Alle Fonderie Limone “Ifigenia” e “Oreste” di Euripide, finale di stagione per lo Stabile torinese
In finale di stagione, Valerio Binasco mette in scena alle Fonderie Limone due tragedie di Euripide, “Ifigenia” (in Aulide, rappresentata nel 405 a. C.) e “Oreste” (del 408), in una consequenzialità d’accadimenti, 80’ ciascuna, ne prosciuga la scrittura, via il coro, via il deus ex machina ovvero gli interventi d’Apollo o di Diana o di qualsiasi altro celeste considerandoli un espediente teatrale legato ad un’epoca, ne prosciuga il luogo – lo spazio dell’azione ai lati del quale siamo allineati è mutato in un ampio e lungo corridoio, uno spazio lungo il quale camminare e correre, tra gioie e affetti traditi e disperazione, al limite del quale rintanarsi imbrattati di sangue entro un cerchio di terriccio – e gli oggetti. In “Ifigenia” è lo stallo sulle coste della Beozia delle navi che dovrebbero salpare per la piana di Troia, i venti contrari, la dea offesa che esige un sacrificio. La vittima dovrà essere la figlia di Agamennone, il comandante della spedizione, cullato nell’ambizione e vittima della sua ambiguità, pronto a guardare ai suoi doveri di soldato come ai suoi sentimenti di padre. Ma in quel momento, nel fondo della propria coscienza, forse consapevole di non riuscire ad essere né comandante né padre. Tra l’altro ha promesso Ifigenia in sposa ad un ignaro Achille: e all’arrivo della ragazza, con la madre Clitennestra e il giovanissimo fratello Oreste, i diversi pensieri s’incrociano, gli uni contro gli altri, le intenzioni e le speranze e l’infelice sì di una ragazza che avrebbe tutto il diritto di vivere e al contrario accetta il destino che altri hanno imposto. Il bagagliaio di una macchina la inghiotte, con una bella idea di regia Binasco la pone modernamente in salvo, come affascinano il divertimento in bicicletta di Oreste mentre la tragedia incombe tutt’intorno o quel lento fruscìo sul pavimento delle macchinine con cui ancora il ragazzino gioca nel finale, mentre si spengono piano piano le luci.

Più chiusa, più tetra, più ricolma d’orrore e di sangue, più statica nel disegno che Binasco ce ne offre, “Oreste”, “la tragedia dei fallimenti”. Più di vent’anni sono trascorsi da quei primi accadimenti, ora è la storia di un figlio che vendica la morte del padre, tornato a casa vincitore ma nella stessa casa tradito, assassinando la propria madre e il suo amante e facendosi giudice con la sorella Elettra e l’amico Pilade. Binasco non s’affida e non squaderna gli interventi celesti, prima Diana e Apollo poi, li chiama con un temine di oggi – “voglio assumermi tutte le responsabilità nel tutelare questa sensibilità contemporanea” -, la coscienza di ognuno, con una caterva di tormenti, molti e profondi, “non c’è nessun Apollo cui dare la colpa”. La strage che i tre ragazzi compiono, di fronte al pubblico, apertamente (anche Elena, la moglie di Menelao, ne sarà vittima, sporca di sangue, trucidata sul fondo della scena), non vuole affidarsi alla “ananke”, alla “necessità”, ma è opera del tutto loro, decidono da soli, freddamente consapevoli, non ci sarà un dio a portare un lieto fine, non ci saranno nozze finali o Elena portata in cielo, sarà una vendetta che sa di personale sentenza, decisa, finale, irrevocabile. Non c’è nulla di antico, nulla che sappia di favola e di macchinazioni, che mantenga quel tanto o poco, vera o di comodo che di religiosità c’è in Euripide, c’è la realtà contemporanea, spogliata di ogni accomodamento. Tutti i personaggi, giovani e adulti, sono chiusi al termine dentro quel cerchio, senza nessuna via d’uscita.
All’ottimo esito della serata (io ho assistito allo sviluppo unico delle due tragedie; repliche sino a domenica 12 maggio, dal martedì al venerdì a sere alterne, il sabato e la domenica la messa in scena consecutiva dei due spettacoli), alla felice, personale impronta che Valerio Binasco (il regista ha altresì ritagliato per sé l’immagine di un combattuto, altalenante Agamennone) ha impresso al discorso euripideo, concorre un eccellente gruppo d’attori. Con Giovanni Anzaldo, Giovanni Calcagno, Jurij Ferrini, Nicola Pannelli, Letizia Russo e il giovanissimo Matteo Liverano, Giordana Faggiano è una convincente Ifigenia, Giovanni Drago un sanguinario quanto determinato Oreste, Sara Bertelà una Elena che per pochi attimi lascia il segno, soprattutto Arianna Scommegna, che fa di Clitennestra, tutta pelliccia gioielli occhialoni frivolezza incredulità e disperazione, un piccolo capolavoro.
Elio Rabbione
Le immagini dello spettacolo sono di Luigi De Palma

In Italia inizia a farsi conoscere su Youtube, nel 2008, dove posta video di scherzi telefonici sul suo canale – lamentecontorta- che gli permettono di raggiungere un grande successo sul web. Sbarca in televisione alle Iene prima e a Sky subito dopo. Da quel momento è un crescendo di successi televisivi: da Tale e quale show passando per Lol- chi ride è fuori fino ad diventare uno dei giudici più amati di Italia’s Got Talent . Oltre alla televisione, Matano riscuote successo anche al cinema, prendendo parte del cast di diverse pellicole quali Fuga di cervelli, con la regia di Paolo Ruffini (2013) fino a Una notte da dottore, con la regia di Guido Chiesa (2021). Nel 2014, Frank riesce a coronare anche uno dei suoi sogni di bambino divenendo uno dei doppiatori di South Park, particolarmente amato dal comico per lo stile irriverente e geniale.
Il talento e la fortuna devono andare di pari passo.
