SPETTACOLI- Pagina 23

“Il cinema ritrovato al cinema”, con la Cineteca di Bologna 4 titoli dedicati a Kurosawa

Per la rubrica “Il cinema ritrovato al cinema”, organizzata dalla Cineteca di Bologna e che verrà proposta dall’11 al 25 gennaio 2025, il Cinema Massimo propone 4 titoli dedicati al grande regista Akira Kurosawa, considerato colui che ha aperto le porte dell’Occidente al cinema nipponico, e che compongono un perfetto ritratto del suo genio creativo. Sono “I sette samurai”, Leone d’Argento a Venezia nella sua versione integrale, il dolente “Vivere”, il noir “Cane randagio” di ispirazione da Georges Simenon e l’epopea di Sanjuro.

Federico Fellini aveva dichiarato che in Kurosawa sentiva grande spettacolo, fiaba, storia, racconto, apologo, messaggio. Sentiva il cinema usato in ogni suo modo espressivo, l’entusiasmo e la salute del vero artista, una generosità narrativa da far invidia a Balzac. Considera il cinema di Kurosawa un miracolo espressivo.

“I sette samurai” verranno proiettati sabato 11, lunedì 13, mercoledì 22, sabato 25 alle ore 16. Ambientato nel XVI secolo, narra la storia dei contadini che mentre imperversano le guerre civili convincono sette samurai a difenderli contro una banda di predoni. In realtà i samurai sono soltanto sei, poiché il settimo, Toshiro Mifune, è un contadino. Personaggio chiave della dialettica sociale del film, che si snoda tra la casta nobile dei guerrieri e il popolo umiliato. Questo aspetto fu quasi cancellato dai tagli imposti dalla produzione, 40 minuti per l’edizione giapponese e 70 per quella internazionale, che impoverirono la complessità integrale del film, che è di 207 minuti. Sarà proposto in versione originale con sottotitoli italiani.

“Sanjuro”, del 1962, verrà proiettato sabato 11 alle ore 20.30, martedì 14 e 21 alle ore 16.

Il Ronin Sanjuro offre rifugio a nove uomini seguiti dai soldati di alcuni prepotenti signorotti, che hanno rapito un funzionario a conoscenza di tutti i soprusi. Sanjuro libererà il funzionario e libererà i feudatari riportando pace nella zona. Raffinata favola sui pericoli della violenza, è un film d’iniziazione.

“Vivere”, del 1942, verrà proiettato domenica 12 alle 15.30, lunedì 20 alle 20.30 e martedì 21 alle 18. Trent’anni di lavoro in un ufficio municipale hanno reso Watanabe un burocrate indifferente che si trascina in inutili giornate, ma quando scopre di avere un cancro fatale che gli lascia pochi mesi di vita sprofonda nella disperazione, poi si abbandona una notte di piacere e infine si consacra in una causa civile riscattando la sua esistenza.

Infine verrà proiettato “Cane randagio” (Nora Inu) del 1949, domenica 12 alle 20.30, martedì 14 alle 18.15 e venerdì 24 alle ore 16. Con un realismo simenoniano, siamo di fronte a un grande noir che trascende il genere. Akira Kurosawa affermava che Inoshiro Honda dirigeva la seconda unità. Ogni mattina gli diceva cos gli servisse e lui andava a filmarlo tra le rovine della Tokyo postbellica. Si dice che in “Cane randagio” Kurosawa abbia individuato molto bene l’atmosfera postbellica del Giappone, e se è così lo deve per buona parte proprio a Honda.

 

Mara Martellotta

“Sta cosa del Jazz”, gli appuntamenti di   Flashback Habitat

 

 

Dopo la pausa per le festività natalizie, Flashback Habitat prosegue la sua programmazione culturale che vive tutto l’anno. Dal giovedì alla domenica si potranno vedere le mostre allestite e partecipare a mostre e eventi organizzati al Circolino, lo spazio ricreativo di Flashback. Torna sulle scene tutti i venerdì, alle ore 21, la rassegna musicale “Sta cosa del Jazz”, in cui gli spettatori avranno la possibilità di ascoltare buona musica circondati dalla bellezza.

Gli appuntamenti del mese di gennaio sono venerdì 10 gennaio, alle ore 21, con il Luca Biggio Quartet, composto da Luca Biggio al sax tenore, Fabio Gorlier al pianoforte, Davide Liberti al contrabbasso e Gaetano Fasano alla batteria.

Venerdì 17 gennaio, alle ore 21, si esibirà l’Ensamble Oiseaux Trio, costituito da Marco Tardito al clarinetto, Pietro Ballestrero alla chitarra, Riccardo Conti alle percussioni. Con un repertorio completamente originale basato su composizioni scritte appositamente per l’ensemble, il clarinetto, la chitarra utilizzata con accordatura aperta che si rifà alla sonorità del sitar, la marimba e le percussioni si intersecano in un fitto gioco di scambio di ruoli che più che all’interplay jazzistico si rifà alle procedure contrappuntistiche della musica classica e alla successione temporale della musica indiana. Lontano però dall’organizzazione di quest’ultima, sempre improvvisata dentro le regole del “raga” e qui di legata a un solo ambito tonale, la musica dell’Ensamble ne adotta il graduale svilupparsi dentro un crescendo energetico. La ricerca di un suono originale ha indotto la scelta di musicisti con un background che fosse il più ampio possibile e con un’alta capacità di interpretare il rigore di una scrittura musicale complessa.

Venerdì 24 gennaio si esibirà la Distilleria Manouche, costituita dalla voce di Alessandro Fiore, dal contrabbasso di Elia Lasorsa, dalla batteria acustica di Giulio Arfinengo, dalla chitarra di Federico Fiore e dal violino di Stefano Ivaldi. La Distilleria Manouche è un ensemble di talentuosi musicisti che interpretano brani classici del repertorio swing e jazz degli anni Trenta e Quaranta, creando una atmosfera coinvolgente e festosa. La loro musica è adatta per ambienti retrò, feste a tema, eventi di cultura vintage o semplicemente per chi ama ballare a ritmo di jazz. Il progetto si propone di conservare e realizzare il patrimonio musicale di quell’epoca offrendo al pubblico un’esperienza sonora autentica e evocativa. I musicisti del gruppo, oltre ad essere tecnicamente preparati, sono anche in grado di interagire tra di loro creando momenti di magia musicale attraverso l’improvvisazione di dialogo tra strumenti.

Venerdì 31 gennaio si esibirà il trio Nicolò Di Pasqua, costituita appunta da Nicolò Di Pasqua al pianoforte, Andrea Amato al contrabbasso, Luca Guarino alla batteria.

I nuovi orari di Falshback Habitat sono:

Il Circolino: giovedi dalle 18 alle 00 – venerdì, sabato e domenica dalle 11 alle 00

Per le mostre si ripropongono gli stessi orari.

 

Mara Martellotta

Lingotto Musica: le note dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta dal maestro Myung-Whun Chung

Venerdì 10 gennaio

 

La bacchetta di Myung- Whun Chung e l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sono al servizio di due capolavori immortali del grande repertorio tedesco, il concerto per violino e orchestra op. 77 di Brahms e la Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Ludwig van Beethoven. Si rinnova il sodalizio fra il maestro sudcoreano e la prestigiosa compagine romana nel concerto in programma venerdì 10 gennaio all’Auditorium Giovanni Agnelli, alle 20.30, che apre il nuovo anno di Lingotto Musica. Direttore tra i più richiesti, nel pieno della sua maturità interpretativa, Chung torna sul podio dell’Accademia di Santa Cecilia a vent’anni dall’ultima esibizione nei concerti del Lingotto, in una serata incentrata su due colossi dell’Ottocento, Beethoven e Brahms.

Del primo è in programma la Settima Sinfonia, che Wagner definì l’”apoteosi della danza” per la grande efficacia ritmica. Fu scritta tra il 1811 e il 1812 quasi insieme all’Ottava e la prima esecuzione pubblica avvenne l’8 dicembre 1813 nella sala dell’Università di Vienna in una serata a beneficio dei soldato austriaci rimasti invalidi nella battaglia di Hanau. Già dalla prima esecuzione il secondo movimento della Settima, il celebre Allegretto, ottenne un successo strepitoso e se ne dovette dare il bis, circostanza che si sarebbe poi ripetuta in quasi tutte le esecuzioni, ancora vivente Beethoven.

Aprirà il programma della serata il concerto per violino e orchestra op. 77 di Brahms, dedicato al violinista Joseph Joachim, fra i più importanti protagonisti della vita musicale mitteleuropea, assiduo frequentatore di casa Schumann, dove appunto lavorò con Brahms. A interpretare il concerto sarà il violinista armeno trentanovenne Sergey Khachatryan, spesso sul palcoscenico con i Berliner Philarmoniker, la London Symphony Orchestra e la New York Philarmonic.

 

Mara Martellotta

Nel nuovo libro di Filippo Poletti 120 interviste musicali

“L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”. I grandi italiani degli ultimi 100 anni

“L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”. Questo il titolo dell’ultima fatica letteraria del giornalista Filippo Poletti, il più seguito su Linkedin, che presenta, in un volume di 384 pagine, 120 interviste inedite ai grandi italiani ordinate in sette sezioni, rispettivamente “arti e mestieri”, “diritto ed economia”, “scienze”, “scrittura”, “società”, “spettacolo” e “sport”. Fra i protagonisti torinesi e piemontesi del libro compaiono Norberto Bobbio, Rita Levi Montalcini, Piero Angela, Giacomo Ponti, Piergiorgio Odifreddi, Vittorio Gregotti e l’ex direttore della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera, e tra quelli “acquisiti” Mike Bongiorno, suor Germana e Ugo Nespolo. Filippo Poletti è partito ponendosi la domanda, semplice ma inusuale, “Come si ascolta la musica da Nobel?”, e ha stilato una sorta di playlist musicale dei grandi italiani degli ultimi 100 anni. Nel libro sono contenute interviste a importanti nomi del panorama artistico, culturale e scientifico italiano, tra cui ricordiamo Giorgio Armani, Enzo Biagi, Gillo Dorfles, Renato Dulbecco, Dario Fo, Margherita Hack, Enzo Jannacci, Alda Merini, Gianfranco Ravasi, Antonio Tabucchi, i fratelli Taviani, Carlo Verdone, Umberto Veronesi, Bruno Vespa, Paolo Villaggio, Antonino Zichichi e tanti altri. In ognuno di questi 120 colloqui è possibile scoprire la storia e gli aneddoti musicali dei protagonisti intervistati, stimolando i lettori a innamorarsi della musica diventando ascoltatori attivi e seguaci del cosiddetto “music life balance “, il bilanciamento tra musica e vita.

Poletti, firma del Messaggero e del Sole 24 Ore, laureato in musicologia e specializzatosi in chitarra classica, ha riportato alcuni estratti delle interviste presenti nel libro a Norberto Bobbio, Rita Levi Montalcini, Piero Angela, Mike Bongiorno e suor Germana, interviste tutte accomunate dalla necessità e passione verso la musica classica.

Bobbio, che concesse a Poletti una delle sue ultime interviste, raccontava il suo amore per la musica di Bach e le emozioni e i sentimenti che questa sapeva evocare. All’Italia avrebbe dedicato non un ‘Va’ pensiero’ ma un ‘De profundis’, augurando ad ogni uomo che muore non la gloria in cielo ma il riposo sulla terra.

Rita Levi Montalcini, coscritta di Norberto Bobbio, proveniva da una famiglia di artisti ) la madre era pittrice) e raccontò a Poletti di essersi innamorata della musica classica negli Stati Uniti, nel 1946. Dopo la morte per suicidio del nipote Guido la musica di Bach divenne per lei una medicina, un elisir che l’accompagnò in tutte le fasi della sua vita.

Un altro grande protagonista del libro è Piero Angela che raccontò il suo sogno giovanile di diventare pianista jazz, e di quanto fosse profondo il suo rapporto con la musica. Alla domanda su che cosa fosse il Quark della musica rispose che si trattava della capacità delle note di creare emozioni straordinarie. Individuò in Bach un musicista scienziato e utilizzò la sua Aria sulla Quarta corda per il programma Superquark. L’Aria sulla Quarta corda fu anche utilizzata e riadattata in chiave rock dai Procol Harum nella nota canzone “A whiter shade of pale”. Questo utilizzo dimostra la versatilità della musica di Bach e di quanto la musica rock e pop abbia derivazioni dai temi classici.

L’amato presentatore Mike Bongiorno, nato a New York nel 1924 e torinese d’adozione dopo la separazione dei suoi genitori, raccontò di essersi innamorato della musica di Mozart durante gli anni del ginnasio grazie alla sua docente di latino e greco, che portò la classe a un concerto di musiche di Mozart. Scoprì e si appassionò a Vivaldi grazie al suo amico Angelo Ephrikian, direttore d’orchestra e fondatore dell’Istituto Vivaldi, nel 1947, a Venezia. Ephrikian pubblicò per Ricordi l’opera di Vivaldi e mandò a Mike Bongiorno tutte le registrazioni. Il famoso conduttore dichiarò di amare Vivaldi perché i suoi movimenti allegri lo rendevano tale.

Un ultimo aneddoto riguarda l’intervista a suor Germana, anch’essa torinese d’adozione poiché lasciò a dodici anni la sua casa in Veneto, a Crespadoro, per trasferirsi a Torino e lavorare come domestica. Poletti le chiese cosa ascoltassero gli Angeli mentre cucinano, ed ella rispose che per armonie, equilibri e giusta passione poteva senz’altro essere la musica di Bach. Un brano musicale che la lasciava ammutolita e che sapeva riportarla ai ricordi della sua infanzia era il coro ‘Va’ Pensiero’.

 

Mara Martellotta

“FolkClub” Torino. Sarà un gennaio a tutto sprint!

 “Apripista” d’eccezione, Jesper Lindell e Scarlett Rivera,  l’iconica violinista dai “capelli rossi” di cui s’invaghì Bob Dylan

Dal 10 al 31 gennaio

Tra rock, jazz, folk, canzone d’autore e sperimentazione, il “FolkClub” di via Perrone, a Torino, prosegue anche nella seconda parte della sua XXXVI stagione (da venerdì 10 gennaio a sabato 17 maggio) quella che da sempre è la sua missione: “proporre una programmazione unica in Italia, di altissimo profilo e di grande varietà, che celebri la diversità musicale e culturale, in uno spazio dalle caratteristiche inimitabili, che immancabilmente crea un’intimità e un dialogo unici tra artisti e pubblico”. Il tutto, fin da subito e per tutto il mese di gennaio, sotto il segno dell’incontro tra tradizione e innovazione, con artisti di assoluto rilievo (tutti i concerti a partire dalle 21,30) in ambito internazionale, fra nuove promesse e autentiche leggende dell’odierno panorama artistico – musicale.

Bastano i primi nomi, a capire il livello delle proposte: Jesper Lindell, talento emergente della scena folk-rock svedese (Ludvika) e l’americana di Chicago (1949) Scarlett Rivera (al secolo Donna Shea) , “The Queen Of Swords – La regina di Spade”, mitica violinista del tour Rolling Thunder Revue” di Bob Dylan.

L’appuntamento con i “magnifici due” è in programma venerdì 10 gennaio. Fra Lindell (costretto a poco più di 13 anni e per un buon periodo su una sedia a rotelle per un grave incidente come talentuosa promessa del calcio e, qualche anno fa, a un trapianto renale per una grave disfunzione genetica) e la Rivera corrono più di 40 anni, azzerati dalla stessa visione della musica nel nome di Bob Dylan e Fabrizio De Andrè. Jesper ha tradotto “Un Malato di Cuore” di Fabrizio De Andrè, dal capolavoro “Non al Denaro Né all’Amore Né al Cielo”, ispirato all’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Master. La canzone uscirà in tutto il mondo proprio il prossimo venerdì 10 gennaio col nuovo titolo “Once in A Dream” all’interno dell’EP “Windows Vol.2”, presentato in anteprima in Italia accompagnato da Scarlet Rivera, la violinista dai “capelli rossi” che fece perdere la testa a Bob Dylan ( in un incontro magistralmente raccontato da Martin Scorsese in un docu-film sul leggendario tour della “Rolling Thunder Revue”) e che scrisse con lui una delle pagine più belle della storia della musica suonando il violino, alla stregua di una vera e propria chitarrista solista, su “Hurricane”. Anche Scarlet Rivera omaggerà Fabrizio De Andrè cantando la sua versione di “Hotel Supramonte”, incisa in inglese con la partecipazione di Dori Ghezzi ai cori. Scarlet e Jesper si accompagnano a vicenda in una serie di concerti intimi ed esclusivi, pieni di sorprese e con scalette che cambiano di volta in volta, alternando brani propri a rivisitazioni di Dylan, De Andrè, Leonard Cohen e Van Morrison.

La settimana successiva, sabato 18 gennaio, sarà il turno della rapallese Maria Pierantoni Giua e del pistoiese Riccardo Tesi, che traducono in musica la suggestione dei “Retablos” – le scatole magiche peruviane che anticamente contenevano figure di Santi e che oggi riproducono anche scene della quotidianità – accompagnati dal fuoriclasse polistrumentista valdostano Vincent Boniface. Con la loro musica, fatta di tradizioni popolari e raffinate composizioni, trasporteranno il pubblico in un viaggio sonoro pieno di emozione, perfettamente miscelato fra cifre legate alla tradizione musicale popolare, non meno che all’avanguardia nei suoi aspetti di maggiore forza emozionale.

Il jazz entra in scena venerdì 24 gennaio con la prima data 2025 della rassegna “Radio Londra” che presenta l’americana Dena DeRose, una delle più acclamate pianiste e vocalist della scena contemporanea (“la cantante pianista più creativa e coinvolgente dai tempi di Shirley Horn” , secondo il “Washington City Paper”), accompagnata da Alessandro Maiorino, al contrabbasso, ed Enzo Zirilli, alla batteria e percussioni.

La chiusura del mese, venerdì 31 gennaio, è affidata al giovane cantautore e polistrumentista calabrese Dalen con brani pervasi da una bruciante intensità che impressionano per la varietà dei temi, proposti sempre con grande empatia e contagiosa musicalità. “A dispetto della sua giovane età – si è scritto – il suo spettacolo è un biglietto da visita di grande professionalità e carisma, un bel segnale per la nuova musica emergente italiana!”.

Per info: “FolkClub”, via Perrone 3bis, Torino; tel. 011/19215162 o www.folkclub.it

G.m.

Nelle foto: Scarlett Rivera – Jesper Lindell; Giua & Tesi; Dena DeRose (ph. Cifarelli) e Dalen

Al via le masterclass della Gypsy con le star di Broadway e del West End di Londra

Open day il 31gennaio con Carly Anderson

Torino, crocevia di stelle hollywoodiane, è  pronta ad ospitare dall’11 gennaio per il sesto anno i più  importanti nomi del musical internazionale provenienti da Broadway e dal West End di Londra grazie al ‘Broadway & West End Gypsy Project’ della Gypsy Musical Academy, la grande e storica accademia di musical e spettacolo di Torino. Si tratta dell’unica sul territorio piemontese in grado di preparare i ragazzi per i più  prestigiosi palchi internazionali,  come quello inglese e americano.

Quattro incontri  si terranno per altrettanti sabati e domeniche  tra gennaio e maggio presso la sede di via Pagliani 25. Il primo sarà con Millie O’ Connell, protagonista  nel musical Six ( Anna Bolena) l’11 e il 12 gennaio; il secondo con Vinny Coyle, che veste i panni di Raul in “The Phantom of the Opera” il 22 e 23 febbraio. Terzo appuntamento con Carly Anderson, protagonista del musical ‘Wicked’ (Glinda) il primo e 2 marzo. Il quarto stage sarà  con Karis Anderson, protagonista del musical “Tina” il 3 e 4 marzo.

Per chi lo desiderasse la Gypsy dà la possibilità  a  chi lo desideri  di organizzare un  viaggio a Londra per assistere ai musical più  famosi, vivendo l’esperienza del backstage con la possibilità di un incontro didattico presso la scuola partner della capitale inglese. 

Da  non perdere il 31 gennaio l’open day della Gypsy Musical Academy, con la partecipazione eccezionale di Carly Anderson.

Importante la prenotazione. 

Info e prenotazioni 011/0968343.

Mara  Martellotta

Atteso ritorno di Arturo Brachetti al teatro Alfieri con “Cabaret” 

 

 

Dal 9 al 19 gennaio prossimi il teatro Alfieri di Torino ospiterà il Kit Kat Club con lo show musicale Cabaret, condotto dal trasformista Arturo Brachetti. Il musical, tratto dal romanzo “Goodbye to Berlin” di Christopher Isherwod e ispirato all’omonimo musical ideato nella Broadway inglese, narra le gesta di un giovane scrittore americano, Cliff Bradshaw, che si muove nella Weimar tedesca degli anni Trenta, in cerca di ispirazione, e dove incontra una protagonista del club Sally Bowles e l’Emcee, che invita a lasciare le varie preoccupazioni al di fuori, concentrandosi sulla bella musica, le belle donne, la bella vita, mentre al di fuori dilaga la pericolosa influenza nazista. I personaggi presenti sul palco sono Herr Schultz, fruttivendolo ebreo e spasimante dell’anziana affittuario dell’appartamento in cui il protagonista potrà cogliere una Berlino in cambiamento, Fraulein Schneider, e Ernest Ludwig, il primo tedesco che il giovane scrittore protagonista incontra al suo arrivo.

La trasposizione italiana nel 2023 aveva ottenuto un grande successo da parte del pubblico, che ha definito il musical sorprendente, anche grazie alla versatilità del trasformismo di Brachetti, un vero e proprio mago nel cambio degli abiti e nelle arti delle varie performance musicali.

Molto valida la costumista Maria Filippi, che anche questa volta vestirà attori e ballerine, ricreando quell’atmosfera che richiamerà l’ambientazione dei tavolini del Kit Kat Club.

Cabaret cambia ad ogni finale e soltanto gli spettatori che assisteranno allo spettacolo potranno scoprire quale finale decideranno di adottare Arturo Brachetti e il coregista Luciano Cannito. Solo allora gli spettatori scopriranno se i protagonisti che prima ignoravano l’insidiosità dei nazisti ne risulteranno vittime o vincitori.

 

Mara Martellotta

La Coscienza di Zeno al Teatro Carignano con Alessandro Haber

Martedì 7 gennaio, alle 19.30, debutterà al teatro Carignano di Torino “La Coscienza di Zeno” di Italo Svevo, nell’adattamento di Monica Codena e Paolo Valerio, che ne cura anche la regia.

Protagonista dello spettacolo Alessandro Haber, affiancato in scena da Alberto Fasoli, Valentina Violo, Stefano Scandaletti, Ester Galazzi, Emanuele Fortunati , Francesco Godina, Meredith Airò Farulla, Caterina Benevoli, Chiara Pellegrin, Giovanni Schiavo. Scene e costumi sono di Marta Crisolini Malatesta, le musiche di Oragravity, i movimenti di scena di Monica Codena.

In questo allestimento a firma di Paolo Valerio, Zeno ha il volto di Alessandro Haber, un attore dal carisma potentissimo e dall’istinto scenico assolutamente personale che, fuori da ogni cliché, è capace di coniugare in ogni sua interpretazione ironia e profondità. In passato, Zeno è stato interpretato da attori di grande calibro, quali Renzo Montagnani, Giulio Bosetti, Alberto Lionello, che fu protagonista anche dello sceneggiato Rai, e nella successiva edizione televisiva Johnny Dorelli.

Capolavoro della letteratura del Novecento, il romanzo di Italo Svevo, ironico e di affascinante complessità, ha da poco compiuto cent’anni dalla sua pubblicazione. Il protagonista, Zeno Cosini, incarna il male di vivere, la nevrosi e l’incapacità di sentirsi in sintonia con il mondo e con la realtà, un sentimento che lo rende un antieroe contemporaneo. Accanto a lui il Dottor S. restituisce la dimensione surreale, ironica e talvolta bugiarda di Zeno, circondato dalla atmosfera della sua Trieste e da tutti i personaggi che la vivono, che riflettono il carattere mitteleuropeo della sua cultura.

La pièce restituisce l’affascinante complessità del millennio in cui Svevo concepisce e ambienta il romanzo e ne illumina i nodi fondamentali e potenzialmente antesignano attraverso l’inedito adattamento nato dalla collaborazione tra Paolo Valerio e Monica Codena.

Hanno lavorato attentamente sulla scrittura innovativa sveviana e su interessanti scelte di messinscena e su un protagonista fuori di ogni cliché come Alessandro Haber. Sarà lui capace a tratteggiare complessità e fragilità, senso di inadeguatezza, successi, autoassoluzioni e sensi di colpa, nevrosi e quell’incapacità di sentirsi in sintonia con il mondo, con la società, che lo porteranno sul lettino del Dottor S e alla scrittura del diario psicoanalitico. Sono questi aspetti che si rispecchiano potentemente nelle contraddizioni dell’uomo contemporaneo, e lo rendono un personaggio attuale e molto teatrale nella sua surrealtà, nei suoi divertenti lapsus e ostinazioni, nelle sue intuizioni che ancora oggi ci scuotono.

Paolo Valerio concretizza sulla scena la fascinazione dell’analisi che il protagonista fa della propria esistenza e del suo mondo interiore, scoprendo il personaggio di Zeno e rendendo così quasi tangibile il dialogo che egli ha con se stesso, il confronto con la sua “coscienza”, lo sguardo partecipe e allo stesso tempo scettico che pone sui ricordi e gli eventi della propria vita.

Teatro Carignano Piazza Carignano 6, Torino

Orari degli spettacoli martedì giovedì e sabato ore 19.30, mercoledì e venerdì ore 20.45, domenica ore 16. Lunedì riposo

Biglietteria teatro Carignano , piazza Carignano 6.

Tel 0115169555

 

Mara Martellotta

La grande performance di Angelina tra canto e Oscar, la prevedibile debolezza di Alba

Sugli schermi dei cinema torinesi

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Si apre e si chiude, in un cerchio perfetto di arte e d’amore, di realtà e di sospiri che si sono poco a poco spenti, di malinconia, di una alta sensibilità e di una cruda solitudine, la mattina del 16 settembre 1977, nell’appartamento parigino al 36 di avenue George Mandel – una curiosità che tutti conoscono, abitava al piano di sopra il nostro Mastroianni con la figlia Chiara che di tanto in tanto orecchiava quella splendida voce -, la vita di madame Callas, all’età di 53 anni, una vita ormai ripudiata, e non sarà neppur bello chiedersi ancora se si sia trattato di suicidio, subito allora smentito, o di un infarto risultato inevitabile dello sfinimento e di tante concause, non ultima l’abuso di quel Mandrax che si procurava illegalmente e che con parecchio altro nascondeva per la casa, nei cassetti e nelle tasche degli abiti: il corpo disteso sul pavimento, i due domestici affranti, le sporte della spesa lasciate cadere e una sola telefonata, il medico tante volte allontanato, due poliziotti e due barellieri, la macchina da presa che osserva ogni cosa di lontano, quando ormai ha esposto ogni cosa e non ha più nulla da raccontare. L’inizio e la fine di “Maria”, dentro cui Pablo Larraìn, altalenante regista cileno che ha raggiunto ormai la cinquantina giungendo al suo undicesimo titolo – lo avevamo entusiasticamente conosciuto al Torino Film Festival nel 2008 con “Tony Manero” -, ha raccolto e raccontato con appassionata vicinanza l’ultima settimana di vita della Callas, affidando la propria “inchiesta” alla presenza di un giovane giornalista, attento a non turbare ma altresì capace ad azzardare ricordi e un passato che possono far riaffiorare dolori antichi (“La posso chiamare Maria o la Callas?”, ottenendo una opposta risposta secondo l’umore e i desideri della giornata; e ancora lei: “Voi non sapete quanto è difficile far passare la musica dalla pancia in platea!”), attraverso la sceneggiatura dovuta a Steven Knight e chiudendo (ma siamo davvero sicuri che in prossime prove non scoprirà altri ritratti a cui dare vita?) quella trilogia (al) femminile che era iniziata con “Jackie” (la vedova Kennedy) e “Spencer” (Lady Diana): con la soddisfazione che il terzo tassello risulti assai migliore dei precedenti, concreto, significativo, emozionante, di una scrittura che agisce in profondità e con estrema intelligenza.

 

Dentro un film sulla Callas non possono mancare i brani famosi e Larraìn li sparge attraverso quella settimana e in un passato che ha visto la cantante nascere a New York e crescere ad Atene, dove la madre in periodo bellico esponeva lei e la sorella Yakinthī (Valeria Golino, in un fugacissimo incontro) ai militari tedeschi, offrendone voce e movimenti di ballo, l’incontro a Venezia nel ’47 con Meneghini che non avrebbe mai amato e con il brutto Aristotele che sarebbe stato il grande amore di una vita, predatore capace di spostarsi con grande libertà tra nuovi passioni e camere da letto e appuntamenti galanti, pronto a spodestarla chiamando sul podio Jacqueline Bouvier (ad Ari la coppia Knight/Larraìn affida una delle battute più succose, e sono tante, del film: “Ci si sposa perché un giorno non si ha niente da fare”): da “Gianni Schicchi” ai “Puritanti”, da “Tosca” all’”Ave Maria” dall’”Otello, da “Anna Bolena” alla “Traviata”, con un piccolo capolavoro tecnico laddove alle registrazioni originali s’è unita la voce di Angelina Jolie, accanita studiosa e fervida reinterpretatrice. Sino a che tutto esplode nel “Vissi d’arte” in quel mattino di morte, con il pubblico sotto le finestre dell’appartamento, attonito e in adorazione come lo fu quello della Scala e dei tanti altri teatri, lei lassù tra accanimento e spasimi. Tutto si è concluso, il pubblico e il privato, Maria ha finito di aggirarsi tra le stanze della casa, anche lì come una diva, di giocare a carte (paiono le atmosfere dello “Scopone scientifico” di Comencini) con i suoi fedeli angeli custodi, Marta – una Alba Rohrwacher ingrigita e indaffarata a prepararle le omelette che tanto le piacevano – e Ferruccio – Pierfrancesco Favino, più convincente in quel muoversi colpito dai dolori alla schiena, “Fatti vedere dal medico che sei tutto storto”, nel muovere e rimuovere il pianoforte di casa, nell’inchinarsi, nel pronunciare “madame” e nel disporre rose nei grandi vasi.

Si è concluso il privato della sofferenza, del bruciare i vecchi abiti di scena (“Non c’è vita fuori del palco”), delle ultime fiammate (“Decido io cosa è reale e cosa no”), delle ultime prove con il pianista a saggiare una voce che non è più la stessa (“Scusami, sono in ritardo”, “Non sei mai in ritardo, sono gli altri ad essere sempre in anticipo”), del trovare rifugio nel caffè davanti a un alcolico ordinando di zittire quel disco che ancora una volta le riporta una voce perfetta e sublime. Immagini in bianco e nero si alternano al colore, sui titoli di coda altre che sono autentici documenti, diversità di formati dal quadrato al grandangolo che abbraccia panorami e platee e i viali ingialliti di Parigi (la eccellente fotografia è di Edward Lachman), tutto ruota attorno alla Maria che Angelina Jolie ha saputo costruire. Forse gioca anche lei sul suo privato e pubblico di grande diva e offre una performance del tutto convincente, recita e soprattutto vive in maniera autentica con gli occhi al riparo degli inconfondibili occhiali, con le mani che hanno un qualcosa di scheletrico, con il corpo che si muove in tutta la propria fragilità, con il passo maestoso o stanco, con l’autorità o la remissione: ogni gesto in previsione – forse? – di quell’Oscar che qualcuno ha già detto essere suo di diritto.

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“Le cose della vita” le avrebbe chiamate Claude Sautet, grande indagatore di sentimenti, pur con quei racconti intimi che paiono sparati con il cannone avrebbe sottolineato il tutto Lelouch con lo sguardo fissato su un uomo e una donna. Stéphane Brizé, conoscitore attendo del mondo del lavoro (“La legge del mercato”, “In guerra”) sposta adesso la macchina da presa sulla coppia, spiata tra le case sbarrate di un inverno nella penisola di Quiberon, nel nord della Francia – “Hors saison” suona il titolo originale del suo ultimo “Le occasioni dell’amore”. Mathieu, attore di cinema che gode di un buon successo e di un buon pubblico, fugge a gambe levate dalla sua prima esperienza teatrale ritenendosi del tutto inadeguato, a quattro settimane dal debutto, lasciando compagni e regista a leccarsi le ferite chissà come. Lui lo fa rifugiandosi in un elegante centro di talassoterapia, non avendo fatto i conti che a due passi ci abita, stancamente coniugata e con una figlia, una vecchia che non rispolvera da una quindicina d’anni. Tutto pare previsto. Riassunto dei rispettivi passati, un po’ di colpa a me e un po’ a te, passeggiate davanti alle onde alte del mare, silenzi e sguardi, transitamento per la camera da letto di lui, qualche spiegazione, lasciamoci così senza rancor. Tutto elegante, tutto sussurrato, tutto incredibilmente déjà vu, tutto condito di tempi lunghi e di momenti altrui che hanno proprio la sembianza di dover riempire e slungare una storiella a tutti i costi, con il vuoto della anemica vicenda che si fa sempre più vuoto e con i dialoghi messi sulla pagina dal regista che li sparpaglia qua e là al colmo dell’avarizia.

Senza partecipazione, troppo in punta di piedi, a un risparmio che non costruisce, che non s’insinua, che non spiega mai. E tutto resta asfittamente in superficie, con una disarmante inutilità. Se Guillaume Canet tenta di variare tra pianto e sorrisi il suo Mathieu, Alba Rohrwacher mantiene su suolo d’oltralpe quella eterna sbiaditezza che le conosciamo da noi, la debolezza e il passo indietro nel porsi di fronte ai suoi personaggi, prevedibile di voce e di gesti, di quegli sguardi che rimangono eguali e bloccati davanti a un panorama che dovrebbe suggerirle un pensiero e un ricordo, davanti a un uomo che dovrebbe ispirarle un sentimento.

“Wonder Woman” e “Edipo Re” aprono il 2025 del TPE Teatro Astra

 

La stagione 2025 del TPE Teatro Astra si aprirà il 7 gennaio con lo spettacolo “Wonder Woman” di Antonio Latella e Federico Bellini, in collaborazione con Stabilepiemonte. La regia è a cura di Antonio Latella e vedrà in scena le attrici Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Rienzi, Chiara Ferrara e Beatrice Verzotti. I costumi sono di Simona D’Amico, le musiche e il suono di Franco Visioli e i movimenti di Francesco Manetti e Isacco Venturini.

Lo spettacolo è ambientato nel 2015, ad Ancona, dove una ragazza peruviana è vittima di uno stupro di gruppo. Le giudici della Corte d’Appello chiamate a emettere una sentenza decisero di assolvere gli imputati perché la ragazza risultava “troppo mascolina” per essere attraente e quindi vittima di violenza sessuale.  La Corte di Cassazione ha ribaltato il giudizio condannando i ragazzi autori dello stupro, eppure rimane nella memoria il precedente indelebile di un giudizio emesso per ragioni che fanno riferimento all’estetica della vittima, come se quella ragazza fosse colpevole del proprio aspetto. Lo spettacolo si muove da questa vicenda affidando a quattro giovani donne il racconto, immaginato e teatralizzato, del caso giudiziario. Vichingo, questo il soprannome con cui, nella realtà, era chiamata dai ragazzi la vittima, diviene una Wonder Woman contemporanea in lotta per ristabilire una verità che viene continuamente negata. Le repliche andranno in scena fino al 9 gennaio prossimo.

A seguire, dal 16 al 19 gennaio, andrà in scena “Edipo Re” di Sofocle, nella traduzione di Fabrizio Sinisi, con l’adattamento e la regia di Andrea De Rosa. Sul palco gli attori Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée e Fabio Pasquini. Lo spettacolo è patrocinato dal Consolato Generale della Repubblica Ellenica di Torino e prodotto da TPE Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale.

In una città che non vediamo mai, un lamento arriva da lontano. È Tebe martoriata dalla peste. Un gruppo di persone non dorme da giorni. Come salvarsi? A chi rivolgersi per guarire la città che muore? Al centro della scena, al centro della città, al centro del teatro c’è lui, Edipo. Lui, che ha saputo illuminare l’enigma della Sfinge con la luce delle sue parole, si trova ora di fronte alla più difficile delle domande: chi ha ucciso Laio, il vecchio re di Tebe? La risposta che Edipo sta cercando è chiara fin dall’inizio, e tuona in due sole parole “sei tu”. Ma Edipo non può ricevere una verità così grande, non la può vedere. Preferisce guardare da un’altra parte. Sarà la voce di Apollo, il dio nascosto, il dio obliquo, a guidarlo attraverso un’inchiesta in cui l’inquirente si rivelerà essere il colpevole. Presto si capirà che il medico che avrebbe dovuto guarire la città è la malattia. Perché è lui, Edipo, l’assassino e quindi la causa del contagio. La luce della verità è il dono del dio, ma anche la sua maledizione.

TPE Teatro Astra
via Rosolino Pilo 6, Torino

 

Mara Martellotta