SPETTACOLI- Pagina 114

Ramy. The voice of Revolution. A Racconigi

La “voce della rivoluzione egiziana” in scena sul palco della “Soms”

Domenica 19 febbraio, ore 17

Racconigi (Cuneo)

Partire dalla drammatica, intollerabile vicenda di Giulio Regeni (il giovane ricercatore friulano, 28 anni, scomparso al Cairo il 25 gennaio del 2016 e ritrovato cadavere per strada, torturato e massacrato, nove giorni più tardi, senza ancor oggi, dopo vari depistaggi e l’assenza di collaborazione dell’Egitto, aver fatto piena luce sulla reale “verità”) per riflettere su cosa significhino, ovunque nel mondo, parole come “Stato”, “Giustizia” e “Legalità”. Parte di qui l’idea dello spettacolo “Ramy. The voice of Revolution” di Valeria Raimondi e Enrico Castellani (“Babilonia Teatri” – Produzione “Teatro Metastasio” di Prato), inserito nella rassegna teatrale “Raccordi” di “Progetto Cantoregi” e “Piemonte dal Vivo” programmato per domenica 19 febbraio (ore 17) sul palco della “Soms” (ex Società Operaia di Mutuo Soccorso) in via Costa 23 a Racconigi (Cuneo). In scena, accanto alla Raimondi, a Castellani, ad Amani Sadat e a Luca Scotton, ci sarà anche Ramy Essam, conosciuto oggi in Egitto come la “ voce della rivoluzione egiziana”, fra i dimostranti in piazza Tahrir il 25 gennaio 2011 (allo scoppio della rivoluzione, che, nel giro di pochi giorni portò alla destituzione di Moubarak), dal 2014 in esilio e su cui pende un mandato di cattura per terrorismo da parte dell’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi.  Nel mandato di cattura non si fa alcun riferimento alla sua arte e ai contenuti delle sue canzoni (Ramy è uno dei pochi cantanti in Medio Oriente a cantare hard rock), ma è palese che il regime egiziano non gradisce in nessun modo la richiesta di libertà e giustizia per il suo popolo che lui canta senza sosta e che l’accusa di terrorismo è del tutto infondata. Le canzoni di Ramy, in Egitto e non solo, le conoscono tutti, i suoi video arrivano ad avere milioni di visualizzazioni, ma lui, per la sua gente, non può cantare. Neanche una nota. Una parola. La sua bocca deve restare chiusa. Può entrare in contatto con chi lo segue solo attraverso uno schermo. “Ramy – sottolineano gli organizzatori dello spettacolo – ha aperto i nostri occhi e ci pone domande che chiedono risposte. Domande che da soli non avevamo le parole per formulare, ma che oggi, lavorando sul palco fianco a fianco con Ramy diventano profondamente concrete, profondamente umane, profondamente politiche, profondamente autentiche”. “Con questo spettacolo – continuano – vogliamo dare voce a queste domande. Cosa significa Stato. Cosa significa giustizia. Cosa significa potere. Cosa significa polizia. Cosa significa processo. Cosa significa legalità. Cosa significa carcere. Cosa significa tortura. Cosa significa opinione pubblica. Cosa significano giornalismo e libertà d’informazione. Ramy lo canterà e lo griderà con la grazia, la poesia, la rabbia e la nostalgia di chi paga tutti i giorni un prezzo altissimo, l’esilio, per le proprie scelte. Vogliamo interrogarci sulla nostra debolezza. Sulla debolezza di uno Stato che non sa dare delle risposte trasparenti. Vogliamo raccontare come il nostro essere cittadini liberi in uno Stato libero incontri e si scontri con delle dinamiche da vittima e carnefice. Con delle dinamiche che ledono, offendono e giocano con la dignità delle persone. Crediamo che questo non sia mai ammissibile e che valga sempre la pena di ribadirlo con forza e determinazione. Per non smettere di essere cittadini liberi in uno stato libero”. Ramy, che oggi vive in Svezia e in Finlandia, nell’inverno scorso ha dedicato proprio a Giulio Regeni lo spettacolo “Giulio meets Ramy/Ramy meets Giulio”, andato in scena a Prato.

Per info e prenotazione: tel. 349/2459042 o info@progettocantoregi.it o www.progettocantoregi.it

g. m.

Nelle foto: Ramy Essam (Ph. Eleonora Cavallo)

Doppio debutto con l’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino per Petr Popelka e Marie Ange Nguci

Giovedì 16 febbraio all’Auditorium Rai di Torino, con replica venerdì 17 febbraioanche in live streaming su Rai Cultura.it e in diretta su Radio 3.

Popelka, direttore principale della prestigiosa NDR Elbphilarmonie Orkester ad Amburgo è regolarmente invitato a lavorare con le più importanti orchestre europee. Attivo come compositore, vanta un passato da contrabbassista all’interno della storica formazione della Sachsishe Staatskapelle di Dresda.

In apertura di serata, Popelka proporrà “Three questions with twoanswers di Luigi Dallapiccola, scritta tra il 1962 e il 1963, anni nei quali il compositore italiano si stava avvicinando all’avanguardia artistica europea. Musicista italiano, Luigi Dallapiccola mise in rilievo l’importanza per la sua formazione dell’ambiente istriano, inquieto punto d’incontro di tre diverse culture. Il periodo di confino trascorso a Graz, dal marzo 1917 al 1918, segnò profondamente la sua adolescenza, sia nella formazione del carattere sia nelle esperienze musicali. All’OpernHouse di Graz, ebbe la possibilità di ascoltare quasi tutte le opere di Wagner, il Fidelio di Beethoven, il Don Giovanni di Mozart, Opere di Verdi, tra cui l’Otello e Un ballo in maschera e composizioni sinfonico corali come il Messia di Haendel, la Creazione di Haydn, la IX Sinfonia di Beethoven e lo Schicksalsied di Brahms. Dopo il rientro a Pisino, Dallapiccola riprese gli studi liceali e continuò quello della musica a Trieste, con Alice Andrich Florio per il pianoforte e Antonio Illersberg per l’armonia, che gli fece conoscere la tradizione polifonica italiana del ‘500 –‘600 sia esperienze musicali contemporanee, tra cui opere di Ravel e Schoenberg. Significativo fu il suo soggiorno a Firenze, dove studiò pianoforte con Ernesto Consolo, diplomandosi il 10 novembre 1924, e la composizione con Roberto Casiraghi, Corrado Barbieri e Vito Frazzi, conseguendo il diploma nel 1931.

Nel 1930 fu significativo un viaggio a Berlino e Vienna, al seguito della danzatrice americana La Meri, che costituì per Dallapiccola un’esperienza particolarmente significativa perché gli permise di assistere alle rappresentazioni di Salomè e Elektra di Strauss e all’esecuzione della Prima Sinfonia di Mahler. Il decennio ’30 – ’40 fu per il Dallapiccola un periodo di intensa attività basata sull’approfondimento della musica dodecafonica, e la partecipazione alle più importanti manifestazioni musicali di quegli anni.

Per il suo debutto con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Nguci, balzata all’attenzione del pubblico nel 2018 con il cd “En miroir” propone il Concerto n. 24 in do minore per pianoforte e orchestra k 491 di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguito per la prima volta il 3 aprile del 1786. Il Concerto per pianoforte e orchestra N.24 in do minore k 491 rappresenta una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile. Nonostante l’uso del modo minore sia nel k 466 che nel k 491, la timbrica delle due composizioni risulta assai diversa per l’uso di due clarinetti nell’organico orchestrale, e per l’assenza, nel finale, di una risoluzione luminosa, come avviene nel k 466, che rappresenta una coda da dramma giocoso. L’orchestra risulta la più ampia che Mozart abbia mai impiegato in un concerto, con impiego di un flauto, due oboi, due clarinetti, due fagotti, oltre che due corni, due trombe e timpani. La tavolozza orchestrale è usata al massimo dal compositore nel movimento lento, e nel finale, nel quale, al posto del classico rondò, è utilizzata la forma del tema con variazioni. Il concerto termina in modo assolutamente coerente in un clima drammatico e con un cambio di tempo.

Il concerto si chiude con “Also sprach Zarathustra” opera 30 di Richard Strauss, che si apre con una delle più sfolgoranti apparizioni del sole mai descritte in musica. Stanley Kubrick l’ha utilizzata fin dai primi fotogrammi del suo “2001 Odissea nello spazio”.

Il brano fu eseguito per la prima volta nel 1896 a Francoforte, e è ispirato all’omonimo poema filosofico di Nietzsche. Questa composizione del poema sinfonico assorbì Richard Strauss per un periodo di sette mesi, tra il febbraio e l’agosto del 1896, quando l’autore diresse la prima esecuzione il 27 novembre dello stesso anno a Francoforte, con la Museum Stadtlisches Orkester. A quell’epoca, all’età di 32 anni, Strauss era all’apice del suo successo, era un personaggio di punta della vita musicale tedesca, non solo per la sua brillante attività di direttore d’orchestra, ma anche per la sua immagine di compositore d’avanguardia. Si confermava erede della corrente neotedesca di Wagner e Liszt, quella corrente che insisteva sulla necessità di donare alle composizioni musicali un contenuto programmatico, letterario o narrativo, capace di integrare e chiarire il contenuto musicale esposto da una orchestra di grandi dimensioni. Risale all’epoca tra il 1886 e 1898 il lungo ciclo di poemi sinfonici, che costituisce un monumento di un credo musicale annunciato.

Also Sprach Zarathustra” rappresenta la terz’ultima delle prime otto composizioni, a metà strada dell’intero percorso. Fu giudicata in termini controversi dai commentatori, e punto d’arrivo di una fase “ascendente” della produzione sinfonica di Strauss. Per alcuni fu considerata la prima manifestazione di una fase discendente, in cui alla dilatazione delle partiture corrispondeva una dispersione del materiale musicale e una involuzione ideologica delle tematiche trattate. E’ il primo dei poemi sinfonici di Strauss a estendersi per una lunga durata e a comportare forti connotazioni ideologiche, apparendo una delle più importanti partiture dell’intero ciclo. L’omonima opera letteraria di Nietzsche risale agli anni tra il 1883 e il 1885, con sottotitolo “Un libro per tutti e per nessuno”, espressione con la quale egli intendeva riferirsi alla scelta di creare uno scritto filosofico capace di operare una riforma chiarificatrice nell’esposizione, sottraendo il contenuto filosofico a un linguaggio tecnicistico. Si tratta dell’opera di Nietzsche che tratta la morte di Dio, concetto ripreso dalla “Gaia Scienza”, ovvero il progressivo distacco dell’Occidente da Dio, che equivale alla sua uccisione, e che comporta il crollo dell’impalcatura di certezze e credenze che hanno accompagnato l’umanità per duemila anni. Viene espressa l’idea dell’ “Oltreuomo”(Ubermensch), l’uomo nuovo che supera il vuoto di valori perché ha reciso il legame col trascendente, scoprendo il valore della propria natura corporea e terrena, grazie alla forza creatrice che gli permette di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà.

MARA MARTELLOTTA

 

Biglietti: da 9 a 30 Euro, in vendita online sul sito dell’OSN Rai e presso la biglietteria dell’Auditorium Rai di Torino. Informazioni 0118104653.

Biglietteria.osn@rai.it

www.osn.rai.it

I miei 20 anni + 2. Simona Atzori, la ballerina e pittrice nata senza braccia, si racconta sul palco

Sei attrici sul palco per “Fuga da Sarajevo”

Collettivamente, firmano anche la regia
Cinque realtà torinesi alla coproduzione. Due date allo Spazio Kairos

«FUGA DA SARAJEVO». A TRENT’ANNI DALL’ASSEDIO, IL RACCONTO IN TEATRO

Trent’anni fa, l’Europa e il mondo hanno assistito all’implosione di un territorio, la Jugoslavia, devastato da barbarie e distruzione sanguinaria, archiviata spesso come una serie di conflitti secessionisti di matrice etnico-religiosa. Dentro quei conflitti è stata condotta una massiva operazione di “pulizia etnica” che ha prodotto massacri, genocidi e la fuga dalle città assediate.

L’assedio di Sarajevo, aprile 1992-febbraio 1996, è stato il più lungo nella storia bellica del Ventesimo secolo. Il più lungo e doloroso: rivive in “Fuga da Sarajevo” della drammaturga Monica Luccisano, che prevede due date su Torino, allo Spazio Kairos di via Mottalciata 7: venerdì  17 febbraio alle 21 e domenica 19 febbraio alle 18,30.

Sul palco ci sono sei attrici – Camilla Bassetti, Serena Bavo, Chiara Bosco, Luana Doni, Silvia Mercuriati, Stefania Rosso e Lia Tomatis – che firmano anche, collettivamente, la regia, coordinate da Monica Luccisano.

Lo spettacolo fa parte della rassegna organizzata da Onda Larsen ed è inserito all’interno del progetto “Barriera corallina”, vincitore del bando REACT della città di Torino: i biglietti (intero 13 euro, ridotto 10) sono in vendita su www.ticket.it. Nasce con il sostegno del Consiglio Regionale Piemonte – Comitato Resistenza e Costituzione, il contributo della Città di Torino TAP Torino Arti Performative, e il sostegno dei fondi 8×1000 della Chiesa Valdese.

Domenica 19 è anche previsto un momento di confronto e scambio con il cast e il pubblico, moderato dall’associazione Co.mu.net – Officine Corsare, nell’ambito del progetto “Barriera Corallina“.

Lo spettacolo

“Fuga da Sarajevo”, opera di Monica Luccisano, trae libera ispirazione dai racconti di Irina Dobnik all’autrice, dalle vicende del Kamerni Teatar ’55 e da altri fatti accaduti al tempo dell’assedio di Sarajevo. Lo spettacolo vede la collaborazione in coproduzione di cinque realtà culturali di Torino: Doppeltraum Teatro, Liberipensatori Paul Valéry, Onda Larsen, Progetto Zoran, Tékhné. Con in scena sette attrici, che ne hanno anche condiviso la regia, si presenta anche come una riflessione con una specifica prospettiva femminile sulla guerra.

Si torna all’assedio di Sarajevo, aprile 1992-febbraio 1996. Una città ridotta alla fame e al freddo, privata dei beni essenziali, con i suoi abitanti bersagli liberi in preda alle granate e al tiro dei cecchini.

Irina Dobnik era una giovane attrice, poco più che ventenne, del Kamerni Teatar ‘55. Quella esplosione di violenza entrava a gamba tesa nella sua vita. E in quell’angoscia crescente, il suo teatro intraprendeva una straordinaria “resistenza culturale”: spettacoli, concerti, prove aperte, oltre mille performance hanno continuato ad animare il Kamerni durante l’assedio, e non era solo per l’ostinata voglia di vita dei suoi attori e attrici, ma anche di quei cittadini che continuavano a frequentare quel luogo trovandovi un rifugio per corpo e mente, quando a Sarajevo dilagava l’inferno.

La compagnia di Irina stava allestendo “Aspettando Godot”. In una sorta di osmosi tra vita e teatro, il lavoro su quel testo andava intrecciando l’angoscia di quei giorni. La lavorazione dello spettacolo diventava sempre più intensa. E via via “Godot” diventava uno specchio in cui si andava a riflettere l’attesa infinita di una tregua, e di qualcuno che mettesse fine all’inferno.  Come moltissimi altri, Irina sarà costretta alla fuga.

FUGA DA SARAJEVO

di

Monica Luccisano

con

Camilla Bassetti, Serena Bavo, Chiara Bosco, Luana Doni, Silvia Mercuriati, Stefania Rosso, Lia Tomatis

regia

collettivo registico a cura di Camilla Bassetti, Serena Bavo, Chiara Bosco, Luana Doni, Silvia Mercuriati, Stefania Rosso, Lia Tomatis coordinate da Monica Luccisano

disegno luci

Cristiano Falcomer

editing sonoro

Matteo Castellan

artigiano di scena

Fabio Palazzolo

coproduzione

Doppeltraum Teatro, Liberipensatori Paul Valéry, Onda Larsen, Progetto Zoran, Tékhné

Consulenza storica di Diego Acampora – TOjeTO

con il sostegno del Consiglio Regionale Piemonte – Comitato Resistenza e Costituzione, il contributo della Città di Torino TAP Torino Arti Performative, e il sostegno dei fondi 8×1000 della Chiesa Valdese

per STAGIONE “APPRODI” di SPAZIO KAIRÒS

all’interno del progetto “Barriera corallina”, vincitore del bando REACT della Città di Torino

Info: biglietteria@ondalarsen.org

Biglietti online su: www.ticket.it/festival/approdi.aspx

“Ciao Darwin” cerca concorrenti

Lo show televisivo condotto da

Paolo Bonolis e Luca Laurenti

CASTING CONCORRENTI

TORINO

22 e 23 FEBBRAIO 2023

Volete partecipare alla nuova edizione di “Ciao Darwin”?

La redazione di “Ciao Darwin” cerca persone che abbiano almeno una di queste caratteristiche:

  • Altruisti (volontariato e non profit)
  • Spirituali
  • Oziosi
  • Cantanti e musicisti melodici in lingua italiana
  • Appassionati dell’occulto, del paranormale e dell’esoterismo
  • Donne over 40
  • Modelle e Modelli
  • Lavoratori del primo e secondo settore
  • Appartenenti al mondo della ristorazione tradizionale e popolare
  • Traditi in amore
  • Taglie forti uomo e donna
  • Anticonformisti

Per partecipare al casting (solo maggiorenni) potete inviare una email a d.bonolis@sdl2005.it con i vostri dati anagrafici, il vostro recapito telefonico ed una fotografia (inclusa la seguente dichiarazione liberatoria: “Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi dell’art. 13 del Regolamento Europeo 679/2016, così come da informativa Privacy presente sul sito www.sdl.tv).

 

Arte a 33 Giri all’ombra della Mole

 

Puntata n° 9
Giovedì 23 febbraio 2023 ore 18:30
Da Punk a Kottolengo. Futurismi, vini e vinili

Infanzia in “Barriera di Milano”, adolescenza punk e avant-gardiste sino al successo popolare che lo travolge durante il servizio militare nei primi anni ’80. Per anni artista cosmopolita a spasso per tutta Europa, la vita gli propone il ritorno nel suo Piemonte per produrre musica e vino. Due cardini: umiltà ed autoironia. Stefano Righi aka Johnson Righeira, a 60 anni una vita che merita d’essere raccontata.

Conduce l’incontro Daniele Lucca (operatore culturale e conduttore radiofonico)
In conversazione con Johnson Righeira (cantante, produttore di vino)

Vanchiglia 3 Spazi di Connessioni Creative
Via Vanchiglia 3 (II piano) a Torino. Ingresso libero.

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Arte a 33 Giri all’ombra della Mole.

Ciclo di incontri legati al mondo della musica e al suo intreccio multidisciplinare.
Appuntamenti in presenza a ingresso libero, anche in diretta su Radio Contatto e con riprese video di AICS Web TV, organizzazione a cura di Roberto Tos. Realizzato nell’ambito del progetto Vanchiglia 3 Spazi di Connessioni Creative grazie al sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo.
Puntate precedenti:
– articoli: https://www.aicstorino.it/category/arte-a-33-giri/
– podcast: https://open.spotify.com/show/3CVGUIRdVNCJcoYYLvUtWI?si=30252c5f616b4a7a
– video: https://www.youtube.com/@aicstorino5104/videos

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Vanchiglia 3 Spazi di Connessioni Creative
Via Vanchiglia 3, II piano, 10124, Torino
Un presidio culturale di prossimità nel quartiere Centro della Circoscrizione 1, centro per l’associazionismo e spazio per la cittadinanza pensato per promuovere connessioni e relazioni.
E’ anche sede del Comitato provinciale AICS Torino APS. Uno spazio di socializzazione per confrontarsi e immaginare insieme proposte di produzione culturale, di progettazione partecipata, di realizzazione di attività e eventi sportivi, di condivisione di saperi in un’ottica di inclusione sociale mettendo in comune la creatività collettiva.
https://www.aicstorino.it/sociale/vanchiglia3-spazi-connessione-creative/


Vanchiglia 3 Spazi di Connessioni Creative
Via Vanchiglia 3, II piano, 10124, Torino
email: vanchiglia3@aicstorino.it
sito web: www.aicstorino.it/vanchiglia3
tel: 011 238 6372
Indicazioni stradali: https://goo.gl/maps/ywRjdKn19DkmM4s68

La legge di Lidia Poët, la serie Netflix in 6 episodi girata a Torino

La legge di Lidia Poët, la serie in 6 episodi, prodotta da Matteo Rovere, una produzione Groenlandia, e creata da Guido Iuculano e Davide Orsini, debutterà il 15 febbraio 2023 su Netflix in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo. Matilda De Angelis è Lidia Poët, la prima donna in Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati.

 

Nel cast, Matilda De Angelis nel ruolo della protagonista, ed Eduardo Scarpetta in quello del giornalista Jacopo Barberis. Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, fratello di Lidia, mentre Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia. Dario Aita è Andrea Caracciolo.

La serie è diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire e scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo.

 

LIDIA

Torino, fine 1800. Una sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione solo perché donna. Senza un quattrino ma piena di orgoglio, Lidia trova un lavoro presso lo studio legale del fratello Enrico, mentre prepara il ricorso per ribaltare le conclusioni della Corte.

Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Jacopo, un misterioso giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti di una Torino magniloquente. La serie rilegge in chiave light procedural la storia vera di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia.

 

AMBIENTAZIONE: LA TORINO DI FINE OTTOCENTO

 

Torino alla fine dell’Ottocento conta duecentomila abitanti, e tra questi c’è un imprenditore che sta per fondare la FIAT, la più importante azienda automobilistica del Paese, nonché il più grande gruppo finanziario e industriale privato italiano del XX secolo. A Torino c’è la più libera comunità ebraica d’Italia, ci sono i circoli anarchici, c’è la camorra napoletana, ci sono i socialisti e c’è Anna Kuliscioff. Poi ci sono i primi ospedali psichiatrici, i fanatici dello spiritismo, Cesare Lombroso con i suoi allievi, buona parte della famiglia reale, le prime tangenti, le prostitute più raffinate d’Italia, i teatri aperti a ogni ora, i concorsi di bellezza e i funerali dei nobili. Insomma, Torino alla fine dell’Ottocento è un posto strano dove abitano persone strane. Un teatro del mondo, sintesi dei tempi che stanno per venire. Una città pirotecnica, eccessiva, contraddittoria, magniloquente, autodistruttiva. Come c’è da aspettarsi, è anche una città dove si uccide e si finisce in prigione. Una città dove gli avvocati fanno affari d’oro.

 

PERSONAGGI

 

LIDIA POËT (Matilda De Angelis)

È stata la prima donna d’Italia ad iscriversi all’Ordine degli Avvocati, ma una sentenza della Corte d’Appello di Torino del 1883 le proibisce di esercitare la professione perché donna. Oltraggiata e offesa dalla sentenza, Lidia non si perde d’animo e convince suo fratello Enrico a lavorare come assistente legale, cercando la verità sull’innocenza dei loro clienti anche fuori da un’aula di tribunale. Lidia è un’incompresa – lo è sempre stata, specie da suo padre, sin dai tempi dell’infanzia – che non riesce a piangersi addosso ma che si rimbocca le maniche giorno dopo giorno per ottenere quello che merita. La sua stella polare sono l’indipendenza e l’emancipazione, per cui lotterà tutta la vita e che la portano a diffidare totalmente dell’amore e del matrimonio. Almeno finché non conosce l’affascinante Jacopo Barberis…

JACOPO BARBERIS (Eduardo Scarpetta)

Giornalista della Gazzetta Piemontese, è un trentacinquenne solitario, affascinante, ironico, con vedute politiche molto distanti da quelle conservatrici tipiche della sua famiglia. La sua modernità lo rende immediatamente empatico agli occhi di Lidia, ma l’anticonformismo con cui vive alla giornata è solo una corazza per nascondere i cocci di una storia d’amore vissuta a Parigi che lo ha lasciato a pezzi. È la spalla ideale di Lidia, entusiasta di accompagnarla nei vicoli più bui di Torino a caccia di assassini, così come di passare ore con lei davanti a un bicchiere di cognac.

ENRICO POËT (Pier Luigi Pasino)

Fratello maggiore di Lidia, Enrico è un uomo perfettamente integrato nel suo tempo. Ha quarant’anni, una moglie più ricca e nobile di lui, una bella villa – sempre della moglie – e uno studio legale avviato che si occupa più che altro di cause semplici e che lo lasciano dormire di notte. Ad un certo punto, però, il ciclone Lidia si abbatte su di lui e tutto cambia: casi di omicidi, strangolamenti, avvelenamenti, morti ammazzati, clienti poveri in canna… tutto concorre a distruggere la sua quiete e le sue certezze. Ma non tutti i cicloni lasciano solo macerie: grazie a Lidia Enrico infatti è destinato a dare una scossa alla sua vita, riscoprendo cose che dava per scontate ed entrando anche lui nella prospettiva che i tempi stanno cambiando.

TERESA BARBERIS POËT (Sara Lazzaro)

Moglie di Enrico e sorella di Jacopo, Teresa Barberis è una donna nobile dell’Ottocento, fieramente un passo dietro a suo marito e dedita alla cura della casa e della famiglia. Dotata di grande arguzia e savoir-faire ma con un carattere diametralmente opposto a quello di Lidia, Teresa è quella che soffre di più l’irruzione nella sua vita della protagonista, incapace di stare al suo posto e di censurare quello che pensa.

MARIANNA POËT (Sinéad Thornhill)

Ha quindici anni, è la figlia di Enrico e Teresa, una ragazzina di buona famiglia cresciuta secondo i valori familiari. All’apparenza docile ed educata, sotto sotto è una giovane ribelle che sente più affinità con sua zia Lidia che con sua madre. Ma a differenza di Lidia possiede un animo romantico, il suo obiettivo di vita non è certo quello di fare l’avvocato o lavorare ma di trovare il principe azzurro e sposarsi. Peccato che si sia infatuata perdutamente (e segretamente) del giardiniere di famiglia, che non può certo offrirle il matrimonio migliore per una ragazza della sua classe sociale…

ANDREA CARACCIOLO (Dario Aita)

Commerciante trentacinquenne che fa la spola tra Italia, Stati Uniti e Medio Oriente, Andrea è il miglior amico di Lidia e il suo amante occasionale. Una relazione all’avanguardia per quei tempi, possibile solo grazie all’affinità elettiva tra i loro caratteri: come Lidia, Andrea è innamorato della libertà e non vuole legami che possano costringerlo a mettere radici. Peccato che i sentimenti per Lidia siano più confusi di quanto voglia far credere…

 

***

 

NOTE DI REGIA

A cura di Matteo Rovere, regista della serie

 

Per realizzare La Legge di Lidia Poët sono partito dalla pagina scritta cercando di concentrarmi a livello registro sui personaggi ma anche su un’estetica viva, ricca, con una stratificazione complessa e una cura dei dettagli che raccontasse la vita di quel periodo storico in maniera precisa, ma anche con la libertà che permetta alle spettatrici e agli spettatori di vedere qualcosa di più profondo, che va oltre il primo livello, la prima immagine percepita.

Il racconto di una donna che impiega trentasette anni di battaglie per ottenere quello che è giusto ha dell’incredibile e ha ovviamente un forte portato epico. Per riportare sullo schermo questo carattere abbastanza unico, ho adottato ottiche larghe e ho lavorato con la camera bassa per enfatizzare il rapporto tra il suo volto e il suo tempo. Con shot ampi si ottiene un racconto molto cinematografico, ma che al tempo stesso ci permette di vedere la nostra protagonista in relazione al contesto nel quale vive. Lidia è un personaggio rivoluzionario, ma allo stesso tempo è stata espressione di quegli anni, e registicamente ho provato a far sentire questa sensazione.

Avvicinare emotivamente questi personaggi così forti e caratterizzati sia tra di loro, sia con chi guarda, è stato un altro obiettivo che ho cercato di percorrere anche attraverso movimenti diversi, legati all’emotività della specifica sequenza. Camera a mano, steady a volte molto complessa o integrata con i dolly, technocrane che potessero entrare letteralmente nelle scene non solo action dando ritmo, senza però perdere mai il cuore e il fuoco sui nostri protagonisti.

Fondamentale il lavoro fatto sul casting insieme a Sara Casani – attori e attrici scelti nel tentativo di avvicinare il racconto, le pagine della sceneggiatura, a una verità, a un realismo, a una verosimiglianza che secondo me erano determinanti in termini emotivi e di grammatica visiva.

Il nostro racconto è quello di un passato che parla profondamente anche del contemporaneo e in questo senso ho lavorato con l’utilizzo di cromatismi che fossero affascinanti ma che vedessero sempre al centro una naturalità degli incarnati. Esseri umani veri che si muovono in contesti esteticamente molto curati e pieni di dettagli, per far fare a chi ci guarda un viaggio vero in quel periodo storico.

Un grande contributo lo hanno dato sia la scenografia che l’arredo, i costumi, il trucco, i capelli e le parrucche, che dovevano restituire verità ma anche creare qualcosa di riconoscibile, un’ambientazione fine secolo, diurna e notturna, vicina ai grandi salotti della nobiltà ma anche segreta, legata inoltre alla stratificazione sociale tipica dei gialli, per fare in modo che in questi sei episodi la nostra protagonista vivesse  avventure che erano e che sono indagini, ma anche che possano risuonare tematicamente su di lei, sul suo carattere, che viene esso stesso “indagato”, scandagliato, sia dalla scrittura che dalla regia, per restituire a chi guarda un personaggio complesso, empatico, non superficiale, che lavori e giochi anche su fragilità e debolezze.

Il gruppo di lavoro ha fatto tantissimo, a partire dalla co-regista Letizia Lamartire, i direttori della fotografia, gli scenografi, il suono, la post. Tutto finalizzato a costruire un registro fortemente riconoscibile, un immaginario realistico ma insieme lontano, avventuroso, dove speriamo possiate felicemente perdervi.

 

A cura di Letizia Lamartire, regista della serie

 

La storia di Lidia Poët mi ha subito affascinata e coinvolta emotivamente, perché racchiude in sé le lotte generazionali di donne che per secoli hanno combattuto, anche attraverso una sofferenza silenziosa e privata, la mentalità prevaricatrice di chi le voleva sottomesse e prigioniere di stereotipi, difficili da sradicare.

Lidia scompone i tasselli di questo mondo costruito dagli uomini per gli uomini e lo fa con assoluta genialità, spiazzando l’avversario con intelligenza, ironia e talvolta senza mezzi termini.

Le sue scelte e la sua voce tagliente graffiano un sistema di esclusione, lo minano alla base e indicano nello stesso tempo una visione di parità, che non è mera utopia, bensì obiettivo condiviso e segnato a caratteri forti dalla parola insieme.

Lidia ha compreso la grammatica della lotta costante e determinata, dove è racchiusa la potenzialità del cambiamento. Lei è un personaggio moderno, estremamente attuale, viene dal futuro, studiosa della moderna criminologia e della scienza forense. Nel suo modus vivendi, ritroviamo una straordinaria fusione di arguzia, determinazione, eleganza.

Matilda interpreta Lidia con grande aderenza alla psicologia del personaggio, seguendone il ritmo, la passione, la forza. Lo fa con naturalezza, quasi la abitasse nell’interno e attraversasse le pieghe della sua anima.

La serie si muove attraverso vari stili: commedia, detection, noir in una meravigliosa e misteriosa Torino, che si dispiega splendidamente, mostrando i suoi colori, la sua architettura, i suoi contorni, la cui bellezza non appartiene solo all’epoca narrata, ma continua il suo perdurare nello scorrere del tempo.

 

NOTE DI PRODUZIONE

A cura di Matteo Rovere

 

La legge di Lidia Poët è il period con il quale Groenlandia si è sempre voluta confrontare. Forte nell’ideazione, ritmato, complesso nella realizzazione.

Il racconto di una donna anticonvenzionale che, nata nel tardo Ottocento, già brilla per talento, spirito libero e personalità. Il suo credo è essere anticonformista, non adeguarsi alle opinioni comuni, aggirare la norma, pensare fuori dagli schemi, ribellarsi al pensiero dominante e al sistema preesistente. Un vero e proprio inno alla libertà, parola che siamo certi caratterizzerà questo racconto.

La cifra stilistica è moderna, libera e fantasiosa, attenta ai personaggi e alle loro pulsioni, i loro drive, i meccanismi che li mettono in moto. Più filologica è invece la ricostruzione della scena giudiziaria di fine Ottocento. Torino è stata l’arena perfetta, forse l’unica possibile per arrivare alla cura che auspicavamo.

La qualità del progetto sta tutta in quell’equilibrio tra l’ispirazione realistica dell’ambientazione e del contesto storico e una cifra visiva pop e “immaginifica” capace di rendere Torino e le nostre storie non polverose ma accattivanti per un gusto contemporaneo.

I capi reparto d’eccellenza, dalla fotografia alle musiche, dalla scenografia ai costumi, sono stati in grado di conferire alla serie un taglio moderno e fresco, rispettando al tempo stesso l’epoca di riferimento, rendendo così possibile la realizzazione di un prodotto di grande qualità e forza cinematografica.

Fondamentale è stato l’apporto del cast, capitanato da una bravissima Matilda De Angelis che ha arricchito il racconto in un confronto continuo tra la sceneggiatura e i personaggi.

Abbiamo trovato in Netflix un alleato fondamentale, garanzia di qualità e diffusione internazionale, un vero motore creativo che ha seguito il progetto fin dalla sua genesi. La speranza è che la nostra protagonista possa, parlando al mondo, essere di ispirazione per chi la saprà ascoltare.

 

NOTE DEGLI AUTORI

A cura di Guido Iuculano e Davide Orsini, creatori e sceneggiatori della serie

 

Lidia Poët  è stata la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Torino nel 1883. Iscrizione prima accettata e poi annullata da una sentenza della corte d’appello. Motivazione? Era una donna.

La serie che abbiamo scritto però non è la storia della sua vita, tutt’altro. Si potrebbe definire un procedural classico, con i suoi casi di puntata, gli omicidi, le indagini e i colpi di scena finali. Ma al di là dei singoli casi, al di là del mondo di fine Ottocento che ci siamo divertiti a ricostruire, al di là perfino dei guizzi e dei vezzi della nostra protagonista, l’essenziale per noi è il suo spirito: volendo usare una sola parola, la più giusta per definirlo ci sembra “anticonformismo”.

È questo l’anticonformismo, la nostra virtù preferita, quella a cui guardiamo con più ammirazione, come affascinati e sedotti: richiede  coraggio, determinazione, testardaggine, e allo stesso tempo astuzia, intelligenza e pazienza. A volte sembra uno spreco di fatica, tempo ed energie; altre volte può sembrare una frivolezza. “Cos’ha nella testa questa persona” si chiede il mondo davanti ad un anticonformista, “perché non fa come tutti gli altri, perché non si rilassa?”. La nostra serie, in qualche modo, è una risposta a queste domande. Un grande inno alla libertà di spirito, un’ode ad una donna – Lidia Poët – che sa essere allo stesso tempo tutte queste cose: determinata, testarda, coraggiosa, ma anche goffa, strana, ostinata e buffa. È lei la nostra protagonista, e di lei parliamo nel corso di tutti gli episodi. Potevamo sceglierle un nome qualsiasi – in fondo è un personaggio d’invenzione – ma abbiamo voluto chiamarla Lidia Poët, e non per caso.

Lidia Poët  è stata la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati, ma per più di trent’anni non ha potuto esercitare l’avvocatura alla luce del sole perché le regole del tempo non lo permettevano. Con lei, la nostra Lidia condivide non solo il nome, ma anche la data di nascita e l’ambizione, la caparbietà, l’ostilità all’idea del matrimonio e il desiderio di indipendenza. In questo senso, la nostra serie è anche un omaggio alla vera Lidia Poët, una celebrazione di quella virtù che risuona e risplende nella vita di chiunque voglia poter dire, un giorno, di non esser passato inutilmente su questo pianeta.

 

NOTE SULLA SCENOGRAFIA

A cura di Luisa Iemma, Production Designer della serie

 

Come sempre, nell’affrontare un progetto, la domanda regina è sempre la stessa: cosa ho di nuovo da raccontare?

Questa domanda si rafforza maggiormente quando la storia è una storia vera ed appartiene a qualche secolo fa. Affrontare lavori d’epoca mette a disagio per via del loro dualismo, la teoria che ammette la coesistenza di due principi distinti o opposti, ossia da una parte il rispetto per l’epoca che si racconta, con le sue caratteristiche e le sue peculiarità, e dall’altra la necessità di farla sentire meno distante, meno lezione di storia per chi la guarda.

Il presupposto di partenza è stato quello di provare a togliere la polvere dai posti, dalle superfici, dai colori, per sottolineare le note di modernità presenti nel personaggio di Lidia e nel periodo storico in cui vive: l’arrivo della luce elettrica, del telefono, della stampa ed altri elementi hanno reso, infatti, la fine del 1800 un’epoca di grandi cambiamenti.

Con l’arredatore, Giorgio Pizzuti, abbiamo cercato di assecondare questa modernità, inserendo colori e materiali inusuali per l’epoca. Abbiamo giocato, ad esempio, con le carte da parati fatte ristampare con disegni originali ma accostate a pura invenzione. Lo abbiamo fatto diventare un po’ “pop”.

Partendo dai sopralluoghi, abbiamo riscontrato che trovare delle location adeguate alla storia non sarebbe stato facile, soprattutto nelle scene esterne dove la modernità delle città ci ha reso il lavoro molto difficile. Abbiamo coperto chilometri di strisce pedonali e parcheggi, rifatto infissi, trovato soluzioni creative per vetrine, citofoni, centraline elettriche, scivoli e ringhiere e tanti, tanti metri cubi di terra per coprire altrettanti metri quadrati di asfalto. In questo percorso i VFX ci hanno dato una gran mano!

Per quanto riguarda gli interni in location, Torino è una città che ci ha offerto grandi possibilità, palazzi il cui grado di conservazione dell’originale ci ha consentito di intervenire unicamente con l’arredamento per trasformare luoghi “museali” o semi-abbandonati in ambienti vivi. Abbiamo utilizzato chilometri di tende, riempito e svuotato camion di mobili, trasportato centinaia di scatoloni pieni di oggetti, libri, tappeti, tessuti, biancheria, e tutto quello che serve a far vivere un posto.

Per la natura del progetto, per mia stessa natura e per necessità, visto il gran numero di ambienti, mi sono presa la libertà di proporre spazi non filologicamente corretti per ambientare alcune scene. Non è sempre stato facile far vedere agli altri quello che vedevo io, ma Matteo e Letizia sono stati sempre aperti ed entusiasti nell’accettare cose che in potenza potevano sembrare follie.

Ho trasformato il coro ligneo di una chiesa nella in una sala settoria, la galleria dismessa di un mercato coperto in una fumeria d’oppio, una cartaria in una stazione, una farmacia in un negozio di tessuti e tante altre cose che sembrano quello che nella realtà non sono.

Detta così sembra quasi facile, ed invece no, ma se c’è una cosa che ho imparato è che bisogna essere tenaci e che al cinema la parola “impossibile” non esiste!

Per quanto riguarda la parte pratica, abbiamo disegnato e costruito muri e stanze segrete, cercato mobili in tutta Italia, costruito la prima macchina della verità su disegno di quella originale, usato una calligrafa per i manoscritti dei nostri protagonisti. E ancora, abbiamo montato il muro esterno di Casa Poët nell’unico giorno in cui ha nevicato a Torino, smontato e rimontato una location tre volte, scoperto, grazie a chi ci ha noleggiato le macchine da scrivere, che le prime avevano il rullo nascosto quindi non si vedeva quello che si scriveva fino a quando non si estraeva il foglio, che portare delle vasche da bagno in ceramica originali dell’epoca al terzo piano di un palazzo è impresa improba a causa del loro peso esorbitante, che i tram erano su rotaia ma tirati dai cavalli, e che Torino, oltre ad avere avuto la prima donna avvocato in Italia, è stata la prima città in Europa ad avere l’illuminazione elettrica pubblica!

A tale proposito abbiamo molto discusso con il direttore della fotografia su che tipo di illuminazione usare: le candele, sicuramente, ma visto il periodo di transizione abbiamo iniziato ad introdurre le lampade a petrolio fino ad arrivare alle lampadine.

Insomma, è stata una grande faticata ma anche una bellissima scoperta!

NOTE SULLA COLONNA SONORA

A cura di Massimiliano Mechelli, curatore della colonna sonora

 

È stato un privilegio per me poter dare voce a un personaggio femminile così complesso come Lidia Poët.

Una donna che si fa interprete dell’emancipazione delle altre donne in un mondo di uomini. Un personaggio femminile di fine ottocento che risulterebbe moderno ancora oggi, sempre alla ricerca della verità a dispetto di chi la vorrebbe all’interno di determinati cliché.

Con i registi abbiamo cercato un modo di rappresentare la sua forza e la sua universalità, tramite la musica.

Così ho intuito che le voci di donna potessero ben rappresentare la coralità dell’universo femminile, avendo in comune a quel tempo il bisogno di emanciparsi.

Per conferire modernità e forza non ho optato per un coro soave ma per una voce singola ostinata e incalzante.

Il tema principale Dabada-Dabada-e-a-Dabada-e è un intreccio di linee melodiche diverse tra loro, che mescolandosi riesce a formare una melodia precisa senza perdere la propria unicità.

 Per evidenziare il lato ‘crime’ della serie,  ho proposto ai registi uno strumento molto particolare e a mio avviso estremamente cinematico: l’handpan, una percussione intonata utilizzata anche per la meditazione, con cui ho cercato di enfatizzare l’alone di mistero che caratterizza i diversi episodi.

Per rendere la sonorità ‘crime’ più consona al tempo, ho fuso l’handpan con il piano verticale, suonato con la sordina, dandogli quell’eleganza espressa così bene dai costumi e dalla scenografia. Il tutto unito ad archi dinamici e moderni.

Essendo Lidia un personaggio attuale, è stato altrettanto importante l’utilizzo dell’elettronica, mettendola sullo stesso piano dei prodotti investigativi contemporanei. La stessa ben si presta a generare inquietudine nei casi che Lidia sarà impegnata a risolvere, aumentando un effetto di oscurità nel succedersi degli episodi.

La colonna sonora riserva ai personaggi maschili tratti più ironici, rappresentati da chitarre, mandolini, percussioni e contrabbassi, esprimendo così la furbizia della protagonista nel condurli verso il proprio gioco.

Lidia è un personaggio rock a tutti gli effetti, e non mancano scene in cui è stato utilizzato questo genere musicale a contrasto con il contesto generale, estremizzando e distorcendo le voci, in modo da poter meglio esprimere la rabbia del personaggio.

Per registrare l’orchestra d’archi siamo volati a Budapest, agli East Connection Studios, dove è stata registrata la colonna sonora de La Regina degli Scacchi, mentre per le batterie, le voci, le chitarre e il mix ci siamo affidati allo storico studio Digital Records di Roma.

 

NOTE SUI COSTUMI

A cura di Stefano Ciammitti, Costume Designer

L’ispirazione principale per la costruzione dell’armadio di Lidia Pöet sono stati soprattutto i tessuti dalla storica Tessitura Luigi Bevilacqua a Venezia, un posto ricco di fascino dove ancora i velluti vengono tessuti a mano con dei telai del XVIII secolo.

L’amore per i dettagli filologici mi è stato insegnato dal mio maestro Piero Tosi, l’audacia nell’uso del colore e delle fantasie barocche sono invece ispirate alla scuola inglese contemporanea.

Anche i gioielli sono stati disegnati per Lidia nel gusto orientale per gli insetti e della tassidermia.

 

TORINO, CURIOSITÀ DAL SET

 

La serie è stata girata, nella sua interezza, nella città di Torino. Le molte scene realizzate all’interno del tribunale del capoluogo piemontese sono state girate presso l’Ex Curia Maxima di Via Corte d’Appello, location di norma inaccessibile e resa disponibile esclusivamente per le riprese.

Per alcune aule del tribunale è inoltre stato utilizzato Palazzo Falletti Barolo, insieme al Palazzo dei Cavalieri, trasformato nella redazione della Gazzetta Piemontese.

Numerosi ciak hanno coinvolto anche il Museo del Carcere Le Nuove, oltre a varie piazze e strade del centro che durante le riprese hanno fatto da sfondo a carrozze, cavalli, costumi d’epoca: la centralissima e iconica Piazza Cavour, ad esempio,  dove sono state girate le scene in esterna di Villa Barberis, casa di famiglia di Lidia Poet i cui interni sono invece stati ricostruiti per varie settimane di riprese a Racconigi, presso Villa San Lorenzo.

 

L’ex lanificio Bona, nel comune di Carignano, è stato trasformato in una fabbrica di cioccolato, mentre il Teatro Alfieri di Asti ha ospitato le riprese di varie scene trasformandosi, per esigenze narrative, nel Teatro Regio di Torino.

 

Sono state inoltre coinvolti il Castello e la Certosa di Collegno, il Museo Ferroviario Piemontese di Savigliano, la Basilica di Superga e diversi scorci di Borgo Cornalese a Villastellone.

 

***

 

CAST

 

Matilda De Angelis

Eduardo Scarpetta

Pier Luigi Pasino

Sara Lazzaro

Sinéad Thornhill

Dario Aita

Lidia Poët

Jacopo Barberis

Enrico Poët

Teresa Barberis Poët

Marianna Poët

Andrea Caracciolo

 

CREW

 

Una serie

Regia

Creata da

Soggetti di puntata

Produzione

Prodotta da

Produttore delegato

Produttore esecutivo

Line producer

Sceneggiature

Fotografia

Montaggio

Musiche

Scenografia

Costumi

Aiuto regia

Casting Director

Direttore di produzione

Regista seconda unità

Coordinamento editoriale

Responsabile editoriale

Consulente editoriale

Fonico di presa diretta

Supervising sound editor

Montaggio dialoghi

Montaggio effetti sonori

Mix

NETFLIX

Matteo Rovere (ep. 1-2)  e Letizia Lamartire (ep. 3-6)

Guido Iuculano e Davide Orsini

Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro

GROENLANDIA

Matteo Rovere

Ognjen Dizdarevic

Paolo Lucarini

Francesco Marras

Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro, Paolo Piccirillo

Vladan Radovic (A.I.C.) e Francesco Scazzosi

Gianni Vezzosi, Pietro Morana

Massimiliano Mechelli

Luisa Iemma

Stefano Ciammitti

Fausto Girasole

Sara Casani (U.I.C.D.)

Fabrizio Prada

Paolo Sinigaglia

Donatella Diamanti

Alessia Polli

Jason George

Marco Fiumara

Mirko Perri

Francesco Mauro

Marco Centofanti

Simone Usai

A Torino e ad Alba, Convegno Internazionale di Studi per il Centenario di Beppe Fenoglio

“Una parte per il tutto”

(1922 – 1963)

Dal 14 al 17 febbraio

Proseguono gli appuntamenti rivolti a studiosi, studenti e appassionati di letteratura fenogliana, inclusi nell’ultimo capitolo “Una questione privata” del Centenario “BeppeFenoglio22”. In questi giorni, è di scena a Torino e ad Alba, il Convegno, ideato da Valter Boggione insieme a Gian Luigi Beccaria e a Margherita Quaglino, dal titolo “Una parte per il tutto”.

A spiegarne il significato è lo stesso Valter Boggione, albese docente di “Letteratura Italiana” all’Università di Torino: “Un partigiano, Nick, progetta di tornare dopo vent’anni al bivio di Manera, a piedi, in pellegrinaggio, sui luoghi in cui ha combattuto. È ‘Una parte per il tutto’: nella figura retorica della sineddoche trova espressione la tensione alla ‘globalità’ che Fenoglio stesso rivendica come carattere qualificante della propria scrittura. È la testimonianza della fedeltà ai valori della Resistenza, contro il degrado morale dell’Italia del boom economico, l’espressione del senso di appartenenza e di identità, contro l’abbandono all’imperante sradicamento. All’inizio c’erano Valdivilla, San Benedetto Belbo, località quasi insignificanti, teatro di eventi minimi della cronaca bellica e della vita contadina sulle Langhe: oggi sono le ‘Termopili’ della moderna battaglia contro la barbarie, l’‘Itaca’ perduta. Grazie a Fenoglio, hanno assunto un valore assoluto, esemplare, diventando la patria spirituale di milioni di lettori”. Da martedì 14 a venerdì 17 febbraio, saranno quattro intense giornate dedicate ad un “Convegno Internazionale” particolarmente atteso, nell’ambito del calendario di celebrazioni del “Centenario”, e organizzato dall’“Accademia delle Scienze e dall’Università degli Studi di Torino” in collaborazione con la “Fondazione Ferrero” e il “Centro Studi Beppe Fenoglio” di Alba. I primi tre giorni vedranno la partecipazione di alcuni fra i più importanti studiosi e ricercatori, mentre l’ultima giornata albese ospiterà le testimonianze di importanti giornalisti e scrittori italiani.

La prima giornata, martedì 14 febbraio, all’ “Auditorium Quazza” di Palazzo Nuovo a Torino, si comporrà di due sessioni. Al mattino, con la moderazione della professoressa Margherita Quaglino intitolata “Tra lingua e stile”; la seconda, moderata da Tiziano Torraca intitolata “Al fuoco della controversia”Mercoledì 15 febbraio il “Convegno” si sposta al “Polo del ‘900” per una prima sessione moderata da Giovanni Barberi Squarotti e intitolata “Fenoglio lettore”; la sessione pomeridiana intitolata “La funzione Fenoglio” sarà moderata da Davide Dalmas. L’ultima tappa torinese si svolgerà giovedì 16 febbraio nella sede dell’ “Accademia delle Scienze” dove, con l’introduzione di Carlo Ossola, si potranno ascoltare gli interventi di Gian Luigi Beccaria e Gian Franco Gianotti al mattino e Maria Antonietta Grignani, Cesare Pianciola e Valter Boggione nella sessione pomeridiana. L’ultimo appuntamento di questo fondamentale momento di approfondimento su Fenoglio, la sua scrittura e la sua influenza sulla letteratura contemporanea, si concluderà venerdì 17 febbraio nella sede della “Fondazione Ferrero” ad Alba, con i contributi di autorevoli giornalisti e scrittori quali Marcello Fois, Elena Varvello, Wu Ming I, Giuseppe Lupo, Gianni Farinetti, Eraldo Affinati, Giacomo Verri, Alessandro Baricco insieme a giornalisti del mondo della cultura come Massimo Raffaeli, Edoardo Castagna, Bruno Quaranta e Aldo Cazzullo.

L’iniziativa è aperta al pubblico in tutte le sedi con modalità diverse di prenotazione. Per info: www.beppefenoglio22.it

g. m.

Nelle foto:

–       Beppe Fenoglio

–       Polo del ‘900

Senza troppa convinzione lo “Sguardo” di Massimo Popolizio

Sino a domenica 19 febbraio al Carignano il testo di Miller

L’origine fu un fatto di cronaca che lo colpì profondamente, una vicenda familiare di torbidi affetti nata tra gli immigrati italiani di Brooklyn. Una vicenda che spinse Arthur Miller a trasportarla sul palcoscenico, “A View from the Bridge” arrivò a New York nel 1955 nella versione in un atto unico e l’anno successivo a Londra in quella in due atti, per la regia di un Peter Brook arrivato alla soglia dei quaranta.

Nel gennaio del 1958 Luchino Visconti ne fece con la coppia Stoppa/Morelli un capolavoro e nove anni dopo il mitico Raf Vallone accattivante e gioviale, che sembrava avere da sempre il personaggio di Eddie Carbone nel sangue e che in quelle stesse vesti aveva già affrontato i palcoscenici parigini (ancora Brook regista) e lo schermo (con la regia di Sidney Lumet), propose un’edizione italiana al fianco di Alida Valli. In tempi assai più prossimi a noi, lo Stabile torinese, Valerio Binasco regista e interprete, aveva messo in cantiere nel maggio 2020 una sua messinscena di “Uno sguardo dal ponte”, ma poi la pandemia azzerò tutto e lo spettacolo fu annullato e del tutto taciuto nelle successive stagioni dai responsabili. Oggi, con l’etichetta Compagnia Umberto Orini – Teatro di Roma Teatro Nazionale – Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale, Massimo Popolizio propone ancora una volta, nella doppia veste di regista e interprete, con la traduzione di Masolino d’Amico, la tragedia dell’”onesto” Eddie, del suo affetto innaturale verso la giovanissima nipote, dell’accoglienza a Marco e Rodolfo, parenti della moglie e immigrati irregolari, dell’astio e del rancore che giorno dopo giorno lo catturano, del cambiamento e del tradimento, della denuncia alle autorità, della vendetta finale immersa nel sangue.

Ad assistere allo spettacolo sul palcoscenico del Carignano (per la stagione del nostro Stabile, repliche sino al 19 febbraio), immerso nella scena poveramente stilizzata di Marco Rossi – un tavolo, qualche sedia e i semplici mobili di casa, più all’esterno reti metalliche e una gru sul fondo e un angolo per le apparizioni degli altri scaricatori di porto, tutto male utilizzato -, ti chiedi se abbia ancora senso portare allo spettatore degli anni Duemila un simile sanguinoso fatto di cronaca, se si possa ancora parlare di “grande affresco sociale”, se si voglia a ogni costo scomodare la tragedia greca: o se al contrario tutto quanto sia da ridurre ad una semplice, certo tragica, tragedia circoscritta nei contorni familiari. In scena un antieroe, ma solidissimo, continua ad apparire Eddie, innalzatosi a combattere contro la crudeltà del destino, morbosamente colpito dagli abiti e dal taglio di capelli e dal ballo di Caterina, offeso da una nuova morale che avanza, dall’amore tra due ragazzi che arriva a invadere un suo credo personale e una sua passione. Ne rimarrà schiacciato.

Popolizio guarda agli apporti del passato e altresì, in special modo con l’avanzare della tragedia, osserva con occhio cinematografico la vicenda, si rende perfettamente conto che “Uno sguardo” è già, sin dall’inizio, una sceneggiatura a pieno titolo, che ci sono scene concrete sfumate nel buio e stacchi precisi e “primi, secondi piani e campi lunghi”. Ma forse non è del tutto sufficiente il correre di un treno in quell’immagine/cinema in bianco e nero o il gran rumore dello sferragliare per vivacizzare un’azione, per renderla più vicina a noi, per portarla fuori dalle pareti di un palcoscenico: come non basta negli ultimi istanti il frammentarsi nervoso del racconto per affermare ancora una volta il precipitare cruento degli eventi e la loro tragicità. Con le canzoni ricostruisce le radici di quel gruppo di persone, con una certa buona dose di furbizia poiché parecchio si tinteggia di folclore a sottolineare un passato vissuto in terra di Sicilia. Quanto a Popolizio interprete – come regista (anche lui) “onesto” narratore, più disposto a badare alla fisicità che all’introspezione di alcuni interpreti, con qualche debolezza e linearità nell’immergersi nello sconcerto di tutti: che sono Valentina Sperlì, Michele Nani come avvocato Alfieri a commentare e a vivere l’intera storia, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli e Gaja Masciale, lei sì convincente Caterina – s’affida a certi sfilacciamenti del personaggio, a certe immagini da marionetta scomposta che dovrebbe ispirare ad una componente di debole divertimento: di rado ahimè arriva in platea il ritratto dell’artefice e della vittima unite insieme, la grandezza di un uomo e il suo completo sgretolarsi a terra. E pare che i 90’ della serata si snodino senza troppa convinzione. Anche il pubblico al termine si riduce a poche chiamate e ad applausi che per il testo di Miller e la sua storia ci saremmo aspettati ben più sonori e prolungati.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Yasuko Kageyama

Rock Jazz e dintorni a Torino: Sainkho Namtchylak e Fantastic Negrito

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Jazz Club suona il quartetto Bassorilievo. Alla Cricca Mao reinterpreta le canzoni di Rino Gaetano.

Mercoledì. Al Jazz Club blues con Andrea Scagliarini e Fast Frank. Al Museo d’ Arte Orientale per il ciclo “Evolving Soundscapes”, arriva la cantante di Tuva (Siberia) Sainkho Namtchylak. Al cinema Massimo Fantastic Negrito presenta il film complementare al suo ultimo disco “Withe Jesus Black Problems”, dal vivo in  versione acustica. Al Blah Blah suonano gli Hellgeist.

Giovedì. Al Cafè Neruda si esibisce il quartetto di Riccardo Zegna e Sandro Gibellini. Al Blah Blah  sono di scena i The Wends. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Codice Ego. All’Off Topic si esibisce Zibba.

Venerdì. Al Magazzino sul Po si esibisce Caruccio. Al Folk Club suona il chitarrista Hamish Stewart accompagnato dal trio del batterista Enzo Zirilli. Al Cap 10100 sono di scena gli in Incognito Legno. All’Off Topic si esibiscono Sem&Stènn mentre al Blah Blah suonano i Girls in Synthesis.

Sabato. Allo Ziggy si esibiscono i Critical Jojo con gli Axe Blade. Al Magazzino di Gilgamesh è di scena Willie Nile. Al Blah Blah suonano i Senzabenza preceduti dai Coconut Planters. Al Magazzino sul Po si esibiscono i Jennifer Gentle  con i Animaux Formidables. Al Bunker è di scena il duo Atrice. Nella sede del Gruppo Abele per la rassegna “Black History Month”, si esibisce la cantante Kady Fitini Coulibaly.

Domenica. Alle OGR suonano gli Elephant Brain e Amalfitano. Allo Ziggy punk con gli Infa Riot e gli Middle Finger.

Pier Luigi Fuggetta