STORIA- Pagina 106

Cagliostro: un furfante affascinante oppure un sapiente onnipresente? Incontro-racconto con Paolo Domenico Montaldo

Sabato 12 giugno – 17.30  Libreria Belgravia – via Vicoforte, 14/d – Torino. Un incontro-racconto che ha per protagonista il conte di Cagliostro, aneddoti e colpi di scena di una vita molto più che avventurosa.

Chi era Cagliostro? Ce lo racconta Paolo Domenico Montaldo, sabato 12 giugno alle 17.30, ospite della Libreria Belgravia (via Vicoforte 14/d – Torino).

Un personaggio molto chiacchierato e che ha destato l’interesse e la curiosità di regnanti, letterati e personaggi altrettanto famosi del suo tempo.
Tutta l’Europa del 1700 parla (e sparla) di lui. Avventuriero, alchimista, mago, esoterista, guaritore, truffatore, eretico. L’uomo che raccontava di aver trovato la formula per fabbricare l’oro.
Dotato di un certo fascino e di una capacità di comunicazione da fare invidia al più esperto social media manager, riesce a conquistare l’aristocrazia e si inventa di sana pianta un titolo nobiliare. La sua complice più diabolica e abile è la donna che ha sposato.

 

Il piacere del racconto e dell’ascolto, riscoprire la bellezza di lasciarsi affascinare dalle parole, questo è il filo conduttore dell’appuntamento con Paolo Domenico Montaldo, scrittore e appassionato di vicende storiche che animano i suoi libri d’avventura alla ricerca di tesori nascosti tra le pieghe del tempo, di misteri e segreti da svelare.

 

La YOWRAS Editrice, nata nel 2020 all’interno dell’Associazione culturale YOWRAS, propone una nuova formula: l’incontro racconto per esplorare eventi storici e figure sulle quali c’è ancora molto da scoprire, un viaggio tra passato e presente con l’aiuto dell’antica ma sempre nuova arte del racconto.

 

Il narratore è Paolo Domenico Montaldo, l’autore di una serie di romanzi di avventura a sfondo storico e il creatore del commissario Incantalupo, protagonista finora di tre indagini a cui, nel 2021, se ne aggiungeranno altrettante.

Weekend al Motovelodromo Fausto Coppi

Sabato 12 e domenica 13 giugno, dalle 8 alle 18

 

OPEN DAYS

prima dei lavori di ristrutturazione che lo faranno rinascere

 

Il Motovelodromo riapre in via straordinaria alla cittadinanza: due giornate di incontro e di sport, prima di chiudere per i lavori che saranno realizzati durante l’estate.

 

Il progetto di rinascita del Motovelodromo, che sarà realizzato nei prossimi mesi, intende restituire alla cittadinanza lo storico tempio dello sport torinese, da anni in disuso, ripristinando così un luogo polisportivo multifunzionale per la comunità cittadina. Il progetto si basa su un’idea di ricostruzione del tessuto comunitario e proprio per questa ragione è stato deciso di organizzare due open dayssabato 12 e domenica 13 giugno: un fine settimana per riaprire alla cittadinanza le porte del Motovelodromo, prima di chiuderle per i lavori di ristrutturazione che lo porteranno a nuova vita.

Il Motovelodromo – che incarna la più antica architettura sportiva attuale del Piemonte e ha ospitato alcuni tra i più grandi eventi di ciclismo, atletica, calcio, rugby e football americano in città – fu inaugurato nel maggio del 1920 ed ebbe un ruolo di rilievo nella ripresa della Torino flagellata dalla Spagnola. In una sorta di parallelo con l’attuale necessità di riconquista da parte dei cittadini degli spazi aperti e della socialità diffusa, interrotta a causa della pandemia, il progetto propone il Motovelodromo, con i suoi 24.000 m2, come nuovo spazio di aggregazione in cui i torinesi possano riappropriarsi di uno storico luogo di sport. In linea con questo obiettivo, gli Open Days invitano la popolazione a tornare per due giorni a vivere il tempio della bici, offrendo una programmazione sportiva e didattica rivolta ai più giovani e agli adulti.

Il programma
Tra le tante attivitàsarà possibile fare un tour guidato gratuito a cura del Comitato Pezzi di Motovelodromo, assistere agli allenamenti dei piccoli rugbisti de La Drola jr e al torneo di calcio organizzato da Balon Mundial Onlus, seguire un corso di avvicinamento alla mountain bike di Whillis Bike Club. Inoltre, l’associazione Mo.Ve. offrirà attività di giochi e laboratori didattici all’aperto per bambini dai 5 ai 10 anni, curati da personale specializzato. Per info e prenotazioni: info@move.torino.it

Ciascuna giornata si aprirà con una speciale colazione del ciclista: ai ciclisti che si presenteranno al Motovelodromo tra le 8 e le 10:30 sarà offerta una colazione da Lavazza e Casa Goffi. Per il pranzo, in entrambe le giornate, gli sponsor Levoni e Casa Goffi metteranno a disposizione panini e bibite a offerta libera, mentre Lavazza offrirà il caffè: il ricavato sarà devoluto all’associazione Mo.Ve. che lo utilizzerà per organizzare attività di sport per tutti. Gli allestimenti e i materiali di racconto sono offerti da MP, partner strategico.Aprire le porte del Motovelodromo offre anche una preziosa occasione per illustrare il progetto di riqualificazione, nello specifico la prima fase dei lavori che riguarderà la pista e il campo e che sarà portata a termine entro il mese di settembre: all’interno del Motovelodromo saranno esposte delle info-grafiche e lo staff sarà a disposizione per raccontare agli interessati il dettaglio dei lavori.

La musica dell’isola

Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel

Quando abitavo in via Mazzini, proprio al fondo, vicino al Po, mi piaceva al mattino risalire tutta la strada verso il centro della città fino al Conservatorio Giuseppe Verdi e fermarmi qualche minuto ad ascoltare la musica che strimpellavano gli allievi e i tocchi sapienti dei maestri. Avevo imparato che dalla finestra che dava sulla via Mazzini uscivano suoni di batteria. Non mi interessava. Scartata la facciata di piazza Bodoni, dove si apriva l’ingresso dell’atrio che immetteva nella sala dei concerti, da cui al mattino non usciva alcun suono, facendo il giro del palazzo avevo individuato le aule dove si insegnavano i vari strumenti, e avevo scoperto, tra quelle in cui si insegnava pianoforte, una dove c’era un maestro particolarmente bravo: udivo infatti i tocchi incerti degli allievi e la sua mano che riprendeva il brano musicale, il suo interrompere l’esecuzione per far ripetere il passaggio, una, due, tre volte. Talora accadeva che il maestro sospendesse l’esecuzione dell’allievo per portare a termine il pezzo con le sue mani. E allora le note diventavano musica”. Inizia così “La musica dell’isola”, racconto breve di Laura Mancinelli, pubblicato dalla novarese “Interlinea” quasi vent’anni fa. Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel. Poi, all’improvviso, quel rapporto s’interrompe perché l’uomo scompare, facendo perdere ogni traccia di se. Fino a quando, qualche anno dopo, riappare nelle vesti di organista che esegue “Eine feste Burg ist unser Gott” ( “Forte rocca è il nostro Dio” ), un grande corale di Bach basato sull’omonimo inno composto da Martin Lutero. La musica riempie di magia la messa di Natale sull’isola di San Giulio, che sembra galleggiare nella nebbia in mezzo al lago d’Orta, in una notte dall’atmosfera sognante. Da Torino al più romantico dei laghi, con il dramma della sclerosi multipla che colpì l’autrice, costringendola a muoversi su di una sedia a rotelle e ad affidare vita e passioni alla scrittura. Un racconto venato da malinconia, sospeso fra verità e invenzione, intriso di quella grazia che non manca mai nelle storie di Laura Mancinelli , dai “Dodici abati di Challant” al “Fantasma di Mozart” , da “La casa del tempo” ad “Andante con tenerezza”.

 

Marco Travaglini

Fausto Biloslavo e le verità infoibate

Fausto Biloslavo, uno dei principali reporter di guerra italiani, è tornato a Casale Monferrato dopo molti anni.

DAL PIEMONTE/ Nel gennaio del 1993 aveva tenuto una conferenza all’allora Salone Baronino sulla situazione della ex Jugoslavia, in quel momento dilaniata dalle guerre che avevano disgregato la federazione. Questa volta – l’incontro è avvenuto all’aperto a Palazzo San Giorgio sede del Comune di Casale, introdotto dal sindaco Federico Riboldi e da Federico Cavallero, presidente dell’associazione PiemonteStoria – si è soffermato sul dramma accaduto al Confine Orientale, le foibe e l’esodo degli italiani da Istria, Venezia Giulia a Dalmazia, presentando il libro scritto con Matteo Carnieletto e con il contributo di Toni Capuozzo  per i tipi di Signs Books, ‘Verità infoibate – Le vittime, i carnefici, i silenzi della politica’. “Questo non è tanto un libro su quanto è accaduto, quanto su quanto non è stato mai detto negli anni, perché ciò che è successo non si ripeta mai più”. Biloslavo ha ricordato che le foibe e le morti violente per opera dei titini non riguardarono soltanto gli italiani: nella vicina Slovenia sono stati scoperti circa 600 posti dove ci furono esecuzioni dopo la fine della seconda guerra mondiale e si contano circa 11mila morti soltanto tra gli sloveni. Il relatore si è poi soffermato sulla figura del Maresciallo Tito, che è stato insignito come Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, nonostante quanto avvenne in quegli anni e questo titolo sia irrevocabile essendo morto (come per Ceausescu o Mobutu) e al quale una decina di comuni in Italia ancora intitolano una via. Biloslavo ha poi ricordato il ‘colpo di fulmine’ dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden che conobbe Tito nl 1979 e lo ha definito successivamente ‘un genio’. Poi dopo aver ricordato quanto accadde a suo nonno che venne infoibato, nel rispondere ad una domanda dal pubblico ha evidenziato che ‘nessun crimine grande o piccolo, nessuna circostanza può giustificare la barbarie delle foibe, come pure ogni altra barbarie”. Il giornalista triestino – che ha un legame con il Piemonte avendo diretto il settimanale Notizia Oggi Vercelli all’inizio degli anni Novanta – partecipa allal’inaugurazione del monumento in memoria delle vittime delle foibe e dell’Esodo, opera dello scultore istriano (recentemente scomparso) Michele Privlleggi posta all’interno dei giardini Norma Cossetto inaugurati nel febbraio scorso. All’incontro è intervenuto l’assessore regionale Maurizio Marrone

Massimo Iaretti

Il generale Perotti avrebbe cantato “Bella Ciao”?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non ho nulla contro “Bella Ciao“, un motivo orecchiabile che però ha ben poco da spartire con la storia della Resistenza italiana,  come dimostrano tre autorità in materia, lo storico ufficiale della Resistenza Roberto Battaglia, lo storico della canzone popolare Michele Straniero e il giornalista- partigiano Giorgio Bocca che sostennero la marginalità della canzone durante la guerra partigiana

 

Bocca scrisse di non averla mai sentita cantare durante il suo partigianato. Ha acquisito notorietà attraverso l’ Anpi dopo la guerra e caratterizzò i partigiani garibaldini. Ebbe anche fama internazionale attraverso il festival della gioventù di Praga durante il periodo staliniano. La vera canzone della Resistenza e’ “Fischia il vento“ composta dal medico partigiano Felice Cascione, medaglia d’oro al Valor Militare che fu eroico capo partigiano in Liguria che adatto’ un testo ad una musica russa. Anche questa canzone divenne identificativa della Resistenza garibaldina. “Bella ciao“ appartiene ad un ‘altra storia m, precedente alla Resistenza (le mondariso) e si lego ‘ dopo la guerra all’Anpi.
Ne’ la Fiap ne’ la Fivl l’hanno mai adottata. Fiap significa partigiani azionisti, Fivl significa Cadorna, Mauri, Taviani e tanti altri valorosi volontari per la libertà non comunisti. La Resistenza non fu solo rossa, ma fu plurale nella partecipazione, ad esempio, di tanti militari,  dall’eroico Gen. Giuseppe Perotti all’avvocato Valdo Fusi che rischio’ la fucilazione al Martinetto e che è autore del più bel libro sulla Resistenza. Mai Perotti o Fusi avrebbero cantato quella canzone. Il rispetto per la storia manca del tutto a quei parlamentari che vorrebbero imporre per legge il canto “Bella ciao“ dopo l’Inno nazionale in occasione delle cerimonie del 25 aprile. Già di fatto l’Anpi, che monopolizza tutte o quasi le cerimonie – complici i sindaci anche di centro – destra -ha imposto il canto di quella canzone , ma renderla obbligatoria per legge e’ un abuso e un’offesa a tutti i volontari della Libertà di altro orientamento politico. E’ una cosa che fa pensare a quando nel 1925, l’anno del fascismo divenuto regime,  venne imposto il canto di “Giovinezza” dopo la Marcia Reale. Anche in quel caso il fascismo si impossessò di una canzone non storicamente sua, ma l’idea di aggiungere qualcosa all’Inno nazionale e’ di per se’ sbagliato in linea di principio e se poi ci riferiamo all’Inno di Mameli,  inno patriottico di matrice repubblicana e democratica , “Bella ciao “ appare un’appendice divisiva di una parte politica del tutto non giustificata. A nessun vecchio e vero partigiano venne mai in mente una proposta del genere.  Il vecchio Arrigo Boldrini presidente nazionale dell’Anpi , non avrebbe mai dato retta a proposte stravaganti del genere. I comunisti erano duri nelle idee , ma erano persone serie.  Lo storico Battaglia ne e’ stato la dimostrazione, ma non certo solo lui. La storia va rispettata e l’Inno nazionale che ha una nobile matrice risorgimentale , non va confuso con altri canti, come il tricolore e’ unico e non appaiabile se non alla bandiera europea. Credo si tratti di una proposta elettoralistica – che si richiama alla signora Boldrini , intollerabilmente faziosa – ma sicuramente incompatibile con la storia migliore del Pd. L’idea di imporre di cantare in coro e’ di per se’ una scelta poco democratica, come dimostra la storia non solo italiana. E’ un qualcosa che evoca il conformismo, per usare un eufemismo gentile, e spezza quella solidarietà antifascista tricolore che e’ alla base della vera Resistenza.

Inviato da iPhone

60 anni fa la prima pietra del Tempio di don Bosco

Quasi 30.000 fedeli accolsero festosamente il Papa polacco al Colle don Bosco il 3 settembre 1988, nell’anno del primo centenario della morte di don Bosco.

Una giornata indimenticabile per i luoghi in cui nacque il Santo dei giovani, per la grande comunità salesiana e per tutti i cattolici. Da allora la visita di Giovanni Paolo II viene ricordata sotto il porticato di fianco all’immensa cattedrale con imponenti pannelli fotografici che illustrano la visita del Papa diventato San Giovanni Paolo II. Una folla eccezionale si strinse quel giorno di 33 anni fa attorno a uno dei pontefici più amati e popolari di sempre. Karol Wojtyla celebrò la messa nel piazzale della chiesa ed entrò nella casa in cui Giovannino Bosco nacque il 16 agosto 1815. Oggi è di nuovo grande festa per i salesiani che ricordano la posa della prima pietra del Tempio “don Bosco”, benedetta dall’arcivescovo di Torino cardinale Maurilio Fossati e collocata sessant’anni fa, l’11 giugno 1961, nel luogo dove oggi sorge la mastodontica Basilica di San Giovanni Bosco nelle campagne di Castelnuovo tra colline, vigneti e noccioleti. La pietra non proveniva dalle cave ma dalla basilica torinese di Maria Ausiliatrice dove serviva da basamento al quadro della Madonna. La basilica di San Giovanni Bosco, alta 26 metri, fu costruita nella borgata Becchi del Colle don Bosco tra il 1961 e il 1966 dove sorgeva la cascina Biglione in cui nacque don Bosco e dove il padre faceva il contadino. Al Colle i salesiani investono da sempre nel futuro dei giovani. Un centro di formazione professionale con aule e laboratori per attività tecniche, informatiche e arti grafiche ospita centinaia di ragazzi che praticano anche attività sportive.
Nell’area del santuario è presente un Museo etnologico missionario che contiene reperti etnografici provenienti da ogni parte del mondo. Fece scalpore il 2 giugno 2017 la notizia del trafugamento dalla basilica dell’urna contenente il cervello di don Bosco. La reliquia fu ritrovata quindici giorni dopo e ricollocata al suo posto.
   Filippo Re

Inaugurazione del Memoriale Cavour a Santena

160° Anniversario della morte di Camillo Cavour 

 
​In occasione del 160° Anniversario della morte di Camillo Cavour, il Museo Nazionale del Risorgimento proporrà domenica 6 giugno alle ore 15.30 la visita guidata Cavour, l’Italia e l’Europa nella quale sarà presentata l’incessante attività e le eccezionali capacità politiche di uno dei principali protagonisti del Risorgimento. Prenotazione obbligatoria telefonando al n.0115621147; costo 4 euro da aggiungere al biglietto di ingresso.
Sempre domenica 6 giugno,  si inaugurerà ufficialmente  il Memoriale Cavour a Santena: per l’occasione il Museo Nazionale del Risorgimento ha prestato la camicia funebre del grande statista piemontese che sarà temporaneamente esposta nella stanza da letto di Cavour al secondo piano del Castello di Santena.

Francesco Negri, piemontese eclettico che inventò un curioso teleobiettivo

Francesco Negri (Tromello 1841 – Casale 1924) amava definirsi casalese. Sebbene nato a Tromello Lomellina, appena laureato in giurisprudenza a Torino nel 1861 si stabilì nella città monferrina dove visse fino alla morte. Molteplici i suoi interessi culturali, artistici, letterari, amministrativi ed scientifici.

Studioso di batteriologia si interessò ai bacilli della tubercolosi e del colera raccogliendo campioni durante l’epidemia che investì Pontestura dando luogo alla prima documentazione foto micrografica del colera asiatico ottenendo la medaglia d’ argento dal Ministero della Sanità.

Famoso per aver inventato un teleobiettivo artigianale e originalissimo con l’applicazione sulla macchina fotografica delle lenti utilizzando le scatole delle pillole Pink, tonico allora di moda. Col senno di poi si potrebbe azzardare che l’oggetto potrebbe essere rappresentato in un museo come anticipatore dell’arte povera che sorse negli anni 50 del 900.

Negri si inserì nel clima del socialismo umanitario e del diffondersi delle teorie scientifiche della seconda metà dell’ 800.

Divenne amico di neoimpressionisti scientifici quali Giuseppe Pellizza di Volpedo e in particolare di Angelo Morbelli che usava, al posto degli schizzi, le fotografie per poi tradurle rigorosamente in pittura nello studio. A questo proposito esiste una singolare fotografia scattata dal Negri nell’atelier di Villa Maria alla Colma di Rosignano che ritrae il famoso divisionista mentre dipinge al cavalletto attorniato da amici artisti.

Appassionato di montagna, spesso fotografava la catena delle Alpi affascinato dallo splendore del manto nevoso e dalla purezza che emanava. Le vedute di piazze, vie, monumenti di Casale con il castello, la torre civica, il teatro, il Po con i suoi isolotti pietrosi, sono vere e proprie opere d’arte e costituiscono uno spaccato d’epoca riportato alla luce prima che fosse cancellato dalle trasformazioni del tempo e dalla successiva urbanistica.

Il popolo minuto che si aggira tra i banchi del mercato, venditori ambulanti, giostrai, contadini, massaie con la sporta, bimbi che si divertono con pochi giochi vengono ritratti dal geniale fotografo con empatia e commozione:  sono inestimabile documento di usi e costumi, della vita di un’epoca in cui forse si era più felici.

È morto il Duca d’Aosta

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Alla vigilia della festa della Repubblica e’ mancato Amedeo di Savoia duca d’Aosta, erede di un grande personaggio, l’eroe dell’ Amba Alagi, Amedeo di Savoia che morì a Nairobi, prigioniero degli Inglesi durante la seconda guerra mondiale, che ebbe l’onore delle armi dai nemici dopo una impossibile resistenza senza armi e senza viveri in Africa orientale di cui fu viceré  Amedeo cercò di seguire le grandi tradizioni della sua Famiglia, a partire da Emanuele Filiberto , comandante dell’Invitta Terza Armata nella Grande Guerra, sepolto con centomila caduti al Sacrario di Redipuglia. Fece il servizio militare in Marina, giurando fedeltà alla Repubblica. Giovanissimo studente di liceo, nel 1964, partecipai a Sintra, in Portogallo, al suo matrimonio con Claudia di Francia, poi naufragato miseramente. Conservo nel mio archivio famigliare la fotografia con dedica del Duca insieme all’affascinante Claudia. Facevo la I Liceo classico ma mio nonno volle che ci ritrovassimo vicino al Re Umberto, zio dello sposo, che esprimeva la grande tradizione famigliare sabauda a cui la mia famiglia era indissolubilmente legata in pace e in guerra. Dopo la morte del Re Umberto II, ci furono maneggioni senza titoli di sorta che vollero “incoronare” Amedeo come capo della casa di Savoia ed erede al trono. Fu un’operazione squallidissima opera di un un preside pensionato che si illuse di essere arbitro niente meno dei destini di una dinastia millenaria. Mi rividi casualmente a cena con il Duca insieme al sedicente e compianto Conte Cremonte Pastotello. Mi accorsi che era in pessima compagnia, ma vidi lo stile del Duca, intatto nella sua eleganza aristocratica, nonostante tutto. Ritrovato in un ristorante torinese, lo salutai con effetto e devozione. Io voglio pensarlo oggi riappacificato con le beghe famigliari che suscitarono clamori anche mediatici inopportuni . Il capo della Casa Savoia e’ il legittimo erede Vittorio Emanuele  duca di Savoia e principe di Napoli.
La scomparsa del Duca metterà la mordacchia anche alle sedicenti consulte create dall’ ex preside e ai suoi scarsi e vecchi sostenitori che pretesero di decidere l’ereditarietà ’ di una discendenza storica così importante. La morte di Amedeo mi rattrista molto perché quel ramo d’ Aosta fu rappresentante di una grande pagina di storia d’Italia che quando lo accolsi a Palazzo Cisterna di Torino, dove vissero i suoi Avi , volli doverosamente ricordare .Tra non molto ricorderemo la morte dell’eroe della Grande Guerra morto a Torino nel 1931 di cui c’è un monumento imperituro in piazza Castello. Potremo ritrovarci in piazza Castello a ricordare tutto il ramo – che al di la’ delle strumentalizzazioni dinastiche operate da piccoli uomini – ha onorato la storia d’Italia,  al pari dei dimenticatissimi duchi di Genova, eliminati dalla toponomastica torinese da mano giacobina ed ignorante.