STORIA

La chiesa Maramures

La deliziosa cappella scolpita in legno che  viaggiò dalla Transilvania a Moncalieri.

Costruita nell’omonima regione rumena del Maramures, al confine tra Ungheria e Ucraina, è  un raro gioiello realizzato in legno, uno dei pochi  e preziosi esempi di chiesa ortodossa cristiana del suo genere, in Italia ne esiste solo uno: a Moncalieri. Nessun chiodo, solamente incastri, hanno tramutato questo edificio in una struttura portatile e, a parte la Romania, dove questi luoghi di culto costruiti perlopiù tra il XVII e il XVIII secolo sono inseriti nella lista del Patrimonio Unesco, nel mondo se ne contano solo altri 5: in Venezuela, Cipro, Svizzera, Francia e Svizzera.

Arrivata nella cittadina piemontese pezzo per pezzo e ricostruita come si farebbe con i moderni Lego, la speciale tecnica con cui è stata costruita è statasviluppata in conseguenza ad una regola emanata dalla Corona Ungherese che proibiva l’edificazione delle chiese in pietra, ma probabilmente anche per la necessità di far sparire gli edifici  di culto cristiani a causa delle persecuzioni religiose.

Dedicata ai Quaranta Martiri di Sebaste e inaugurata nel 2016, la chiesa Maramures  è a pianta rettangolare e affaccia sul sagrato esterno attraverso un sistema di portici che creano una “C”. La casa parrocchiale ospita l’appartamento del sacerdote, una sala polivalente e una foresteria, l’edificio è circondato da un bel giardino curato e piante di rose.

Arrivando a via Papa Giovanni XXIII a Moncalieri si nota subito il suo bel campanile alto 25 metri, il colore caldo  del legno, la forma tipica di queste impiantiarchitetturali vernacolari che utilizzano i materiali tipici secondo le tradizioni del luogo, in questo caso la Transilvania. Entrando dal cancello è naturale ammirare l’imponente portale ricco di intarsi, le arcate e le catene create da un pezzo unico di legno. L’interno invece, meno lavorato rispetto all’esterno, è delicatamente decorato con icone e immagini sacre su un fondo bianco e incorniciate dalle travi lignee.

Visitando questo luogo sacro si avrà la sensazione di fare un viaggio temporale, ci si sentirà in un’altra dimensione geografica, immersi in tradizioni etno-religiose diverse dalle nostre ma perfettamente integrate nel territorio.

MARIA LA BARBERA

I primi custodi della memoria al Rettorato dell’Università

La sepoltura della Dama del Caviglione, rinvenuta ai Balzi Rossi a Ventimiglia, famosa per i suoi ornamenti funerari in ocra e conchiglie e quella del “Giovane Principe” della Grotta preistorica di fama mondiale a Finale Ligure che con il suo ricco corredo rappresenta uno dei più straordinari esempi di sepolture paleolitiche europee si possono visitare in questi giorni sino al 14 marzo presso la sala Principe d’Acaia al Rettorato dell’Università di Torino di via Po.

La vasta collezione torinese di calchi di sepolture preistoriche che riproducono con precisione la situazione venuta alla luce durante vari scavi è la più importante a livello internazionale. Tutti questi tesori compresa la sepoltura doppia del Riparo del Romito, un esempio di cura ed inclusione con un individuo affetto da nanismo protetto dalla comunità del comune di Papasidero, in provincia di Cosenza, sono esposti nell’ambito della mostra “I primi custodi della memoria. Le sepolture nel Paleolitico”. Un percorso presentato dall’Università di Torino e curato da Giacomo Giacobini, Cristina Cilli e Giancarla Malerba che attraversa millenni analizzando i riti funerari, le evoluzioni sociali e le prime manifestazioni artistiche legate al culto dei morti.

Si tratta di un primo passo verso la realizzazione del futuro Museo dell’Evoluzione che avrà sede nel Palazzo degli Istituti Anatomici che oltre ad essere sede universitaria già ospita il Museo di Anatomia umana “Luigi Rolando”, il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” ed il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, nell’isolato compreso fra corso Massimo D’Azeglio e le vie Gaetano Donizetti, Pietro Giuria e Michelangelo. Grazie alle sepolture paleolitiche che hanno protetto i resti umani dalla distruzione da parte di agenti esterni sono arrivati sino a noi scheletri completi o quasi di cui i calchi restituiscono lo stato nel momento stesso della scoperta. Un calco realizzato durante uno scavo non è difatti una semplice copia ma riproduce un contesto di rinvenimento che non esiste oramai più e che diventa testimonianza di una straordinaria importanza. Da visitare. Ecco l’orario di apertura: dal lunedì al sabato, dalle ore 10 alle18, e l’ingresso è gratuito.

Igino Macagno

Giorno della Memoria con Guareschi al “Pannunzio”

Lettura di “Diario Clandestino”

Lunedì 27 gennaio, ore 17,30, giorno della Memoria, Ornella Pozzi al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35h a Torino leggerà pagine di  “Diario clandestino” di Guareschi internato militare in Germania (43 /45) . “Dedicheremo la nostra memoria oltre alla Shoah agli 800 mila IMI sempre dimenticati e sconosciuti”, commenta il presidente del Pannunzio Pier Franco Quaglieni.
Il creatore di Don Camillo stupirà i partecipanti con il suo racconto dell’internamento in Germania.

Prosegue la dodicesima edizione del censimento “I Luoghi del Cuore”

Programma nazionale promosso dal FAI fino al 10 aprile prossimo per salvare i luoghi del cuore

 

Prosegue la dodicesima edizione del censimento del FAI Fondo per l’Ambiente Italiano Intesa Sanpaolo, dal titolo “I Luoghi del Cuore”. C’è tempo fino al 10 aprile prossimo per partecipare al censimento, e anche coloro che hanno già votato sono invitati a farlo per assicurare un futuro di tutela e valorizzazione dei propri luoghi amati, ma anche ai tanti altri di cui il censimento fa emergere i bisogni. Al momento sono stati raccolti oltre 900 mila voti. Una chiesa affrescata, un antico monastero, un castello disabitato, una borgata di montagna, un pianoro coltivato, un bosco, un sentiero. Molti scorci del nostro Paese sono stati testimoni di un momento della nostra vita, oppure ci hanno meravigliato per la loro straordinaria bellezza e unicità. Non solo uno, il più significativo, ma tutti questi luoghi del cuore possono essere sostenuti per garantire la loro salvaguardia e valorizzazione. Infatti, oltre i primi tre classificati nazionali, che riceveranno rispettivamente 70 mila euro, 60 mila euro e 50 mila euro, i luoghi che raggiungono la soglia dei 2.500 voti possono ambire a un contributo economico candidandosi al bando che il FAI apre dopo ogni censimento, con un progetto di restauro e valorizzazione. Il censimento innesca inoltre effetti virtuosi per i luoghi segnalati che possono godere di positivi impatti economici e sociali, culturali e ambientali grazie alla visibilità ottenuta nei mesi di voto. È importante e prezioso continuare ad aiutare i luoghi del cuore più amati o che più hanno bisogno di intervento sul sito web iluoghidelcuore.it e mediante i moduli cartacei scaricabili dal medesimo: un gesto d’amore e cura semplice, concreto ed efficace verso il patrimonio di arte, storia e natura dell’Italia, proprio perché il censimento è un’iniziativa di impegno civile che vuole stimolare e favorire la partecipazione attiva dei cittadini, si possono votare tutti i luoghi che si desidera senza un limite numerico.

Ecco i luoghi che, per ora, sono ai primi posti nella classifica provvisoria del Piemonte: Chiesa di San Giacomo della Vittoria ad Alessandria, Acqui e l’Acquese ad Acqui Terme, Pian della Mussa a Balme (TO), Santuario di San Costanzo al Monte a Villar San Costanzo (Cuneo), Torre Paleologa a San Salvatore Monferrato (AL), Chiesa del Terizio a Gassino Torinese (TO), Valle Cannobina nel Verbano Cusio Ossola, Chiesa di San Giovanni al Monte a Quarona (VC), Chiesa parrocchiale Basilica di San Dalmazzo a Quargnento (AL), Chiesa di San Nicola da Tolentino a Ivrea (TO).

Dal 2004 Intesa Sanpaolo affianca il FAI nell’iniziativa a tutela delle bellezze artistiche e naturali del Paese, ambito che vede il Gruppo impegnato in prima persona. A questo si aggiunge la capillare diffusione sul territorio italiano che asseconda la presenza ben distribuita della Banca in tutte le regioni italiane. Il censimento è realizzato con il patrocinio del Ministero della Cultura. Anche in occasione della dodicesima edizione de “I Luoghi del Cuore” la Rai conferma l’impegno del servizio pubblico multimediale alla promozione, cura e tutela del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico italiano. Rai è main media partner del FAI e supporta l’edizione del censimento 2025 anche grazie alla collaborazione di Rai per la sostenibilità ESG.

 

Mara Martellotta

Torino, piazza San Carlo: gli affreschi dedicati alla Sindone

Due opere per celebrare uno dei simboli della città 

La Sacra Sindone rappresenta molto per Torino. Il suo  fascino misterioso e senza tempo racconta, attraverso un telo di lino bianco in uso nella cultura ebraica per la sepoltura dei morti, la Passione di Cristo. Emblema del confronto tra Chiesa e scienza, rimane la reliqua piu’ famosa disempre, capace di far peregrinare milioni di persone devote ad ogni sua sontuosa ostensione, un evento molto sentito e solenne. Questo lenzuolo, carico di storia, ma anche di miti e leggende, appare nella storia nel 1353 quando Goffredo di Charny, cavaliere e scrittore medievale francese, lo   porto’ dalla Terra Santa nella cittadina francese di Lirey dove fececostruire una chiesetta per custodirlo. Successivamente fu venduto al Ducato di Savoia,che aveva il suo capoluogo a Chambery, dove fu conservato fino al 1532 nella Sainte-Chapelle duSaint-Suaire quando un incendio, che fortunatamente non lo distrusse completamente,  gli provoco’ degli evidenti segni di bruciatura.

 

Dopo vari spostamenti il  sacro lino fu portato da San Carlo Borromeo, particolarmente devoto, da Milano a Torino per ordine di Emanuele Filiberto di Savoia, “testa di ferro”. Lo spostamento fu un vero e proprio pellegrinaggio che duro’ 4 giorni, con intervalli di meditazione spirituale ed esercizi di pieta’,  percorso a piedi scalzi e  accompagnato da un gruppo  di quattordici persone. Appena arrivato a Torino  fu subito onorato con una ostensione pubblica a cui parteciparono numerosissimi fedeli.

A piazza san Carlo, cosi’ nominata in memoriadel viaggio del Santo con il famoso lenzuolo, ci sono due affreschi, di piccole dimensioni e poco conosciuti, che narrano i fatti accaduti quell’ottobre  del 1578 quando la Sacra Sindone arrivo’ a Torino con la promessa scritta di Emanuele Filiberto, mai mantenuta, di riportarla a Chambery in breve tempo. Questi dipinti murali commemorativi, dall’autore ignoto e che un tempo erano ben 4, si trovano all’estremita’ della piazza, il primo, che raffigura la Madonna con Emanuele Filiberto e San Carlo Borromeo,nell’angolo con via Alfieri e l’altro, dove si riconosce ancora la Vergine Maria, questa volta con San Francesco D’Assisi e un frate, e’ sito all’angolo con via Santa Teresa. Gli altri due dipinti sono purtroppo andati perduti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Nella Chiesa di San Carlo Borromeo, inoltre,  si possono ammirare due affreschi che celebranol’arrivo a piedi di San Carlo a Torino e  il Santoin adorazione del piu’ famoso telo.

MARIA LA BARBERA 

Evviva l’anno del Serpente: alla scoperta delle “cineserie” della Palazzina di Caccia di Stupinigi

Domenica 26 gennaio, ore 15.45

Per il Capodanno Cinese 

 

 

In occasione del Capodanno Cinese, la Fondazione Ordine Mauriziano organizza una visita speciale alla scoperta di un mondo lontano e delle influenze orientali presenti all’interno del percorso di visita della Palazzina di Caccia di Stupinigi.

L’appuntamento “Evviva l’anno del Serpente” di domenica 26 gennaio è un viaggio verso Oriente, un’immersione nei racconti dei grandi viaggiatori, attraverso la Via della Seta e fino in Cina. Dai paesaggi ad acquerello delle carte da parati alle stoffe, dall’esotica Sala da Gioco ai bizzarri animali del serraglio: nella Palazzina di Caccia di Stupinigi si possono ripercorrere le influenze ed il gusto per le “cineserie” e l’esotismo diffuso nelle residenze sabaude.

Il fascino dell’Oriente conquista l’Europa a partire dal 1600 con l’arrivo nel Vecchio Continente di merci preziose quali lacche, sete, carte da parati e porcellane che vanno ad abbellire le dimore di re e principi. In Italia, i Savoia, influenzati anche loro dall’esotismo, creano ambienti che riecheggiano questi luoghi lontani. I Gabinetti Cinesi, ad esempio, hanno una tappezzeria di carta dipinta a tempera, importata dalla Cina meridionale, con scene che si sviluppano dal basso verso l’alto, tratte dalla vita e dai costumi popolari dell’antica Cina.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 26 gennaio, ore 15.45

Evviva l’anno del Serpente

Durata dell’evento: 1 ora e 15 minuti circa

Prezzo visita guidata: 5 euro + biglietto di ingresso

Biglietto di ingresso: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Prenotazione obbligatoria entro il venerdì precedente

Info e prenotazioni: 011 6200601 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

24 gennaio, San Francesco di Sales, patrono di giornalisti e scrittori

“Non parlare di Dio a chi non te lo chiede ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda”. San Francesco di Sales scriveva e affiggeva sui muri delle case foglietti volanti per diffondere la fede cattolica invitando la gente a leggerli, si rivolgeva principalmente ai giovani e alle donne testimoniando un infinito amore verso Dio e verso l’umanità. Per questo motivo è diventato il patrono dei giornalisti e degli scrittori, un po’ di tutti noi che scriviamo assiduamente sul Torinese. Nato in Savoia nel 1567 Francesco studiò teologia ad Annecy e divenne vescovo di Ginevra. Morì a Lione a soli 55 anni nel 1622. In occasione dell’anniversario il Museo Casa don Bosco ha allestito un percorso espositivo che narra la vita, la fede e la spiritualità del patrono dei Salesiani di don Bosco. Una rassegna che vuole celebrare il Santo di cui i salesiani portano il nome. Nei saloni del Teatro Grande di Valdocco in via Maria Ausiliatrice 32 si vedono gli scritti liturgici del Santo, lettere olografe, documenti sulle vite dei Santi, croci argentate e un paramento di fine Cinquecento indossato da Francesco di Sales durante una messa al Santuario della Consolata di Torino. È possibile ammirare un ritratto di San Francesco di Sales del 1618, una lettera autografa del 1608, stampe, dipinti, libri e oggetti particolari come un medaglione in osso di manifattura piemontese su cui è raffigurata l’ostensione della Sindone del 4 maggio 1613 in piazza Castello in cui compare anche Francesco di Sales. L’opera più importante scritta dal Santo è La Filotea, brevi scritti che Francesco inviava alla cugina Louise du Chastel diventata sua figlia spirituale. Imitando San Luca che nel suo Vangelo si rivolge a Teòfilo (amico di Dio) san Francesco di Sales si rivolge a Filotea (amica di Dio), cioè ad ogni persona che vuole amare Dio sopra ogni cosa. La mostra è anche l’occasione per visitare i numerosi spazi espositivi che compongono il nuovo Museo Casa don Bosco aperto due anni fa. A fine gennaio la Basilica di Maria Ausiliatrice festeggerà come ogni anno don Bosco.                Filippo Re

Torino, capitale italiana del Liberty

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte.

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo BreveNegli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l  Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli   di viaggio ”  per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la citt à
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicit à
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
9.  La linea che veglia su chi  è  stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock
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Articolo 2. Torino, capitale italiana del Liberty

In seguito allEsposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1902 a Torino, gli artisti e i professionisti presenti ebbero lopportunità di conoscere e visionare i più rappresentativi esempi di Art Nouveau, firmati proprio dai migliori esponenti della corrente artistica di tutto il mondo. Successivamente a tale avvenimento e grazie alla presenza sul territorio di abilissimi architetti e assai preparati ingegneri,  che potevano contare su una ricca classe borghese e imprenditoriale, la città sabauda si trasformò in un immenso cantiere di sperimentazione stilistica, che in circa trentanni portò alla realizzazione di un gran numero di edifici appartenenti alle più svariate tipologie, sia industriale che residenziale, dai palazzi destinati allistruzione o al culto, fino ad alcuni esempi di arte funeraria. Gli artisti torinesi interpretarono il Liberty con originalità e maestria, rivisitando le scuole dellArt Nouveau, da quella franco-belga a quella austro-tedesca,  con occhio personale e mai scontato. Torino, ancora oggi nota per le grandi architetture barocche dei palazzi nobiliari e delle celebri residenze sabaude, vede affermarsi dunque, tra la fine dellOttocento e linizio del Novecento, una nuova corrente artistica, meglio conosciuta come Liberty. Di questo stile, Torino presenta numerose testimonianze di pregio, al punto da essere considerata la capitale del Liberty italiano.

Sul piano prettamente estetico il Liberty affronta leterno problema del bello, ovvero lideale di un socialismo della bellezza inteso come diffusione e messa a disposizione di prodotti artistici presso una sempre più vasta porzione di cittadinanza, nelle più disparate applicazioni, verso ununica adesione ad unestetica condivisa, che ha nella natura il suo inizio e la sua fine. Grazie allo sviluppo industriale e agli interventi urbanistici in varie zone della città, il Liberty si impose elegantemente nelle linee architettoniche di interi quartieri, dalla Crocetta alla Gran Madre, da Cit Turin a San Donato. In ogni spazio edificato allinizio del secolo scorso su impulso della nuova borghesia industriale, vi è la chiara impronta delloriginale stile artistico europeo, di cui ancora oggi  possiamo ammirare lelegante armonia architettonica.Passeggiando per Torino, con lo sguardo attento ai palazzi più rappresentativi, che si stagliano netti ed eleganti per le vie della città, non si può fare a meno di rimanere estasiati e ammirati di fronte alla raffinatezza espressiva di alcuni edifici, dalle linee flessuose e curve, dai tratti morbidi” delle facciate, che ancora ci sorprendono per la loro piacevole bellezza architettonica. Osserviamo tetti insolitamente ricchi,  vetrate che catturano la luce riflessa in colori pastello,  tettoie con strutture in ferro-vetro, dettagli di balconi dalla ringhiera incurvata, dove lalternanza vuoto-pieno sottolinea vitalità e dinamismo. E poi portoni, mancorrenti, finestre con finezze di particolari, festoni e fregi che richiamano la grazia della natura mediante la riproduzione di piante, foglie, tralci, fiori, tutta una leggiadria di forme che sembrano quasi nascondere e tacitare il peso del litocemento.  E poi ancora la riproduzione di rampicanti che, sviluppandosi in altezza, sanno dare un tocco di levità ai palazzi, arricchiti anche da conchiglie, sirene, animali araldici, curiosi ghirigori.  Ogni edificio mantiene una propria impronta particolare, ma, nel richiamarsi alla nuova linea floreale, la sa esaltare in strutture di spettacolare bellezza, come il flessuoso e morbido bovindo, bow-window, che nellinglese antico significa finestra ad arco, ed è, nelledificio, la parte di un ambiente aggettante verso lesterno, come un balcone chiuso da vetrate.

Lingegnere Pietro Fenoglio, il più grande architetto torinese di questo stile, ne ha realizzati numerosissimi in città, e in forme assai diverse, rettangolari, ovali, quadrate, circolari, cilindriche. A mezza altezza tra la strada e il tetto, il bovindo, anche solo di un metro quadrato o poco piùè una magnificenza costruita sulla facciata, dove la fantasia creativa ben si accompagna al tratto fluido e morbido, alla varietà e allinventiva. E così, nella  malinconica Torino gozzaniana  che mi piace ricordare (Come una stampa antica bavarese/vedo al tramonto il cielo subalpino/Da Palazzo Madama al Valentino/ ardono lAlpi tra le nubi accese/ E’ questa lora antica torinese,/ è questa lora vera di Torino), trovano spazio architetture quasi gioiose, dove il rosso del mattone ben si accorda al grigio chiaro del litocemento. In una perfetta costruzione armonica, ogni più piccolo particolare è studiato con cura, e i ferri battuti delle ringhiere dei balconi a volte differiscono volutamente per qualche minimo dettaglio, che solo una disamina attenta riesce a cogliere, e anche gli androni, le scale, i mancorrenti sono originali e costruiti ad arte. Nello stile floreale gli ornamenti fanno parte della costruzione complessiva, non sono elementi puramente accessori, quasi in aggiunta, al contrario prendono, per così dire, vita dalla bellezza dellinsieme.   Improntati allo stile Liberty, Torino presenta non solo un gran numero di case e villini, ma anche stabilimenti industriali, uffici pubblici e scuole, disseminati nei vari quartieri della città, la CrocettaSan Donato, il CentroSan Salvario, la Gran MadreCit Turin.

Di certo è stata troppo breve lingenua e ottimistica stagione Liberty, ben presto labilità tecnica si concretizzò negli orrori della guerra e la realtà drammatica che si andò delineando portò a una diffusa sfiducia nei confronti dellarte come materia salvifica. La bellezza dunque non è più né ricercata né indagata, la funzione” prevale sulla forma” e la violenta modernità si manifesta con canoni antitetici rispetto agli ideali dellArt Nouveau. Il tempo della natura e dei suoi mirabolanti ghirigori viene schiacciato dal suono devastante delle bombe e delle grida del primo conflitto mondiale.

 

Alessia Cagnotto

Giuseppe Contin, il secondo Paganini

 

Parentele a Cereseto Monferrato 

Le famiglie Contin, conti di Castelseprio della sede comitale di Varese fin dal 1300, nobili del palazzo di Ludovico III° e governatori di Pavia procurarono nel 1449 la dedizione di Crema alla Repubblica di Venezia  inserendosi nel locale patriziato. Nella gloriosa scuola musicale veneziana si affermò il conte Francesco Contin (1780-1860) violinista, compositore e maestro di cappella alla Corte di Vienna città musicale per eccellenza, allievo e genero di Förster maestro di armonia di Beethoven. Sposato con l’allieva pianista Eleonora Förster, fondò una società strumentale per la divulgazione delle opere di Haydn, Mozart e Beethoven.

Nel 1852 fu insignito dell’Ordine della Corona di Ferro dall’imperatore Francesco Giuseppe e nella Biblioteca Nazionale Austriaca si conservano le sue opere, eredità strumentale dalla scrittura raffinata ed elegante. A Venezia acquistò il palazzo Malcanton, oggi palazzo Contin, centro di attività culturale e musicale. Tra i sei figli troviamo due musicisti, Giovanni Battista Contin (1823-1905) concertista, insegnante di pianoforte a Chicago, Los Angeles e irriducibile avversario di Wagner; Giuseppe Contin (1835-1889) compositore, talentuoso primo violino al Covent Garden di Londra, direttore del teatro La Fenice di Venezia e socio onorario dell’Accademia Santa Cecilia di Roma. In età giovanile suonò in coppia con Bottesini, fu molto apprezzato da Rossini che lo fece esibire nel suo locale di Parigi nel 1863, la città dei violinisti. Nel 1876 inaugurò la società musicale Benedetto Marcello diventandone in seguito presidente, oggi conservatorio di Venezia ed ebbe l’onore di accompagnare con il violino la regina Margherita di Savoia nell’esecuzione di romanze al pianoforte.

Nel 1882 fu eseguita dagli allievi della scuola Benedetto Marcello la sinfonia in do maggiore composta dal Contin per il compleanno di Cosima, moglie di Wagner, nella loro casa veneziana alla presenza del suocero Liszt. Al termine del concerto Wagner fece dono della  bacchetta e del leggio al Contin, il quale pronunciò il discorso di addio alla stazione di Santa Lucia al momento della morte del compositore, esponente del periodo romantico tedesco, poeta, regista e saggista. Fu scelto come membro della giuria nell’Esposizione Musicale di Milano con Arrigo Boito e Giulio Ricordi e la sua vasta produzione è andata perduta durante il secondo conflitto mondiale. Nel 1960 Giuseppe Contin fu commemorato nel conservatorio veneziano e per la sua non comune arcata poderosa ed elegante Venezia poté affermare di aver dato all’Europa un secondo Paganini.

Tra i discendenti del secolo scorso ricordiamo Angelo Contin proprietario di una villa ai romani Parioli, una fabbrica di dirigibili e armi pesanti per l’esercito, un elicottero, una Mercedes e una squadra di calcio. Durante il servizio di leva a Casale Monferrato, a seguito di un intervento del genio militare, conobbe Ernesta Gozzano che sposò nel 1897 a Cereseto. Ernesta eseguì la prima ricerca genealogica sull’appartenenza ai marchesi Gozzani di San Giorgio e Treville nelle biblioteche romane, conclusa dall’autore di questo testo nel 2018. La fabbrica romana del Contin fu sequestrata dai tedeschi e trasferita in Germania nel 1943. L’antico stemma nobiliare riporta il primordiale nome dei Pagnin alias Contin, ritrovato nell’istituto araldico di Firenze dal veneziano Luigino Pagnin dopo aver visitato Castelseprio nel 2013, ricercatore delle proprie origini. Le numerose perle sulla corona rappresentano la vicinanza all’autorità imperiale.
Armano Luigi Gozzano 

Lo strano caso del Dottor Bruneri e del Signor Canella

C’erano una volta i matti

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Non tutte le storie vengono raccontate, anche se così non dovrebbe essere. Ci sono vicende che fanno paura agli autori stessi, che sono talmente brutte da non distinguersi dagli incubi notturni, eppure sono storie che vanno narrate, perché i protagonisti meritano di essere ricordati. I personaggi che popolano queste strane vicende sono “matti”,” matti veri”, c’è chi ha paura della guerra nucleare, chi si crede un Dio elettrico, chi impazzisce dalla troppa tristezza e chi, invece, perde il senno per un improvviso amore. Sono marionette grottesche di cartapesta che recitano in un piccolo teatrino chiuso al mondo, vivono bizzarre avventure rinchiusi nei manicomi che impediscono loro di osservare come la vita intanto vada avanti, lasciandoli spaventosamente indietro. I matti sono le nostre paure terrene, i nostri peccati capitali, i nostri peggiori difetti, li incolpiamo delle nostre sciagure e ci rifugiamo nel loro eccessivo gridare a squarcia gola, per non sentirci in colpa, per non averli capiti e nemmeno ascoltati. (ac)
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3. Lo strano caso del Dottor Bruneri e il Signor Canella
È il 10 marzo 1926, siamo in un cimitero ebraico di Torino, un rumore di cocci e terriccio desta l’attenzione del guardiano, che sorprende un signore intento a rubare un vaso di rame da una tomba. Immediatamente avvisate le autorità, il ladro viene arrestato e portato in Questura. L’uomo non riesce a esprimersi bene, non conosce il suo nome, non sa da dove viene, né quale sia il suo mestiere, non ricorda assolutamente nulla. Le uniche parole che riesce a dire sono in piemontese: “Monsu, ch’am rovin-a nen. Ch’am fasa ‘l piasì ‘d lasseme andè”. Lo smemorato si trova in uno stato di grande agitazione, preso dall’ansia tenta un maldestro suicidio, ma tutto ciò che ottiene è essere rinchiuso nel manicomio di Collegno, dove la sua identità diventa il numero 44.170. In Questura viene foto-segnalato e gli vengono prese le impronte digitali, il cartellino segnaletico così compilato è inviato a Roma, al Servizio centrale d’identità, ma senza risultati. Intanto, lo smemorato si ambienta nella sua nuova casa, lega particolarmente con un detenuto poco raccomandabile, il milanese Riccardo Testa, cocainomane e rapinatore, soprannominato il “commediografo ladro”, con lui trascorre molto tempo, soprattutto giocando interminabili partite a scacchi. Il rapporto di amicizia diventa forte e stabile, Testa addirittura dedica all’amico senza identità un sonetto dal titolo “L’amico ignoto” (2 dicembre 1926):
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“Io non so chi tu sia, mio grande amico
eppur l’anima tua m’appar sì bella
che a te m’affido come ad una stella
s’affidava il viator nel corso antico.
Tu credi e preghi ed ami e doni, e quella
luce serena degli occhi tuoi, l’intrico
dei miei pensieri scioglie ed affratella
contro l’oscuro e vigile nemico:
Il dubbio. Oh! Non lasciarmi più giammai
amico ignoto datomi da Dio!
Senza di te mi pare d’esser solo;
senza di te non riprendo il volo
oltre l’azzurre vette ed i nevai:
incontro al sol ed al Sovrano mio.”
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Lo smemorato continua la sua vita tranquilla all’interno del manicomio, gioca a scacchi, legge, produce addirittura alcuni saggi letterari e disegna discretamente alcune caricature di altri degenti, scusandosi quando questi ultimi si mostrano offesi; gli vengono, poi, attribuite alcune meditazioni filosofiche che egli esegue sotto i rami di uno specifico pino, chiamato “il pino di Canella”. Tutto pare tranquillo e statico, quando il 6 febbraio 1927 la sua fotografia viene pubblicata sul settimanale italiano più popolare, “La Domenica del Corriere”, accompagnata da mastodontiche parole: “Chi lo conosce?” È l’inizio di una vicenda bizzarra e misteriosa. 
A Verona una donna risponde inaspettatamente alla domanda, si tratta di Giulia Concetta Canella, che riconosce nell’uomo della fotografia suo marito Giulio Canella, letterato e docente, capitano della Brigata Ivrea inviata in Macedonia e dichiarato disperso il 25 novembre 1916, presso la località di Bitola. Svelata dunque l’identità dello smemorato, che si scopre quarantaseienne padovano, sposato con la cugina, figlia di un ricco possidente terriero che aveva grossi investimenti in Brasile.  La donna parte per Collegno per avere il riscontro definitivo: dopo dieci anni di lutto e dolore il suo sogno si era avverato, l’amatissimo marito era tornato da lei e dai loro due figli, Rita e Giuseppe. La scena dell’incontro viene immortalata da una copertina della “Domenica del Corriere”, la bislacca vicenda trova finalmente un lieto fine, il direttore del manicomio dimette lo smemorato che se ne va a Verona con la moglie tanto amata. Eppure la storia non finisce qui: il 3 marzo 1927 arriva alla Questura torinese una lettera anonima, firmata da una persona che si definisce “amico della verità e della giustizia”, in cui si segnala che l’ex ricoverato non è Giulio Canella ma Mario Bruneri, tipografo torinese con non pochi conti da regolare con la giustizia. La vicenda, dunque, ricomincia da capo. La Polizia recupera le impronte digitali di Bruneri e dall’analisi risulta che le linee papillari corrispondono a quelle dello smemorato. Tale riscontro non si era potuto effettuare precedentemente perché Bruneri non era schedato come criminale pericoloso e la polizia scientifica di Roma non disponeva, nel suo archivio, del suo cartellino segnaletico. Lo smemorato non è dunque il professor Canella, ma Mario Bruneri, sposato con Rosa Negro, padre di un figlio, Giuseppino, e amante di Camilla Ghidini, tutte persone che lo riconoscono e confermano questa seconda identità. La vicenda diventa un caso mediatico, la popolazione si divide in due fazioni, i bruneriani e i canelliani, moltissimi cittadini scrivono il proprio parere ai giornali e propongono prove fantasiose a sostegno della tesi che meglio piace. Inizia un vero e complesso processo, a colpi di prove scientifiche e testimonianze dirette, nessuna delle due donne si tira indietro, Giulia non si arrende nemmeno davanti alla prova inconfutabile delle impronte digitali, la proiezione del desiderio del ritorno del marito è talmente forte che le fa distorcere la realtà. Si effettua l’esame dei padiglioni auricolari, che in ben diciassette punti differisce da quello di Canella, ma nemmeno questa prova riesce a far cambiare idea alla Penelope veronese. A riprova che non si tratta di Canella c’è il fatto che l’uomo non conosce per nulla né il latino né il greco, non sa suonare il pianoforte, ha in generale una cultura molto approssimativa, ignora elementi teologici fondamentali, si dimostra l’esatto contrario di quello che doveva essere il professor Canella. Il neuropsichiatra Alfredo Coppola, perito del Tribunale, nella perizia sostiene che lo smemorato sia Bruneri e che egli abbia simulato, con grande capacità recitativa, un’amnesia cognitiva. Il caso dello smemorato di Collegno diviene tra i più conosciuti, non solo per l’insolita vicenda, ma anche perché si tratta della prima volta in cui sociologi e neuropsichiatri spiegano ai lettori semplici che cosa sia la memoria e che cosa significhi la rimozione dei ricordi in seguito a traumi. Giulia Canella non si smuove. È innamorata di suo marito, ora che lo ha ritrovato ancora di più, infatti rimane incinta altre quattro volte da quando i due si sono ricongiunti. Il caso Bruneri-Canella ha ulteriori sviluppi e con l’ordinanza del 23 dicembre 1927, il Tribunale dichiara che l’identificazione dello smemorato con Mario Bruneri non è stata raggiunta, non si possono quindi eseguire i tre mandati di cattura. Lo smemorato chiude i suoi rapporti con la giustizia, mentre la sua vera identità rimane ad ogni effetto, in bilico tra i due profili, quello del dotto Giulio Canella e quello del povero Mario Bruneri. Il 10 gennaio 1928 il Presidente del Tribunale autorizza la direzione del manicomio a dimettere lo smemorato, rinchiuso a Collegno il 12 marzo 1927, per affidarlo in custodia all’avvocato Gino Zanetti, che lo consegna definitivamente nelle mani di Giulia Canella. Il 5 novembre 1928 il Tribunale Civile di Torino ribalta l’ordinanza del Tribunale e identifica Mario Bruneri nello smemorato. I Canella ricorrono in appello. Il 7 agosto 1929 la Corte d’Appello di Torino conferma la sentenza di primo grado. I Canella ricorrono in Cassazione e l’11 marzo 1930 la Cassazione annulla la sentenza della Corte d’Appello di Torino per insufficiente motivazione, e rinvia gli atti alla Corte d’Appello di Firenze. Il 1 maggio la Corte d’Appello di Firenze conferma la sentenza di Torino, il 24 dicembre 1931 la Cassazione conferma la sentenza di Firenze. Per la giustizia italiana lo smemorato è definitivamente Mario Bruneri, il quale deve scontare le pene che gli sono state attribuite. Il 1 maggio 1932, grazie ad un’amnistia, lo smemorato viene rilasciato dal carcere di Pallanza e nel mese di ottobre parte per Rio de Janeiro, dove il probabile suocero gode di un’ottima reputazione e possiede vaste proprietà. In quelle terre viene accolto come Giulio Canella e lì muore il 12 dicembre 1941. Nell’ultimo periodo della sua vita si dedica allo studio della filosofia e scrive una serie di saggi. A distanza di trent’anni dalla morte dello smemorato il segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Giovanni Benelli, precisa che la Chiesa riconosce nello smemorato il professor Giulio Canella e dunque Giulia Canella rimane la sua legittima consorte, come legittimi sono i figli nati dall’unione dei due. Nel 2014 viene effettuato l’esame del DNA sui diretti discendenti, i risultati riaprono l’indagine, dimostrando che, forse, lo smemorato era in realtà Mario Bruneri.
Alessia Cagnotto