STORIA- Pagina 138

“Il Piave mormorava…”

Tutto ebbe inizio nel mese di maggio /  Soldati di Terra e di Mare. L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.

Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo. Soldati a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri“. Così parlò dal Gran Quartier Generale il Re d’Italia,Vittorio Emanuele III, con un discorso gonfio di retorica. Era il 24 maggio 2015, un lunedì, giorno dedicato alla Beata Vergine Maria Ausiliatrice. Erano passati dieci mesi dall’agosto del 1914 che aveva segnato l’inizio del conflitto. Il ”maggio radioso”, come viene spesso chiamato il periodo che prelude all’entrata in guerra dell’Italia, fu un mese di fermento diplomatico e di forte tensione politica. Il fervore interventista si concretizzò in manifestazioni di tutte le piazze della penisola e D’Annunzio arringava la folla e la incitava contro Giolitti, fautore della linea della neutralità. L’Italia era ormai prossima a rompere l’antico patto con Austria e Germania e a entrare in guerra a fianco dell’Intesa, secondo i piani segreti firmati a Londra il 26 aprile del 1915.

I primi fanti marciarono contro l’Austria proprio quel giorno, oltrepassando il confine, “per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera“.Iniziava così, anche per l’Italia, la “Grande guerra”. L’Italia, incurante del patto sottoscritto fin dal 1882 (Triplice Alleanza) con l’Austria-Ungheria e la Germania, decise di entrare in guerra cambiando alleanza e schierandosi con la Triplice Intesa, formata da Francia, Inghilterra e Russia. La Triplice Alleanza era un trattato di carattere puramente difensivo, che prevedeva il reciproco aiuto in caso di invasione esterna. Questa clausola permise all’Italia, visto che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia senza avvisarla, di rimanere neutrale allo scoppio del conflitto. Dopo essersi dichiarata tale l’Italia decise successivamente di schierarsi a fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Impero Ottomano). La vittoria, secondo l’accordo, avrebbe garantito all’Italia il Trentino e il Sud Tirolo, con il confine al Brennero; Trieste e l’Istria fino al Quarnaro, ma senza Fiume; la Dalmazia, una sorta di protettorato sull’Albania e compensi indefiniti in caso di disgregazione dell’Impero Ottomano e di guadagni coloniali da parte inglese e francese. Il comando supremo delle operazioni venne affidato al generale Luigi Cadorna.

Tre erano le zone del teatro di guerra italiano: Trentino, Cadore e  la valle dell’Isonzo, nella Carnia. Un compito piuttosto  difficile dal momento che il confine italiano era lungo oltre 600 chilometri ed era molto vulnerabile. Il confine col Trentino era decisamente montuoso, favorevole alle posizioni austriache, lì ben fortificate, come pure in Cadore e in Carnia, dove il fronte correva lungo la displuviale delle Alpi.Diversa era la situazione sull’Isonzo: da Tolmino al mare Adriatico, le Alpi presentavano una serie di bassi altopiani, che favorivano la difesa, ma consentivano anche di attaccare in forze, aprendo la via verso obiettivi strategici di grandissimo interesse: Trieste, la pianura di Lubiana e, infine, Vienna. Delle 35 divisioni a disposizione, Cadorna decise di destinarne sei alla I° armata che si trova verso il Trentino, cinque alla IV° armata in Cadore, due al corpo d’armata della Carnia e quindici alle armate II° e III° , destinate a sferrare l’attacco decisivo da Tolmino al mare (a cui se ne aggiunsero  altre sette). Il grosso delle forze era dunque concentrato sul fronte dell’Isonzo, che diventò presto un simbolo della difficile guerra di logoramento italiana. E che, successivamente venne impresso nel fuoco con un nome tragicamente noto: Caporetto! Fatto sta che quel giorno di centotre anni fa iniziava il conflitto che sarebbe costato al mondo milioni di morti in quella l’allora pontefice , Benedetto XV, in una lettera ai “capi dei popoli belligeranti” che porta la data del 1° agosto 1917 definì “l’inutile strage”. Un’espressione la cui carica profetica risuonerà per tutto il XX secolo e che anche oggi risulta drammaticamente attuale.

Marco Travaglini

 

Sognando Venezia

Non possiamo andarci per il momento e non possiamo neanche specchiarci nell’acqua miracolosamente cristallina e pulita dei suoi canali, come abbiamo visto in televisione, sgombri da motoscafi, gondole piene di turisti, mercati galleggianti, melma e rifiuti ma, in attesa di tornarci, possiamo leggere qualche bel libro su Venezia

Uno di questi, pubblicato di recente, è “La splendida. Venezia 1499-1509”, di Alessandro Marzo Magno, Laterza. Alla fine del Quattrocento Venezia è una superpotenza europea, più o meno come oggi gli Stati Uniti o la Russia. Tutti la temono ma il suo essere tra i grandi d’Europa segna anche l’inizio della fine. Gli altri Stati italiani decidono di correre ai ripari alleandosi tra loro. Venezia sarà sconfitta dalle potenze europee della Lega di Cambrai nel 1509 e ridimensionata. La Serenissima è in lacrime, abbattuta dagli Stati europei che si sono coalizzati contro di lei.

Rischia perfino di scomparire dalla mappa geografica, sopravvive a fatica. Ma a quel punto risorge e inizia un fase di splendore che durerà tre secoli. Venezia tornerà potente e soprattutto splendente, e, come scrive l’autore, “riuscirà a mantenere un ruolo centrale nel mondo utilizzando l’arte e l’architettura e riuscirà a meravigliare con il tintinnare delle monete. La Venezia del Cinquecento è quella del mito arrivato fino a noi: la città dei palazzi di Sansovino, della celebrazione del governo perfetto e della rivoluzione del colore che influenzerà tutta la pittura successiva”. Nel grandioso decennio narrato nel libro Venezia diventa il cuore del mondo. Le storie e gli eventi che si intrecciano in pochi anni sono tanti. Da un breve soggiorno in laguna nel 1500 di un famoso Leonardo da Vinci a un giovane di belle speranze chiamato Tiziano che, lasciata la natia Pieve di Cadore, nel 1503 comincia a dipingere nella bottega dei Bellini, Gentile e Giovanni, la più importante di Venezia. Nel 1507 muore, a 78 anni, Gentile Bellini, il ritrattista della nobiltà veneziana e non solo. È autore del celebre ritratto di Maometto II, oggi esposto alla National Gallery di Londra. Il sultano lo chiama a Costantinopoli e il doge lo invia sul Bosforo dove si fermerà due anni. Un tal giorno il dipinto arriva a Venezia, non si sa come e quando, forse venduto a qualche mercante veneziano perchè il figlio e successore del Conquistatore, Bayazid II, disprezzando l’arte figurativa, aveva spedito al bazar gli oggetti preziosi del padre, quadro compreso. Sono anche gli anni in cui Gorgione dipinge la misteriosa Tempesta mentre il primo libro tascabile della storia viene pubblicato da Aldo Manuzio, il “portatile”, come lo chiamava lui. Mentre Ottaviano Petrucci stampa il primo libro musicale a caratteri mobili, il fòndaco dei tedeschi, il magazzino-locanda dei mercanti tedeschi, brucia e viene ricostruito in appena tre anni. Nel frattempo, i portoghesi circumnavigano l’Africa e interrompono il monopolio veneziano nel commercio delle spezie. Nella città lagunare risiedono Albrecht Durer e il filosofo Erasmo ma l’inizio del Cinquecento è anche il periodo veneziano di Caterina Corner, l’ex regina di Cipro, divenuta signora di Asolo che crea l’unica corte mai esistita sul territorio della Serenissima, una delle più colte del Rinascimento italiano. E poi la battaglia che rischia di cancellare la Serenissima dalla carta geografica, combattuta ad Agnadello, presso Cremona, il 14 maggio 1509, tra le forze della Lega di Cambrai e la Repubblica di Venezia con la vittoria di Luigi XII che costringe i veneziani a rinunciare alle mire espansionistiche sul resto della penisola.

Filippo Re

Abbonamento Musei: 25 anni nel segno del successo

150mila abbonati attivi, un milione di visitatori nel 2019 e, in tempi di pandemia, un forte desiderio: ripartire insieme

Martedì 21 aprile scorso, “Abbonamento Musei” ha tagliato il traguardo dei 25 anni di attività. Era infatti il 21 aprile del 1995 quando l’Associazione (già “Torino Città Capitale Europea”) veniva costituita per volontà degli assessorati alla Cultura della Città di Torino, Regione Piemonte e Provincia di Torino “con lo scopo di gestire e promuovere eventi cittadini legati alla promozione culturale”.

Dal 1998 l’Associazione ha in capo il progetto di Abbonamento Musei, diventato nel tempo- anche grazie alla continuità del sostegno dei Soci – un progetto nazionale che oggi conta 420 fra Musei e Istituzioni coinvolte, tre Regioni (Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia), un territorio di oltre 53mila chilometri quadrati e 150mila abbonati attivi. Nel 2019 l’Associazione ha inoltre coinvolto nella sua opera di promozione e valorizzazione del patrimonio museale e culturale un milione di visitatori. Oggi i Soci Fondatori sono la Città di Torino, Regione Piemonte e Fondazione CRT. Soci Ordinari: Regione Lombardia, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Comune di Milano e Museo Nazionale del Risorgimento. Cinque lustri e un anniversario importante, dunque, per un’istituzione che per davvero può ormai dirsi porta d’accesso a quello che è stato definito, con il claim della fortunata campagna di comunicazione, il “museo più grande d’Italia”. E in questo senso suonano, a ragione, le parole del suo presidente Dino Berardi (presidente onorario è il Sindaco della Città di Torino, Chiara Appendino) che afferma: “Abbonamento Musei da 25 anni ha una mission: aumentare la partecipazione dei cittadini alle attività museali, portarli a scoprire e riscoprire un patrimonio infinito di bellezza. Su questi presupposti abbiamo lavorato molto, costruendo un ecosistema di relazioni tra i musei e il pubblico locale, creando occasioni di incontro che raccontassero tutto questo e lo cementassero, tra storytelling e esperienze personali. Dobbiamo un profondo ringraziamento ai Soci che hanno accompagnato l’Associazione in questo quarto di secolo, garantendo sostegno e facendo di Abbonamento Musei uno vero strumento di welfare culturale”. Strumento granitico nella forza dei suoi principi, certamente non scalfiti dalla particolarità di un momento tanto critico come quello attuale, in cui l’emergenza epidemiologica ha stravolto le nostre vite, “lasciando però intatte alcune certezze, quelle che corrispondono ai valori portanti dell’Associazione: la cultura come patrimonio comune e motore economico, l’importanza di essere una rete, l’attenzione al territorio, la comunicazione digitale”. Il nostro grande desiderio? “Ripartire insieme – conclude Berardi – nel rispetto delle regole che questa situazione ci impone, ma sempre tutti consapevoli del ruolo determinante della bellezza”. E a lui fa eco Simona Ricci, direttore dell’Associazione:“Sono convinta che il nostro pubblico di abbonati sarà tra i primi a ripartire, a ricominciare a frequentare la bellezza, l’arte, la storia e il paesaggio, perché ha scelto i musei e le istituzioni culturali, li ha scelti come occasione di svago e di conoscenza, di socialità e di scoperta, li ha scelti 4 mesi fa, un anno fa, tanti anni fa, li sceglie ogni giorno. Ripartiamo dunque ‘per’ e ‘da’ loro e trasformiamoci tutti in ambasciatori del nostro patrimonio”.
g. m.

 

Nelle foto
– Dino Berardi
– Simona Ricci

Il senso della Libertà

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Questo 25 aprile 2020 lo ricorderemo a lungo. La Festa nazionale della Liberazione da settantacinque anni ci ricorda da dove nasce la Repubblica Italiana e soprattutto grazie a chi il nostro paese ha riacquistato, oltre alla dignità, la libertà e la democrazia. Per troppi anni è stata relegata, oltre ad un giorno di festa da scuola e dal lavoro, a cerimonia istituzionale ristretta ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni della resistenza, ai partigiani ed i loro famigliari ed a quanti, una minoranza, hanno sempre avuto una forte sensibilità democratica.

Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

Se si fosse mantenuto lo spirito e la composizione delle forze che hanno animato le formazioni partigiane il 25 aprile sarebbe stata vissuta con una partecipazione e condivisione se non unanime, impossibile, certamente in misura decisamente maggiore. Voglio ricordare che nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e nelle formazioni partigiane c’erano rappresentanti socialisti, comunisti, cattolici democratici, liberali, repubblicani, monarchici ed azionisti. Quindi, mi riferisco specialmente ad una parte della sinistra che ha cercato di appropriarsi della “resistenza”, la Resistenza non era e non è di una parte sola, ad essa hanno partecipato, dando sostegno e copertura, operai, impiegati, contadini, civili, preti e suore e molti rappresentanti delle forze dell’ordine. Per chi fosse interessato c’è una bella pubblicazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri sul ruolo dei Carabinieri durante la lotta di Liberazione. Un altro elemento da confutare è quello della territorialità, si è svolta solo al nord dell’Italia. Chi lo sostiene dimentica o fa finta di dimenticare lo sbarco alleato, la “ linea gotica” e l’Italia divisa in due. Problema risolto dalla folta e numerosa, molte migliaia, presenza di meridionali nelle formazioni partigiane. Uno su tutti il comandante del CLN che liberò Torino, Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Barbato”, siciliano, ufficiale della cavalleria. Sul ruolo e sulla partecipazione dei meridionali alla lotta di liberazione voglio ricordare il convegno organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte il 16 giugno 2013 al Teatro Carignano a Torino.

Per concludere su di un altro elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

Giampiero Leo: “I miei cinquant’anni di 25 aprile”

“Si è appena concluso un bellissimo flashmob – svoltosi dalle 15.00 alle 16.00 – realizzato sui balconi che danno sui giardini condominiali di molte abitazioni, facenti riferimento a una grande “corte”, secondo la concezione architettonica di un tempo. La nostra “manifestazione”- molto partecipata – ha avuto come animatori e fornitori delle canzoni, una bella famigliola composta da due giovani sposi, genitori di due ragazzine – Matilde e Maddalena – simpaticissime e molto versate tanto nel ballo e nel canto, quanto nelle arti ginniche. Abbiamo iniziato con varie versioni di “Bella Ciao” e proseguito con una azzeccata scelta di canzoni resistenziali e patriottiche, per concludere – tutti noi in posa marziale – con “L’inno di Mameli” e il Silenzio”

Quest’anno avrebbe dovuto essere la mia cinquantesima partecipazione alla fiaccolata del 25 aprile. In realtà io iniziato a presenziare alle celebrazioni della liberazione nel 1969 (quando avevo 16 anni, ero il più votato tra i leaders studenteschi del mio liceo e della mia Città e rappresentavo il Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana), quindi sarebbero 51 gli anni, ma una volta sono stato assente causa malattia. Ebbene, credo che questo piccolo curriculum possa sia attestare la mia fede antifascista, quanto darmi un minimo diritto di raccontare come – a mia esperienza – è cambiato il Paese.

Gli anni intorno al ’68 erano già abbastanza roventi, ma in quel di Calabria – esattamente a Catanzaro, mentre a Reggio infuriava il “boia chi molla”- nessuno avrebbe mai messo in dubbio la piena legittimità di un cattolico democratico di agire nell’agone politico sociale. Infatti, come accennavo, nel mio liceo nelle elezioni più significative e importanti (per esempio l’invio di una delegazione di tutti gli studenti calabresi a Roma, a incontrare l’allora ministro all’istruzione Riccardo Misasi) che si svolgevano col voto plurimo, ovvero due o tre preferenze, la prima era quasi sempre per me all’unanimità, mentre le altre venivano equamente divise fra rappresentanti della sinistra e della destra. Di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei momenti politici “ufficiali”, venivo designato io a rappresentare il Movimento. Immaginabile il mio shock, quando, trasferitomi a Torino per l’università nel 1971, scoprii che da conclamato leader “cattolico-sociale-antifascista”, ero di colpo diventato un “clerico fascista”. In quegli anni, infatti, l’università – in particolare le facoltà umanistiche – erano diventate terreno di “caccia” al “non marxista rivoluzionario”, senza alcuna eccezione per i cattolici democratici e non violenti quale ero io. Che poi tra i “rivoluzionari” abbondassero i figli di papà, sponsorizzati e coccolati da professori con giacca in kashmire e porsche (….rigorosamente parcheggiate lontano dall’università) e che io fossi uno sfigatissimo studente lavoratore immigrato dalle “Calabrie”, non cambiava minimamente l’idea che il rappresentante del “potere” e del capitalismo fossi io e non loro. Per fortuna, o forse meglio per Provvidenza, mentre in università ero pubblicamente schivato da molti (che poi, magari si scusavano in privato), incontrai i “pericolosissimi” giovani di Comunione e Liberazione che, benchè fossi terrone e democristiano, mi accolsero con semplice ma genuino affetto. Da questa amicizia nacque la mia candidatura a capolista del raggruppamento cattolico alle prime elezioni universitarie – post ’68 – nel febbraio del 1975 e a quelle comunali della Città di Torino nel giugno dello stesso anno. (eletto in entrambi i casi con un risultato giudicato incredibile da organi di stampa e commentatori politici). E delle celebrazioni del 25 aprile, cosa ne era stato? Ebbene, dal mio arrivo a Torino, nel ‘71/’72 avevo continuato a partecipare come singolo, mentre dal ’75 in poi iniziai ad andarvi come rappresentante ufficiale delle istituzioni o del partito. Intanto eravamo ormai nel pieno degli anni di piombo, ed è forse superfluo sottolineare quale fosse il contesto: un clima di odio e d’intolleranza nei nostri confronti, che si traduceva in quotidiani insulti e minacce, fino a non poche aggressioni fisiche (gli episodi a Torino e in Italia furono così numerosi che non è neanche il caso di ricordarne alcuno in particolare). Voglio citarne solo uno, non particolarmente grave, ma abbastanza emblematico della follia ideologica dominante. Nel corso di una delle annuali celebrazioni del 25 aprile, mentre mi accingevo a salire sul palco degli oratori, fui bloccato da una quarantina di esagitati – in questo caso non giovani ma almeno 40/45enni – che mi urlarono: “tu su quel palco non puoi salire perché ti conosciamo, sei democristiano e sappiamo bene che sono 30 anni che rubi!”. Indignato, ma senza scompormi, risposi loro: “è un evidente menzogna. E’ impossibile che io rubi da 30 anni, anche perché ne ho appena compiuti 22”! Quella volta andò bene, altre un po’ meno. Ora, non potendo ovviamente fare la cronaca dettagliata “di 50 anni di 25 aprile”, proseguo un po’ a volo d’uccello, evidenziando tre cose. La prima è che in qualsiasi ruolo mi trovassi, consigliere di maggioranza o di opposizione, assessore comunale o regionale, non mancai di salire sul palco degli oratori e, in qualunque condizione, prendere la parola.

La seconda è che il clima come il mare a capo Horn, poteva essere più o meno tempestoso ma mai tranquillo. Se ai tempi della D.C. ci accusavano di essere ladri e proteggere i “fascisti”(uno slogan era: “MSI fuorilegge. A morte la D.C. che lo protegge”), in epoca “berlusconiana”, fui invece più volte invitato “a lasciare l’Italia perché vi rimanessero solo i puri e i giusti”).
La terza è che, a fianco dei fatti succitati, devo riconoscere con piacere che la stragrande maggioranza dei dirigenti e dei quadri del P.C.I., del Sindacato, dell’A.N.P.I., dei movimenti giovanili di sinistra, hanno sempre considerato gradita, benvenuta e significativa la mia presenza, tant’è che Sergio Chiamparino, prima Sindaco di Torino, poi Presidente della Regione Piemonte, soleva scherzosamente dire alla partenza del corteo: “ se c’è Leo possiamo partire, altrimenti no perché saremmo incompleti!”. Così come pure sarebbe ingeneroso non ricordare quanti nella sinistra “storica”, e anche oltre, manifestarono – anche molto concretamente… – solidarietà e rispetto per le idee mie e dei miei “compagni di ventura”. Ripensando agli anni ‘72/’77 in università, come non ricordare i due grandi professori Cottino, Gastone e Amedeo, che in più occasioni “calde”, spesero la loro autorevole parola per difendere il diritto alla nostra presenza. Invece, non solo con la parola, ma anche con le azioni, a tutelare la nostra incolumità fisica – a partire dalla mia! – furono leaders della sinistra parlamentare ed extra parlamentare, quali Piero Fassino, Giorgio Ardito, Patrizio Tosetto e Stefano Della Casa (allora uno dei capi di Lotta Continua). Poi, a fianco dell’allora presidente del Consiglio regionale, Dino Sanlorenzo, partecipai anche a decine e decine di assemblee contro il terrorismo. Confortanti incoraggiamenti, ovviamente, arrivavano dalla “famiglia” a cui appartenevo. Da tante/i giovani meravigliosi e spericolati di Comunione e Liberazione, del Movimento giovani della D.C., del Ser.mig, da padri spirituali ineguagliabili come don Bernardino Reinero, don Primo Soldi e Mons. Franco Peradotto, fino a intellettuali raffinatissimi e non conformisti, (verso il pensiero dominante del tempo) come, per esempio, l’indimenticabile prof. Giorgio Lombardi e il battagliero prof. Pier Franco Quaglieni, espressione della migliore cultura laica, e non laicista d’Italia.

 

Carlin Petrini

Arrivando ad oggi ho recentemente letto una bellissima intervista a La Repubblica di Carlin Petrini. In essa esalta la festa della Liberazione e la Costituzione, come figlie legittime delle grandi culture popolari e storiche del Paese: quella socialista e comunista, quella liberale, quella cattolico democratica/democristiana, quella moderata-conservatrice.  Petrini si affianca così all’appello all’unità del Paese, magistralmente e opportunamente lanciato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un invito a superare l’epoca delle barriere ideologiche, delle prevenzioni, delle faziosità, che purtroppo ancora persistono in discrete fasce di “pasdaran”, demagoghi, populisti, intellettuali radical-schic (in questo senso rappresenta una brutta caduta di stile, l’incredibile fatwa lanciata da Saviano contro i “sedicenti cristiani”, perché fa temere che l’epoca delle scomuniche reciproche e degli inquisitori, non appartenga ancora a un passato da dimenticare). Ovviamente l’auspicio non è che spariscano le differenze. Queste ci sono e, in democrazia, è anche bene e opportuno che ci siano. L’auspicio, – per giungere a una società veramente democratica e civile – è che il “diverso da noi” non venga stigmatizzato ne ghettizzato, il concorrente politico non divenga il “nemico”, le minoranze – anche culturali e religiose – non siano percepite come un ostacolo al progresso della maggioranza, le differenti identità siano percepite non come un fastidio, ma come un arricchimento reciproco. Una società matura e tollerante, ha l’intelligenza, se non addirittura di fare sintesi, quanto meno di creare le condizioni perché culture, tradizioni, sensibilità divere, convivano armonicamente, avendo come unico riferimento ineludibile la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e, in Italia, la nostra bella Costituzione.  Grazie al cielo, anche questo “particolare” 25 aprile potrò viverlo nello spirito summenzionato. Infatti si è appena concluso un bellissimo flashmob – svoltosi dalle 15.00 alle 16.00 – realizzato sui balconi che danno sui giardini condominiali di molte abitazioni, facenti riferimento a una grande “corte”, secondo la concezione architettonica di un tempo. La nostra “manifestazione”- molto partecipata – ha avuto come animatori e fornitori delle canzoni, una bella famigliola composta da due giovani sposi, genitori di due ragazzine – Matilde e Maddalena – simpaticissime e molto versate tanto nel ballo e nel canto, quanto nelle arti ginniche. Abbiamo iniziato con varie versioni di “Bella Ciao” e proseguito con una azzeccata scelta di canzoni resistenziali e patriottiche, per concludere – tutti noi in posa marziale – con “L’inno di Mameli” e il “Silenzio”. A fare da coreografia, tante bandiere Italiane insieme a quelle Europee e a quelle per la Pace. Per trovarci in pieno lock down, non mi è sembrato niente male, ma soprattutto ho avuto la piacevole sensazione che, almeno in questa “corte”, trionfasse l’ecumenismo che a me piace tanto, ci fosse un forte spirito di unità e le differenze fra noi – sicuramente esistenti – non disturbassero nessuno. Viva l’Italia!

Giampiero Leo portavoce del Coordinamento interconfessionale del Piemonte, vice presidente del Comitato per i diritti umani della Regione Piemonte

Il 25 aprile di fronte alla storia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Sono passati 75 anni anni dalla fine della II Guerra mondiale e dalla Liberazione dal giogo nazifascista. E’ una ricorrenza della storia  che va ricordata e anche festeggiata  perché segna la fine della più terribile guerra in cui fu coinvolta l’Italia per cinque anni e fu   l’inizio di una rinascita nazionale che porterà alla Costituzione, mettendo le basi della ricostruzione. 

La Resistenza iniziata dopo l’8 settembre 1943, ma già anticipata idealmente  dagli antifascisti esiliati, incarcerati e confinati dal regime,  rappresentò un elemento importante della Guerra di Liberazione, anche se, senza il determinante apporto degli Alleati angloamericani ,il riscatto sarebbe stato  molto problematico. Fu guerra  di popolo, di volontari armati che ricorda il Risorgimento, ma anche  una guerra regolare del Regio Esercito ricostituito al Sud  che diede un contributo non solo simbolico, come per troppo tempo sostenuto.
Tra i volontari ci furono donne e uomini di tutti gli orientamenti  politici o anche di nessun schieramento come molti militari che dopo l’8 settembre non fuggirono, ma andarono in montagna a resistere al nemico tedesco.  Ci fu una Resistenza tricolore di tanti che furono, più che partigiani, dei veri patrioti. Ma quei mesi dal ‘43 al’45 rappresentarono anche, come riconobbe  lo storico antifascista Claudio Pavone ,un momento di atroce guerra civile tra Italiani che coinvolse anche dei civili inermi. Ci furono atrocità  terribili, esagerazioni, come riconobbe il presidente Giorgio a Napolitano, che non fanno onore alla Resistenza e che proseguirono anche dopo il 25 aprile. Esse non oscurano i meriti dei combattenti che si immolarono per difendere il suolo nazionale e ripristinare la libertà, ma una ricostruzione storica non può prescindere anche dagli aspetti negativi che sono insiti di per sè in una guerra civile che, di norma, da’ spazio anche a vendette personali  e crudeltà’ che non vanno sottaciute. I fascisti e i tedeschi  si macchiarono di stragi e rappresaglie  orrende che determinarono delle reazioni più che comprensibili. Certo i fascisti combatterono dalla parte sbagliata, mentre i partigiani seppero schierarsi dalla parte giusta e questo rappresenta uno spartiacque importante ma che non può giustificare tutto di per se’. Anche gli Alleati liberatori nel corso della loro campagna d’Italia si macchiarono di azioni gravi verso donne e popolazioni civili che non mettono in discussione la loro fondamentale partecipazione a liberare l’ Italia. La storia segue criteri valutativi che vanno oltre quelli etico – politici, pure importanti.
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 Poi ci fu una parte di resistenti ,abbastanza consistente ,che vide nella Resistenza l’occasione di una guerra rivoluzionaria di classe per portare anche in Italia un regime comunista. Questa parte tentò di far deviare il corso della storia ,ma non riuscì nell’intento,anzi diede qualche lezione di patriottismo ,contribuendo in modo costruttivo e decisivo  alla redazione della Carta Costituzionale.  C’è chi ha scritto  che tra le finalità della Resistenza ci sia stata anche la fondazione della Repubblica ,ma questa affermazione non è del tutto vera perché una parte significativa dei volontari della Libertà erano soldati legati al giuramento al Re come tutti i militari italiani  che combatterono come truppe regolari a fianco degli alleati. Va inoltre messa in evidenza la Resistenza nei lager tedeschi dei militari  italiani  fatti prigionieri, i cosiddetti Internati militari italiani , oltre mezzo milione di uomini con le stellette che patirono fame, freddo, angherie per rimanere anch’essi fedeli al  loro giuramento di soldati. Essi non furono meno resistenti dei partigiani, anche se il loro ruolo venne misconosciuto  per decine di anni. Infine non va enfatizzata la partecipazione popolare alla Resistenza perché ci fu un’ ampia “zona grigia“ di Italiani che fece il doppio gioco o cercò di tenersi fuori dalla vicende drammatiche che stavano vivendo. Solo alla vigilia del 25 aprile tutti, all’improvviso, diventarono antifascisti, mentre la realtà era stata ben diversa. Con questi indispensabili distinguo storici tutti gli Italiani si possono oggi ritrovare a festeggiare una data importante della storia italiana che la guerra civile ha reso divisiva  e che invece va vista in una dimensione più alta come guerra nazionale e patriottica. Anche il 14 luglio in Francia fu una data  inizialmente molto divisiva, poi via via divenne un riferimento  in cui tutti i francesi si identificano con orgoglio. Esporre il Tricolore ha il significato di vedere nel 25 aprile un elemento patriottico da cui si autoescludono i nostalgici del fascismo e i faziosi che vogliono colorare politicamente questa data in senso ideologico. Essa invece appartiene a tutti gli Italiani che amano l’Italia,  la libertà, la pace, la democrazia.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

In memoria di Dante Di Nanni

Caro Direttore,  scrivo per testimoniare quanto mi disse mia madre, che era presente, sulla fine di Dante Di Nanni.
Sono figlio di un partigiano, decorato con Croce di Guerra, per meriti partigiani.
Mia madre, Effeta Albanese in Acchiardi, mi ha raccontato, perché era presente, come si svolsero i fatti che portarono alla fine di Dante Di Nanni: tutto vero sulla resistenza del partigiano contro fascisti e tedeschi. Vero che lo trovarono nella canna della pattumiera, ma, quando lo trovarono, Dante Di Nanni era già morto: si era sparato, per non cadere nelle mani degli aguzzini, che certamente lo avrebbero torturato, per farlo parlare. Una ultima annotazione: mentre i fascisti lo spostarono con i loro scarponi, i tedeschi gli resero il saluto militare.
Questo e tanti episodi durante l’occupazione fascista e nazista di Torino fu testimone mia madre, come moltissime altre situazioni, spensierate e drammatiche, vissute e raccontate a me.
Una memoria, a tutti coloro che sacrificarono la loro vita, per una Italia libera e democtatica.
Un saluto cordiale.
dott. Tommaso Acchiardi
Presidente GAU (Gruppo Assistenza Ustionati)
Presidente OCTOPUS (Org. Confederata tra Onlus Pazienti Ustionati)

Un 25 aprile diverso

Di Marco Travaglini /  Il giorno della Liberazione, che si celebra quest’anno per la 75° volta, è una ricorrenza che riveste particolare importanza in  questo momento delicato per il Paese,colpito da una gravissima emergenza sanitaria. Le manifestazioni si svolgeranno in forma virtuale. Noi tutti siamo coinvolti in una sfida inedita che sta condizionando  la nostra esistenza, le abitudini, le attività nelle quali siamo impegnati, le nostre stesse libertà.

I provvedimenti di distanziamento sociale e di restrizione della libera circolazione adottati dalle autorità nazionali e regionali ci obbligano ad essere responsabili. Nessuno si sarebbe immaginato di dover ricordare l’anniversario della Liberazione in queste condizioni, compiendo una scelta di responsabilità a tutela della salute di tutti. Settantasette anni fa la stessa Resistenza nacque da una scelta. Lo sgomento dei giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre ’43 si trasformò per molti in voglia d’azione, le tante umiliazioni patite in desiderio di riscatto. In quei venti mesi si affermò un sentimento nuovo, potente e due fronti opposti –  il fascismo e l’antifascismo – si diedero battaglia.

Ciò che accadde nella primavera del ’45 rappresentò il momento della rinascita. Nel corso degli anni abbiamo appreso dai protagonisti lo “spirito del tempo” di quell’epoca drammatica: la tragedia della dittatura fascista, la guerra, l’armistizio, l’occupazione tedesca e la Repubblica di Salò, le imprese coraggiose e spesso disperate della Resistenza fino all’arrivo degli alleati e alla Liberazione. Le immagini e i racconti di quel 25 aprile di settantacinque anni fa ci confermano che rappresentò davvero un giorno di gioia e di libero orgoglio per la riconquistata dignità di un intero popolo. Le testimonianze dirette di coloro che hanno scritto pagine importanti di quel periodo storico, di persone note e meno note che hanno lottato per restituire  libertà e dignità al nostro Paese ci hanno consentito, ben più dei libri, di conoscere e di fare nostra quella grande lezione di speranza e volontà di rinascita. Mai come ora, nelle condizioni che stiamo vivendo, occorre riflettere  sull’importanza dei sacrifici di tante donne e tanti uomini che non esitarono ad opporsi al regime fascista che stava distruggendo l’Italia. Ora c’è un’emergenza sanitaria imposta da un virus ma nel paese, negli ultimi tempi, un altro virus non meno pericoloso serpeggia: quello dell’intolleranza, del negazionismo, dell’offesa nei confronti degli ebrei e della Resistenza. E’ un sintomo preoccupante di regressione e violenza che sarebbe grave sottovalutare o sottacere.

 

Primo Levi diceva che “tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”. E’ il momento di aprire gli occhi e scacciare il torpore dalle coscienze perché ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi rappresenta un rigurgito di fascismo e l’affacciarsi nuovamente del demone dell’antisemitismo,nei confronti dei quali dobbiamo reagire. Inquieta e preoccupa il riemergere dalle tenebre del passato di fantasmi, sentimenti, rigurgiti razzisti, del diffondersi della predicazione dell’odio, amplificata a dismisura dai nuovi mezzi di comunicazione in rete. Contro la violenza dell’intolleranza servono coraggio e determinazione, un grande impegno culturale e responsabilità. Bertolt Brecht scrisse “quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”. La Repubblica, che insieme alla Costituzione rappresenta il frutto più importante della Resistenza, tra i suoi doveri ha quello di far rispettare, con fermezza, quanto è scritto nella nostra Carta Costituzionale all’articolo 3: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Tutto ciò mi fa dire che non stiamo commemorando cose lontane e sentimenti ormai vecchi ma valori ben vivi e necessari. Mai come ora possiamo dire che la Resistenza non è mai finita e la sua lezione resta attualissima oltre che necessaria. Le tante e diverse scelte compiute allora nello “scegliersi la parte” ci rendono fieri, orgogliosi e consapevoli dell’importanza della Resistenza. Lo storico Giovanni De Luna nel suo “Fieri della Resistenza” ha scritto che perpetuarne il ricordo significa ritrovare la scintilla di allora in chi oggi mette in atto scelte altrettanto consapevoli, violando le regole del conformismo, del compiacimento, dell’allinearsi al verbo dell’uomo forte. Scegliersi la parte significa sfidare il male del silenzio e la sordità del potere, rompere la crosta di egoismi e interessi di parte. Significa contrastare l’indifferenza che, come diceva Gramsci “è il peso morto della storia”.

Oggi  scegliersi la parte equivale ad essere coerenti con i valori della Resistenza, con i desideri di giustizia e di uguaglianza, di tutela dei diritti e volontà di assolvere ai doveri che motivarono i “padri costituenti” della Repubblica. Ritrovare quello spirito, ritrovando noi stessi. Primo Levi, in una delle sue rare poesie intitolata “Partigia”, datata 23 luglio 1981 e pubblicata sulla terza pagina de La Stampa il successivo 18 agosto, scriveva: “Dove siete, partigia di tutte le valli,Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?Molti dormono in tombe decorose, quelli che restano hanno i capelli bianchi e raccontano ai figli dei figli come, al tempo remoto delle certezze,hanno rotto l’assedio dei tedeschi là dove adesso sale la seggiovia. Alcuni comprano e vendono terreni, altri rosicchiano la pensione dell’Inps o si raggrinzano negli enti locali. In piedi, vecchi: per noi non c’e’ congedo. Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,lenti, ansanti, con le ginocchia legate,con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro,ci sarà duro il giaciglio, duro il pane. Ci guarderemo senza riconoscerci,diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella perché nell’alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno e’ nemico di ognuno,spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,la mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:La nostra guerra non e’ mai finita”. Quest’appello è rivolto oggi a tutti i democratici con l’invito a “stare di sentinella” perché il nemico non ci sorprenda impreparati. Quale nemico? Quello, subdolo e pericolosissimo dell’intolleranza, del rifiuto della diversità, della democrazia e dell’umana solidarietà. Dunque, ritroviamoci perché anche per noi non c’è congedo.

 

“La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944” online al Polo del ‘900

La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944”è il titolo del video-spettacolo in due tempi che Gian Piero Alloisio, collaboratore storico di Giorgio Gaber e Francesco Guccini, ha registrato a casa e che si può vedere sul sito del Polo del ‘900 (https://www.polodel900.it/25-aprile-2020-festa-della-liberazione/).

 Lo spettacolo, realizzato con il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con il Polo del ‘900, ricostruisce gli avvenimenti che portarono al più grande eccidio di partigiani combattenti della lotta di Liberazione.

La storia è ambientata nel 1959 e racconta del musicista partigiano Angelo Rossi, che nel dopoguerra divenne direttore dell’orchestra di Don Marino Barreto Junior, cantante cubano di grande successo. Angelo Rossi ricorda di quando era il partigiano “Lanfranco” e, alla Cascina Grilla, scrisse la sua prima canzone, nell’aprile del ‘44. Una sera in cui aveva il turno di guardia, il Comandante “Cini” gli diede un testo da musicare. Così nacque una delle poche canzoni partigiane interamente originali nel testo e nella musica: “Dalle belle città” o “Siamo i ribelli”, inno della Benedicta. Il video-spettacolo è diviso in due tempi per facilitarne la fruizione agli studenti e comprende testi scritti da Gian Piero e Giorgio Alloisio, canzoni partigiane e canzoni d’autore, testimonianze di partigiani (Pasquale “Ivan” Cinefra, Giuseppe Merlo) e di ex deportati (Gilberto Salmoni).Riprese e montaggio di Chiara Alloisio. Si ringrazia l’Associazione Memoria della Benedicta. Gian Piero Alloisio parteciperà anche alla grande Maratona Web del 25 aprile con il video della canzoneDalle belle città. La diretta social (#Torino25aprile) potrà essere seguita a partire dalle ore 10.00 sui sitiwww.comune.torino.it,www.cr.piemonte.itwww.lastampa.it.

Marco Travaglini

Pasqua e funerali blindati, 25 aprile “libero”. Ha senso?

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Giustamente il Governo Conte  aveva emesso una circolare per rendere compatibili i festeggiamenti del 25 aprile ad una situazione eccezionale come la pandemia, per evitare assembramenti. Un provvedimento sensato e condivisibile. Si trattava di una linea di condotta fondata sullo stesso principio di  ragionevolezza e di prudenza  che aveva portato ad impedire cerimonie religiose nelle chiese persino a Pasqua il Papa si presentò da solo in una piazza  San Pietro vuota

Un sacerdote è stato multato  domenica scorsa per aver celebrato Messa davanti ad una decina di persone in una chiesa di circa 300 metri quadrati. I funerali sono stati negati anche agli stretti famigliari dei morti con una scelta dolorosa che nessuno ha responsabilmente contestato. L’ Anpi invece pretende che vada fatta un’eccezione per la sua partecipazione al 25 aprile e quindi ha protestato con arroganza. Il governo giallo-rosso ha ceduto e quindi ci saranno manifestazioni ufficiali con possibili assembramenti, senza neppure tra l’altro  considerare l’età media  degli iscritti all’ Anpi. Che Pasqua venga sacrificata sull’altare della sicurezza e che il 25 aprile comporti obbligatoriamente la presenza dell’ Anpi rivela scarso  civismo, mancanza di responsabilità ,rinnovata manifestazione di una concezione monopolistica del 25 aprile che non necessariamente coincide solo  con la storia dell’ Anpi. Il partigianato non è stato solo comunista, ma  espressione di diversi orientamenti politici. Il fatto che non abbia protestato la FIVL che raccoglie gli ex partigiani anticomunisti, la dice lunga su certe prese di posizione egemoniche e prive  di adeguata sensibilità civica. Tra l’altro questa presa di posizione cozza con l’organizzazione di maratone on line per il 25 aprile in cui la parte del leone è quella dell’ Anpi. Dette maratone erano considerate sostitutive delle manifestazioni tradizionali com’era logico prevedere in questa circostanza drammatica.
Scrivere a quaglieni@gmail.com