8 novembre 1976 muore a Torino Giorgio Ferrini, il giocatore con più presenze nel club granata (566).
Era un centrocampista incontrista che per il suo modo di giocare veniva soprannominato la ‘Diga’. Dopo esser cresciuto nelle giovanili del Torino ed aver giocato una stagione in prestito al Varese, disputò tutti i campionato col Toro dal 1959 al 1975 (indossando anche la fascia di capitano), vincendo due coppe Italia, quella del ’68 e quella del ’71. Con il suo spirito battagliero ha incarnato alla perfezione lo spirito del Toro. Ha giocato anche 7 gare con la maglia azzurra e con la Nazionale ha vinto il campionato europeo del 1968. Con la maglia dell’Italia si ricorda pure un’espulsione rimediata contro il Cile per un fallo nei confronti di Landa dopo sette minuti. E’ morto all’età di 37 anni per emorragia cerebrale nella stagione in cui stava svolgendo il ruolo di secondo di Radice e che avrebbe portato il Toro allo scudetto.
Vincenzo Grassano

Il 16 novembre 1840 Balzac annunciava a Madame Hanska: “A partire dal momento in cui riceverete questa lettera, scrivetemi al seguente indirizzo: M. de Breugnol, rue Basse n.19, Passy, vicino a Parigi. Sono là, nascosto per qualche tempo (…) Ho dovuto spostarmi molto rapidamente e devo restare là”. Per la sua casa di rue de Batailles, a Chaillot, dove aveva vissuto tra il 1835 e il 1838, aveva utilizzato uno pseudonimo femminile, “Veuve Durande”, “Vedova Durande”, mentre per Passy è diventato Monsieur de Breugnol.
“La mia opera ha la sua geografia come ha la sua genealogia e le sue famiglie, i suoi luoghi e le sue cose, i suoi personaggi e i suoi fatti; come ha il suo stemma, i suoi nobili e i suoi borghesi, i suoi artigiani e i suoi popolani, i suoi politici e i suoi dandys, i suoi eserciti e infine tutto il suo mondo” scrive Balzac. La morte prematura, avvenuta a soli 51 anni, ha impedito a Balzac di unificare l’opera e, probabilmente, di effettuare altre revisioni, altre correzioni.
Le singole vite si trasformano nelle vite degli altri, nelle vite di tutti, nelle nostre vite ed è facile per il lettore ritrovare un po’ di sé nei personaggi e nella complessità delle loro relazioni esattamente come in tutti loro è fortissima l’influenza dell’autore. Scriveva, infatti, Charles Baudelaire: “Insomma in Balzac ciascuno, anche le portinaie, ha del genio. Tutte le anime sono piene fino al collo di volontà…”.
pronuncia al cimitière du Père Lachaise.

Si trascurava l’Alto Medioevo forse per non perdere troppo tempo con dei barbari sanguinari che uccidevano solo e si comportavano in modo selvaggio, per esempio strappando con le mani la carne da mangiare, divorando il cibo come animali, un po’ come si vede nei film. Ebbene, oggi sappiamo qualcosa di più. Teodorico e la sua corte gota erano tutt’altro che barbari e già 1500 anni fa mangiavano a tavola con forchette, cucchiai e coltelli. Usavano le posate, perbacco, come noi.
appartenessero a un personaggio così importante.
sparisce e tra le rovine gli studiosi trovano anche sette delicatissimi cucchiai insieme a un piccolo piatto. Inizialmente si parla di “tesoretto bizantino” ma ulteriori più dettagliati studi datano quel prezioso materiale all’epoca di re Teodorico che sigla il manico di un cucchiaio. Una firma reale tutta speciale con una croce e sei lettere.
