STORIA- Pagina 103

Il bibliotecario dell’ex manicomio racconta il suo lavoro tra libri e storie di vita

Intervista a Lillo Baglio. Una testimonianza diretta su un mondo ormai lontano

Un argomento che da sempre ha suscitato il mio interesse è relativo all’ex manicomio di Collegno, in tutti i suoi aspetti, sia storici che umani. Mi sono già occupata di tali tematiche, in un ciclo di articoli dal titolo “C’erano una volta i matti”, pubblicati da questa testata. Nei pezzi ho affrontato la storia dell’istituzione manicomiale fino alla Legge Basaglia, facendo riferimento a vicende letterarie e artistiche di personaggi in massima parte torinesi, come il triste caso di Ida Peruzzi, moglie di Emilio Salgari.
Sono stata particolarmente lieta quando Lillo Baglio, archivista e bibliotecario dell’ex manicomio di Collegno, mi ha contattata per dialogare con me in merito a questa realtà complessa e forse non abbastanza ricordata. Ecco allora la nostra chiacchierata.

Buongiorno Lillo, archivista e bibliotecario dell’ex manicomio di Collegno. Puoi raccontarci qualcosa di più riguardo alla tua storia, a come sei arrivato ad occupare questa posizione?
Buongiorno! In effetti la storia e la vita professionale di ognuno, per molti di noi, assomiglia alla nave Argo, il cui timoniere era convinto di dirigere da solo la nave, dimenticando che era il soffio del vento a mandarla avanti. Ebbene forse il destino c’entra qualcosa. Io arrivai a Collegno trent’anni or sono, dopo pochi mesi fui assunto presso l’azienda sanitaria di allora: l’asl to24 (oggi ASLTo3) dapprima come addetto ai servizi generali. Successivamente venni a sapere che l’allora responsabile della biblioteca medica, cercava un collaboratore, possibilmente diplomato, che avesse un certo grado di istruzione. Colsi subito l’occasione, e dopo un colloquio con il direttore amministrativo venni assegnato alla biblioteca medica, come addetto alla stessa. Frequentai, fin da subito, un corso in biblioteconomia e archiveconomia che mi permise di inserire, nel Sistema Bibliotecario Nazionale, un fondo importante composto di libri di psicoanalisi e psicologia, donato alla biblioteca dal Professore Ferraris. Da allora sono passati trent’anni. Nella metà degli anni Novanta fu creato il Centro di documentazione sulla psichiatria che raggruppa tre sezioni: La Biblioteca Medico Scientifica, l’archivio storico dell’ex manicomio di Collegno, l’archivio delle cartelle cliniche dei cinque ex ospedali psichiatrici riuniti, ovvero, gli ex ospedali psichiatrici di Torino, Collegno, Savonera, Villa Regina Margherita, Grugliasco, compreso il “manicomio dei bambini” Villa Azzurra, sempre di Grugliasco.

Un contesto decisamente particolare quello in cui ci troviamo, non solo un ex manicomio, ma uno dei luoghi che sono stati più attivi e conosciuti, ovvio fino alla Legge Basaglia del 1978. Ci dici qualcosa di più riguardo a che cosa vuol dire lavorare in un ambiente così “sui generis”?
Sono stato definito “il custode della memoria storica dell’ex Ospedale psichiatrico di Collegno”. Se con questa espressione si vuole dire che metto a disposizione, di chiunque ne faccia richiesta, per motivi di studio, di ricerca, di approfondimento etc.., lo straordinario patrimonio librario e documentale, a cominciare dagli “Ordinati” dove troviamo tutta la storia di questa complessa Istituzione che è stata, prima la Certosa di Collegno poi il “Manicomio di Collegno” , se intesa così la parola “custode” ha un senso. Oltre a custodire questo patrimonio culturale, davvero unico, io coadiuvo studenti per le loro tesi, ne sono state scritte centinaia tutte regolarmente catalogate. Indirizzo molti scrittori che hanno scritto libri che parlano di questa dimensione e di questa realtà manicomiale. Pensate che il Centro custodisce la Cartella Clinica dello smemorato di Collegno, un caso di appropriazione di identità che allora fece molto scalpore e che divise gli italiani in “Cannelliani e Bruneriani”. Quasi tutti quelli che hanno scritto su questo aneddoto sono venuti in biblioteca a consultare il materiale storico del caso.

Parliamo ancora della tua esperienza diretta in questo contesto. Hai avuto occasione di conoscere alcuni pazienti? Tra questi, ti ricordi in particolar modo di qualcuno?
Questo è l’aspetto, se vogliamo, più significativo della mia trentennale esperienza lavorativa in un contesto che ha conosciuto il dolore e ha ospitato il mistero della follia. La legge Basaglia, come sappiamo, sanciva legislativamente la chiusura dei manicomi. La legge Basaglia è stata sicuramente una legge di civiltà, i manicomi, gestiti con logiche appunto manicomiali, non potevano più rappresentare dei luoghi di cura ma luoghi di segregazione, dove il più delle volte la dignità umana veniva calpestata. Per ciò che mi concerne posso però dire che la chiusura, e la messa in libertà dei degenti che nel frattempo riacquistavano la libertà e con essa i propri diritti costituzionali, ha presentato delle forti criticità, voglio dire che avrebbero dovuto realizzare alternative abitative e alloggiative per i degenti rimasti senza la famiglia di appartenenza e senza protezione economica. E’ successo che molti degenti non furono in grado di integrarsi nella società e questo comportò il suicidio di centinaia e centinaia di ex ricoverati, molti di loro sono anche scomparsi e non si è saputo più nulla. Molti però rimasero a Collegno e sistemati negli ex padiglioni psichiatrici, diventati nel frattempo delle comunità, in attesa di una futura destinazione nelle strutture che avrebbero realizzato per loro. Pensate che la legge Basaglia è del 1978 mentre l’ultimo ricoverato di Collegno uscirà definitivamente nel 2004, per cui ho conosciuto molti pazienti. Molti di loro venivano tutte le mattine in biblioteca a prendere il caffè. Mi volevano bene, capivano che li rispettavo e non li giudicavo. Da loro paradossalmente ho imparato molto. Posso dire di avere conosciuto un’umanità straordinaria. Me li ricordo tutti, ognuno a proprio modo mi ha lasciato un ricordo indelebile. Mi dicono che abbia una dote che è quella dell’ascolto, so ascoltare. Ho perfino voluto scrivere un libro, dal titolo “E i matti dove li mettiamo? Viaggio nella coscienza del mondo degli altri.” È un dialogo realmente avvenuto tra me e due ex malati psichici dove si discute del mistero della vita e della follia.

Ci troviamo ora nella biblioteca, un luogo importante per testimoniare la storia. Cosa ci puoi dire in proposito?
Quando nel 1973 l’ospedale psichiatrico di Via Giulio viene chiuso, la biblioteca e i libri che si trovavano in via Giulio, nel manicomio di Torino, furono trasferiti a Collegno. I volumi rimasero abbandonati a se stessi fino all’arrivo di un medico, il Dott. Giorgio Tribbioli, un infermiere, Franco Cavaglià, e di un ex ricoverato; insieme salvarono dalla dispersione e distruzione per macero libri e riviste stipati dentro i cassonetti. Fu soprattutto grazie al ricoverato Roberto Contartese, laureato in filosofia, uomo coltissimo e a lui che dobbiamo la salvezza di un patrimonio culturale importantissimo che racchiude tutta la storia della psichiatria dal ‘700 ad oggi. Nel 1987 la Biblioteca venne riaperta ai lettori, come ente di conservazione, senza fondi per ulteriori acquisizioni né di libri né di periodici. Se i libri più di ogni altra cosa sono la sede prescelta per conservare la memoria ed esercitare immaginazione, la Biblioteca diventa il luogo ideale per raccogliere tutto l’insieme dei ricordi e del passato dell’umanità. Data la collocazione all’interno di un ospedale psichiatrico, essa si sviluppa all’insegna dell’alta specializzazione che va formandosi nel corso della seconda metà dell’Ottocento grazie alla gestione di dottori che arricchiscono il patrimonio librario di testi pertinenti la scienza medica e soprattutto la psichiatria; è pertanto possibile oggi tracciare un percorso storico dell’evoluzione di tale scienza attraverso i volumi stessi della Biblioteca. Altresì è possibile tracciare due linee di sviluppo autonome, che danno alla Biblioteca una peculiare fisionomia: da un lato una particolare tradizione di studi e ricerche in campo psichiatrico che si è sviluppata nel corso degli anni, dall’altro l’essersi organizzata fin dalla seconda metà dell’Ottocento come Biblioteca di pubblica lettura per i ricoverati dell’ospedale, l’altra biblioteca la cosiddetta “biblioteca dei ricoverati.”

Oltre i libri, ci sono anche dei quadri. Si tratta di lavori eseguiti da ex pazienti. Che cosa si può evincere, secondo te, da queste creazioni?
Il Centro di documentazione sulla psichiatria custodisce i dipinti realizzati negli anni dagli ex pazienti psichiatrici. Sono dipinti straordinari che confluiscono nella corrente dell’Art Brut letteralmente “arte grezza”, ma tradotto anche come “arte spontanea”. Questo concetto è stato inventato nel 1945 dal pittore francese Jean Dubuffet per indicare le produzioni artistiche realizzate da non professionisti, degenti dell’ospedale psichiatrico che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali (autodidatti, psicotici, schizofrenici, persone completamente digiune di cultura artistica). Egli intendeva, in tal modo, definire un’arte spontanea, senza pretese culturali e senza alcuna riflessione. Sono, se così si può dire, creazioni artistiche che scaturiscono da personali pulsioni emotive.

Tra questi libri, ce n’è uno che ti ha colpito in modo particolare, per importanza e ricchezza di contenuti? Stessa domanda sulle opere: ce n’è una che ritieni più significativa e perchè?
Per quanto riguarda i libri, la biblioteca possiede davvero un patrimonio libraio importantissimo, è una biblioteca storica specializzata nelle scienze psichiatriche, neurologiche, psicologiche e di tutto ciò che riguarda il segreto del comportamento umano. Posso dirti che la lettura di Freud mi ha fatto capire questo misterioso concetto di “inconscio”, in sostanza Freud per me è stato il maestro del “sospetto” vale a dire che la sua intuizione è davvero interessante; noi tutti saremmo agiti da forze e pulsioni che trascendono a volte la nostra volontà e, il paradosso, è che in questo “magma” si troverebbe “la verità” della nostra vera natura…Per quanto riguarda se ci sia un’opera o un artista che mi abbia colpito , a dire la verità ce n’è più di uno, tutti a modo loro sono molto, molto interessanti artisticamente, ma, per rispondere alla domanda ce n’è uno che per me dovrebbe diventare il simbolo, il riferimento, dell’Art Brut in Piemonte ed è Giorgio Barbero. Tempo fa chiesi ad un ricoverato cosa fosse la smemoratezza, chi è, in buona sostanza uno smemorato? La risposta che mi venne data fu questa: “È uno che finge di essere ciò che è veramente”. Una risposta decisamente enigmatica ma, paradossalmente, non priva di senso; esattamente come può essere percepita l’opera di Giorgio Barbero, un’opera ermetica, impenetrabile, inaccessibile a qualsivoglia forma o tentativo di identificazione, tuttavia non priva di senso, di gravitazione intorno all’ignoto, perché ignoti, sono, appunto, l’origine e la vita del cosmo infinito, dei pianeti lontani e sconosciuti, delle galassie e dei mondi muti, dell’universo silenzioso, come è Barbero, taciturno e introverso , allo stesso tempo privo di qualsivoglia senso pratico ma con una fervida e convinta immaginazione, confinante, forse, con il delirio in cui entrano potenze straniere dotate di armi tecnologicamente avanzate, armi sconosciute agli umani. Giorgio dice di vedere dei sputnik, delle navicelle spaziali, satelliti e astronavi provenienti da altri mondi. Lo stesso Barbero afferma: “Nella mia pittura rappresento satelliti spaziali, galassie ai confini del cosmo, momenti di espansione verso il futuro; un cosmo, delle galassie lontane anni luce. Io viaggio ai confini dello spazio, nella quarta dimensione ed esploro i pianeti sopra un razzo a tre propulsori”. Barbero dunque riporta ciò che vede nei suoi disegni, testimonia di paesaggi astrali, di atmosfere lunari, di realtà prive di luce, viceversa di una luce scura e tenebrosa.

Ora che il manicomio è chiuso ed è una realtà un po’ dimenticata, secondo te, che cosa si potrebbe fare affinché la memoria di queste esperienze non vada persa?
Desidero subito dire che chi si occupa di archivi, di biblioteche e di memorie storiche lavora su tre fronti: verso il passato, conservando e offrendo alla consultazione i documenti selezionati per il loro valore storico e giuridico. Verso il presente per quanto riguarda la trasparenza democratica e verso il futuro a salvaguardia della memoria storica per le generazioni future. Il passato dovrebbe insegnarci a migliorare il presente, ognuno di noi, anche chi non è consapevole, incarna la storia dell’umanità. Noi siamo l’estensione psichica e biologica del primo uomo apparso sulla terra, in questo senso la memoria, soprattutto anche quella storica, va conservata e custodita. La follia è una dimensione che riguarda potenzialmente ognuno di noi, i manicomi sono stati luoghi “dell’umanità rubata” queste esperienze umane sono state rimosse ma sono ancora drammaticamente presenti. Non esisteranno più, aggiungo io per fortuna, i manicomi ma i problemi sono ancora tanti, sono ancora troppi…

Alessia Cagnotto

 

 

“Sete d’oro” Antichi kesa e paraventi giapponesi in mostra al MAO di Torino

Fino al 6 marzo 2022

Veste tipica dei monaci buddhisti, nonché l’abito indossato dal Buddha stesso, il kesa non è, in Giappone, un semplice indumento confezionato dal monaco stesso assemblando strisce di tessuto con cuciture sovrapposte (e realizzato, nel caso dei kesa rituali, con tessuti preziosi e decorati), ma riveste anche un significato simbolico estremamente profondo, legato al risveglio, alla consapevolezza del praticante che lo indossa e alla connessione con l’intero universo.

Al “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino se ne vanta una pregiata raccolta, che, per motivi conservativi – come accade con i dipinti su carta o seta o con le stampe – vede periodicamente la messa a riposo di alcuni  esemplari, necessaria per consentire alle fibre dei tessuti di distendersi dopo lo stress a cui sono sottoposti nel periodo di esposizione al pubblico e ai manufatti più delicati di non essere troppo sovraesposti alla luce. Seguendo, dunque, scrupolosamente questo turnover, dallo scorso 7 settembre e fino al 6 marzo del prossimo anno, il Museo di via San Domenico propone oggi, nella galleria dedicata al Giappone, l’esposizione di tre kesa di fattura, epoca ed iconografia differenti, accompagnati da tre piccoli pregiati paraventi a due ante. Andando per ordine: il primo è un kesa a motivi floreali, con draghi e fenici multicolori della prima metà del XIX secolo. Sullo sfondo ocra del mantello si alternano fiori di peonia e di pruno alternati a draghi avvolti ad anello tra nuvole e simboli augurali, mentre le fenici in volo riprendono il dinamismo rotatorio dei draghi grazie alle loro lunghe code piumate che ne cingono il corpo. Il secondo tessuto, che risale al XVIII secolo, è impreziosito da minuti motivi floreali: si tratta di una stoffa di colore bruno preziosa e leggera, piuttosto sobria nonostante il largo uso di filati metallici. A chiudere la triade un kesa risalente al XIX secolo, che presenta un motivo di draghi allineati e avvolti su loro stessi a formare tanti anelli sormontati da tralci vegetali con peonie in fiore, elementi dal profondo significato beneaugurale, ulteriormente impreziositi da rade foglie di gelso ricamate in oro. Per dimensioni e fattura, si ipotizza che questo mantello sia stato ricavato da un uchikake, un kimono nuziale femminile.

Passando ai paraventi, il primo presenta una decorazione con ritratti di grandi poeti del periodo Fujiwara (898-1185): le immagini del monaco Shun’e, del cortigiano Fujiwara no Kiyosuke, del letterato Fujiwara no Mototoshi e della dama Akazome Emon, applicati sul fondo a foglia d’oro, sono poste accanto ad alcuni dei loro versi più celebri. Gli altri due paraventi formano  invece una coppia e raccontano scene di famosi scontri militari: sul supporto in carta spruzzata di laminette d’oro appaiono alcuni episodi celebri della battaglia di Ichinotani (1184), teatro di uno degli scontri conclusivi della lunga guerra tra i clan dei Taira e dei Minamoto, che si contesero il dominio sul Giappone alla fine dell’epoca Heian.

Gianni Milani

 

“Sete d’oro”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436919 o www.maotorino.it

Fino al 6 marzo 2022

Orari: mart. merc. ven. sab. e dom. 10/18 – giov. 13/21, lun. chiuso

 

Nelle foto

–         Kesa con motivi circolari di draghi, tessuto in seta operata con seta policroma e ricami in filo d’oro ritorto, 1840-50

–         Kesa con motivi floreali, draghi e fenici, tessuto in seta (fodera in cotone ocra), prima metà XIX secolo

–         Paravento a due ante con ritratti di grandi poeti della tradizione giapponese, dipinti applicati su foglia d’oro e supporto in carta con bordo di seta damascata montato su struttura in legno laccato, XVIII-XIX secolo

Il “profe” Monti e Giaveno

Un incontro al Pacchiotti per commemorare i 140 anni dalla nascita di Augusto Monti

“Bella la mia Valle dell’Armirolo: che cos’è quest’onda di tenerezza che mi sale al cuore sempre che io ti riguardi offerta al cielo, casa dove io torno ogni anno richiamato dal desiderio di te? Dimmi che cos’è che mi fa impeto al sospirare di tenerezza, cos’è? Se non è amore, che cosa sia io non so”
Augusto Monti, Val d’Armirolo. Ultimo amore

GIAVENO — Sabato 2 ottobre alle ore 16 presso l’Aula Magna della Fondazione Pacchiotti di Giaveno (Via Pacchiotti, 51) si terrà un incontro, patrocinato dalla Città di Giaveno, per commemorare Augusto Monti (29 agosto 1881 – 11 luglio 1966), scrittore e intellettuale antifascista, nel 140 anniversario della sua nascita.
Per l’occasione interverranno il critico letterario e biografo di Monti Giovanni Tesio, già docente di Letteratura Italiana all’Università del Piemonte Orientale; la giornalista e Presidente dell’Unitre Giaveno Val Sangone Alessandra Maritano; Fabrizio Dutto, titolare della casa editrice cuneese Araba Fenice, che ha ristampato le opere di Monti; Livio Lussiana, vicepresidente del CAI sezione di Giaveno, e Luca V. Calcagno, che ha realizzato un documentario autoprodotto di mezz’ora dal titolo “Le voci e i silenzi. Augusto Monti e la Valle dell’Armirolo”. Nel video viene spiegato il rapporto tra Monti e Giaveno, attraverso i contributi del prof. Tesio e della dott.ssa Maritano. Compaiono anche alcune fotografie d’epoca fornite da Roberta Giai Via Biggio con l’aiuto di Michele Rege e il gruppo “Racconti e ricordi della Val Sangone”.
Il celebre professore, insegnante tra gli altri anche di alunni come Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio Einaudi e Vittorio Foa, ha avuto rapporto con Giaveno fin dal suo debutto nel mondo della scuola appena laureato. Infatti ha insegnato presso l’Istituto Pacchiotti negli anni scolastici 1902/03 – 1903/04, riportando le sue impressioni anche nella sua “autobiografia” I miei conti con la scuola.
Torna in Giaveno alla fine degli Anni Venti, dapprima in borgata Sala, poi alla Côrdia che è eletto suo luogo di villeggiatura fino all’arresto per antifascismo nel 1936. Dal 2006 in quei

luoghi si snoda il percorso escursionistico del Sentiero Augusto Monti con partenza da borgata Mollar dei Franchi.
«Visto il rapporto che Augusto Monti ha avuto con il Pacchiotti e con Giaveno abbiamo subito accolto la proposta di realizzare questo incontro — spiegano dal Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Pacchiotti, il presidente Fulvio Roattino con Patrizio Sgarra e Vladimiro Colombo — Si inserisce nell’opera di riscoperta e valorizzazione della nostra storia e di quella del territorio che il nostro CdA sta portando avanti».
«La figura di Augusto Monti riveste un ruolo di primo piano nella storia di Giaveno e il suo legame con la nostra città è motivo di orgoglio, oltre ad esercitare un indiscusso richiamo anche a livello culturale e turistico — interviene Edoardo Favaron, Assessore alla Cultura del Comune di Giaveno — Negli anni sono state numerose le iniziative dedicate a questo grande scrittore, a cui Giaveno ha anche dedicato il suo sentiero escursionistico più celebre. Ringrazio la Fondazione Pacchiotti per aver organizzato questa pregevole iniziativa che riporterà la meritata attenzione sulla figura di Monti in occasione di questa importante ricorrenza».
«L’iniziativa organizzata nel 140° anniversario della nascita di Augusto Monti consente di riprendere  il cammino  nella riscoperta della sua vita, dei suoi scritti,  del suo mestiere  nella scuola  e del suo antifascismo — dichiara Maritano — Di intrecciare l’esperienza  concreta e fisica  da  compiere passo passo dopo  passo sul Sentiero giavenese a lui dedicato alla lettura di Val D’Armirolo. Ultimo Amore, delle Lettere a Luisotta, ma anche ad altri testi. Assaporando i colori, la vegetazione, i rumori e i silenzi del paesaggio e del posto è possibile cogliere alcune chiavi di contatto, per quanto altre non esistano più,   con l’atmosfera vissuta da questo intellettuale del Novecento, nel suo tempo di vacanza a la Côrdria».
«Araba Fenice, allo scoccare dei suoi 30 anni di vita, è lieta di continuare la battaglia editoriale per far conoscere e tener viva l’opera di Augusto Monti, nonostante non sia un autore di grande mercato e sia un autore di nicchia — racconta Dutto — Continuiamo a pubblicare soprattutto Val d’Armirolo. Ultimo amore che abbiamo sempre in catalogo. E probabilmente per l’anno prossimo faremo una nuova edizione de i Sansôssì, perché stiamo finendo l’edizione storica rilegata. Abbiamo anche l’intenzione di ripubblicare I miei conti con la scuola, che forse è il suo libro più significativo a livello storico ed educativo».
Racconta Livio Lussiana Vicepresidente del CAI sezione di Giaveno e appassionato lettore di Monti: «Realizzare il Sentiero Augusto Monti è stata una bellissima esperienza. A partire dalla proposta della nostra sezione, il gruppo di lavoro si è allargato ad Amalia Girotti e al Circolo Ricreativo Culturale di Giaveno, che ha ottenuto un finanziamento dall’allora Provincia di Torino, il prof. Bartolomeo Vanzetti, alla scuola superiore “Blaise Pascal”, i cui studenti hanno scelto i testi, al prof. Giovanni Tesio e alla dott.ssa Alessandra Maritano. Poi abbiamo realizzato anche un convegno insieme al Comune di Giaveno. Il Sentiero ci ha dato grosse soddisfazioni, anche se la sua manutenzione è molto impegnativa. Oltre che di molti escursionisti, negli anni è stato meta anche di gite di fine corsi da Unitre da tutto il Piemonte. Per questo ci piacerebbe che venisse riconosciuto come percorso letterario alla maniera di quello nelle Langhe dedicato a Beppe Fenoglio».
«In Val d’Armirolo Monti dà dignità letteraria a un luogo, già di per se splendido, che tutti noi giavenesi abbiamo sotto gli occhi» chiosa Calcagno.
L’iniziativa avverrà nel rispetto delle misure vigenti di prevenzione dalla pandemia da Covid – 19 e richiederà l’accesso con Green Pass.

La Cappella Sistina delle Alpi

Martedì 28 settembre gli Amici della Fondazione Ordine Mauriziano ci raccontano, in presenza e online, “La Cappella Sistina delle Alpi Marittime”

Ore 18 – Fondazione Educatorio della Provvidenza, Corso Trento 13; in presenza e online

Per il collegamento online: Piattaforma Zoom ID: 99669430915 – PW: 981707

AFOM – AMICI DELLA FONDAZIONE ORDINE MAURIZIANO

Conferenza dal titolo “Notre Dame des Fontaines (sottotitolo: La Cappella Sistina delle Alpi Marittime), a cura di Mario Busatto, socio AFOM.

Il santuario di Notre Dame des Fontaines è stato definito “La Cappella Sistina delle Alpi Marittime” in virtù degli splendidi affreschi tardo quattrocenteschi che coprono interamente le sue pareti e che illustrano episodi dei vangeli apocrifi, una coinvolgente Passione di Cristo che contiene, tra l’altro, la pubblica denuncia di un contemporaneo assassinio e un imponente Giudizio Universale pieno di messaggi simbolici.

Info: info@afom.it – www.afom.it

Lettera aperta a padre Antonio Menegon camilliano

Caro padre Antonio,
Seguo dai tempi più duri della pandemia la Messa delle 10,30 che Ella celebra nella chiesa di San Giuseppe di Torino e trasmette su Facebook.

Il prof. Quaglieni

Ascolto con attenzione le sue omelie, sempre molto vivaci sul piano intellettuale, oltre che cariche di valore messianico sotto quello religioso.
La sua omelia domenicale è quanto di meno clericale si possa ascoltare anche perché a volte assume accenti che non esiterei a definire addirittura anticlericali.

Vorrei che La ascoltassero certi cretini, atei e sbattezzati, che hanno nel loro piccolo cervello solo un laicismo furioso che ,come diceva il mio amico Bobbio, è l’esatto opposto della laicità. C’è chi dice che Lei è un seguace di Papa Francesco, ma io posso testimoniare che certe idee Lei le ha sempre professate ben prima dell’arrivo dell’attuale Papa. In una Messa che feci celebrare per il centenario della nascita di mio Padre ebbi il piacere di apprezzare il suo “anticonformismo” ed anche nei brevi discorsi che ci scambiammo quando venni a fare qualche iniezione in passato, apprezzai il suo modo d’essere fuori dagli schemi. Così, d’altra parte, è l’Ordine dei Camilliani dediti alla cura degli ammalati. Io stesso ho contribuito alla periodica raccolta di medicine attuata dalla chiesa di San Giuseppe e non posso dimenticare un episodio di grande significato etico e religioso: l’aver sgombrato i banchi della chiesa per accogliere a dormire i senza tetto. Un episodio che fece scalpore, ma non fu di esempio. Io apprezzo la profondità delle sue omelie e anche la loro concisione perché esse toccano sempre e subito il cuore del problema.

A volta c’è persino un po’ di ironia nelle sue parole, ma soprattutto c’è una visione di Chiesa che è agli antipodi di quella tramandata dalla tradizione. Non so cosa mi direbbe se sapesse che amo il latino e la Messa tridentina senza per questo essere un nostalgico parruccone della Controriforma di cui da storico ho studiato limiti ed errori. In Lei, qua e là, ma non vorrei dire un’eresia, c’è anche qualche venatura di pensiero che alcuni fedeli potrebbero definire protestante. Io La seguo sempre con interesse, anche quando dissento o non sono totalmente d’accordo con Lei perché le Sue parole trovano conferma nelle opere di carità cristiana di cui è promotore ed artefice. Lei non si limita a dire, ma fa concretamente ciò’ che dice.

Durante l’omelia di domenica 26 settembre ha voluto accennare alle grandi tragedie del ‘900, ignorando una delle più terribili: il comunismo. Si è limitato al nazismo e alla shoah che restano insieme al comunismo le tre grandi aberrazioni del secolo passato. Da credente io ho solo da imparare dalle sue omelie, ma io da storico ho il dovere di ricordare i milioni di morti provocati dal comunismo nelle sue diverse versioni. Non credo che un uomo colto e intelligente come Lei possa credere al comunismo come ad una forma di cristianesimo ateo, ad un impazzimento dell’idea cristiana, come si diceva un tempo.

Queste erano cose che biascicava un mio professore di ginnasio che non aveva il coraggio delle sue idee perché insegnava in una scuola cattolica. L’egualitarismo marxista che ha soffocato nella violenza più atroce ogni libertà e ogni dignità umana,  trae origine dal giacobinismo sanguinario dell’ egalite’ senza liberte’.

Non ritengo indenne da colpe, anche molto gravi, il liberismo oggi praticato nella Cina comunista, la cui origine è indiscutibilmente europea. Non nascondo e non giustifico le crudeltà di un liberismo senza regole. Comprendo invece come il socialismo possa trovare affinità con la dottrina cristiana, malgrado la sua matrice laica perché il socialismo ha un’anima umanitaria e libera. Il comunismo invece non può’ trovare il favore di persone che abbiano fatto i conti con la realtà e la storia. Le utopie a cui credevano Marx e Gramsci si sono rivelate fallaci e le violenze atroci di Lenin e di Mao sono profondamente anticristiane, anzi sono inumane.

Mi scusi se mi sono permesso di esprimere il mio pensiero, ma le ragioni della storia hanno un valore che non può essere ignorato. Le posizioni di via Vandalino a Torino o dell’Isolotto a Firenze, tanto per citare due esempi sessantottini dimenticati, rimangono forme di ribellismo che non ha lasciato nulla dopo di se’ .

Mi creda, con cordiale deferenza

Suo Pier Franco Quaglieni


P.S.  Mia moglie, di origini russe che ebbe l’intera famiglia tra cui suo nonno massacrata dai bolscevichi nel 1918, e’ rimasta esterrefatta, credo con qualche ragione, nel non sentire nominato il comunismo tra le tragedie del ‘900.

A tu per tu con Leonardo, una mostra svela i disegni del genio da Vinci E c’è anche il celebre Autoritratto

 

Dal 25 settembre al 3 ottobre i Musei Reali di Torino aprono le porte della Biblioteca Reale per ammirare un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni

 Architetto, anatomista, pittore, visionario: l’incredibile e poliedrico genio di Leonardo da Vinci torna protagonista ai Musei Reali che dal 25 settembre al 3 ottobre 2021 propongono un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni, tra i quali anche il celebre Autoritratto. Nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio e in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto di illuminazione della volta affrescata della Biblioteca Reale, realizzata grazie al sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, la mostra A tu per tu con Leonardo racconta un insieme di opere di eccezionale valore, che documenta l’attività del grande maestro del Rinascimento italiano dagli esordi della sua carriera a Firenze fino agli studi milanesi dedicati alle macchine, all’anatomia, alle proporzioni e alle espressioni del volto umano, per arrivare al sogno del volo.


Tutti i giorni, dalle 9 alle 20, i visitatori saranno condotti da guide esperte a scoprire da vicino il corpus leonardesco: il lavoro dell’artista e la sua infaticabile ricerca della perfezione affiorano dai tratti vergati con la pietra rossa o nera, a penna o a inchiostro, sfumati con rapidi colpi di pennello o resi voluminosi dai tocchi di biacca. Il disegno, grazie alla sua intrinseca versatilità, che lo rende adattabile sia all’analisi approfondita dei dettagli che a una rapida sintesi formale, è uno dei mezzi espressivi preferiti da Leonardo da Vinci che lo usa per tutto il corso della sua vita. L’esposizione è un’occasione unica per osservare, a distanza di secoli, le tracce del processo creativo che, da un fugace guizzo, concretizza e fissa l’idea sulla carta.

L’esperienza sarà preceduta da un’introduzione alla storia della collezione e alle vicende che hanno determinato l’arrivo a Torino dei preziosi disegni e dalla visita al salone aulico della Biblioteca, progettato dall’architetto regio Pelagio Palagi e affrescato dai pittori Angelo Moja e Antonio Trefogli. L’elegante manica ottocentesca, che oggi ospita migliaia di volumi antichi, è stata infatti oggetto di un intervento da parte dei Soci della Consulta che hanno promosso il rinnovamento dei corpi illuminanti, ora più efficienti e dai consumi contenuti, per valorizzare al meglio l’intero ambiente e mettere in risalto le decorazioni della volta.

 

L’evento avvia una rinnovata modalità di esposizione dell’importante nucleo di opere di Leonardo, le cui possibilità di fruizione pubblica sono condizionate dalle particolari caratteristiche delle opere su carta, particolarmente fragili e sensibili alle variazioni di temperatura e umidità e alla luce, che rendono necessari tempi di esposizione brevi, seguiti da adeguati periodi di riposo conservativo. Considerato il grande interesse del pubblico, infatti, i Musei Reali hanno scelto di concedere più frequentemente ai visitatori l’occasione di ammirare questi capolavori. A partire dal prossimo anno la mostra A tu per tu con Leonardo sarà visitabile tutti gli anni nella settimana di Pasqua nelle date 16-24 aprile 2022, 8-16 aprile 2023, 30 marzo-7 aprile 2024 e 19-27 aprile 2025.

 

“A più di 500 anni dalla sua morte, il talento di Leonardo da Vinci continua ad essere una fonte di illimitata ispirazione. Le sue molteplici intuizioni, opere e invenzioni sono capaci ancora oggi di sorprenderci e influenzarci, testimonianze dell’inesauribile curiosità che ha sempre alimentato la ricerca del grande maestro – spiega Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali -. Questa esposizione vuole essere una guida per affacciarsi sul mondo di un sommo artista che ha fatto della conoscenza e della sperimentazione una legge di vita”.

 

La storia sabauda della collezione leonardesca ha origine nel 1840 quando il Re Carlo Alberto acquista da Giovanni Volpato, mercante d’arte di origini piemontesi appena rientrato in Piemonte dopo alcuni anni di attività all’estero, 1585 disegni di grandi maestri italiani e stranieri. Fulcro della fortunata acquisizione è la sezione dei tredici disegni autografi di Leonardo da Vinci, fogli eterogenei per soggetto e cronologia, al culmine dei quali si pone l’opera più famosa della raccolta, e uno dei pezzi più noti della sua intera produzione: il Ritratto di vecchio, ritenuto l’Autoritratto del grande maestro.

 

I tredici disegni ripercorrono l’intera carriera artistica del genio da Vinci, dagli esordi intorno al 1480 fino agli ultimi anni di attività, 1515-17 circa, documentando l’intero panorama dei suoi interessi e delle sue sperimentazioni. Alcuni disegni sono in relazione con opere note e celebrate del maestro, dalla Battaglia d’Anghiari alla Vergine delle Rocce; altri ne testimoniano progetti mai realizzati, dai monumenti Sforza e Trivulzio alla statua di Ercole per Piazza della Signoria.

 

Nel 1893 la collezione leonardesca si arricchisce di un altro fondamentale documento, il Codice sul volo degli uccelli, donato ad Umberto I dal collezionista e studioso russo Teodoro Sabachnikoff. Il piccolo quaderno di appunti sul volo, scritto tra il 1505 e il 1506, era stato più volte trafugato e smembrato in seguito alla dispersione dei manoscritti di Leonardo seguita alla morte del loro primo erede e custode, Francesco Melzi, giungendo a Torino a fine Ottocento ancora mutilo di quattro carte. I fogli mancanti sono stati ritrovati sul mercato antiquario nel 1920 dal ginevrino Enrico Fatio, il quale, dopo averli acquistati, li ha donati al Re Vittorio Emanuele III, permettendo così la ricomposizione del prezioso codice. Il manoscritto, oltre a indagare il tema del volo degli uccelli, reca le riflessioni di Leonardo sulla macchina per il volo, sui problemi di meccanica, di idraulica, di architettura, di anatomia, di disegno di figura, intrecciandosi e intersecando questioni cruciali dei suoi studi.

 

Dal 25 settembre, presso il bookshop dei Musei Reali, sarà inoltre disponibile la guida breve alla collezione dei disegni di Leonardo da Vinci, realizzata con il sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino come strumento di approfondimento delle opere del grande maestro e di supporto alla visita del corpus della Biblioteca Reale.

MUSEI REALI TORINO

www.museireali.beniculturali.it

 

Orari

Da sabato 25 settembre a domenica 3 ottobre 2021, dalle 9 alle 20.

La biglietteria è aperta dalle 9 alle 18.

 

Biglietti

Intero: 20 euro

Ridotto per gruppi con guida privata: 18 euro + prenotazione (non acquistabile on line)

Ridotto per tutti i possessori di Abbonamento Musei, Torino e Piemonte Card, Royal Card: 13 euro

 

I biglietti possono essere acquistati in biglietteria oppure online su www.museireali.beniculturali.it e www.coopculture.it. Per informazioni: info.torino@coopculture.it.

 

L’ingresso alla mostra è in piazza Castello 191, previo ritiro del biglietto e controllo Green Pass presso la biglietteria in piazzetta Reale 1.

 

Accesso con Certificazione verde Covid-19

In ottemperanza alle disposizioni governative previste per tutti i luoghi di cultura italiani (D.L. 23 luglio 2021 n. 105), dal 6 agosto 2021 è richiesta la Certificazione Verde (Green Pass) per accedere al complesso dei Musei Reali, corredata da un documento di identità valido. Le disposizioni non si applicano ai bambini di età inferiore ai 12 anni e ai soggetti con una certificazione medica specifica. In mancanza di Green Pass e di un documento valido non sarà possibile accedere ai Musei e il biglietto acquistato non sarà rimborsato. Per maggiori informazioni sulla Certificazione verde COVID-19 – EU digital COVID consultare il sito www.dgc.gov.it.

Il Green pass non è necessario per l’ingresso ai Giardini Reali e alla Corte d’Onore, salvo che in occasione di eventi in cui siano previsti accredito e prenotazione obbligatoria (concerti, serate musicali).

Rimangono in vigore le prescrizioni di sicurezza anti-Covid: è obbligatorio indossare la mascherina; lungo il percorso sono disponibili dispenser di gel igienizzante, mentre le sale hanno una capienza contingentata nel rispetto della distanza fisica prevista per la sicurezza dei visitatori.

Alla scoperta della chiesa di Sant’Agostino

Domenica 26 settembre 2021

Ore 10-12,30 e 15-18 – Chiesa di Sant’Agostino (ritrovo presso il parcheggio del Polo Sanitario, in via S. Agostino), Avigliana (TO)

AMICI DI AVIGLIANA

Visita guidata alla Chiesa di Sant’Agostino, del secolo XV ed il bosco del monte Piocchetto limitrofo. Tutto inizia con il Padre Agostino de Anna di Carignano che, essendosi recato ad Avigliana per fare il quaresimale nella chiesa di S. Giovanni Battista ufficiata dai Canonici regolari di S. Bernardo di Menton l’anno 1465, vi predica con tanta efficacia che il Comune e il Beato Amedeo IX di Savoia lo invitano ad erigervi un convento accanto alla Chiesa della Misericordia sul ciglio del monte Piocchetto, fuori Avigliana.

Info: tel. 333.3138398 associazioneamicidiavigliana@gmail.com

“VeryFastPeople” sostiene il Bene FAI scelto dagli Amministratori di Condominio

Arte e ambiente da proteggere: appello agli amministratori di condominio in Piemonte

VeryFastPeoplesostiene il Bene FAI scelto dagli Amministratori di Condominio e destina quindicimila euro per la sua tutela, cura e salvaguardia

Fino al 31 ottobre si può selezionare il Castello e Parco di Masino a Caravino (TO), tra i 6 gioielli storico-artistici e paesaggistici protetti e curati dal Fondo per l’Ambiente Italiano in competizione

C’è anche il Piemonte nel viaggio in sei tappe nella bellezza italiana, da nord a sud, per scoprire alcunitesori del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano e contribuire a proteggere arte e ambiente. Un modo concreto per pensare al futuro è quello scelto da VeryFastPeople, società di consulenza di Varese che da 15 anni offre supporto agli amministratori di condominio in tutta Italia e ha messo in campo iniziative concrete per rendere il mondo un posto migliore, come la collaborazione con il FAI, che mira a sostenere i Beni salvati e protetti dalla Fondazione. Così oltre a essere Corporate Golden Donor, a organizzare convegni all’interno dei Beni del Fondo per l’Ambiente Italiano e a regalare ai propri clienti i biglietti per visitare il patrimonio FAI su tutto ilterritorio nazionale, da quest’anno VeryFastPeopleha deciso di coinvolgere attivamente gli amministratori di condominio in tutta Italia, invitandoli entro il 31 ottobre 2021 a esprimere la propria preferenza peruno dei Beni tutelati dal FAI selezionati per questa iniziativa. Al Bene che al termine della campagna avrà ricevuto più preferenze sarà destinata una donazione di quindicimila euro. “In competizione” da nord a sud dell’Italia ci sono sei gioielli storico-artistici e naturalistici, come il Castello e Parco di Masino a Caravino (TO), che concorre per il Piemonte.

Gli altri sono Villa e Collezione Panza a Varese, il Bosco di San Francesco ad Assisi (PG); Parco Villa Gregoriana a Tivoli (Roma), l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate a Lecce e il Giardino della Kolymbethra nella Valle dei Templi di Agrigento.

A quale Bene andrà la donazione? Saranno gli amministratori di condominio di tutta Italia a deciderlo, collegandosi al sito https://www.veryfastpeople.it/fai.php ed effettuandouna sola scelta tra i Beni in elenco. Appello, dunque, agli amministratori del Piemonte a sostenere il Castello di Masino a Caravino (To), che immerso in un parco monumentale con terrazze panoramichedomina la vasta piana del Canavese da un’altura antistante la suggestiva Serra di Ivrea e regala un paesaggio intatto e infinito. Per questa posizione strategica il maniero fu oggetto di frequenti contese, ma il nobile casato dei Valperga ne mantenne il possesso fin dalle origini, documentate già nel 1070.Durante i secoli la famiglia convertì il Castello in residenza aristocratica e poi in elegante dimora di villeggiatura. Tra saloni affrescati e arredi sfarzosi, salotti, camere per gli ambasciatori e appartamenti privati rivivono mille anni di storia di una delle più illustri casate piemontesi, che secondo la leggenda discende dal primo re d’Italia Arduino, con una biblioteca che conserva più di 25mila volumi antichi. È circondato da un monumentale parco romantico con uno dei più grandi labirinti d’Italia, un maestoso viale alberato, ampie radure e angoli scenografici, che a primavera si inondano di bellissime fioriture. Nel 1988

il FAI lo ha acquisito da Luigi Valperga di Masinograzie alla donazione FIAT, Cassa di Risparmio di Torino e Maglificio Calzificio Torinese. Oggi il Castello si può visitare secondo formule diverse: si può trascorrere una giornata all’aperto nel Parco o partecipare agli eventi organizzati nel corso dell’anno, godendo della caffetteria panoramica. Perfetto anche per le famiglie con bambini, che si divertono con la caccia al tesoro o a visitare il Museo delle Carrozze, la Torre dei Venti e tanti altri ambienti.

Una vicinanza, quella di VeryFastPeople, molto importante per il FAI perché contribuisce a offrire un reale sostegno alla Fondazione e a promuovere i luoghi di cui si prende cura quotidianamente, soprattutto in un periodo così difficile come quello che stiamo vivendo. Da 15 anni vogliamo essere un riferimento per chi amministra immobili in Italia sostiene Francesco Paini, uno dei tre soci di VeryFastPeople Ci piace andare oltre la semplice fornitura di servizi, generando valore in iniziative non prettamente commerciali. Vogliamo dare un contributo a progetti che proteggano il bello in tutte le sue forme. Per questo la scelta di sostenere chi ogni giorno si occupa di preservare i patrimoni immobiliari più belli d’Italia, ci è sembrata una normale e giusta conseguenza.”

Dio lo volle? La Roma d’Oriente cadde nel 1204

Che bisogno c’era di distruggere Costantinopoli e di massacrare i suoi abitanti otto secoli fa? Dio volle davvero la caduta della Roma d’Oriente nelle mani dei cristiani d’Occidente?

Un cinquantenne Bonifacio, marchese del Monferrato, comandava le galee che nel 1204 andarono alla conquista di Costantinopoli bizantina deviando improvvisamente la rotta e stravolgendo l’itinerario della spedizione militare e il corso della storia. Non più verso la riconquista di Gerusalemme che nel 1187 era tornata in mano ai musulmani, come stabilito inizialmente, ma verso la Roma sulle rive del Bosforo, greca e cristiana. Il nuovo obiettivo era quello di strappare con la forza la “Nuova Roma” ai bizantini. Sì, perché la prima caduta di Costantinopoli non avvenne nel 1453 per opera degli ottomani ma nel 1204 ad opera dei latini, veneziani e uomini d’armi provenienti in gran parte dai territori francesi. Cattolici contro cristiani ortodossi: un assalto premeditato con un saccheggio bestiale e massacri indicibili. una grande capitale imperiale schiacciata, umiliata e parzialmente distrutta. Questa fu la Quarta Crociata voluta da Papa Innocenzo III che in seguito scomunicò tutti, crociati e veneziani. Sulla vicenda gli storici forniscono opinioni differenti. I bizantinisti ritengono la cattura della Città di Costantino un atto deliberato contro Bisanzio mentre gli storici medievisti considerano l’evento come il risultato di una concatenazione di fatti e incidenti casuali che alla fine hanno condotto al sacco della capitale. Chi ha ragione? La storica del Medioevo Marina Montesano indaga sugli eventi del 1204 su cui si discute da oltre 800 anni con esiti assai differenti. Lo fa nel libro “Dio lo volle? 1204, la vera caduta di Costantinopoli”, Salerno editrice. La Montesano, che nel titolo del volume fa riferimento allo storico motto della Crociata “Dio lo vuole, a Gerusalemme!”, non ha dubbi. Dopo aver analizzato innumerevoli fonti e documenti identifica nel sacco della capitale bizantina ad opera dei Latini la vera caduta di Costantinopoli, dovuta non alla spada dell’islam ma alle armi dei cruce signati. Non un evento casuale quindi ma un fatto voluto e preparato da tempo. “Gli attacchi contro Bisanzio, scrive l’autrice, erano nei piani degli occidentali già da tempo. A cavallo tra 1201 e 1202, ancora prima della partenza, l’idea di arrivare sul Bosforo era presente e quanto alla posizione del Papa, la corrispondenza mostra bene non il ruolo di spettatore impotente, bensì il tentativo di cavalcare l’onda dell’esercito crociato”. Si spinge oltre Marina Montesano che vede un filo rosso che lega le due “cadute” di Costantinopoli, quella del 1204 e quella del 1453 per mano degli ottomani. Troppa notorietà è stata data alla seconda e molto meno alla prima. La data principale è certamente il 29 maggio 1453 che segna la conquista della capitale dell’impero romano d’oriente da parte dell’esercito ottomano di Maometto II, un evento cruciale che pose fine a mille anni di dominio bizantino in Medio Oriente ma Costantinopoli in realtà era già crollata due secoli e mezzo prima per mano latina. L’impero d’Oriente aveva infatti subito un durissimo colpo dagli occidentali e da allora non si era mai ripreso. Non solo ma per alcuni la grandezza imperiale finì in quel momento a tal punto da far concludere il Medioevo addirittura nel 1204. Fu una vicenda complessa e molto travagliata che inasprì i rapporti con i bizantini nel Duecento e oltre facendo crescere sempre di più la tensione tra latini e greci. Non si sopportavano per vari motivi cattolici e greci: in particolare, sottolinea la Montesano, “il clero greco-ortodosso, i monaci e il basso popolo odiavano latini e franchi, orgogliosi ed eretici, di un odio vecchio di generazioni e rinfocolato dallo scisma religioso del 1054”. Fu una crociata deviata di proposito per mettere le mani sulla città e per fondare un effimero “impero latino d’Oriente”. Contrasti e dissidi tra cristiani orientali e occidentali si protrassero a lungo e nemmeno l’avanzata ottomana nei territori bizantini servì a cambiare la situazione. Sono due i fattori principali che, secondo la Montesano, provocarono la caduta della Città a metà Quattrocento: da una parte il debole e insufficiente aiuto dell’Occidente e dall’altra i sentimenti dei greci, contrari al primato latino e favorevoli più “al turbante turco che alla tiara”. E fu in questo clima che nel 1453 il sultano entrò trionfante a Costantinopoli. “Negli ultimi decenni, sottolinea la studiosa, si è impiantata l’idea di leggere l’intero movimento crociato come una reazione rispetto alla minaccia del mondo musulmano” riservando poco spazio al contesto storico che segnò l’inizio del XIII secolo. “L’anomalia della della IV Crociata, conclude la Montesano, rischia invece di mostrare molto bene come vi fossero in Occidente forze guidate da una forte carica di aggressività e da una volontà di conquista rivolta verso l’esterno e l’interno del mondo cristiano”.
Filippo Re

La Biblioteca Nazionale celebra Dante

/

Con un Convegno e una mostra la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino celebra il Sommo Poeta a Settecento anni dalla sua morte.

Martedì 21 settembre a partire dalle 10,30 verrà inaugurata la manifestazione “ Viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico “. Dante nella contemporaneità,fra poesia e arti grafiche, organizzata con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino nell’ambito del fitto programma delle Celebrazioni per il settecentesimo anniversario della morte di Dante e patrocinata da numerosi partner nazionali e internazionali. Il primo dei due eventi di cui l’iniziativa si compone è il Convegno internazionale di studi “ Dante nella poesia del Novecento e dei primi anni del nuovo millennio”. Il secondo è la mostra “ Tre artisti per Dante “. Sarà un’occasione per riflettere sulla fortuna, mai interrotta, di Dante nella letteratura e nelle arti. Il Convegno, che si svolgerà dal 21 al 25 settembre in modalità mista e che vedrà la partecipazione di oltre quaranta studiosi italiani e stranieri, si propone di indagare i molteplici riusi poetici novecenteschi e dell’inizio del nuovo millennio, della Commedia., soffermandosi su quegli autori che sono stati anche esegeti e hanno ribadito, attraverso questa doppia modalità di lettura, che il capolavoro dantesco si pone come un paradigma irrinunciabile per la comprensione della complessa tragicità del Novecento.
La mostra, che sarà inaugurata il 21 settembre e sarà gratuitamente visitabile fino al 10 ottobre 2021, propone un percorso tra le opere di tre artisti contemporanei che hanno tratto ispirazione da Dante : Monica Beisner, che in 100 miniature illustra integralmente la Commedia, Domenico Ferrari, con le sue 34 acqueforti dedicate all’Inferno e Cesare Pianciola, che nei suoi 16 acquarelli riprende in chiave moderna l’incanto dei primi codici miniati del capolavoro dantesco.

Mauro Reverberi