“SOLO. The Legend of quick change”
È l’ultima stagione in Italia, prima del tour internazionale
Il suo solito ciuffetto all’insù (quello trattato, dice lui, “con gel al viagra”, diventato il suo brand ed eredità di quel suo Puck interpretato, nei primi anni ’90, nel “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare” per la regia di Duccio Camerini), 65 anni incredibili e portati ch’è una meraviglia – con la gagliarda “bricconeria” di un fanciullo dall’argento vivo addosso che si rifiuta di crescere, fisicamente e nello spirito almeno – il nostro torinesissimo Arturo Brachetti (all’anagrafe Renzo Arturo Giovanni Brachetti, che già nel nome richiama il destino, messosi da anni sul groppone, della massima pluralità) ritorna, dal prossimo 14 gennaio, sui palcoscenici italiani con il suo “SOLO. The Legend of quick change”, giunto ormai alla sesta stagione e applaudito finora da 600mila spettatori in quasi 500 repliche.

L’indiscusso e più grande trasformista al mondo, maestro internazionale del più contemporaneo quick change, erede del leggendario Fregoli e “Guinness dei Primati” nel 2002 come trasformista più veloce del pianeta (ben 81 personaggi interpretati in uno spettacolo di due ore), la farà da indiscusso padrone con più di 60 nuovi personaggi, molti ideati appositamente per questo coinvolgente e travolgente show. Uno spettacolo in cui Brachetti propone anche un “viaggio nella sua storia artistica”, attraverso le altre affascinanti e molteplici discipline in cui eccelle: dai grandi classici come le “ombre cinesi”, il “mimo” e la “chapeaugraphie” alle sorprendenti novità della poetica “sand painting” e del magnetico “raggio laser”. Il mix tra scenografia tradizionale e videomapping, permette ancora di più di enfatizzare i particolari e coinvolgere gli spettatori. Ventidue le tappe del tour italiano, con partenza dal “Teatro Ventidio Basso” di Ascoli (14 e 15 gennaio) e chiusura al “Teatro Cilea” di Napoli (dal 30 marzo al 2 aprile). A Torino, Brachetti sarà al “Teatro Alfieri” dal 23 al 26 febbraio. L’attore, in “SOLO” apre le porte della sua casa, fatta di ricordi e di fantasie: “una casa senza luogo e senza tempo – si legge – in cui il sopra diventa il sotto e le scale si scendono per salire, una casa che esiste dentro ciascuno di noi, dove ognuna delle stanze racconta un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della vita quotidiana prendono vita, conducendoci in mondi straordinari dove il solo limite è la fantasia. È una casa segreta, senza presente, passato e futuro, in cui conserviamo i sogni e i desideri… Brachetti schiuderà la porta di ogni camera, per scoprire la storia che è contenuta e che prenderà vita sul palcoscenico”. Uno strampalato, magico e meraviglioso mix di reale e surreale, verità e finzione, magia e realtà: tutto ci si può aspettare dal funambolico Brachetti, tutto pur di dimenticarsi della razionalità. Dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte e alle grandi icone della musica pop, passando per le favole e la lotta con i “raggi laser” in stile Matrix, Brachetti batte il ritmo sul palco: 90 minuti di vero spettacolo pensato per tutti, a partire dalle famiglie. Lo spettacolo è un vero e proprio “as-SOLO” per uno degli artisti italiani più amati nel mondo, l’“uomo dai mille volti”, come recitava il titolo del suo precedente “one man show”, visto da oltre 2milioni di spettatori.
Per info: www.brachetti.com – Twitter @arturobrachetti – Instagram @arturobrachetti – Youtube arturobrachetti
g.m.
Nelle foto: alcune scene dallo spettacolo, credit Paolo Ranzani
La versione per il palcoscenico arriva con ritardo al Carignano (in scena sino all’8 gennaio per la stagione dello Stabile), al terzo anno di repliche osannanti. Özpetek s’è chiesto, nel momento della trasposizione, come potesse far apparire con facile lucidità il mondo di sentimenti, di momenti malinconici, di risate che prima la macchina da presa aveva svelato e fatto suo. Non sempre è facile passare dai movimenti che vanno a indagare alla stabilità da osservare sera dopo sera. Ferzan c’è riuscito appieno, appieno ha conservato il messaggio di libertà che è alla base della storia, ma anche l’ironia, le ”macchiette” che sgomitano e che si sono costruite un più che apprezzabile spazio tutto loro, le risate e le schegge di un tempo perduto, il rammarico delle scelte doverose. Ha aggiunto piccole scene e altre ha sentito l’obbligo di cancellarle, per cui peccato che la figura della zia parecchio attaccata alla bottiglia ne resti un po’ schiacciata, peccato che la gita al mare degli amici di Tommaso, arrivati pur essi da Roma, non possa godere della luce del mare pugliese, peccato che la gioventù della nonna, vero esempio di modernità, la “mina vagante” per eccellenza, vero ponte tra presente e passato, l’unica ad aver compreso da sempre come stavano realmente le cose, non trovi visivamente spazio a ricordare ancora una volta quella parte di vita cui ha dovuto un tempo rinunciare. S’attiva da parte dell’autore e regista, sul versante delle novità, un “dentro” cui è necessario dare slancio e ritmo: quelle dieci luci in proscenio animano una sorta di opera buffa e di teatro antico, con lo scenografo Luigi Ferrigno – complici i cambi di luce di Pasquale Mari – s’è creato un gioco di tendaggi scorrevoli a chiudere scene e intimità per svelarne altre in cui gioca l’intera famiglia, s’è sfruttato con intelligenza quella platea/piazza di paese dove l’industriale e padre, prendendo a testimone e a prestito il pubblico, teme di essere guardato, deriso, messo al bando.

