SPETTACOLI- Pagina 132

Suonala ancora, Sam!  Grandi canzoni dai film di culto con Marco Nieloud Ensemble

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

 

Mercoledì 16 novembre, ore 21.30

 

 

 

“Suonala ancora, Sam!” è il concerto in prima assoluta del Marco Nieloud Ensemble con Marco Nieloud, Michele Patti, Gianmaria Nieloud, Michele Millesimo, delle canzoni più famose dei film di culto per un viaggio alla scoperta dei brani “nascosti” nei film. Con canzoni, tra gli altri, di Paul Simon, Stevie Wonder, Elton John, Chuck Berry, Paolo Conte, Neil Diamond.

 

Ora di inizio concerto: 21,30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

 

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

 

INFO PER LA STAMPA

Ufficio stampa Osteria Rabezzana, Simona Savoldi

Tel: 339.6598721 – E-mail: press@osteriarabezzana.it

La Napoli di Raffaele La Capria, chi resta e chi fugge

Al Carignano, sino al 13 ottobre, “Ferito a morte” con la regia di Roberto Andò

Ho terminato nei giorni scorsi la lettura di “Ferito a morte”, il romanzo con cui Raffaele La Capria – scomparso nel giugno di quest’anno a tre mesi dai festeggiamenti del suo centesimo compleanno – aveva vinto lo Strega nel 1961, sopravanzando di un voto solo “Delitto d’onore” del nostro Giovanni Arpino e “Ballata levantina” di Fausta Cialente: e pagina dopo pagina mi chiedevo come sarebbe mai stata la trascrizione teatrale, questo “adattamento” portato questa settimana al Carignano dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale (coproduttori Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale (una gran bella importante compagine) per il cartellone del nostro Stabile, regista Roberto Andò e adattatore Emanuele Trevi (anche lui Premio Strega, 2021, con “Due vite”). Come portare in palcoscenico un romanzo che “parla di tutto e di niente” (a pochi mesi dalla morte, Dudù La Capria chiese a Trevi : “Senti, ma di che parla ‘Ferito a morte’?”), quegli incanti marini e quelle scorribande giovanili descritte sotto il pelo dell’acqua, a cominciare da quella “spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come un reattore quando lo vedi sbucare ancora silenzioso nel cerchio tranquillo del mattino”, quella Grande Occasione Mancata da un colpo d’arpione, “la freccia inutile”, quel mistero della “vita che nel momento decisivo ti abbandona.” Come?

Difficoltà visive, intuizioni e invenzioni che sapessero trasportare lo spettatore in un mondo parallelo, all’ombra di Palazzo Donn’Anna, lungo le rive dell’ampio golfo; come gli facessero sentire tutto quel respiro, quello sciabordio vitale che ha dell’incantesimo. Gli artefici della scommessa pienamente vinta, avvincente, sono Luca Scarzella per i video, le riprese acquatiche, la luce dei raggi del sole visti da sotto in su, il lento girovagare tra le acque azzurre, Hubert Westkemper per il suono e Gianni Carluccio per le scenografie, il lettino-pensatoio – un’isola appartata, lontana da tutti – di Massimo (che pare raccogliere attorno a sé realtà e fantasmi, come il Marcello della “Dolce vita”) da un lato e la grande terrazza, in alto, riflessa nel cielo, del Circolo, i testi e le battute che s’animano proprio grazie all’apparato che Carluccio si è inventato.

Un titolo suggerito da Peppino Patroni Griffi, in luogo dell’originale “Leoni di giugno”, dieci capitoli, i testi come frastagliati, sfuggenti, improvvisi, una scrittura che è “flusso di coscienza”, andando qui persino alla ricerca del nome di Joyce, un monologare interiore incessante, un fluire senza posa di personaggi che sbucano inaspettati nella pagina scritta e di pensieri scaturiti dal di dentro, una polifonia che insegue i ricordi e i preparativi dell’allontanamento del protagonista dalla propria inquietante quanto malata realtà (come il Moraldo di Fellini, via da Rimini, “quelle voci sono sempre un poco di falsetto, dicono e nascondono, ambiguamente cercano di difendere anzitutto se stessi, le proprie ragioni di vita”, scriveva Giorgio Barberi Squarotti in una prefazione al romanzo), di amori e di disillusioni, di ferite e di panorami, di aspirazioni e di fughe. Un gruppo di amici, quelli che potevano essere il gruppo di Dudù, con Francesco Rosi, Antonio Ghirelli, Patroni Griffi e Giorgio Napolitano, una bella giornata di sole del 1954, per arrivare negli ultimi tre capitoli all’inizio dei Sessanta, mettiamo, i “leoni al sole” di Caprioli o i “vitelloni” felliniani, una giovinezza, con i nomi di Ninì, di Sasà, di Cocò – ma nemmeno poi più tanto, gli anni sono già corsi in avanti -, sotto il cielo di Napoli, una città “che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme”, tra le “evasioni” in mare e i tavolini del Middleton e la terrazza del Circolo nautico. Il Circolo che “non era più soltanto un posto noioso che ti sottoponeva alla logorrea dei soci, al logorio del tempo, no. Il Circolo diventava un osservatorio, e da quell’osservatorio tu potevi spingere lo sguardo sull’odiata classe media, causa ed origine di tutti i mali del sud”. Tra il riversarsi del tempo lasciato scivolar via, della perdita di patrimoni, delle stupide chiacchiere, di pettegolezzi, di scherzi tremendamente infantili, di permanenze al tavolo del poker capaci di durare due giorni interi, di amori e amorazzi, c’è chi resta come Ninì, il fratello-pagliaccio, che giorno dopo giorno costruisce la propria farsa e che di quelle chiacchiere vive, e chi fugge, come Gaetano, pronto ad andarsene al nord: portatori entrambi di ferite che lacerano, accettate e no. Si ride, ci si diverte, ma il puzzo di morte si sente tra quelle marionette che si sfidano a vivere. Anche l’apparizione finale di Sasà l’avverti come un requiem che nessuno cicatrizzerà mai.


Roberto Andò costruisce uno spettacolo che rispetta il divertimento e l’ironia dell’autore, la critica verso una società e una città, che con devozione ricalca le pagine di quello che è considerato lo spartiacque della letteratura italiana; coglie appieno l’occasione per ricordare a tutti che è uomo di cinema e quel pranzo domenicale in casa dei De Luca è un impagabile e variopinto e pirotecnico susseguirsi di primi piani, dove una compagnia, fatta di visi più (televisivi o sullo schermo) o meno (ahimè) noti, si mostra appieno in tutta la sua eccellenza. Andrea Renzi è il Massimo adulto, che mette sul piano la propria disillusione e guarda con un velo di tristezza al suo specchio giovanile, Sabatino Trombetta, e all’entusiasmo che lo pervade. Un successo personale per Giovanni Ludeno come Ninì e per Gea Martire come mammà premurosa, per la nonna vivacissima e nostalgica di Aurora Quattrocchi, per la solitudine povera, per la disperazione di Sasà vissuta con poche note, ma intimamente convincenti, da Paolo Mazzarelli. Applauditissimi con i loro compagni al termine, in uno spettacolo che lascerà il segno nella stagione. Un solo consiglio, non perdetelo. Si replica sino a domenica 13.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Lia Pasqualino

“Pagliacce Festival” al Centro Culturale “Bunker” di Torino

Il primo Festival Internazionale di “donne clown” in Italia

Da venerdì 11 a domenica 20 novembre

Tutte attrici. Tutte donne. Tutte orgogliosamente donne attrici. E tutte orgogliosamente donne attrici “pagliacce”. Oltre 25 le Compagnie che approderanno in città da tutt’Italia e dall’estero. Arriva infatti a Torino “Pagliacce Festival”, il primo festival internazionale di donne clown. Da venerdì 11 a domenica 20 novembre, sotto lo “Chapiteau Madera”, montato negli spazi del “Bunker” (via Nicolò Paganini 0/200 a Torino), è in programma un cartellone di spettacoli tutti al femminile e con alcuni nomi di alto prestigio a livello internazionale, come Joanna Bassi dalla Francia, personaggio d’eccellenza del teatro popolare e comico – con un passato da artista circense insieme ai genitori e al fratello Leo –  Hilary Chaplain da New York, una delle clown americane più amate e Gardi Hutter dalla Svizzera, artista teatrale e autrice, ma soprattutto commediante-clown, con circa 4mila rappresentazioni, dal 1981 ad oggi, in 35 paesi e 5 continenti, nove spettacoli teatrali, un programma circense, tre musical e 19 premi ricevuti.

 

A rappresentare l’Italia, tra le altre, ci sono Rita Pelusio, attrice teatrale e cabarettista attiva in teatro e televisione, e Claudia Cantone, clown e artsta-terapeuta. Il festival che si presenta come una “panoramica sulla pagliacciata contemporanea” è organizzato da “Pagliacce Network” (la prima rete italiana di donne clown cui, in un solo anno, hanno già aderito circa novanta artiste professioniste) e da “Le Due e Un Quarto” (Compagnia torinese attiva dal 2007) con il sostegno del “Ministero della Cultura”.

“Con questo festival – spiega Martina Soragna, de ‘Le Due e Un Quarto’ – speriamo di ispirare nuove generazioni di artiste-pagliacce”. La chicca? “Vogliamo agevolare e facilitare le donne artiste a cui spesso, nei festival internazionali, non si pensa. Ci saranno baby sitter messe a disposizione per i figli delle clown, uno spazio dedicato ai loro bimbi e i pasti saranno serviti in orari più compatibili per mamme e bambini”. “Insomma – conclude – ciò che intendiamo valorizzare é la ricerca e la produzione artistica al femminile, sostenendo l’uguaglianza di genere anche nelle azioni più pratiche”.

In agenda, un pienone di spettacoli: una panoramica sul “clown contemporaneo” e sulle nuove tendenze, attraverso un punto di vista spiccatamente femminile. Non mancheranno ovviamente anche momenti ludici e di spettacolo per i bambini, come il “Biblioclown”, uno spazio dedicato alla lettura e al gioco, o la “Visita Circospaziale”, un tour guidato sotto il tendone per scoprirne le arti e i mestieri, andando a conoscere non solo la pista da circo e gli spalti, ma anche gli angoli più nascosti: il dietro le quinte, i camerini, la biglietteria. In programma appuntamenti di rilievo anche per professionisti e operatori del settore, con due incontri-dibattito sul tema della “comicità femminile” e un “training” condiviso. Previsti anche aperitivi con performance, dj set e una “mostra di ritratti di pagliacce contemporanee”.

Il via, venerdì 11 novembre (ore 18,30) con Joanna Bassi in “L’innocence de l’humor”; ultimi appuntamenti sabato 19 novembre (ore 21) con Gardi Hutter interprete de “La Sarta” e domenica 20 novembre (ore 10,30) con “BiblioClown”, un momento di lettura e gioco dedicato ai più piccoli. Alcuni appuntamenti e spettacoli sono gratuiti. Altri a pagamento.

Il programma completo su: www.ledueunquarto.it/pagliacce/

g.m.

Nelle foto:

–       “Cabaret – Pagliacce”

–       Gardi Hutter

–       Joanna Bassi

“Abbey Road” e i Beatles allo Spazio Kairos

Appuntamento giovedì 10 novembre alle 21

 

I Beatles nel 1969 sono stanchi, disuniti e sentono che la favola sta finendo. L’hanno avvertito chiaramente durante le registrazioni di “Let It Be”, disco tormentato e carico di tensioni. Ma qualcosa li spinge a creare un ultimo lavoro: il risultato è uno dei grandi capolavori della musica mondiale, “Abbey Road”. I Finger Pie, cover band dei Beatles, suonano dal vivo in questo concerto-spettacolo ripercorrendo le canzoni e la storia dell’album tra aneddoti, curiosità e storie incredibili. Titolo “Abbey Road”.  L’appuntamento è giovedì 10 novembre alle 21 allo Spazio Kairòs di via Mottalciata 7 a Torino (intero 13 euro, ridotto 10,  biglietti in vendita su www.ticket.it; per entrare è necessaria la tessera Arci).

Con Vico Righi, voce e chitarra, Enrico Bontempi, chitarra e voce, Riccardo Mariatti, basso, Simone Zangirolami, batteria, e Marco Cimino, tastiere, ci sarà l’attore Riccardo De Leo che darà voce ai racconti. Vestirà i panni di Derek Taylor, giornalista, scrittore ma soprattutto addetto all’ufficio stampa dei Beatles dalla beatle-mania del ’64 fino alla fine della loro carriera.

 

Il concerto – spettacolo

1969: un anno strano, pazzo, convulso. L’America combatte in Vietnam una delle guerre più controverse e discusse del ventesimo secolo, in Europa scioperi sindacali e proteste studentesche agitano il clima politico e sociale. Nella Villa di Romàn Polanski, Charles Manson uccide la moglie Sharon Tate in una strage che inquieterà il mondo intero. Il ’69 è però anche l’anno di Woodstock. L’anno in cui Neil Armstrong e Buzz Aldrin atterrano sulla luna, forse. Mario Puzo pubblica il romanzo “Il Padrino”, tutti quanti conosciamo il film di Coppola. Jim Morrison viene arrestato per “atti osceni in luogo pubblico”, i Rolling Stones radunano quasi cinquecentomila persone a Hyde Park per un concerto in onore di Brian Jones, morto di overdose soltanto due giorni prima.

E i Beatles? Beh, i Beatles di fine ‘68 sono stanchi, disuniti e litigiosi, le alternative sono sciogliersi o cercare nuovi stimoli. “Anno nuovo, vita nuova” dice George Harrison, così decidono di ritrovare sé stessi riunendosi per la scrittura del disco Let It Be. L’idea è di tornare alle origini attraverso la spontaneità di una registrazione in presa diretta, con l’aggiunta però di una telecamera sempre accesa a puntare il faro sul processo creativo della band.

Gli studi cinematografici di Twickenham costituiscono tuttavia un ambiente troppo freddo e impersonale, i continui litigi e disaccordi in merito ai brani e al loro arrangiamento portano inevitabilmente a una frattura, solo in parte risanata con il trasloco a Savile Row. In questa location più amena, a fine gennaio, i Fab Four concludono le incisioni e sublimano questa dolce-amara esperienza con lo storico concerto sul tetto della Apple. In cima allo studio di registrazione da loro stessi fondato John, Paul, George, Ringo e il tastierista Billy Preston danno vita a un evento storico: Londra si ferma, le strade si intasano e microfoni e amplificatori anticipano a un pubblico incredulo alcuni brani come Get Back e Don’t Let me Down, pubblicati in aprile rispettivamente come lato A e B di un singolo 45 giri. Non contenti del risultato, però, i Beatles decidono di non mixare il disco, lasciandolo in un limbo da quale verrà tratto solamente nel ’70 dal produttore Phil Spector che ne farà l’ennesimo e ultimo successo planetario di critica e vendite. “Let It Be” è però soltanto l’ultima pubblicazione della band, ma non l’ultimo lavoro. La verità è che nello stesso strano, pazzo e convulso 1969 i quattro baronetti di Liverpool riuscirono ancora una volta a stupire tutti con Abbey Road.

 

«Se è vero che ci vuole un caos dentro di sé per partorire una stella danzante, immaginiamo che il ’69 sia il caos, Abbey Road è la stella che vi danza attorno, ed è il vero canto del cigno della band più importante di tutti i tempi».

 

Scritto da Enrico Bontempi e Vico Righi
Regia di Lia Tomatis
Musiche dal vivo a cura dei The Finger Pie
Con Enrico Bontempi (chitarra/voce)
Marco Cimino (tastiere)
Riccardo Mariatti (basso)
Vico Righi (chitarra/voce)
Simone Zangirolami (batteria)
Narrazione di Riccardo De Leo

“L’ospite inatteso”, tutto chiaro sin dall’inizio ma non c’è da fidarsi: è firmato Agatha Christie

L’inaugurazione all’Alfieri della stagione del “Fiore all’occhiello”

Giovedì 17 novembre ore 20.45 al Teatro Alfieri l’inaugurazione del “Fiore all’occhiello” è affidata al giallo “L’ospite inatteso”, il nuovo Agatha Christie firmato Compagnia Torino Spettacoli con cui prende il via il cartellone della Fabrizio Di Fiore Gestione Attività Teatrali che guida il Teatro Alfieri e il Teatro Gioiello. Repliche fino al 20 novembre (dal giovedì al sabato ore 20.45 – domenica ore 15.30). Protagonisti i beniamini della Compagnia Torino Spettacoli Simone Moretto, Elia Tedesco, Elena Soffiato, Barbara Cinquatti, Patrizia Pozzi, Carmelo Cancemi, Giuseppe Serra, con la partecipazione dei Germana Erbas Talents Luca Simeone e Simone Marietta.

L’ospite inatteso” di Agatha Christie (The Unexpected Guest), scritto nel 1958, è proposto nella traduzione di Edoardo Erba, per la regia di Girolamo Angione, la scena è firmata da Gian Mesturino, la produzione è di Torino Spettacoli. Un’altra occasione di sicuro successo, considerando i trent’anni di specializzazione nel mondo, fatto di omicidi e investigazioni, di Agatha Christie all’attivo della compagnia (“Trappola per topi”, “La tela del ragno”, “Assassinio sul Nilo” e “Caffè nero pero Poirot). Avvincente la storia sin dall’inizio. Michael Starkwedder, un ingegnere di ritorno dal Golfo Persico, si perde nella campagna inglese e, complice la nebbia, la sua auto finisce rovinosamente in un fosso; luomo riesce ad individuare una casa, immersa nelloscurità dove sicuramente potrà chiedere aiuto. Bussa alla porta finestra principale ma nessuno apre. Si fa coraggio, la porta è aperta ed entra… Niente è come sembra e la Christie è davvero diabolica nellaccompagnarci fino al colpo di scena finale.

“L’ospite inatteso” è stato definito con ottime ragioni un giallo alla Alfred Hitchcock. Un giallo psicologico, più dei fatti, contano le parole che rimandano alle storie dei personaggi, alla loro vita interiore. Ma altrettanto giustamente è stato definito – e resta – il vero capolavoro della regina del giallo. Ha scritto Angione nelle sue note di regia: Strano giallo, “L’ospite inatteso” di Agatha Christie! In meno di un minuto, all’apertura del sipario, è già tutto chiaro: c’è un delitto, c’è un colpevole e c’è la sua confessione, immediata, spontanea. Il caso è chiuso? Naturalmente, no. Il giallo delle finte verità è appena cominciato. In uno slancio di fervido altruismo, Michael Starkwedder, lo sconosciuto capitato quasi per caso in quella stanza dove ci sono il cadavere di un uomo e sua moglie con la pistola in mano, è il primo che s’affretta a negare la verità (finta) d’una colpevole rea confessa, per inventarne un’altra, altrettanto finta (forse) ma assai più opportuna: la vendetta dun tale John Mac Gregor per un torto di molti anni prima. Una finta verità a cui tutti, compresa la polizia, credono o fingono di credere. Strano giallo, “L’ospite inatteso”, eppure magistrale. Per più di metà della vicenda, il fulcro dell’interesse non sta nello scoprire chi sia l’assassino: di fatto, lo si sa dall’inizio; sta piuttosto nel seguire le mosse degli altri personaggi, loro sì realmente coinvolti nel delitto: Laura Warwick, la tormentata moglie della vittima che per prima si dichiara colpevole del delitto; il maggiore Farrar, un opportunista totalmente preso dallambizione politica; la devota infermiera, la signorina Bennett; perfino l’ambiguo maggiordomo Angell; ma sopra tutti, la straordinaria figura matriarcale della Signora Warwick, vera regina madredi shakespeariana memoria. Tutti i personaggi s’indagano tra loro, si scrutano dentro, s’interrogano su come possano essere andate davvero le cose. Ma, si badi bene, non per affermare la propria innocenza, accusandosi l’un l’altro; no, per potersi dichiarare essi stessi colpevoli, allontanando i sospetti dagli altri, in un’insolita gara di fedeltà e solidarietà. Perché? Perché, dietro tutto questo, c’è una storia familiare, bella e brutta, come tutte le storie di famiglia; ci sono sentimenti forti d’amore, odio, dolore, vissuti intensamente, ma spesso taciuti per non intaccare il perbenismo anglosassone. L’ospite inatteso, proprio perché è un estraneo, diviene il testimone silenzioso di quei sentimenti nascosti, di quelle storie difficili e il ricettacolo delle confidenze di tutti; e, in ultimo, il deus ex machina della vicenda. Una scrittura tesissima sostiene una vicenda che avvince e intriga lo spettatore con gli immancabili colpi di scena, le rivelazioni continue, le improvvise svolte drammatiche; ma anche con passaggi di intensa e tenera umanità, dedicati in particolare a Jan, il personaggio più giovane e problematico, amato da tutti e che tutti vogliono proteggere… Ma chi sia realmente Jan è difficile dire, senza svelare troppo.

Prezzi biglietti per “L’ospite inatteso”: platea: posto unico 28+1,50 – ridotto 23+1,50; galleria: 20+1,50 – ridotto 15+1,50; riduzioni valide x gruppi e abbonati, il giovedì e venerdì, riduzioni under 14 e disabile con accompagnatore valide tutte le repliche; pacchetto Family “L’ospite inatteso”, 64 cad. (2adulti e 2 under 14), valido tutte le repliche (III sett. platea e galleria)

e. rb.

Le foto dello spettacolo sono di Daniele Serra

La realtà e la libertà di un artista, la “violenza” della Chiesa

Sugli schermi “L’ombra di Caravaggio” di Michele Placido

 

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Tanti sono i momenti e le componenti che convincono dell’”Ombra di Caravaggio” (coprodotto tra Italia e Francia) che Michele Placido ricava oggi da un vecchio progetto teatrale dei lontani anni Sessanta. Un film riuscito, che forse avremmo voluto andasse più in profondità, al di là di quel che già non abbia fatto, all’interno della tragedia intima e umana, della torbida mescolanza tra “alto” e vita votata alla malvivenza, di colui che più di chiunque altro ha impresso una direzione nuova all’arte pittorica, ma che certo riempie gli occhi quanto a “ricostruzione” e ha tutte le carte in regola (con “La stranezza” di Roberto Andò) per correggere e dare una bella spinta ad un problema che sta diventando sempre più preoccupante, la affievolita presenza del pubblico nelle sale cinematografiche. Visto che ci stiamo ripetendo che il problema è dovuto anche alla presenza di operine mediocri, dei troppi che finora hanno trovato soldi facili per produrre “cose” che non vanno al di là del solito “spazio di un mattino”, allora afferriamole, in fretta, quelle opere che sembrano riconciliarci con un mondo che continuiamo ad amare ma da cui abbiamo in tempi recenti poche soddisfazioni.

Lo scorrere narrativo dentro il primo decennio del XVII secolo, altalenante tra date e luoghi, in un movimento continuo e febbricitante e ossessivo come solo le ossessioni sanno essere, i dialoghi che non poche volte gli sceneggiatori (Sandro Petraglia e Fidel Signorile con il regista) s’ingegnano a riformulare in una lingua seicentesca, gli apporti tecnici eccellenti, i costumi di Carlo Poggioli e le scenografie di Tonino Zera, sopra tutti la fotografia di un ispirato Michele D’Attanasio che costruisce immagini sghembe o sfuggenti, fluide, che reinventa con un preciso linguaggio le luci e le ombre del pittore inviso e maledetto, è sufficiente lo spalancarsi di una finestra, lassù in alto, perché il caos dello studio di Caravaggio si animi come per incanto, perché lo sguardo dello spettatore si posi sulla caduta di San Paolo; non ultimi i tanti vIsi scoperti per ridare vita alle corti dei miracoli napoletane e romane, al ricovero raccolto attorno alla figura di Filippo Neri, negli ambienti di Santa Maria in Vallicella, fatto di mendicanti (il cameo impagabile di Alessandro Haber, usato a far da San Pietro nella ”Crocifissione” di Santa Maria del Popolo) e prostitute, un mondo senza sfreni e vitale, visi e corpi denudati, messi o schiacciati in primo piano, in tutta la carnalità giusta e sfacciata che Placido pone come ossatura del suo ultimo film, come il sangue (sin dalle prime scene, Caravaggio assalito e trafitto nella guancia da un colpo di pugnale) e le torture (la morsa di ferro a squarciare la bocca di Giordano Bruno, con un Gianfranco Gallo che dà vita estrema, con grande convinzione, agli ultimi istanti di un martire e ad una delle scene più convincenti del film) e le violenze, verbali e fisiche.

Attraverso le immagini, come in un film d’investigazione, serpeggia l’Ombra, un religioso, in rigoroso abito nero (Louis Garrel), un misterioso inquietante inquisitore a cui Paolo V (Maurizio Donadoni), auspice non della verità ma del conforme, ha dato incarico di comprendere, negli interrogatori subdoli o violenti che avrà con quanti lo hanno conosciuto e frequentato, se nell’artista si nasconda il genio o l’uomo blasfemo, l’impudico e l’assassino, in lotta con le leggi di una Chiesa uscita dal Concilio di Trento, che auspica Madonne angelicate e santi ispirati e l’azzurro dei cieli, un uomo da perseguitare anche in quell’abitudine di raffigurare la Vergine con il viso e le forme di quelle prostitute che ha incontrato in strada ed elette al ruolo di amanti, Lena Antonietti (Micaela Ramazzotti) e Anna Bianchini Lolita Chammah) che la Storia ci ha tramandato. Da perseguitare per quell’uccisione del giovane Ranuccio Tomassoni, per cui è in attesa della grazia, nel suo girovagare tra il sud italiano e Malta e le coste laziali, dove verrà emessa la parola fine, mentre come in un baratto si suggerisce all’artista di abbandonare la propria arte: credo con un falso storico, anche alla luce degli ultimi studi e dei più recenti ritrovamenti. A lato la simpatia di quanti lo appoggiano e lo proteggono, Costanza Colonna (Isabelle Huppert) e il cardinal Dal Monte (lo stesso Placido) e Scipione Borghese, il nipote del pontefice (Gianluca Gobbi); pregio poi non ultimo del film, la “ricostruzione” di tante tele del Caravaggio, da quelle di san Matteo ad Anna come Maddalena o interprete della “Morte della Madonna” (al Louvre) dove ancora una volta è presa a prestito, lei suicida nel Tevere, il ventre gonfio, e circondata dagli apostoli, dalla “Madonna dei mendicanti” dove campeggiano le sembianze di Lena o alla “Madonna dei palafrenieri”, dove Sant’Anna ha il viso ricorrente di una popolana incontrata in altre occasioni e ancora Lena sfida il peccato con il suo prorompente seno che certo non poteva essere accettato su di un altare in San Pietro.

Placido non ci fa mai vedere il suo Caravaggio mentre dipinge le sue tele, sono già lì, concluse, a testimoniare una grandezza, ne ricostruisce come un maestro la storia, ci spinge ad uscire dalla sala per correre a casa a sfogliarci un volume e assaporare quei capolavori una volta ancora, a studiarlo ancora di più, magari a spingerci domani tra le  chiese e i musei romani a riempirci gli occhi. E ogni cosa sarebbe un bel traguardo. E Riccardo Scamarcio è estremamente convincente, padrone del proprio corpo, spavaldo nel metterlo in mostra, capace di abbracciare appieno le luci e le ombre, il successo e la disfatta del suo artista, il sublime e la violenza entro cui Caravaggio visse.

I primi 40 anni del TFF: 173 film, diretta radio con Beatles e Rolling Stones

La rassegna cinematografica è stata presentata ieri in conferenza stampa al cinema Quattro Fontane di Roma

Un’edizione ricca di ospiti, da Sam Mendes a Francesco De Gregori, da Malcolm McDowell a Werner Herzog, e ancora Masterclass, anteprime internazionali e un concorso che riunisce il meglio del panorama cinematografico italiano e mondiale, fra lungometraggi, cortometraggi e documentari.

La quarantesima edizione del Torino Film Festival si svolgerà dal 25 novembre al 3 dicembre sotto l’egida
del Museo Nazionale del Cinema – presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Domenico De Gaetano – con la
direzione artistica di Steve Della Casa che torna a dirigere la manifestazione a distanza di vent’anni.

Consulenti della Direzione Artistica sono Luca Beatrice, Claudia Bedogni, Giulio Casadei, Antonello
Catacchio, Massimo Causo, David Grieco Grazia Paganelli, Giulio Sangiorgio e Caterina Taricano, Luigi
Mascheroni, Paola Poli, Alena Shumakova e Luciano Sovena.

L’edizione 40 del Torino Film Festival segna il ritorno in sala del pubblico e a partire da questa prospettiva
sono stati concentrati tutti gli sforzi proprio come scelta strategica da parte del Museo Nazionale del
Cinema. La novità di Casa Festival, una cittadella del cinema aperta al pubblico e situata nel suggestivo
scenario della Cavallerizza Reale nel centro di Torino, è a suo modo simbolica: il festival vuole coinvolgere
la città, vuole che gli addetti ai lavori e gli artisti si mescolino con il pubblico come è avvenuto nella grande
tradizione di questo festival.

La scelta di affidare l’immagine della quarantesima edizione a un artista di fama internazionale come Ugo
Nespolo va nella stessa direzione. Nespolo ha molto frequentato il cinema e, per creare l’immagine del 40
TFF, ha voluto rendere omaggio ai grandi miti dell’immaginario cinematografico per realizzare elementi
pop che vestiranno la città nei giorni del festival. E anche la scelta di inaugurare il festival stesso con un
gala al Teatro Regio nel quale Hollywood Party (la storica trasmissione di cinema di Rai Radio3) parlerà a
modo suo e con ospiti prestigiosi di un tema accattivante come il rapporto tra i Beatles, i Rolling Stones e
il cinema, è una scelta al tempo stesso originale e pop. Madrina del festival sarà Pilar Fogliati, brillante
talento dello spettacolo italiano tra piccolo e grande schermo che ha scelto il festival di Torino per la
sintonia con la sua attività di attrice e autrice.

Tanti saranno gli ospiti, molto diversi tra loro ma tutti accomunati da un filo rosso. Non verranno a Torino
per frequentare tappeti rossi, ma per parlare di cinema (del cinema che fanno o di quello che amano), e lo
faranno di fronte a un vasto pubblico di appassionati. Da Malcolm McDowell (che festeggerà a Torino i 50
anni di Arancia meccanica e riceverà dal Museo Nazionale del Cinema la Stella della Mole) a Paola
Cortellesi, da Toni Servillo a Mario Martone, da Stefano Bollani a Valentina Cenni, da Paolo Sorrentino a
Sergio Castellitto, da Michele Placido a Noemi, da Francesco De Gregori a Marco D’Amore, da Marina
Cicogna a Simona Ventura, da Vittorio Sgarbi a Morgan, da Gianluca Vialli a Roberto Mancini, da Louis
Mandoki a Lamberto Bava: storie e idee diverse, tutte accomunate da un incontro pubblico e da un grande
amore per la settima arte.
Poi ci sono i film. Tanti esordi e anteprime internazionali, molti titoli dei quali sentiremo parlare in futuro,
e anche qualche gradito ritorno, come quello di Antonio Rezza che propone un film straordinario tornando
nel festival che aveva vinto due volte negli anni Novanta. E poi ci sono le intersezioni, in particolare con la
Film Commission, il Torino Film Lab e con il Torino Film Industry che quest’anno vedrà il TFF impegnato in
prima persona.

Da sempre attento ai temi della sostenibilità ambientale il Torino Film Festival ribadisce la volontà ad
impegnarsi in tal senso facendo proprie le buone pratiche indicate nella Guida Festival Green realizzata
dall’AFIC (Associazione Festival Italiani Cinema) e relative a 10 aree tematiche di intervento – dalla mobilità
ai consumi energetici, passando per la sostenibilità alimentare e la produzione di un merchandising
ecologico e riciclabile – per rendere un evento cinematografico più ecologico.

Sono questi gli elementi che caratterizzano il Torino Film Festival numero 40, il cui programma ricco,
dettagliato e ambizioso potete leggere qui allegato. Un festival colto ma popolare, di ricerca ma divertente.
Un festival che vuole essere una festa.

40 Torino Film Festival 

NUMERI E OSPITI

I NUMERI | Sono 173 i film presentati al 40 Torino Film Festival – di cui 135 lungometraggi, 14
mediometraggi, 24 cortometraggi, 81 anteprime mondiali, 10 anteprime internazionali, 4 anteprime
europee e 56 anteprime italiane – selezionati su più di 4500 opere visionate.

GLI OSPITI | Stefano Accorsi, Giuseppe Marco Albano, Franco Angeli, Judith Auffray, Joseph Altamura, Carlo
Augusto Bachschmidt, Nadia Baldi, Francesco Ballo, Nella Banfi, Lamberto Bava, Francisco Belard, Chiara
Bellosi, Alessandro Belotti, Claudia Bertinat, Antonio Bido, Bruno Bigoni, Alvaro Bizzarri, Marco Bocci,
Simon Bogocević Narath, Stefano Bollani, Barbara Bouchet, Michelangelo Buffa, Antonio Buil, Tiziano
Butturini, Esmeralda Calabria, Gianni Ubaldo Canale, Francesco Cannavà, Ruggero Cappuccio, Bruno
Carboni, Federico Carra, Lorenzo Casali, Eduardo Casanova, Claudio Casazza, Stefania Casini, Sergio
Castellitto, Alain Cavalier, Maurizio Catania, Alessia Cecchet, Valentina Cenni, Clemente Ciarrocca, Marina
Cicogna, Stefan Constantinescu, Pappi Corsicato, Paola Cortellesi, Elena Cotta, Davide Crudetti, Mimmo
Cuticchio, Marco D’Amore, Massimo D’Anolfi, Tobia De Angelis, Tonino De Bernardi, Francesco De Gregori,
Marco Della Fonte, Daniele Di Biasio, Ilaria Di Carlo, Paola Di Mitri, Gianmarco Di Traglia, Divino Otelma,
Giulio Donato, David Easteal, Barbara Faonio, Deborah Farina, Erika Favaro, Ilaria Feole, Luca Ferri, Fabio
Ferzetti, Federica Foglia, Pilar Fogliati, Giancarlo Fontana, Alessandra Franchina, Gabriele Greco, Eugène
Green, Andrea Gropplero di Troppenburg, João Rui Guerra da Mata, Pedro Henrique, Won-Ki Hong, Viktor
Ivanov, Darik Janik, Andrea Jublin, Mike Kaplan, Karim Kassem, Angelica Kazankova, Cecile Khindria,
Hongsun Kim, Uljana Kim, Takeshi Kogahara, Riccardo Lanaia, Julie Ledru, Eugenio Lio, Fernando E. Juan
Lima, Marcello Lizzani, Luigi Lo Cascio, Mirko Locatelli, Andrea Magnani, Francis Magnenot, Leonardo
Malaguti, Roberto Mancini, Lorenzo Mandelli, Luis Mandoki, Peter Marcias, Massimo Martella, Maria
Martinelli, Francesco Ranieri Martinotti, Mario Martone, Alberto Mascia, Stella Mastrantonio, Flavia
Mastrella, Giulia Mazzone, Malcolm McDowell, Riccardo Milani, Viola Giulia Milocco, Vincenzo Mollica,
Morgan, Vittorio Moroni, Mikko Myllylahti, Filippo Nigro, Noemi, Claudia Pandolfi, Gianfranco Pannone,
Adriano Pantaleo, Martina Parenti, Edoardo Pasquini, Francesco Patierno, Lucio Pellegrini, Mariachiara
Pernisa, Silvia Pezzopane, Paolo Pierobon, Giovanni Piperno, Andrea Pittorino, Michele Placido, Marco
Poet, Marco Ponti, Luisa Porrino, Elisa Puleo Cuticchio, Eugenio Puppo, Federica Quaini, Isabella Ragonese,
Antonio Rezza, João Pedro Rodrigues, Fabrizio Rondolino, Alessandro Rossetto, Michele Sambin, Tony
Saccucci, Bruno Safadi, Stefania Saltarelli, Mauro Santini, Santabelva (collettivo), Miguel Ângelo Santarém,
Giancarlo Scarchilli, Emanuele Scaringi, Cyril Schäublin, Giuseppe Schillaci, Maria Schrader, Alessandro
Scippa, Luca Scivoletto, Albert Serra, Pietro Sermonti, Toni Servillo, Elisabetta Sgarbi, Vittorio Sgarbi, Kasja
Smutniak, Giancarlo Soldi, Luca Sorgato, Paolo Sorrentino, Nikola Spasic, Giuseppe Spina, Marius Gabriel
Stancu, Giuseppe Stasi, Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk, Emanuele Taglietti, Edouard Sulpice Cosimo Terlizzi,
Adelmo Togliani, Jonas Trukanas, Marco Turco, Alain Ughetto, Filippo Valsecchi, Miguel Valverde, Fabio
Vasco, Simona Ventura, Massimilano Verdesca, Carlos Vermut, Giovanni Veronesi, Gianluca Vialli , Daniele
Vicari, Ferdinando Vicentini Orgnani, John Vignola, Katia Viscogliosi, Dario Zonta, Lorenzo Zurzolo.

APERTURA 40 TORINO FILM FESTIVAL
Per la prima volta nella sua storia la serata inaugurale del Torino Film Festival, realizzata in collaborazione
con il Teatro Regio, sarà trasmessa in diretta su Rai Radio3, all’interno dello storico programma Hollywood
Party che da trent’anni racconta il cinema alla radio, e sarà poi disponibile su RayPlaySound.
L’idea è di raccontare per 70 minuti il rapporto tra i Beatles, i Rolling Stones e il cinema, con interviste e
con filmati rari o inediti che saranno visibili per il pubblico in sala e saranno in audio per i radioascoltatori.
I due gruppi più famosi del pop inglese hanno infatti un rapporto molto intenso con il cinema, che li ha visti
attori e produttori nonché ovviamente autori di colonne sonore.
Nella loro storia ci sono rapporti con Richard Lester, James Bond, Jean-Luc Godard, Mario Schifano, Jonas
Mekas, Wim Wenders, Martin Scorsese oltre naturalmente a molti altri film e titoli.
Un rapporto che sarà analizzato dai conduttori di Hollywood Party assieme a Malcolm McDowell, Noemi,
Vincenzo Mollica, John Vignola, Francesco De Gregori e altri ospiti che si aggiungeranno.

BEATLES E ROLLING STONES AL CINEMA
25 novembre 2022, ore 19
Torino, Teatro Regio e in diretta su Rai Radio 3 – Hollywood Party

“Non c’è due senza tre”: tante tipologie teatrali al Piccolo teatro comico

COMPAGNIA TEATRALE CAMPO TEATRO 

NOVEMBRE
VENERDì 11 – SABATO 12 ORE 21.00
VIA MOMBARCARO 99/B TORINO ZONA SANTA RITA

Il Piccolo Teatro Comico in collaborazione con AICS Torino, con il patrocinio di Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino, Città di Torino e come media partner Radio Contatto, presenta la stagione teatrale 2022/2023 il cui tema è
“Punti di vista, incontro ed integrazione”
Una stagione unica comprendente diverse forme teatrali: Il teatro comico
il teatro di prosa
il teatro di genere lgbtq+
il teatro di sperimentazione dal Mondo, teatro etnico
Il progetto nasce da un’esigenza del PTC nel rendere la cultura, una via pratica da percorrere, incrociando il cammino di uomini e donne con esperienze diverse, tutte preziose, che si arricchiscono incontrandosi, scontrandosi e permeandosi le une alle altre, tenendo conto delle basi culturali di integrazione e rispetto verso se stesso gli altri e la natura che lo circonda.
Gli spettacoli diversi nella forma, messi in un unico contenitore, danno spazio all’idea di Integrazione nei nostri diversi punti di vista.
Sesto appuntamento della stagione è quello con la Compagnia Teatrale Campo Teatro in Non C’è Due Senza Tre
“Non c’è 2 senza 3”
Un malizioso e divertente ritratto della famiglia moderna, politicamente scorretta e proprio per questo comica. Un nuovo modello di grande attualità in questo periodo.
Senza pregiudizi e con leggerezza si racconterà di due donne che vogliono avere un figlio, e che per riuscirci hanno bisogno di un uomo. Un triangolo di intrighi, passioni e ricatti che vede tre protagonisti, ognuno con un carattere più difficile dell’altro.
Tutto inizia quando Riccardo, uno spiantato assicuratore, decide di accettare l’invito a cena a casa della sua ex fidanzata Ester. Purtroppo, quello che per lui doveva essere un appassionante ritorno di fiamma verrà immancabilmente compromesso da una notizia scioccante: Ester si è scoperta omosessuale e ora divide l’appartamento con la sua nuova compagna, Ramona.
Ma non finisce qui: le due vogliono avere un figlio ed Ester pensa che, malgrado tutto, Riccardo sia comunque il miglior padre sulla piazza! In ballo ci sono anche ventimila euro che per uno indebitato fino al collo sono pur sempre una boccata d’ossigeno.
Una commedia divertentissima dal primo all’ultimo minuto con l’immancabile finale a sorpresa.

Tra il Dire e il Faber Il concerto inedito de Le Storie Sbagliate

Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 9 novembre, ore 21.30

Fabrizio de Andrè Official Tribute Band

 

 

Le Storie Sbagliate tornano in Osteria Rabezzana, mercoledì 9 novembre, con un concerto inedito in occasione della presentazione dell’album “Tra il Dire e il Faber”: un lavoro che ha portato alla produzione di un vinile con le canzoni più classiche di Fabrizio De Andrè reinterpretate dalla band, e di un cofanetto che comprende un cd con arrangiamenti inediti o ispirati alla PFM e un dvd con interviste, video e contenuti extra.

Il concerto è un vero e proprio viaggio tra le canzoni dell’album “Tra il Dire e il Faber” guidato dalla voce di Mario Brusa – attore e doppiatore torinese che ha collaborato con Le Storie Sbagliate per la realizzazione dell’album – per presentare le canzoni del grande cantautore genovese da una nuova prospettiva, percorrendo tutti i temi fondamentali della sua poesia con musica, parole e immagini.

Ora di inizio concerto: 21,30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it

 

Donny Hathaway pioniere della musica “soul”

MUIC TALES, LA RUBRICA MUSICALE

Sento voci, vedo persone

Sento voci di molte persone

Sento voci, vedo persone

Sento voci di molte persone

Dire che tutto è tutto”

Considerato dalla rivista Rolling Stones uno dei pionieri della musica “soul”, inserito nella lista della medesima rivista alla posizione 49 tra i 100 cantanti più grandi di sempre, con il tempo non ha mai smesso di influenzare artisti provenienti dalla realtà afroamericana anche contemporanea e non solo, i quali lo hanno citato tra le loro fonti d’ispirazione; tra questi troviamo: Stevie Wonder, Alicia Keys, Beyoncé, R. Kelly, Chris Brown, John Legend, Amy Winehouse, George Benson, Justin Timberlake, Christina Aguilera, Anthony Hamilton e tanti altri.

Sto parlando di Donny Hathaway, Nato a Chicago, figlio di Drusella Huntley e nipote di Martha Pitts, cantante di gospel, Hathaway comincia a cantare nel coro gospel della chiesa con la nonna fin dall’età di tre anni. Si è diplomato alla Vashon High School nel 1963. Ha avuto la possibilità di studiare musica grazie ad una borsa di studio presso la Howard University di Washington, dove conosce Roberta Flack, con la quale instaura un forte sodalizio umano ed artistico durato fino alla sua morte. Abbandona la Howard University nel 1967, subito dopo aver ricevuto offerte di lavoro nel mondo della musica.

Lavora a Chicago, inizialmente come produttore ed autore presso la Twinight Records, dove ha la possibilità di collaborare con artisti come Aretha Franklin, Jerry Butler, Curtis Mayfield, The Staples Singers, Carla Thomas, ma il suo debutto discografico avviene nel 1969, anno in cui firma un contratto con la Atco Records, della quale esponente di spicco e produttore è King Curtis, e pubblica il suo primo singolo The Ghetto, Pt. 1 contenuto nel LP Everything Is Everything, acclamato dalla critica.

Ma voglio raccontarvi una cosa. L’indirizzo è prestigioso: 160 Central Park South, Manhattan.

L’edificio è bellissimo – 44 piani e ben 509 camere in stile Art Dèco. E’ li dal 1931 con un’insegna rossa alta sei piani sul tetto, visibile in tutta la città.

Il presentatore del Saturday Night Live ne parlava spesso: ”le nostre star dormono tutte li, alla Essex House” diceva.

Un’icona di New York dunque. Ma anche un edificio maledetto. Nasconde molti misteri e conta molte morti. La prima è Sarah Berlinger, madre della più grande star degli anni quaranta e cinquanta milton Berle, l’uomo che per l’America è Mr Television.

La donna abitava in un appartamento della Essex House e venne ritrovata morta all’età di 77 anni una mattina del 1954.

Anche la star del cinema muto Mary Boland è morta in una camera della Essex House nel 1965 come il grande compositore Igor Stravinskij che ha vissuto qui dal 1969 al 1971, anno della sua morte.

Ma questi non sono misteri ma quello di Donny si.

Il 13 gennaio 1979, New York si sveglia con questa notizia:”il corpo senza vita del cantante Donny Hathaway nato 33 anni fa è stato ritrovato dal portiere dell’Essex House, sul marciapiede di fronte all’hotel. Un volo di quindici piani.

Le indagini della polizia svelano una verità terribile: la porta della stanza è chiusa dall’interno e non ci sono segni di scaso. Il vetro della finestra è stato rimosso ed appoggiato sul letto. Donny si è suicidato. La prima a non crederci è la sua migliore amica Roberta Flake (killing me softly) che però ammette di averlo visto, negli ultimi tempi, come alienato, depresso…come se la sua anima si stesse spezzando.

Da alcuni anni gli è stata diagnosticata una schizofrenia paranoide per la quale prende molti farmaci.

Ricorda che qualche settimana prima, durante la registrazione dell’ultimo album, fermò tutti e disse che degli uomini bianchi stavano entrando nella sua testa per rubare la sua musica.

La Essex continua ad essere un luogo misterioso, il 19 settembre 2009 una donna d’affari di Dubai, Andree Bejani, viene ritrovata nella sua camera con la gola tagliata.

La polizia arresta il manager dEll’hotel, Derrick Praileu.

La morte è un mantello calato all’improvviso, capace di convertire in buio la delicata docilità della luce sopra le cose; Quando un uomo muore, un capitolo non viene strappato dal libro, ma viene tradotto in una lingua migliore.”

Aspetto di sapere come è stato questo ascolto!

Chiara De Carlo

 

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

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