata in ferro dell’altezza di circa 130 centimetri, disegnata dallo stesso Calandra, che venne rimossa probabilmente a causa delle requisizioni belliche durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2004 il monumento è stato restaurato dalla Città di Torino. Per fare un piccolo accenno al Parco del Valentino, di cui certamente parleremo in modo più approfondito prossimamente, bisogna ricordare che ilmonumento ad Amedeo di Savoia è situato nell’area nella quale, fra Ottocento e Novecento, si tennero a Torino alcune tra le più importanti rassegne espositive internazionali. Nel 1949, proprio a fianco del monumento, sorse il complesso di Torino Esposizioni, un complesso fieristico progettato da Pier Luigi Nervi che, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, ha ospitato un impianto per l’hockey su ghiaccio dove sono state giocate circa la metà delle partite dei tornei maschili e femminili. Al termine delle Olimpiadi, la struttura è tornata all’originario uso abituale ripredisponendo un padiglione come palaghiaccio per i mesi invernali. Cari lettori anche questa ennesima passeggiata tra le “bellezze torinesi” termina qui. Mi auguro che il monumento equestre ad Amedeo di Savoia vi abbia incantato ed incuriosito proprio come ha fatto con me; nel frattempo io vi do appuntamento alla prossima settimana alla scoperta o meglio “riscoperta” della nostra città.

(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

Torino al tempo del Risorgimento

Breve storia di Torino

1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

 

8 Torino al tempo del Risorgimento

Se parliamo di Risorgimento, parliamo anche di Torino.
Le stesse vie ora intrise di negozi e passanti, brulicanti di turisti e concittadini, odorose di caramelle e caldarroste, un tempo erano percorse da quegli stessi illustri uomini che fanno capolino sui libri di storia: Cavour, Mazzini, dAzeglio, Garibaldi, chi hafatto lItalialha quantomeno pensata proprio seduto tra i caffè torinesi, magari sorseggiando bicerin” o assaporando un bunet”.
Camillo Benso pranzava abitualmente al ristornante del Cambio, che si affaccia su Piazza Carignano ed era assiduo frequentatore dellormai storico Caffè Fiorio, situato sotto i portici di via Po, mentre la Contessa di Castiglione,  nota comela più bella donna mai vista alle corti dellepoca abitava niente meno che in via Lagrange 29, noblesse oblige come si suol dire.

Diversi luoghi cittadini sono intitolati a personaggi famosi di tale periodo, come ad esempio il Borgo Nuovo, dove si trova laiuola Balbo, dedicata a sei differenti figure, in primis al Primo Ministro del Parlamento Subalpino del 1848, oppure, per riportare un esempio meno conosciuto, in Piazzetta Maria Teresa ci si può imbattere nel monumento rivolto al patriota Guglielmo Pepe, il quale, disobbedendo al re Borbone Ferdinando II, ordinò alle sue truppe di attraversare il Po e raggiungere Venezia per sostenere la Repubblica veneziana nel 1848.
Lelenco è decisamente lungo, Torino pullula di nomi e luoghi che andrebbero citati a gran voce, ma temo che, se proseguissi in tal senso, perderei la primaria motivazione di questa serie di articoli riguardanti appunto- le vicende dellantica Augusta Taurinorum.
Mi trovo allora costretta a cambiare argomento, portando il discorso sui fatti e sugli avvenimenti che interessano le vicissitudini dellurbe pedemontana dal 1831 al 1861, senzaltro gli anni più importanti per quel che riguarda la storia della nostra città, che passa dallessere una piccola capitale sabauda alla periferia della Penisola, al divenire lindiscusso centro di comando per lunificazione nazionale.
Come sempre, andiamo per ordine e affrontiamo una tematica alla volta.


Tra le figure essenziali di tale periodo vi è sicuramente Carlo Alberto, il quale da subito garantisce un preciso programma di riforme burocratiche legali ed economiche con lo scopo di traghettare la capitale verso una modernizzazione non solo necessaria ma soprattutto auspicata.
Il re inoltre nomina un Consiglio di Stato, per rendere più funzionale e centralizzato il regno, riforma il sistema legale sabaudo e trova mezzi avanguardistici per contrastare le epidemie di colera. A partire da tali riforme, negli anni 30 viene promulgato un corpus di nuovi codici civili, penali e commerciali, si tratta del celebre Statuto Albertino, che si dimostra ben presto il più avanzato sistema legale dEuropa.
Dal punto di vista culturale Carlo Alberto si impegna in numerose iniziative decisamente ambiziose, tramite le quali desidera esaltare le vittorie e la gloria della casata sabauda, sia per stimolare lorgoglio popolare, sia per ingraziarsi la fedeltà alla monarchia. Vengono cosìrealizzati monumenti, palazzi e dipinti, ed in aggiunta si portano avanti campagne di commissioni architettoniche e artistiche per abbellire le residenze reali di Torino, come Racconigi e Pollenzo. Sicostruiscono poi monumenti pubblici nelle piazze della capitale, ognuno dedicato alla commemorazione di un preciso momento storico ovviamente legato o alla  dinastia sabauda o alla storia della città. Alla conclusione del regno di Carlo Alberto, Torino rivendica un patrimonio artistico nettamente superiore rispetto a quello di qualsiasi altra città italiana.
Di pari modo, per dare alla capitale lo status di centro artistico, il re fonda la Galleria Reale, luogo in cui è conservata la collezione di opere darte della famiglia Savoia: aperta al pubblico,  in alcuni giorni della settimana era possibile visitarla gratuitamente. Nascono in conseguenza a tali iniziative diverse istituzioni culturali, quali la Deputazione Subalpina di Storia Patria, il Consiglio per la tutela delle Antichità e delle Belle Arti e la Società Promotrice di Belle Arti; viene inoltre ampliata la biblioteca  di Palazzo Reale e si edifica la nuova sede per lAccademia di Belle Arti, in ultimo sono finanziate le opere di diversi scienziati tra cui quelle di Giovanni Plana, Amedeo Peyron e Amedeo Avogadro. Per  favorire il consenso popolare, il re stabilisce lintroduzione di nuove feste pubbliche e la reintegrazione di altre, in ogni caso si tratta di parate, giochi pirotecnici, competizioni sportive e balli in maschera.
Alla fine degli anni 40 tuttavia la situazione è tuttaltro che idilliaca, Torino si trova ad affrontare una grave crisi economica, fatto che contribuisce a creare una netta suddivisione della società: da una parte la classe istruita, chiusa nel proprio mondo di vibranti iniziative culturali, dallaltra il popolino, segregato in zone infime della città e destinato al proprio misero destino, – si pensi che un individuo appartenente a tale classe sociale aveva unaspettativa di vita che non superava i trentanni-.
Le tensioni sociali finiscono per indebolire lordine costituito, finché, nel 1847, si definisce una tacita alleanza tra il ceto medio e quello popolare: il 1 ottobre dello stesso anno si accendono effettivamente le prime vere proteste, mentre sui muri si leggono frasi come la guerra di classe non è lontana oppure morte ai nobili.
Le sempre più numerose insurrezioni portano Carlo Alberto ad approvare diverse riforme politiche. I poteri della polizia e dei censori vengono limitati e dallaltra crescono quelli del Consiglio di Stato. In questo clima di subbuglio spiccano importanti figure, dalla parte dei conservatori ricordiamo Vittorio Amedeo Sallier de La Tour e il Conte Carlo Beraudo di Pralormo, dalla parte dei moderati invece troviamo Camillo Benso di Cavour, Cesare Alfieri e Roberto dAzeglio, i quali proponevano una costituzione ultrademocratica e un rinnovamento pacifico della classe dirigente statale.
Mentre nella capitale prevale la posizione dei moderati, il 1848 èsegnato da sommosse e rivolte, la prima in Sicilia, seguita dalla Rivoluzione di febbraio in Francia, che rovescia la monarchia dOrleans.

 


È in questo generale contesto di fermento nazionalista che l8 febbraio 1848 Carlo Alberto emana lo Statuto: una nuova costituzione che prevede un innovativo governo monarchico e rappresentativo in cui il potere legislativo è ripartito fra il re e due camere: una Camera dei deputati costituita su base elettiva e un Senato formato da membri nominati a vita dallo stesso monarca. Lo Statuto viene promulgato nella sua interezza nel marzo dello stesso anno, la sua importanza  varca i confini del Piemonte e diventa modello per la monarchia costituzionale adottata dal nuovo Regno dItalia unitario dopo il 1861. Lo Statuto  testimonia il grande successo dell’élite moderata formata da personaggi di spicco della borghesia torinese, tra i quali emerge il carismatico Roberto dAzeglio.
Sempre nel 1848 Torino affronta una guerra di liberazione nazionale e di espansione contro limpero austriaco. La vicenda tuttavia non trova lieta conclusione, infatti nel marzo 1849 lesercito piemontese viene sconfitto nella battaglia di Novara, Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II, il quale negozia gli accordi di pace con gli Austriaci.
I moti rivoluzionari del 48, che avevano sobillato le folle torinesi con speranze patriottiche, si risolvono in unamara delusione e in una seconda restaurazione attuata dagli Austriaci con il sostegno di Pio IX e dello zar Nicola I.
Lunica eccezione al trionfo austriaco è proprio Torino. Il casato dei Savoia è lunica dinastia in Italia che non dipende dallinfluenza austriaca, inoltre la città si presenta come capitale dellunico stato  che mantiene una costituzione in cui c’è un parlamento che gestisce insieme con la monarchia la responsabilità del governo. Vittorio Emanuele accetta le procedure costituzionali per arginare i democratici e per guadagnarsi il supporto dei liberali moderati nelle politiche antiaustriache. La sopravvivenza dello Statuto fa si che Torino si differenzi  dalle altre città. Infine, con lingresso sulla scena politica di Camillo Benso, abilissimo leader, riformatore dinamico, statista di altissimo livello, si inizia a delineare una nuova tipologia di governo che assicura la partecipazione politica di ampie fasce del ceto medio urbano.
Dopo il 48, Torino è nuovamente scenario di iniziative riformiste che tra laltro influenzeranno grandemente il futuro dello Stato italiano dopo il 1861.
Fin dalla sua emanazione lo Statuto ha introdotto un forte cambiamento nella classe politica piemontese, allinterno della quale laristocrazia assume via via un ruolo sempre più modesto, pur continuando a gestire la vita politica della città. La maggioranza dei nobili si identifica nella coalizione di monarchici conservatori guidati dal conte Ottavio Thaon de Revel, il quale beneficia di potenti legami sia con la Chiesa cattolica che con la corte sabauda, inoltre trova sostegno nel corpo diplomatico, nella gerarchia militare e nelle campagne. A questa fazione si contrappone lo schieramento dei riformatori moderati, tra i quali troviamo Camillo Benso di Cavour e Massimo dAzeglio (fratello di Roberto).
Ben presto è proprio  Camillo Benso a emergere come figura politica dominante, prima, sotto il governo di dAzeglio, come ministro dellAgricoltura, del Commercio e della Marina, in seguito, dopo il 52, come primo ministro. Egli è certo un intraprendente imprenditore agricolo, ma soprattutto è un rispettato esperto di politica economica nonché fautore delle ferrovie. Camillo viene descritto dal cugino come un aristocratico per nascita, gusti e natura, lui stesso considerava la nobiltà superiore per natura alla classe borghese. Già dagli anni 30 Cavour porta avanti la sua celebre convinzione del juste milieu, secondo cui un governo deve evitare gli estremi dellassolutismo e dellanarchia e seguire un programma che porti ad un progresso graduale e ordinato. Egli è nemico giurato dei movimenti repubblicani e democratici, ma si trova ad essere fortemente contrastato dalla Chiesa, specie dal monsignor Luigi Franzoni, arcivescovo di Torino tra il 1831 e il 1862.
Camillo Benso, negli anni 50, si pone al centro della lotta per secolarizzare lo Stato piemontese, attraverso la divisione istituzionale dei poteri tra Monarchia e Parlamento; egli risulta altresì figura fondamentale in ambito economico, poiché introduce una politica di libero commercio volta a favorire lingresso del Piemonte sui mercati europei, e a stimolare le esportazioni dei prodotti grezzi piemontesi e a determinare un abbassamento del costo delle importazioni di macchinari e prodotti finiti. Cavour si dedica anche alla problematica del deficit del bilancio statale, che nel 1850 era risultato negativo a causa delle spese di guerra e delle riparazioni allAustria. Altre iniziative importanti riguardano il coinvolgimento del governo per una serie di miglioramenti infrastrutturali  volti alla riorganizzazione del sistema di credito, alla creazione di nuovi istituti finanziari, allampliamento delle casse di risparmio,  e alla fondazione della Borsa di Genova e di quella di Torino.
Nonostante i miglioramenti economici degli anni 50, lintegrazione del Piemonte in un più ampio quadro nazionale si gioca su di un piano tutto politico-culturale; Torino è un laboratorio di idee, nonché meta per moltissimi rifugiati politici in fuga dalle forze reazionarie presenti nella Penisola, tra questi vi sono scrittori, accademici, personaggi politici, che non solo trovano riparo ma riescono ad integrarsi nella società, ricoprendo  impieghi redditizi, attraverso collaborazioni con i giornali, insegnando alluniversità o trovando occupazioni nel settore delleditoria. Se da una parte questi esuli contribuiscono a realizzare unatmosfera cosmopolita, dallaltra non tutti apprezzano tale situazione, come i membri più tradizionalisti dellaristocrazia, che si sentono minacciati nelle loro posizioni.
Torino è ora mossa da una nuova vitalità culturale, che si realizza nella diffusione di unincredibile varietà di spettacoli teatrali e musicali, rivolti ad un pubblico sempre più ampio e variegato, costituito da militari, studenti e membri del ceto medio. Inoltre la cittàè anche centro di informazione, come dimostrano i ben tredici quotidiani che pubblicano sia editoriali che notizie di cronaca, oltre alle cinquanta riviste dedicate alla politica, alle scienze, alla letteratura o alle belle arti.  In quegli anni il giornale più letto è La Gazzetta del Popolo, grazie al prezzo contenuto e al linguaggio semplice, che si rivolge prima di tutto alla fascia popolare della cittadinanza, ossia piccoli negozianti, artigiani ed operai.
In questi anni Cavour ha nuovamente la possibilità di dimostrare il suo genio, che primeggia nellabilità di sfruttare le occasioni e nel talento per limprovvisazione di fronte a eventi inaspettati.
Momento essenziale è poi la guerra di Crimea (1855), alla quale Cavour aderisce tardi e con riluttanza, senza nemmeno convertirsi del tutto allideale nazionalista, ma mosso principalmente dal timore di unalleanza franco-autriaca. Tuttavia tale scontro porta a Torino un discreto prestigio e nel contempo scombussola il vecchio assetto politico: la situazione è prontamente sfruttata da Camillo Benso, che approfitta della divisione tra i Grandi Stati per espandere i propri interessi nella Penisola. Il Primo Ministro decide dunque di adottare una politica estera programmata per lallargamento dei confini del regno verso nord  e per lampliamento del suo controllo sul resto della Penisola. Questa decisione segna in realtà una tappa fondamentale per lunificazione: è la prima volta che uno stato potente acconsente ad abbracciare la causa del nazionalismo italiano.
Tra il 56 e il 59 Cavour porta avanti una coraggiosa, seppur ambigua, politica estera, alla base della quale vi è lobiettivo primario di cacciare gli Austriaci dal territorio. Nel 1858 si presenta lopportunità attesa: Napoleone III stringe un accordo con Cavour in cui è garantito lappoggio militare francese al Piemonte se questo avesse trovato un pretesto diplomatico per provocare una guerra contro lAustria. Le ostilità si aprono nel 1859, con le battaglie di Magenta e Solferino. Nello stesso anno tuttavia Napoleone III firma degli accordi di pace con lAustria e Cavour subisce una forte battuta darresto. Lanno successivo, riconfermato Primo Ministro, Camillo Benso torna allattacco e organizza plebisciti in Toscana e in Emilia per legittimare lannessione di gran parte dellItalia centrale al casato dei Savoia. Vengono ceduti alla Francia i territori della Savoia e di Nizza, tuttavia la cittadinanza torinese può essere più che orgogliosa dei successi conseguiti dal loro concittadino. Cavour non può godere dei propri successi, poiché nello stesso anno, in seguito alle rivolte scoppiate in Sicilia, Giuseppe Garibaldi si mette alla guida della celeberrima Spedizione dei Mille. Camillo allora invade gli Stati Pontifici, giustificando tale azione come unico modo per evitare la rivoluzione, viene infine chiamato il re Vittorio Emanuele II a guidare le truppe piemontesi, escamotage pensato dallastuto Primo Ministro, consapevole del rispetto di Garibaldi per  Vittorio Emanuele.  Garibaldi cede al re i territori appena conquistati, mentre Cavour consolida le nuove acquisizioni e blocca ogni iniziativa per instaurare assemblee costituenti, e indice plebisciti per far approvare lannessione dei nuovi territori al Piemonte.
Il processo di unificazione politica  culmina nei primi mesi del 1861 con lelezione del primo Parlamento Nazionale, il riconoscimento di Vittorio Emanuele II come primo re dItalia e la nomina di Torino a capitale del Regno.  


ALESSIA CAGNOTTO 

La storia di Marcel Bich, l’uomo che semplificò la scrittura

Un giorno d’autunno mi decisi senza dare nulla per scontato a riempire la ‘lacuna del Carneade’ :

« che origine ha questa penna di plastica traslucida che tengo tra le mani, dotata di una piccola sferetta sulla punta, che mi permette di scrivere comodamente sul bancone di un ufficio postale, come sulla scrivania della mia abitazione, senza spargere macchie di inchiostro, che nella mia memoria individuale mi permette di risalire ai tempi delle scuole medie? » Googolare e vecchi annuari di storia. Venni a sapere che la penna a sfera fu realizzata grazie all’iniziativa di tale Marcel Bich, barone valdostano che vide la luce a Torino nel 1914 ai primi fuochi della Grande Guerra, i cui antenati nativi di Châtillon, ebbero il cognome originario di Valtournenche. Inizió a lavorare giovanissimo a Parigi dove la sua famiglia tra alterne vicende si trasferì, lì finì gli studi universitari, facendo tra molti mestieri anche il fattorino e il rappresentate di lampadine. Diede nome Bic a questo prodotto rivoluzionario,  omett endo la “h” finale del cognome, per motivi di semantica di marketing, commercializzandolo con successo in tutto il mondo e facendolo divenire comune come il tostapane e globale ante litteram. Caparbio e intraprendente, appassionato di vela ( partecipó a una Coppa America con l’armo France e lui skipper nonostante fu consigliato a far condurre la barca da velisti più esperti ) nel 1953 compró il brevetto dall’inventore ingegnere ebreo ungherese László József Bíró, tanto che anche da questo cognome nacque l’espressione gergale ‘penna biro’ e ancora oggi ci si esprime indifferentemente negli uffici e nei luoghi di lavoro con le locuzioni «passami la biro o passami la bic» per indicare quel tipo specifico di oggetto d’uso, reperibile ovunque, di pratico e pronto utilizzo. Nomen omen.  Il record di fatturato di 1750 miliardi di lire lo fece nel 1993. Attualmente Bic è un colosso mondiale con vendite in 160 paesi per 25 milioni di penne al giorno in tutti i continenti, in mercati sia sviluppati che emergenti. Ha 3,2 milioni di punti vendita e 9.700 dipendenti in giro per il mondo.  Produce anche anche il rasoio mono uso e l’accendino senza ricarica. Marcel Bich fu decisamente prolifico avendo ben undici figli. Diffidava dell’alta finanza, dei giornalisti e curiosamente dell’imprenditoria cui apparteneva. Prese la volta del cielo a Parigi nel 1994. Nel 2004, a dieci anni dalla sua morte, il Comune di Torino ha collocato una targa sul muro della casa di corso Re Umberto 60 in cui Marcel Bich nacque con la scritta ” semplificó la quotidianità della scrittura”.  Quando qualcuno voleva intervistarlo la sua fedele segretaria giapponese rispondeva « il barone lavora non ha tempo da perdere ». Una bella storia per Torino, per i torinesi e per l’umanità.

Aldo Colonna