STORIA- Pagina 16

Breve storia dei Savoia, signori torinesi

Breve storia di Torino


1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi

Sono ormai alla metà del mio percorso riguardante  la ricostruzione degli avvenimenti storici che segnano le vicissitudini di Torino dagli albori fino alla contemporaneità.
Ed è appunto arrivato il momento di approfondire il fatto che più di ogni altro ha segnato il destino dellurbe pedemontana: il dominio sabaudo.
Prima di entrare nel merito della questione e di focalizzarci sulle imprese dei Principi di Savoia, è bene soffermarci sul contesto storico.
Anno 1250: muore Federico II. Nuovi drammatici eventi scuotono il territorio italiano da Sud a Nord: il papa Innocenzo IV investe limperatore Carlo dAngiò, il quale nel 1266 uccide in battaglia Manfredi, re di Sicilia e, due anni più tardi, il nipote di Federico II, Corradino. La dinastia degli Hohenstaufen viene eliminata e i guelfi trionfano su tutta la penisola.
Tali fatti producono immediate ripercussioni sul Piemonte e su Torino.
Tommaso II di Savoia occupa la città pedemontana, forte delle concessioni che proprio Federico II gli aveva accordato; egli tuttavia trova difficoltà nella gestione delle terre, così, dopo diversi accordi altalenanti con i comuni limitrofi e gli altri signori locali, decide di schierarsi a favore di Innocenzo IV; a questo punto il Papa, per assicurarsi un sostegno duraturo da parte di Tommaso, emana una carta in cui riconferma la signoria sabauda su Torino.

La cittadinanza però non accetta linsediarsi di Tommaso, né èconcorde a proposito dellalleanza papale, tant’è che nel 1252 viene a crearsi una lega tra le città di Asti, di Chieri e di Torino, per opporsi ai piani del Principe. Nel 1255 i Torinesi catturano Tommaso e lo costringono a rinunciare alla pretesa di regnare sulla città e sui territori circostanti. Dal canto suo Tommaso si appella ai regnanti di Francia e dInghilterra, forte dei legami famigliari che i Savoia si erano creati nel tempo. Dopo un acceso dibattito i Torinesi lasciano libero il nobile prigioniero: è ormai evidente limportanza che la famiglia sabauda ha acquisito a livello internazionale.
Un nuovo pericolo però si affaccia allorizzonte: lavanzata di Carlo dAngiò. La nuova situazione preoccupa molti signori e diversi comuni e la necessità di fermare linvasore comporta la costituzione di una nuova lega ghibellina capeggiata dalla città di Asti. Torino stessa fa parte di tale di alleanza, ma solo fino al 1270, momento in cui il vescovo Goffredo di Montanaro, guelfo ed oppositore dei Savoia, fa espellere il podestà e si instaura allinterno delle mura cittadine.
Gli scontri intanto proseguono, e ormai il regno angioino è destinato alla disfatta.
Trascorrono circa ottantanni, durante i quali Torino cambia ben sette passaggi di potere: un tempo decisamente lungo e travagliato, che trova conclusione nel longevo periodo della dominazione sabauda.
La famiglia dei Savoia approfitta della confusione politica dovuta ai continui scontri tra signori locali per appropriarsi di alcune cittadine, apparentemente di minor importanza e indebolite dalla guerra. Tra queste si pensi a Susa, Pinerolo, Rivoli e Avigliana, ma è con lacquisizione di Torino che i Principi  consolidano la propria supremazia sul territorio piemontese.
Eccoli infine i due fattori che, a partire dallepoca bassomedievale, determinano le future vicende torinesi: lascesa al potere della famiglia sabauda e la devastante diffusione della peste nera del 1348.
Con lo stabilirsi della nuova autorità, lamministrazione cittadina viene relegata ad un ruolo marginale, le decisioni politiche e legislative sono nelle mani del nuovo signore, così come le famiglie dell’élite urbana. C’è da dire che i Savoia seppero ben compensare questa perdita di autonomia, rendendo la città il fiore allocchiello del Piemonte: nel corso del Quattrocento infatti Torino diviene residenza di governo e della corte, anche per le visite ufficiali, nonché sede di una nuova università.
Mentre i Savoia si instaurano definitamente al comando della città, per le strade il morbo bubbonico si diffonde a macchia dolio, la pestilenza decima la popolazione, sia nel centro abitato che nelle campagne, di conseguenza la produzione agricola cala drasticamente  anche a causa dei numerosi abbandoni dei terreni. Ci vorrà quasi un secolo per recuperare le perdite economiche e demografiche causate dallepidemia.
Mentre la malattia affligge la cittadinanza, i Savoia continuano ad estendere il proprio controllo sullItalia nordoccidentale. Tra il 1313 e il 1314 ottengono Ivrea e Fossano, nel 1416 ricevono il titolo di duchi del Sacro Romano Impero, nel 1320 è la volta della conquista di Savigliano, seguita da quella di Chieri e Biella, i Principi si espandono fino a Cuneo (1382), Mondovì (1418) e infine Vercelli (1427).  
Il notevole ingrandimento del regno sabaudo rende Torino ancora piùimportante, fino a conferire allurbe il nuovo status di capitale regionale, titolo che stimola la crescita economica e demografica della città.
Questo periodo di grande fermento comporta una diversificazione nella popolazione e una nuova struttura sociale, mentre si assiste ad un generale innalzamento del livello culturale, esplicita fonte di impulso economico. La societas si arricchisce di professionisti e burocrati introdotti dallattuale governo, in più una ulteriore corrente migratoria porta limmissione di nuovi mestieri, nuovi introiti commerciali.
Nel 1536 i Francesi occupano Torino, fermando momentaneamente la ripresa della città; i nemici però non hanno vita lunga: nel 1559 loccupazione termina e Torino ne esce ancora più dominante.
Gli anni tra il 1334 e il 1418 vedono affiancarsi i due rami piùimportanti della famiglia, i Savoia e gli Acaia. È proprio Giacomo dAcaia a governare il Piemonte durante gli anni trenta del Trecento, seppur allombra dellimportante cugino, il Conte Verde Amedeo VI di Savoia. Laccesa disputa tra i due termina intorno al 1360, quando Amedeo assume definitivamente il controllo della città di Torino e confina il cugino al di là delle Alpi.

Per affermare la propria posizione e nel contempo per ingraziarsi loligarchia urbana, il Conte ordina che vengano emendati i codici cittadini, costituiti da 331 capitoli eterogenei che compendiavano le varie leggi varate in passato dal comune e gli statuti emanati nel 1280 da Tommaso III. Tale codice regolamenterà i diritti e doveri del cittadino e degli altri funzionari fino allOttocento. Esiste ancora una copia del testo, gelosamente custodita presso gli archivi torinesi, conosciuto come Codice della Catena,  perché anticamente era messo a disposizione per la libera consultazione della cittadinanza in municipio, ma ben legato con una catena. Gli statuti del 1360 fanno sì che il Principe sia lautoritàlegislativa suprema e definiscono i poteri delle varie cariche municipali; il testo riporta inoltre nel dettaglio i poteri legislativi del Consiglio e le le differenti funzioni amministrative a cui doveva assolvere, tra cui la manutenzione della cinta muraria, dei ponti, del palazzo del municipio, lorganizzazione del servizio di guardia presso le porte, la nomina del cerusico, del maestro della scuola il doctor grammaticae–  e degli altri funzionari civili minori.
Il Consiglio si distingue in due ambiti differenti che rispecchiano la divisione interna della classe dominante: da una parte le dinastie nobili che avevano retto la città fino a quel momento, dallaltra le famiglie arricchitesi in tempi recenti. La vecchia aristocrazia va assottigliandosi e nel contempo aumenta il risentimento popolare nei confronti dell’élite cittadina; in questo clima di turbolenza e instabilitài Savoia-Acaia approfittano delle tensioni sociali per consolidare la propria posizione. Ripristinano la Società di San Giovanni Battista, organizzazione di stampo popolare, che vietava laccesso ai membri delle famiglie nobili, che però approva il nuovo statuto nel 1389. La Società è unassociazione armata il cui scopo è mantenere lordine pubblico e proteggere il popolo dalle ingiustizie dellaristocrazia.
Ad Amedeo succede Ludovico Acaia (1404), il quale a sua volta èdeciso a rendere Torino un centro sempre più importante. Egli istituisce uno Studium generale, autorizzato dal papa Bonifacio IX e dallimperatore Sigismondo. Il nuovo Ateneo diventa un punto di forza delluniversità e richiama studenti anche dalle cittadine vicine. Ben presto lUniversità di Torino diviene fucina di professionisti destinati ad occupare importanti cariche ufficiali.
Con la morte di Ludovico (1418) si estingue la linea degli Acaia e i vari possedimenti ritornano al ramo principale della famiglia. A Ludovico succede Amedeo VIII di Savoia, che si affretta a chiedere e ottenere giuramento di lealtà da parte di tutte le città e i vassalli piemontesi prima fedeli ai dAcaia. Amedeo porta avanti una politica espansionistica, prediligendo però larte della diplomazia a quella militare; egli si adopera per dare unità politica ai territori, promulgando nel 1430 gli Statuta Sabaudiae, un vero e proprio codice generale vigente su tutti i domini.
Amedeo abdica e gli succede il fratello, Ludovico. Il nuovo re promulga un nuovo statuto, con il quale riorganizza il Consiglio di Torino, dividendolo in tre classi: nobiles, mediocres, populares, con il chiaro intento di dare un maggiore peso ai cittadini per contrastare l’élite urbana. La riforma non ha di fatto successo e le famiglie continuano incontrastate ad esercitare il loro potere.
Con lestinzione del ramo dAcaia, anche Pinerolo perde dimportanza, a favore di Torino, che accelera il proprio processo di diversificazione del tessuto urbano, con lintroduzione di una nuova classe di cittadini influenti che esercita il potere accanto ai nobili.
La corte ducale e lUniversità danno forte impulso culturale alla città, con il fatto che i Savoia sono sempre stati grandi mecenati.  La famiglia sabauda aveva commissionato opere darte e decori per le residenze di Chambéry e Annecy, ora annettono al gruppo degli artisti il torinese Giovanni Jaquerio, autore tra laltro, tra il 1426 e il 1430, di una serie di affreschi per il monastero di SantAntonio di Ranverso, nei pressi di Torino.
Per quel che riguarda lUniversità, il polo culturale rimane uno dei piùimportanti e rinomati del territorio, anche se profondamente e forse eccessivamente- legato alla tradizione. Lo stesso Erasmo da Rotterdam, che consegue proprio a Torino il dottorato in Teologia nel 1506, critica piuttosto aspramente lAteneo, giudicandolo estraneo alle nuove correnti rinascimentali.
Nel corso del Quattrocento i Savoia ordinano una serie di interventi volti ad abbellire Torino, tra questi il più celebre è sicuramenteledificazione del Duomo, voluto dal cardinale Domenico della Rovere; il prelato incarica per la costruzione delle sue pietre viventilarchitetto toscano Bartolomeo di Francesco da Settignano, noto come Meo del Caprina, probabilmente conosciuto a Roma.
Vengono inoltre portate avanti varie regolamentazioni in materia di igiene pubblica, sostenute soprattutto dalla duchessa Bianca.
Mentre lurbanistica della città viene messa a lucido, il Consiglio cittadino lavora incessantemente per portare avanti i compiti di ordinaria amministrazione.
Torino è nel turbine del rilancio economico, cause esterne contribuiscono allincremento del commercio del pellame e del cuoio, mentre nel 1474 due artigiani di Langres si stabiliscono in città e aprono la prima bottega di stampa; per dieci anni contribuiscono alla diffusione di diversi testi religiosi e giuridici.
Le cose stanno cambiando, il fermento culturale ed economico non basta a sedare né le tensioni sociali, né le ostilità tra i Savoia e le famiglie aristocratiche. Il governo dei Savoia è per Torino fonte ambivalente, da una parte causa di successo ed estensione, dallaltra motivo di disordini e turbamenti. Lurbe è al centro delle lottedinastiche, linstabilità politica incide in negativo sul tenore di vita dei cittadini, lordine pubblico è continuamente minacciato, eppure la vita culturale e religiosa pare svolgersi normalmente, come testimoniano le attività degli artisti Martino Spanzotti, Marino dAlba e soprattutto Defendente Ferrari, allievo di Spanzotti e principale punto di riferimento per le successive generazioni di artisti piemontesi. Si diffondono nuovi culti, tra cui quello per la Vergine della Consolata, particolarmente sostenuto dalla duchessa Iolanda di Savoia, la devozione per il per il Divino Sacramento o Corpus Domini. Nel 1515 papa Leone X eleva la diocesi di Torino ad arcivescovado, separandola dalla sede milanese; nel 1517 viene nominato arcivescovo Claude Seyssel, un illustre prelato, prima insegnante di diritto presso lUniversità di Torino.


La situazione tuttavia era precipitata già a partire dal 1454, circa una decina danni dopo la Pace di Lodi, quando linvasione dei Francesi aveva scatenato un ciclo di guerre tra Francia e Spagna per il dominio della penisola. Gli scontri perdurarono fino al 1559, quando i possedimenti dei Savoia furono costantemente contesi dalle due potenze. È tuttavia il 1536 lanno critico per la casata dei Savoia. In pochissimo tempo il duca Carlo II assiste impotente allinvasione degli eserciti francese, spagnolo ed elvetico; Francesco I si appresta ad unaltra incursione in Italia per sottrarre Milano al dominio di Carlo V e questa volta Torino viene occupata e espugnata dai Francesi.
Quando viene ordinato alla cittadinanza torinese di costruire nuovi bastioni, il popolo, stremato dalle tasse, si rifiuta di anticipare il denaro per la costruzione delle edificazioni; il 27 marzo Carlo V si congeda dal Consiglio cittadino e si ritira a Vercelli con un piccolo seguito di soldati, cortigiani e funzionari. Il 1 aprile lesercito francese raggiunge i sobborghi torinesi e invia un araldo per chiedere la resa della città. I sindaci trattano con il comandante francese e ottengono la garanzia che le leggi e i privilegi dei cittadini vengano rispettati. La città apre le porte, le truppe francesi avanzano in città e qui si insediano, tra problemi di non facile soluzione, fino al 1559, quando la pace di Cateau-Cambresis restituisce Torino e il Piemonte ai Savoia, grazie a Emanuele Filiberto I (detto Testa di ferro), il duca che più di ogni altro ha influito sulla politica sabauda.  Egli ha reso Torino difendibile costruendo la Cittadella, un sistema di fortificazione ancor oggi osservabile; a lui si deve la creazione di un apparato militare stabile formato non da mercenari ma da  soldati piemontesi appositamente addestrati, a lui si ascrive la riorganizzazione dello Stato, ma di questo e altro, cari lettori,  parleremo la prossima volta.

ALESSIA CAGNOTTO

La Crimea di Cavour e la nascita della Romania. Dai principi Drãculesti ai regnanti dei Balcani

Lo sciame sismico originato dall’emigrazione dei Gozzano di Luzzogno a Cereseto, Casale Monferrato e Agliè riaffiora nella regione balcanica durante il periodo della guerra di Crimea appoggiata da Cavour. La genealogia dei Gozani in Ungheria è rappresentata sul dipinto conservato nella casa del marchese di San Giorgio Monferrato Titus von Gozani e della moglie Eva Maria Friese, abitanti a Dusseldorf senza eredi maschi, fonte di inesauribili informazioni storiche sulla loro antica casata. Il diploma di nobiltà fu concesso ad ambo i sessi di questa famiglia dall’imperatore Franz I° nel 1817 a Vienna, da poco ritrovato con relativi sigilli nell’archivio provinciale di Marburg.

Singolare la vicenda di Odo von Gozani figlio di Ludvik nobile dell’impero austriaco, marchese di San Giorgio Monferrato e fratello di Sidonia, di Ferdinando II° nonno di Titus e marito della baronessa Sophie Josephine Helene von Neustaedter di Zagabria. Odo, politico e capo ideologico nato nel 1885 a Lubiana, avvocato al servizio d’Austria come amministratore civile nella prima guerra mondiale, segretario di stato e inviato a Budapest come ministro degli interni, fu dimesso a causa delle sue idee nazionalistiche per aver esercitato una forte influenza sul movimento del fronte patriottico nel fallito colpo di stato austro-nazista. La paura di un atto di vendetta per falsa testimonianza davanti al tribunale militare di Vienna lo portò al suicidio.

Sidonia von Gozani, zia di Odo, sposò a Lubiana nel 1863 Joseph Maria Coleman Gerliczy, membro di una nobile casata d’Ungheria risalente al 1200 appartenente al patriziato onorario di Fiume nel 1600. Il diploma di nobiltà fu conferito loro nel 1626 dall’imperatore e re Ferdinando II° del litorale ungarico, confermato nel 1838 per tutti i discendenti di ambo i sessi. Le tre corone d’oro sugli elmi dello stemma del 1557, ufficializzato nel 1774, rappresentano la vicinanza all’autorità imperiale. Personaggio di spicco fu il cavaliere Giovanni Felice Gerliczy, bisnonno di Joseph, capitano e assessore al commercio, cancelliere della sanità e proprietario del palazzo barocco di Fiume nel 1750 ereditato dal fratello Giuseppe. Un disegno originale del palazzo, ex sede del teatro, si trova nell’archivio di stato austriaco.

Ferenc Gerliczy von Arany, pronipote di Giovanni Felice sposato con Gilda Fejèrvàry di Vienna, edificò la chiesa di Nostra Signora d’Ungheria accanto al loro castello di Desk. Il figlio Felix Vince Ferenc Gerliczy-Burian, nato a Oradea e morto a Nizza detto il conte Liechtenstein, acquisì notevole prestigio sposando la principessa Elsa Stirbey Bibescu di Cãmpina. A Oradea il cugino Szatarill Gerliczy, allievo del famoso pittore simbolista Gustav Klimt, edificò l’attuale Gerliczy Palace. Nel 1928 il castello di Desk fu venduto e trasformato in sanatorio infantile, oggi sede della clinica medica dell’università di Szedeg.
Barbu Stirbey, presidente del consiglio dei ministri e cugino della principessa Elsa figlia del principe Dimitrie Stirbey, possedeva uno dei patrimoni più grandi della Romania. Barbu era intimo confidente e amante della regina Maria Vittoria che lo soprannominò il principe bianco. Di bell’aspetto, elegante e raffinato nel comportamento era sposato  con la cugina principessa Nadeja Bibescu, pronipote di Napoleone Bonaparte. Elsa discendeva dal nonno Barbu Dimitrie Stirbey detto il dominatore, sovrano dal 1848 al 1853 in regime di statuto organico nel primo regno di Muntenia con capitale Bucarest e di Oltenia con capitale Craiova. Famoso il ritratto di Martha Lahovari Bibescu, nipote di Barbu e George Bibescu che abdicò nel 1848, eseguito da Giovanni Boldini nel 1911 che, come osserva la nostra critica d’arte Giuliana Romano Bussola, esercita le sue famose pennellate a sciabola per dare movimento e leggerezza. Martha, scrittrice e poetessa nata a Bucarest nel 1886 e morta a Parigi nel 1973, fu vestita per decenni dallo stilista parigino Christian Dior.

Barbu dovette fuggire a Vienna durante l’invasione russa in Crimea, rientrando dopo l’intervento del regno di Sardegna deciso da Camillo Cavour a fianco di Napoleone III° e della Gran Bretagna in difesa della Turchia. Dopo il trattato di Parigi, a seguito della disfatta dell’impero russo, Barbu sostenne nel 1856 la riunione dei principati di Moldavia e Valacchia sperando di diventarne principe, generando nel 1859 la nascita della futura Romania. Ma il suo mandato era scaduto, abdicò ritirandosi a Parigi e alla morte fu sepolto nella cappella Bibescu a Pére-Lachaise, il monumentale cimitero parigino dove riposano Balzac, Chopin, Callas, Edith Piaf, Jim Morrison e la nipote Martha Bibescu. Bellissimi i palazzi Stirbey Bibescu di Buftea, Brasov e Bucarest, quest’ultimo venduto dai discendenti per undici milioni di euro nel 2005. Quattro secoli prima, questi regnanti furono preceduti da Vlad II° Dracul detto il drago e dal figlio Vlad III° Tepes l’impalatore, famosi principi Drãculesti.
Armano Luigi Gozzano

I tesori dell’Accademia delle Scienze

Un’altra meraviglia nel cuore di Torino.

Nel pieno centro della nostra meravigliosa città si trova un bel palazzo seicentesco originariamente progettato per ospitare un collegio gesuitico e trasformato, in seguito, nella prestigiosa sede dell’Accademia delle Scienze.

Sebbene tra le carte ufficiali non ve ne sia traccia, la paternità di questo edificio è stata a lungo attribuita a Guarino Guarini. A supporto di questa tesi, o che Guarini ebbe un coinvolgimento nei lavori quantomeno parziale, vi è la certezza che l’architetto in quel periodo fu impegnato nel cantiere di Palazzo Carignano che si trova proprio a due passi dall’Accademia; sono visibili, inoltre, chiari influssi dello stile di cui Guarini era uno dei massimi esponenti, il barocco piemontese, che si possono osservare in diverse parti dell’edificio, ma soprattutto ammirando il magnifico scalone.La prima pietra fu posata nel 1679 da Maria Giovanna di Savoia di Nemours, l’idea di costruire il palazzo fu del gesuita Carlo Vota mentre l’urbanista Michele Garove diresse i lavori. Nel 1773 l’ordine dei gesuiti venne abolito e, dopo che la proprietà del palazzo diventò sabauda, il palazzo fu concesso alla neo costituita Accademia delle Scienze.

L’entrata è arricchita da due figure allegoriche femminili: Veritas, rappresentata da una donna appoggiata sul globo, e Utilitas, ritratta con cornucopia e il bastone alato con due serpenti, le statue sono divise tra loro dallo stemma coronato dei Savoia.

Sono diversi i tesori custoditi all’interno di questo luogo prezioso, ma certamente i più importanti e unici si trovano nel cuore dell’edificio, il piano nobile, nella Sala dei Mappamondi che prende il nome, appunto, dai due straordinari globi realizzati dal cartografo veneziano Vincenzo Maria Coronelli. Entrambi hanno un diametro di 110 cm e rappresentano, il primo, la cartografia terrestre e l’altro quella celeste. Le decorazioni della sala, realizzate nel 1787, sono di Giovannino Galliari.

I particolari da non lasciarsi sfuggire negli angoli della volta sono davvero molti tra cui una bussola, un astrolabio un compasso, un coccodrillo e un termometro, mentre il timpano riporta le iniziali di Re Vittorio Amedeo III che istituì l’Accademia. Sopra la porta che conduce alla Sala lettura troviamo i ritratti di Euclide e Pitagora mentre all’interno di questo spazio, colmo di edizioni prestigiose accolte all’interno di ricche librerie, spiccano immagini ornitologiche e tondi con suggestive figure di animali. L’ultima sala, dalla forma stretta e lunga, ospita gli schedari storici, le pubblicazioni periodiche dell’Accademia e i repertori bibliografici per agevolare la consultazione delle opere.

Un’altra ricchezza torinese, un altro pezzo di storia che conferma quanto il patrimonio culturale di questa città, sede di memorie ed eredità culturali, sia di straordinario valore.

MARIA LA BARBERA


Per richieste di informazioni generiche su eventi e iniziative: info@accademiadellescienze.it

Fonte:

Accademia delle Scienze di Torino

Gli “Antifascisti immaginari” di Padellaro

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
.
Il prof. Quaglieni

Antonio Padellaro ha pubblicato un polemico  libro  dal titolo significativo: “Antifascisti immaginari” (ed.Paperfirst) che ha  subito suscitato l’aspra critica di Gad  Lerner da poco uscito da  “Il fatto quotidiano” di Travaglio autore della prefazione.

Ho letto con una certa  diffidenza il libro,  notando subito quell’aggettivo “immaginari” che ricorda il titolo del celebre libro di Vittoria Ronchey dedicato ai marxisti immaginari di 50 anni  fa, cioè i contestatori violenti e dogmatici dai quali nacque la scintilla del terrorismo rosso.
Non sono libri rapportabili perché quello della Ronchey è inimitabile per la scrittura e l’ironia angosciata con cui affronta il tema della scuola al collasso. Gli “antifascisti immaginari” di Padellaro sono  soprattutto i giornalisti e i commentatori televisivi e della carta stampata (di cui lui stesso fa parte) che esibiscono un antifascismo fatto di slogan, frasi fatte,  parole d’ordine che altri urlano nei cortei e nelle piazze dopo aver cantato a squarciagola “Bella ciao”.
Padellaro rivela onestà, ricordando l’eroico (e dimenticato) antifascismo del Colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo vittima delle Fosse Ardeatine,  capo della Resistenza romana, che fu contrario al terrorismo dei Gap, responsabile dell’attentato di via Rasella da cui scaturì la rappresaglia bestiale delle Fosse Ardeatine.
Padellaro, scrivendo questo libro, si inimichera’ sicuramente l’Anpi e tutto l’associazionismo che fa della militanza antifascista ad 80 dalla Liberazione la sua unica ragion d’essere. Le pagine di Padellaro meritano di essere lette e sono anche  un sicuro  antidoto al velenoso ideologismo  di Canfora e di  Scurati. Fa piacere ad uno come me (che certe cose le scrive  da decine d’anni, trovando spesso indifferenza e ostilità) vedere che molte delle sue riflessioni siano state sdoganate da Padellaro che solo in parte riesce a separare l’attualità politica dalla riflessione storica perché è un giornalista militante.
Infatti il vero punto su cui concentrare l’attenzione è la storicizzazione del fascismo che maestri come Renzo De Felice e Gian Enrico Rusconi hanno avvviato con scarso seguito.
Bastano questi due nomi per ridimensionare  Padellaro che resta infatti un giornalista. Mi domando se anche a lui verrà appioppata l’accusa di revisionismo che è stata affibbiata a tanti come fosse un’eresia meritevole di scomunica. Lerner ha già dato qualche segnale di intolleranza che avrà sicuramente dei seguaci.
Nell’elenco degli “antifascisti immaginari” aggiungerei anche i piccoli storici torinesi che rinvigoriscono le vulgate pseudo-storiche del passato.
Solo Oliva è riuscito a scrivere con il distacco dello
storico vero, partendo dal tema negato delle foibe, per giungere ad essere il vero erede di De Felice e soprattutto di Pavone. Anche lui subì in passato attacchi feroci da parte di una certa accademia settaria  e non è in televisione così di frequente come lo è  Barbero che, invece di limitarsi al Medio Evo, fa continue scorribande nella contemporaneità, prediligendo l’antifascismo.

Torino al tempo del Risorgimento

Breve storia di Torino

1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
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4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
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9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

 

8 Torino al tempo del Risorgimento

Se parliamo di Risorgimento, parliamo anche di Torino.
Le stesse vie ora intrise di negozi e passanti, brulicanti di turisti e concittadini, odorose di caramelle e caldarroste, un tempo erano percorse da quegli stessi illustri uomini che fanno capolino sui libri di storia: Cavour, Mazzini, dAzeglio, Garibaldi, chi hafatto lItalialha quantomeno pensata proprio seduto tra i caffè torinesi, magari sorseggiando bicerin” o assaporando un bunet”.
Camillo Benso pranzava abitualmente al ristornante del Cambio, che si affaccia su Piazza Carignano ed era assiduo frequentatore dellormai storico Caffè Fiorio, situato sotto i portici di via Po, mentre la Contessa di Castiglione,  nota comela più bella donna mai vista alle corti dellepoca abitava niente meno che in via Lagrange 29, noblesse oblige come si suol dire.

Diversi luoghi cittadini sono intitolati a personaggi famosi di tale periodo, come ad esempio il Borgo Nuovo, dove si trova laiuola Balbo, dedicata a sei differenti figure, in primis al Primo Ministro del Parlamento Subalpino del 1848, oppure, per riportare un esempio meno conosciuto, in Piazzetta Maria Teresa ci si può imbattere nel monumento rivolto al patriota Guglielmo Pepe, il quale, disobbedendo al re Borbone Ferdinando II, ordinò alle sue truppe di attraversare il Po e raggiungere Venezia per sostenere la Repubblica veneziana nel 1848.
Lelenco è decisamente lungo, Torino pullula di nomi e luoghi che andrebbero citati a gran voce, ma temo che, se proseguissi in tal senso, perderei la primaria motivazione di questa serie di articoli riguardanti appunto- le vicende dellantica Augusta Taurinorum.
Mi trovo allora costretta a cambiare argomento, portando il discorso sui fatti e sugli avvenimenti che interessano le vicissitudini dellurbe pedemontana dal 1831 al 1861, senzaltro gli anni più importanti per quel che riguarda la storia della nostra città, che passa dallessere una piccola capitale sabauda alla periferia della Penisola, al divenire lindiscusso centro di comando per lunificazione nazionale.
Come sempre, andiamo per ordine e affrontiamo una tematica alla volta.


Tra le figure essenziali di tale periodo vi è sicuramente Carlo Alberto, il quale da subito garantisce un preciso programma di riforme burocratiche legali ed economiche con lo scopo di traghettare la capitale verso una modernizzazione non solo necessaria ma soprattutto auspicata.
Il re inoltre nomina un Consiglio di Stato, per rendere più funzionale e centralizzato il regno, riforma il sistema legale sabaudo e trova mezzi avanguardistici per contrastare le epidemie di colera. A partire da tali riforme, negli anni 30 viene promulgato un corpus di nuovi codici civili, penali e commerciali, si tratta del celebre Statuto Albertino, che si dimostra ben presto il più avanzato sistema legale dEuropa.
Dal punto di vista culturale Carlo Alberto si impegna in numerose iniziative decisamente ambiziose, tramite le quali desidera esaltare le vittorie e la gloria della casata sabauda, sia per stimolare lorgoglio popolare, sia per ingraziarsi la fedeltà alla monarchia. Vengono cosìrealizzati monumenti, palazzi e dipinti, ed in aggiunta si portano avanti campagne di commissioni architettoniche e artistiche per abbellire le residenze reali di Torino, come Racconigi e Pollenzo. Sicostruiscono poi monumenti pubblici nelle piazze della capitale, ognuno dedicato alla commemorazione di un preciso momento storico ovviamente legato o alla  dinastia sabauda o alla storia della città. Alla conclusione del regno di Carlo Alberto, Torino rivendica un patrimonio artistico nettamente superiore rispetto a quello di qualsiasi altra città italiana.
Di pari modo, per dare alla capitale lo status di centro artistico, il re fonda la Galleria Reale, luogo in cui è conservata la collezione di opere darte della famiglia Savoia: aperta al pubblico,  in alcuni giorni della settimana era possibile visitarla gratuitamente. Nascono in conseguenza a tali iniziative diverse istituzioni culturali, quali la Deputazione Subalpina di Storia Patria, il Consiglio per la tutela delle Antichità e delle Belle Arti e la Società Promotrice di Belle Arti; viene inoltre ampliata la biblioteca  di Palazzo Reale e si edifica la nuova sede per lAccademia di Belle Arti, in ultimo sono finanziate le opere di diversi scienziati tra cui quelle di Giovanni Plana, Amedeo Peyron e Amedeo Avogadro. Per  favorire il consenso popolare, il re stabilisce lintroduzione di nuove feste pubbliche e la reintegrazione di altre, in ogni caso si tratta di parate, giochi pirotecnici, competizioni sportive e balli in maschera.
Alla fine degli anni 40 tuttavia la situazione è tuttaltro che idilliaca, Torino si trova ad affrontare una grave crisi economica, fatto che contribuisce a creare una netta suddivisione della società: da una parte la classe istruita, chiusa nel proprio mondo di vibranti iniziative culturali, dallaltra il popolino, segregato in zone infime della città e destinato al proprio misero destino, – si pensi che un individuo appartenente a tale classe sociale aveva unaspettativa di vita che non superava i trentanni-.
Le tensioni sociali finiscono per indebolire lordine costituito, finché, nel 1847, si definisce una tacita alleanza tra il ceto medio e quello popolare: il 1 ottobre dello stesso anno si accendono effettivamente le prime vere proteste, mentre sui muri si leggono frasi come la guerra di classe non è lontana oppure morte ai nobili.
Le sempre più numerose insurrezioni portano Carlo Alberto ad approvare diverse riforme politiche. I poteri della polizia e dei censori vengono limitati e dallaltra crescono quelli del Consiglio di Stato. In questo clima di subbuglio spiccano importanti figure, dalla parte dei conservatori ricordiamo Vittorio Amedeo Sallier de La Tour e il Conte Carlo Beraudo di Pralormo, dalla parte dei moderati invece troviamo Camillo Benso di Cavour, Cesare Alfieri e Roberto dAzeglio, i quali proponevano una costituzione ultrademocratica e un rinnovamento pacifico della classe dirigente statale.
Mentre nella capitale prevale la posizione dei moderati, il 1848 èsegnato da sommosse e rivolte, la prima in Sicilia, seguita dalla Rivoluzione di febbraio in Francia, che rovescia la monarchia dOrleans.

 


È in questo generale contesto di fermento nazionalista che l8 febbraio 1848 Carlo Alberto emana lo Statuto: una nuova costituzione che prevede un innovativo governo monarchico e rappresentativo in cui il potere legislativo è ripartito fra il re e due camere: una Camera dei deputati costituita su base elettiva e un Senato formato da membri nominati a vita dallo stesso monarca. Lo Statuto viene promulgato nella sua interezza nel marzo dello stesso anno, la sua importanza  varca i confini del Piemonte e diventa modello per la monarchia costituzionale adottata dal nuovo Regno dItalia unitario dopo il 1861. Lo Statuto  testimonia il grande successo dell’élite moderata formata da personaggi di spicco della borghesia torinese, tra i quali emerge il carismatico Roberto dAzeglio.
Sempre nel 1848 Torino affronta una guerra di liberazione nazionale e di espansione contro limpero austriaco. La vicenda tuttavia non trova lieta conclusione, infatti nel marzo 1849 lesercito piemontese viene sconfitto nella battaglia di Novara, Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II, il quale negozia gli accordi di pace con gli Austriaci.
I moti rivoluzionari del 48, che avevano sobillato le folle torinesi con speranze patriottiche, si risolvono in unamara delusione e in una seconda restaurazione attuata dagli Austriaci con il sostegno di Pio IX e dello zar Nicola I.
Lunica eccezione al trionfo austriaco è proprio Torino. Il casato dei Savoia è lunica dinastia in Italia che non dipende dallinfluenza austriaca, inoltre la città si presenta come capitale dellunico stato  che mantiene una costituzione in cui c’è un parlamento che gestisce insieme con la monarchia la responsabilità del governo. Vittorio Emanuele accetta le procedure costituzionali per arginare i democratici e per guadagnarsi il supporto dei liberali moderati nelle politiche antiaustriache. La sopravvivenza dello Statuto fa si che Torino si differenzi  dalle altre città. Infine, con lingresso sulla scena politica di Camillo Benso, abilissimo leader, riformatore dinamico, statista di altissimo livello, si inizia a delineare una nuova tipologia di governo che assicura la partecipazione politica di ampie fasce del ceto medio urbano.
Dopo il 48, Torino è nuovamente scenario di iniziative riformiste che tra laltro influenzeranno grandemente il futuro dello Stato italiano dopo il 1861.
Fin dalla sua emanazione lo Statuto ha introdotto un forte cambiamento nella classe politica piemontese, allinterno della quale laristocrazia assume via via un ruolo sempre più modesto, pur continuando a gestire la vita politica della città. La maggioranza dei nobili si identifica nella coalizione di monarchici conservatori guidati dal conte Ottavio Thaon de Revel, il quale beneficia di potenti legami sia con la Chiesa cattolica che con la corte sabauda, inoltre trova sostegno nel corpo diplomatico, nella gerarchia militare e nelle campagne. A questa fazione si contrappone lo schieramento dei riformatori moderati, tra i quali troviamo Camillo Benso di Cavour e Massimo dAzeglio (fratello di Roberto).
Ben presto è proprio  Camillo Benso a emergere come figura politica dominante, prima, sotto il governo di dAzeglio, come ministro dellAgricoltura, del Commercio e della Marina, in seguito, dopo il 52, come primo ministro. Egli è certo un intraprendente imprenditore agricolo, ma soprattutto è un rispettato esperto di politica economica nonché fautore delle ferrovie. Camillo viene descritto dal cugino come un aristocratico per nascita, gusti e natura, lui stesso considerava la nobiltà superiore per natura alla classe borghese. Già dagli anni 30 Cavour porta avanti la sua celebre convinzione del juste milieu, secondo cui un governo deve evitare gli estremi dellassolutismo e dellanarchia e seguire un programma che porti ad un progresso graduale e ordinato. Egli è nemico giurato dei movimenti repubblicani e democratici, ma si trova ad essere fortemente contrastato dalla Chiesa, specie dal monsignor Luigi Franzoni, arcivescovo di Torino tra il 1831 e il 1862.
Camillo Benso, negli anni 50, si pone al centro della lotta per secolarizzare lo Stato piemontese, attraverso la divisione istituzionale dei poteri tra Monarchia e Parlamento; egli risulta altresì figura fondamentale in ambito economico, poiché introduce una politica di libero commercio volta a favorire lingresso del Piemonte sui mercati europei, e a stimolare le esportazioni dei prodotti grezzi piemontesi e a determinare un abbassamento del costo delle importazioni di macchinari e prodotti finiti. Cavour si dedica anche alla problematica del deficit del bilancio statale, che nel 1850 era risultato negativo a causa delle spese di guerra e delle riparazioni allAustria. Altre iniziative importanti riguardano il coinvolgimento del governo per una serie di miglioramenti infrastrutturali  volti alla riorganizzazione del sistema di credito, alla creazione di nuovi istituti finanziari, allampliamento delle casse di risparmio,  e alla fondazione della Borsa di Genova e di quella di Torino.
Nonostante i miglioramenti economici degli anni 50, lintegrazione del Piemonte in un più ampio quadro nazionale si gioca su di un piano tutto politico-culturale; Torino è un laboratorio di idee, nonché meta per moltissimi rifugiati politici in fuga dalle forze reazionarie presenti nella Penisola, tra questi vi sono scrittori, accademici, personaggi politici, che non solo trovano riparo ma riescono ad integrarsi nella società, ricoprendo  impieghi redditizi, attraverso collaborazioni con i giornali, insegnando alluniversità o trovando occupazioni nel settore delleditoria. Se da una parte questi esuli contribuiscono a realizzare unatmosfera cosmopolita, dallaltra non tutti apprezzano tale situazione, come i membri più tradizionalisti dellaristocrazia, che si sentono minacciati nelle loro posizioni.
Torino è ora mossa da una nuova vitalità culturale, che si realizza nella diffusione di unincredibile varietà di spettacoli teatrali e musicali, rivolti ad un pubblico sempre più ampio e variegato, costituito da militari, studenti e membri del ceto medio. Inoltre la cittàè anche centro di informazione, come dimostrano i ben tredici quotidiani che pubblicano sia editoriali che notizie di cronaca, oltre alle cinquanta riviste dedicate alla politica, alle scienze, alla letteratura o alle belle arti.  In quegli anni il giornale più letto è La Gazzetta del Popolo, grazie al prezzo contenuto e al linguaggio semplice, che si rivolge prima di tutto alla fascia popolare della cittadinanza, ossia piccoli negozianti, artigiani ed operai.
In questi anni Cavour ha nuovamente la possibilità di dimostrare il suo genio, che primeggia nellabilità di sfruttare le occasioni e nel talento per limprovvisazione di fronte a eventi inaspettati.
Momento essenziale è poi la guerra di Crimea (1855), alla quale Cavour aderisce tardi e con riluttanza, senza nemmeno convertirsi del tutto allideale nazionalista, ma mosso principalmente dal timore di unalleanza franco-autriaca. Tuttavia tale scontro porta a Torino un discreto prestigio e nel contempo scombussola il vecchio assetto politico: la situazione è prontamente sfruttata da Camillo Benso, che approfitta della divisione tra i Grandi Stati per espandere i propri interessi nella Penisola. Il Primo Ministro decide dunque di adottare una politica estera programmata per lallargamento dei confini del regno verso nord  e per lampliamento del suo controllo sul resto della Penisola. Questa decisione segna in realtà una tappa fondamentale per lunificazione: è la prima volta che uno stato potente acconsente ad abbracciare la causa del nazionalismo italiano.
Tra il 56 e il 59 Cavour porta avanti una coraggiosa, seppur ambigua, politica estera, alla base della quale vi è lobiettivo primario di cacciare gli Austriaci dal territorio. Nel 1858 si presenta lopportunità attesa: Napoleone III stringe un accordo con Cavour in cui è garantito lappoggio militare francese al Piemonte se questo avesse trovato un pretesto diplomatico per provocare una guerra contro lAustria. Le ostilità si aprono nel 1859, con le battaglie di Magenta e Solferino. Nello stesso anno tuttavia Napoleone III firma degli accordi di pace con lAustria e Cavour subisce una forte battuta darresto. Lanno successivo, riconfermato Primo Ministro, Camillo Benso torna allattacco e organizza plebisciti in Toscana e in Emilia per legittimare lannessione di gran parte dellItalia centrale al casato dei Savoia. Vengono ceduti alla Francia i territori della Savoia e di Nizza, tuttavia la cittadinanza torinese può essere più che orgogliosa dei successi conseguiti dal loro concittadino. Cavour non può godere dei propri successi, poiché nello stesso anno, in seguito alle rivolte scoppiate in Sicilia, Giuseppe Garibaldi si mette alla guida della celeberrima Spedizione dei Mille. Camillo allora invade gli Stati Pontifici, giustificando tale azione come unico modo per evitare la rivoluzione, viene infine chiamato il re Vittorio Emanuele II a guidare le truppe piemontesi, escamotage pensato dallastuto Primo Ministro, consapevole del rispetto di Garibaldi per  Vittorio Emanuele.  Garibaldi cede al re i territori appena conquistati, mentre Cavour consolida le nuove acquisizioni e blocca ogni iniziativa per instaurare assemblee costituenti, e indice plebisciti per far approvare lannessione dei nuovi territori al Piemonte.
Il processo di unificazione politica  culmina nei primi mesi del 1861 con lelezione del primo Parlamento Nazionale, il riconoscimento di Vittorio Emanuele II come primo re dItalia e la nomina di Torino a capitale del Regno.  


ALESSIA CAGNOTTO 

Il MAUTO dedica una mostra a Carlo Felice Trossi, “cesellatore” di curve

Il Museo Nazionale dell’Automobile presenta la nuova grande mostra intitolata “Carlo Felice Trossi. Eroe incompiuto” dedicata alla figura poliedrica del pilota biellese. La mostra inaugura il 15 maggio e rimarrà aperta fino al 28 settembre 2025.

L’esposizione si snoderà lungo un percorso di scoperte che riguardano cimeli, testimonianze fotografiche,  disegni, fino a automobili, aerei e imbarcazioni. La mostra è curata dallo storico e saggista Giordano Bruno Guerri, affiancato nel progetto allestitivo da Maurizio Cili.

Carlo Felice Trossi (1908-1949), appassionato pioniere dell’automobile e protagonista delle competizioni sportive tra le due guerre, risulta una figura affascinante,  eroica, geniale e visionaria. La sua carriera non si esaurisce nell’automobilismo, ma abbraccia anche la progettazione di imbarcazioni di avanguardia, di aeroplani e la partecipazione a competizioni aeronautiche. Nella sua breve vita ha saputo coniugare un mecenatismo raffinato con capacità progettuali e imprenditoriali straordinarie, diventando un esempio di lungimiranza e avanguardia. Il villese Carlo Felice Trossi, conte di Pian Villar, fu sicuramente un attore di primo piano sulla scena motoristica negli anni Trenta. Nato nel 1908, rimase orfano in giovane età del ladre, scomparso a 36 anni in un incidente stradale. Affascinato dai motori fin da ragazzo, esordì nel mondo delle gare automobilistiche nel ’31 partecipando alle Mille Miglia, organizzate dall’Autoclub di Brescia, in coppia con l’amico rivale Antonio Brivio, Marchese Sforza. L’anno seguente ottenne, davanti a Brivio, la vittoria nella Biella Oropa, nel 1931. Entrò così a far parte della scuderia Ferrari, disputando quattro Gran Premi nel 1933. Nel 1934 vinse a Montreux, trionfando in seguito nel primo circuito automobilistico di Biella. Appassionato di volo, oltre che di motori, partecipò a due edizioni del Raduno Sahariano, gara di regolarità aerea a tappe organizzata in Libia dal maresciallo dell’aria Italo Balbo, e si fece promotore della costruzione di un campo di volo nel biellese. La sua carriera proseguì fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, durante la quale fu pilota di aerosiluranti. Nel 1947 vinse a Milano il Gran Premio d’Italia. L’ultima gara da lui disputata, nel 1948, sul circuito del Valentino, a Torino, si ritirò per un guasto meccanico. Morì il 5 maggio 1949, a Milano, per malattia.

Mara Martellotta

Viaggio alla scoperta del Teatrino Civico di Chivasso

Un antico, piccolo teatro all’italiana, fiore all’occhiello per il Piemonte e la cultura, la sua storia, il suo accurato restauro

Uno dei grandi e pregevoli tesori che l’Italia racchiude sono i suoi antichi teatri, alcuni dei quali si possono ritenere autentici piccoli scrigni di fascino e storia. Lasciate quindi le grandi città con i loro aulici teatri di ampie proporzioni, vale la pena fare esperienza delle realtà non meno avvincenti che la provincia può offrire nei suoi borghi antichi e nelle sue cittadine storiche dal passato importante con i loro centri storici, memorie di un più vasto paesaggio urbano da proteggere e conservare, che racchiudono altrettante realtà capaci di svelare incanti e storie secolari.

 

In un Paese benedetto da tanta bellezza come l’Italia, giustamente considerato un museo a cielo aperto, si possono scoprire luoghi sconosciuti e presenze inattese cariche di storia e di cultura. Chivasso, a pochi chilometri da Torino al confine tra il Canavese ed il Monferrato vale una gita fuori porta per scoprire e visitare un vero e proprio gioiello settecentesco unico per bellezza ed armonia. E’ il Teatrino Civico che trovò il suo spazio ideale nel cuore di questa millenaria cittadina di grande importanza strategica e di secolari vicende eroiche, già feudo dei Marchesi del Monferrato, crocevia di eventi politici, storici e culturali.

Proprio percorrendo le antiche mura del centro storico con le sue eterne pietre che non si stancano di raccontarsi si raggiunge il Palazzo Santa Chiara dove, al pian terreno, ha da secoli trovato sede il Teatrino. Camminando tra questi solidi mattoni a vista saturi del lavoro di plurisecolari maestranze, con quelle tipiche calde tonalità che il tempo ha depositato su di loro, si viene catturati da quello strano senso di appartenenza che soltanto alcuni luoghi sanno dare. Il Palazzo dall’austera facciata ingentilito alla sommità da una meridiana che da sempre gioca con il sole da cui prende vita e che, a ben guardarla, parla dell’immaterialità del tempo che scorre,  porta scritto il motto latino di origine biblica “ Ut filii lucis ambulate “, camminate come figli della luce.

Dall’Ottocento ospita il Municipio chivassese e venne edificato nel cuore del XVIII secolo su progetto del padre gesuita Antonio Falletti di Barolo che aveva previsto un vasto complesso pensato per le suore Clarisse Osservanti, un progetto il suo più visionario che reale e mai concluso a causa dei costi troppo elevati. Si dovette attendere il 1864 quando, in quella che fu la cappella interna del convento al pian terreno, venne realizzato il Teatrino Civico su progetto dell’Ingegner Fausto Gozzano, padre di Guido, scrittore e poeta la cui fama è andata ben oltre i confini del Piemonte. Venne inaugurato il 16 Ottobre di quello stesso anno dalla Compagnia chivassese dei Dilettanti Filodrammatici ed ogni volta che vi si entra ci si trova a vivere la magia dell’incanto di questo ambiente accogliente, elegante, ospitale ed intimo perché il teatro di per sé è uno di quei luoghi che svelano meraviglie, storie di tempi lontani e di memorie, intrecci di vite, di sentimenti, di aspettative ma anche di sfumature di colori e di profumi tra cui quello caratteristico del palcoscenico così caro e appagante alla gente di spettacolo. Il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, a cura della Delegazione Fai di Torino recentemente ha proposto un’apertura straordinaria in collaborazione con la Fondazione Piemonte dal Vivo, nell’ambito dell’iniziativa “ A teatro con il FAI ”, con visite guidate a questo scrigno prezioso dove è pura magia esserci entrati guidati alla scoperta e pura follia uscirne e non tornarci.

Due associazioni unite  dalla medesima finalità, quella di porre particolare attenzione al territorio regionale in tutte le sue sfaccettature ed offerte culturali. Nel 2003 il Teatrino è stato oggetto di un attento restauro che gli ha donato un fascino senza precedenti, curato dall’Architetto Donatella D’Angelo, nota firma indiscussa nel mondo dei restauri conservativi e della rivalutazione dei centri storici, che ha qui messo cuore e mano a questa importante e delicata impresa dopo attenti studi, ricerche storiografiche e tecniche per rivalutare e proporre la vera essenza di questo esempio di teatro all’italiana che fiorì appunto nel Settecento in tutte le regioni così come in Piemonte con questo pregevole esemplare che Chivasso custodisce. Un lavoro complesso realizzato con sensibilità e cura estrema di tutti i dettagli tecnici ed artistici, con lavori di recupero nei paramenti lignei dei palchi e dell’affresco del soffitto raffigurante le allegorie della Musica, della Commedia e della Tragedia, opera del pittore Pietro Silvestro. L’effetto voluto è stato pienamente raggiunto: un’ autentica bomboniera, un mondo di stucchi ritrovati, di linee ridisegnate sull’antica traccia, di legni dorati riportati al loro splendore, di velluti e tenui colorazioni antiche nelle tonalità del “ blu Savoia “ nelle sue sfumature, colore divenuto il filo conduttore degli ambienti e che riprende quelli originali per dargli un luminoso soffuso risalto. Anche la scelta accurata delle belle poltroncine Frau della platea e degli sgabelli Thonet della balconata, scelti nella stessa sfumatura di colore con la massima attenzione, hanno contribuito ad accrescere il fascino raggiunto da questo restauro abbellendo in tutti i particolari il Teatrino  e riuscendo ad offrire la massima capienza in un totale di 99 sedute.

Dalle antiche perfette proporzioni che i nostri avi avevano innate nasce quel gioco di pura armonia che in questo ambiente è espresso perfettamente e che è stato pienamente rispettato e completato. L’effetto finale si potrebbe paragonare a quello di una conchiglia rovesciata, pensata per ospitare e racchiudere un mondo dove gli elementi si fondono tra il palcoscenico e la platea in una sorta di intesa reciproca perché uno sta all’altra proprio come la conchiglia sta al mare che l’accoglie e ci si aspetterebbe di veder uscire da quel sipario con i suoi vaporosi tendaggi che nascondono per poi rivelarli mondi straordinari, il grande, indimenticabile Gigi Proietti che invita tutti con la sua famosa frase : ” Benvenuti a teatro, dove tutto è finzione ma niente è falso ” e che senza alcun dubbio avrebbe amato  questo Teatrino, esempio perfetto di armonia e storia.

Patrizia Foresto

Le celebrazioni per i 750 anni del Palio di Asti

Il 2025 segna un traguardo storico per la città di Asti: il 750° anniversario del Palio, le cui origini documentate risalgono al 1275. In quell’anno, secondo il cronista Guglielmo Ventura, gli astigiani corsero il Palio sotto le mura della città nemica di Alba, un gesto che testimonia l’importanza e la longevità di questa tradizione.

Nel segno della tradizione che si rinnova, il Comune di Asti ha voluto celebrare i 750 anni del Palio con la creazione di un logo ufficiale che accompagnerà tutti gli eventi dell’anno commemorativo. Il logo è stato realizzato da Simone Riccio, studente della classe 4F del Liceo Artistico “Benedetto Alfieri” di Asti, che si è distinto per la capacità di coniugare simboli storici e freschezza grafica. Il logo rappresenta così un ponte tra il passato glorioso del Palio e il suo futuro, vissuto con entusiasmo dalle nuove generazioni.

Per celebrare i 750 anni del Palio il Comune di Asti, in collaborazione con le istituzioni, gli enti del territorio e il Collegio dei Rettori, ha organizzato un ricco calendario di eventi che si snoderanno per tutto l’anno, coinvolgendo cittadini e visitatori in un viaggio attraverso la storia, la cultura e le tradizioni astigiane.

Il 21 maggio il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, emetterà un francobollo relativo al Palio di Asti, appartenente alla serie tematica “le Eccellenze del Patrimonio culturale italiano”, dedicata alle rievocazioni storiche. Il 24 maggio sarà il giorno della Sfilata storica serale a tema 750 Anni del Palio. L’evento, che si snoderà lungo le vie del centro storico, organizzato in collaborazione con il Collegio dei Rettori, consentirà a cittadini e visitatori di immergersi nella suggestiva atmosfera medievale della città per poi proseguire la serata in convivialità con Wine Street, evento enogastronomico diffuso per l’intero centro storico.

L’inaugurazione della mostra “Palius Astensis cursus fuit”, prevista per il 30 maggio presso il Museo del Palio, celebrerà i 750 anni dalla prima attestazione della corsa vicino alle mura della nemica Alba, propone un viaggio attraverso i secoli nella storia del Palio di Asti visto attraverso la lente dei documenti, delle immagini e dei manufatti dell’Archivio Storico Comunale.

In occasione delle celebrazioni per il 750 anniversario del Palio di Asti, le sale espositive di Palazzo Mazzetti ospiteranno da giugno a settembre 2025 ben due mostre dedicate alla manifestazione: nella prima, “Mario Perosino. Il canto delle muse enigmatiche e dei malinconici guerrieri”, verrà ricordato un grande artista astigiano, prematuramente scomparso, che ci fa sognare con dipinti e disegni che rievocano un medioevo tra il fantastico e la metafisica; nella seconda, “Volti e colori del Palio di Asti”, verranno esposti i ritratti fotografici di uomini e donne del Palio astigiano realizzati da Claudio Vergano, che esaltano con una tecnica particolare e una luce caravaggesca la perizia tecnica e filologica della scuola del costume storico astigiano, accompagnati dall’esposizione dei drappi del Palio della Collegiata dal 2001 al 2020, che rimandano a molti artisti presenti con le loro opere nella Pinacoteca di Palazzo Mazzetti.

Il 5 luglio sarà la volta della Notte Bianca del Palio, in collaborazione con il Collegio dei Rettori, con eventi culturali, musicali e gastronomici che animeranno le vie del centro storico.

Le celebrazione del “Compleanno del Palio”, sono previste per il 30 agosto prossimo con un brindisi lungo le antiche mura cittadine, in ricordo della corsa del 1275 che si tenne proprio il giorno di San Lorenzo. In collaborazione con il Consorzio dell’Asti DOCG.

Il 7 settembre prossimo sarà il giorno del Palio dei 750 anni, mentre dal 17al 23 settembre si svilupperà il Festival del Medioevo Astese. Nato con l’obiettivo di raccontare la storia economico-finanziaria della città, quest’anno il Festival aggiunge il tema del Palio, della corsa e del suo universo di arti, consumi e consuetudini. Sarà un evento di alto profilo che vedrà la partecipazione di esperti e accademici provenienti da tutta Europa. Il palio e la figura del patrono, i cavalli, il favore divino e conflitti medievali saranno argomenti di grande fascino per i paliofili e per tutta la cittadinanza.

Proseguono nel mese di maggio le visite del Capitano del Palio nelle scuole che coinvolgeranno circa 700 bambini in attività didattiche volte a trasmettere la storia e i valori di questa antica tradizione. Nell’ambito del progetto “A lezione di Palio “quest’anno è in corso di distribuzione nelle scuole una pubblicazione, realizzata dall’Assessorato al Turismo, Manifestazioni e Palio e ideata da Luca Gippa. Per il 2025 è stato indetto il Concorso “Disegna il tuo Drappo”, dedicato alle classi che hanno aderito al progetto “A lezione di Palio”. Le classi che invieranno il maggior numero di disegni saranno premiate con buoni spesa del valore di € 1000.

Mara Martellotta

Il 1975 (annus horribilis anche a Torino) 50 anni dopo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
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Il 1975 fu  un anno orribile della storia italiana (solo il ‘77 e il ‘78 furono peggiori per gli assassini di Casalegno e di Moro) perché la violenza della contestazione gruppettara stava imperando in modo selvaggio. Fu l’anno in cui, chiamato dal prof. Emilio Papa a tenere il mio primo seminario alla Facoltà di Scienze politiche di Torino sui due manifesti degli intellettuali fascisti ed antifascisti di Gentile e Croce scritti nel 1925, mi trovai in seria difficoltà perché una parte degli studenti si era iscritto solo perché con il seminario veniva fiscalizzato l’esame. Malgrado i miei sforzi volti a  condurre il seminario su una direttrice rigorosamente storica, come era stato il libro di Papa sui due manifesti del 1958, ci furono tentativi di introdurre in modo rozzo temi politici legati all’attualità che non avevano nessun legame con il Seminario.  Ci fu persino chi obiettò in modo ridicolo che non si doveva parlare di Gentile che era stato con Mussolini anche a Salò. Fui fermissimo nell’impedire o almeno a contenere  interventi inappropriati. Più che un seminario fu una serie di mie lezioni, il  che mi rivelò nel giro di pochi anni il decadimento degli studi universitari.  Pochissimi studenti a conclusione del seminario furono in grado di elaborare una ricerca che avesse anche un minimo di valore scientifico. Anche in ragione di ciò Papa volle intervenire ad un colloquio conclusivo del seminario in cui emerse la tendenza ad “attualizzare” il tema.
Ma il 1975 fu per me anche un periodo di insegnamento in un istituto superiore di Torino con sede nella precollina torinese nel quale un soviet di professori ex sessantottini  tentò, riuscendovi, di creare un clima politico irrespirabile, complice un preside allora vicino al  “Manifesto” destinato ad una lunga traversata del deserto che lo portò tanti anni dopo a finire a destra. Quando entrai la prima volta in quella scuola, vedendo tutti in giacca a vento (solo io avevo il cappotto),mi domandai se stessero tutti  tornando dalla montagna. Capii poi che era una uniforme come l’eskimo. Il Soviet impose votazioni per alzata di mano su tutti i temi su cui i docenti dovevano esprimersi, l’abolizione dei libri di testo a vantaggio di striminzite e improvvisate biblioteche di classe, l’abolizione delle lezioni frontali sostituite con i gruppi di studio durante i quali i professori leggevano il giornale. Una docente disse che lei riteneva la lezione una imposizione dall’alto di tipo fascista che andava abolita  in una scuola davvero “democratica”.
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Fu un disastro con la scuola occupata per un altissimo numero di giorni da una esigua minoranza di studenti esaltati. Fu davvero un fatto  eccezionale che non capitarono incidenti gravi perché le premesse per la violenza c’erano tutte. Ovviamente l’anno scolastico fu totalmente improduttivo e si concluse con una promozione generalizzata. Fu un vero peccato che penalizzò gli studenti provenienti da famiglie non abbienti i quali avrebbero  potuto avvantaggiarsi della scuola per la loro crescita culturale e civile. Fu un anno perso per centinaia di studenti che furono presi in giro dalla demagogia più greve. Il clima di intolleranza fece sì che per alcuni mesi anch’io chinai la testa silenziosamente ,anche attanagliato da problemi personali che angustiarono molto quel periodo Dopo qualche mese con alcuni colleghi ritirammo su la testa e, nei limiti del consentito, ci ribellammo al Soviet anche perché il preside si rese conto che così non si poteva andare avanti. A Torino non si arrivò mai alle chiavi inglesi che uccisero Sergio Ramelli, anche se il rogo a cui fu condannato  lo studente Roberto Crescenzio, resta a testimoniare una pagina indegna di cronaca torinese in cui fu coinvolta “Lotta continua” . Il clima di certe scuole torinesi, rileggendo come si viveva nelle scuole milanesi, non era molto diverso. Anche all’Università vivemmo anni bui. Le mie in modi  non confrontabili furono   due esperienze indimenticabili anche a 50 anni di distanza.

Francesco Faà di Bruno, il beato torinese di via San Donato 

Le celebrazioni torinesi nel bicentenario della nascita di San Francesco Faà di Bruno, nato ad Alessandria nel 1825 e morto a Torino nel 1888 in concetto di santo, ricordano l’anima squisitamente religiosa e intellettuale che seppe armonizzare in modo splendido la scienza e la fede. La sua evoluzione morale  non aveva per meta un cielo popolato di costellazioni ma un cielo ben più elevato, denso di princìpi ricchi di unità e giustizia. Francesco concluse gli studi classici a Novi Ligure nel collegio dei Padri Somaschi e a Torino completò gli studi all’Accademia militare con il grado di luogotenente di Stato maggiore, seguendo le orme del fratello Emilio capitano di vascello. Dopo la ferita subìta nella disfatta della battaglia di Novara a fianco del giovane principe Vittorio Emanuele II di Savoia, Francesco fu promosso capitano dal re Carlo Alberto. Alla Sorbona di Parigi ottenne il dottorato in scienze matematiche e astronomia e fu nominato astronomo dell’osservatorio delle longitudini. Il suo celebre maestro e religioso Cauchy della Sorbona e l’amico Don Bosco gli trasmisero non solo l’amore per i numeri ma qualcosa di più profondo e significativo, la scienza di tutte le scienze, il loro Dio.

Rientrato a Torino, Francesco diede le dimissioni dallo Stato maggiore e ottenne per acclamazione la cattedra di matematica e fisica all’Università, insegnando analisi e geometria superiore. Con grande ardore di apostolato fondò l’Opera Pia di Santa Zita al numero 31 di Borgo San Donato, la protettrice delle domestiche nel borgo dei dannati dell’epoca, rifugio e sostegno per le categorie femminili più vulnerabili e ragazze madri con scuola per allieve maestre e lavanderia a vapore con sessanta operaie, un’opera assistenziale che i torinesi conoscono molto bene. Sul terreno acquistato dieci anni prima attivò la costruzione della chiesa di Nostra Signora del Suffragio, oggi comprensiva di istituto scolastico per l’infanzia, scuola primaria e secondaria di primo grado, centro studi di ricerca scientifica, biblioteca, teatro e museo. Suo il progetto architettonico del campanile a forma di matita attiguo alla chiesa posto su 14 piani differenti raggiungibili con 300 gradini, dotato di osservatorio astronomico all’ultimo piano e di orologi con diametro di due metri e mezzo sui quattro lati, visibile dalle lavoratrici per non essere ingannate sull’orario di lavoro.

 Dopo la nomina di sacerdote, fondò a Torino e a Benevello di Alba l’Istituto San Giuseppe per l’istruzione professionale femminile, a Torino la Congregazione Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio e ad Alessandria la Confraternita di San Vincenzo de’ Paoli. Mirabile la sua affermazione in campo scientifico, pubblicando trattati sulle teorie delle funzioni variabili complesse di alta matematica e astronomia, gettando nuova luce sulla complicata sfera di studi accessibili a pochi. Fu anche pianista, organista e musicista utilizzando i testi di Alessandro Manzoni e del fratello padre scolopio Carlo Maria per completare le  partiture musicali prodotte nella sua piccola casa editrice. Compose tre mazurche per la regina Maria Adelaide di Savoia e fu molto apprezzato da Liszt. Nella chiesa del Suffragio, Francesco ripeté l’esperimento dimostrativo sulla rotazione della terra con il metodo del parigino Léon Foucault, la teoria delle forme binarie detta formula Faà di Bruno tradotta in tedesco. Fu premiato con medaglia d’argento per l’invenzione di uno scrittoio per ciechi utilizzato dalla sorella non vedente Maria Luigia, inventò una sveglia elettrica, un barometro a mercurio, un fasiscopio che rappresentava la formazione delle fasi lunari e partecipò alle Esposizioni Universali di Londra e Parigi. Fu giornalista e scrittore di opere religiose e fondò l’almanacco morale e istruttivo “Il galantuomo”, in seguito gestito da Don Bosco.
Il sacerdote Francesco era l’ultimo dei tredici figli del marchese Luigi Faà, studioso, scrittore e sindaco di Bruno, Solero, Alessandria e di Carolina Maria Teresa Sappa dè Milanesi, nipote del poeta monferrino Alessandro marito della contessa Porzia Marianna Gozzani di San Giorgio. Nella genealogia della antica e nobile casata astigiana risalente al XVI secolo troviamo la marchesa di Mombaruzzo Camilla Faà di Bruno, la bella Ardizzina sposata  rocambolescamente con il duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Gonzaga, antenato del principe Maurizio Gonzaga di Roma. Camilla era prozia del marchese Ferdinando II Faà di Bruno, sposato con la contessa Antonia Maria Gozzani di San Giorgio, zia di Porzia Marianna. Francesco, nipote del vescovo e principe della chiesa di Asti mons. Antonino Faà di Bruno, fu sepolto nel camposanto torinese e traslato nella sua chiesa di via San Donato nel centenario della nascita. Il geniale ed eclettico sacerdote, considerato uno dei santi sociali torinesi e patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito Italiano, non si accontentò di predicare esaurendo sulle labbra il fervore umanitario ma sacrificò la dedizione della sua persona nell’attività economica e spirituale in favore del prossimo. Il processo canonico per l’elevazione agli altari iniziato nel 1928 si concluse nel 1988 con la beatificazione da parte di papa Giovanni Paolo II.
Armano Luigi Gozzano