SPETTACOLI

Giallo, divertimento, inaspettati finali: ed è subito “Forbici Follia”

All’Erba, repliche sino al 6 gennaio

Cinquant’anni e non li dimostra. Un minimo di cronistoria? Tutto ebbe inizio ancora nei primi anni dei Sessanta, quando Paul Portner, psicologo svizzero, romanziere, propugnatore di un “teatro della spontaneità” capace di attrarre il pubblico su uno spunto iniziale e coinvolgente, scrisse per il teatro “Scherenschnitt” come a dire il termine che sta indicare l’arte del ritagliare la carta con le forbici. Il debutto avvenne a Ulm, in terra tedesca, nel 1963. Il suo interesse era legato in principal modo alla maniera nella quale le persone percepiscono la realtà e ai diversi modi di percepire fatti relativi a un crimine. Pensò di ambientare la storia all’interno di un salone di parrucchiere e di dar vita a sei personaggi fortemente tipizzati, ciascuno dei quali capace di commettere l’assassinio di una ricca e famosa pianista nel suo appartamento posto al piano sopra il salone. Elemento di novità che Portner pensò di aggiungere alla vicenda nuda e cruda -, secondo le sue teorie, in modo da rendere quel giallo diversissimo da tutti gli altri in circolazione – fu quello di dare agli spettatori presenti in sala la possibilità di risolvere il caso attraverso “l’interpretazione” di quanto avevano visto e sentito o, meglio ancora, di ciò che “avevano creduto” di aver visto e sentito. Una scommessa in altre parole, lunga due ore. Una quindicina d’anni dopo, Bruce Jordan e Marylin Abrams – ideatori e produttori di numerosi allestimenti teatrali negli States – assistettero per puro caso ad una replica della commedia tinta di giallo, non si vollero lasciar scappare l’occasione credendola vincente e contattarono immediatamente l’autore per produrre e mettere in scena lo spettacolo con i personaggi in versione americana. Nell’estate del ’78 la prima versione americana andò in scena nel teatro-ristorante di Lake George, New York. Dopo il grande successo ottenuto acquistarono i diritti per tutto il mondo. Da allora, “Forbici Follia” reclama il proprio posto nel Guinness dei primati, è lo spettacolo teatrale più longevo nella storia degli Stati Uniti, con 40 diversi allestimenti in suolo americano, è stato tradotto in 28 lingue (tra cui il turco, lo spagnolo e il catalano, il greco e il polacco) per un totale di 14 milioni di spettatori in tutto il mondo. Trasportabile e adattabile ovunque, insomma un successone.

Da noi fu lo scomparso regista Gianni Williams (ma anche premiato doppiatore, attore di teatro con Squarzina e Soleri e il Garinei di “Se devi dire una bugia dilla tutta”, nonché di televisione), altra bella sorpresa, a scoprire per caso la commedia a Washington e decise di portarla in Italia. Ma si doveva arrangiarla, rodarla, renderla appieno per un pubblico di casa nostra. Gian Mesturino, anima di Torino Spettacoli e del Gioiello, lungimirante inventore di spettacoli a lunga tenitura e intuito teatrale davvero sopraffino, capitò alle prove della commedia tra Bologna e Milano: incertezze e delusioni cancellate in poco tempo e l’invito a Williams a trasferirsi a Torino, era il 1999, considerate appieno le potenzialità che stavano in quel testo. L’inaugurazione, su quel nuovo palcoscenico, fu nel novembre del 2000, una prima stagione di cinque mesi ininterrotti e di 50mila spettatori, più di 800 rappresentazioni in 25 anni consecutivi di repliche conteggiando sino a fine 2024, superando anche una pandemia che mostrò lo spettacolo in streaming ad un numero imprecisato e mai scoperto di spettatori.

A lunga tenitura anche gli interpreti, inossidabili, espertissimi, abituati a indossare senza nessuna fatica da anni una seconda pelle, da Simone Moretto (volto di diverse pubblicità nazionali, cinema, teatro che va da Machiavelli ad Agatha Christie, da Kesselring a De Benedetti, laboratori a Milano e New York con l’insegnamento di John Strasberg, figlio del grande Lee), il più che eccentrico parrucchiere/proprietario del “Giampy”, a Elena Soffiato (la provocante sciampista Alina), da Matteo Anselmi agente speciale Salvatore Lo Sordo a Elia Tedesco come l’antiquario Giulio Valleri, da Carmelo Cancemi, un più o meno nostrano commissario Montalbino a Cristina Palermo, ovvero la signora Costanza Ravagliati, “impossibile” rappresentante della borghesia subalpina di stanza in Crocetta o in fascia precollina. Indizi, più di un sospetto, azzccati coinvolgimenti della sala (non ultimi, un lavaggio unito a una veloce messa in piega), piccole trasgressioni, battute, divertimento, una serata tutta diversa. Ognuno coinvolto, in questo appuntamento ormai “reclamato”, con il pubblico ogni sera a dipanare quel finale, diverso, inaspettato, sempre effervescente, che il pubblico stesso vorrà immaginare.

Al teatro Erba, venerdì 26 e sabato 27 ore 21; domenica 28 ore 16; mercoledì 31 ore 20,45 già sold out; sabato 3 domenica 4 lunedì 5 gennaio ore 21, martedì 6 ore 16. Da non perdere.

Elio Rabbione

Nelle immagini gli inossidabili interpreti di “Forbici Follie” e gli applausi di una recente edizione.

The Originals accendono Hiroshima Mon Amour

Reggae e contaminazioni sonore per la notte di Santo stefano

Venerdì 26 dicembre a Torino il progetto che riunisce Africa Unite e The Bluebeaters presenta il singolo “No! (No, No, No, No)” e una serata pensata come vero e proprio party natalizio

Torna sul palco di Hiroshima Mon Amour il progetto che ha incendiato l’estate: The Originals, l’incontro artistico esplosivo tra Africa Unite e The Bluebeaters, protagonisti venerdì 26 dicembre di un live imperdibile che trasformerà il storico locale torinese in epicentro di musica, energia e contaminazioni sonore. Lo spettacolo inizia alle 22.00 (porte aperte a partire dalle 21.00) presso Hiroshima Mon Amour in via Bossoli 83, con ingresso a 20 euro. I biglietti sono disponibili in prevendita online sul sito ufficiale www.hiroshimamonamour.org.

Una serata in tre atti

La serata è stata concepita come un vero e proprio party natalizio, scandito da tre momenti distinti. Ad aprire le danze sarà il Dj Piddu, maestro nel dosare calypso, original ska, rocksteady ed early reggae con un ritmo irresistibile, perfetto per riscaldare il pubblico e introdurre l’atmosfera del live show.

The Originals porteranno poi in scena il meglio dei repertori di Africa Unite e The Bluebeaters, arricchito dal nuovo singolo “No! (No, No, No, No)”, un pezzo reggae di forte impatto che affronta le tensioni dell’attuale scenario geopolitico. Il brano nasce da un’idea di Pat Cosmo, elaborata successivamente dai contributi artistici di Bunna e soprattutto di Madaski, che ha realizzato anche una potente versione dub del brano, unendo così le sonorità distintive delle due formazioni in una direzione condivisa. Il singolo, in uscita il 14 novembre per Caribb Roots Records (l’etichetta che da anni supporta i progetti di questa famiglia di musicisti), rappresenta il debutto ufficiale di The Originals come collettivo autonomo.

Il gran finale: Madaski e Baldini in dialogo sonoro

Il concerto raggiunge il suo apice con il confronto creativo tra Madaski e Paolo Baldini, due icone indiscusse della scena dub italiana. Un dialogo sonoro destinato a trasformare Hiroshima Mon Amour in uno spazio immersivo, ipnotico e unico: un’esperienza pensata per lasciare il pubblico senza fiato.

Un viaggio attraverso energia, storia e innovazione, in cui la tradizione reggae incontro l’innovazione sonora contemporanea.

Valeria Rombolà

La Noire Gallery: cinque progetti dell’open call DIALOGUES

Torna DIALOGUES, l’open call, giunta alla sua terza edizione, rivolta a studentesse, studenti e alumni per dare forma alla propria creatività attraverso arte e design. Dopo due edizioni di successo, la Noire Gallery di via Piossasco 29/B, a Torino, è pronta a ospitare la mostra collettiva, curata da Lucrezia Nardi (docente IAAD e curatrice indipendente), dei cinque progetti che verranno selezionati.

Per questa terza edizione di DIALOGUES, il tema si concentra sull’incontro tra discipline: arte e design come linguaggi in continua contaminazione, capaci di generare nuovi modi di pensare, creare oggetti e immaginare spazi condivisi. L’invito è quello di proporre un progetto che esplori questa soglia (estetica, concettuale o processuale) dove arte e design si fondono, si confrontano e si contraddicono, aprendo a nuove possibilità di espressione e relazione. La possibilità di partecipare al bando scadrà il 9 gennaio 2026.

DIALOGUES è un’attività realizzata nell’ambito del progetto P+ARTS – Partnership for Artistic Research Technology and Sustainability – finanziato dall’Unione Europea Next Generation EU (NGEU).

Gian Giacomo Della Porta

Il ritorno di “Cantando sotto la pioggia”, un successo autentico di musiche e canzoni

All’Alfieri, repliche sino a martedì 6 gennaio

Riproponiamo la recensione apparsa nel maggio scorso all’indomani del debutto

Uno spettacolo a teatro come un vecchio film, compresi righe e filamenti volanti sulla pellicola, il carattere un po’ démodé delle scritte: con tanto di titoli di testa a elencare cast, costumi e scenografie, musiche, regia e produzione, quanti fecero l’impresa e quant’altro ancora. Come ai vecchi tempi, tutto a scorrere oggi sulla quarta parete del palcoscenico dell’Alfieri, per la prima nazionale – una delle tante promesse, quella dei debutti importanti, che Fabrizio di Fiore sta mantenendo nel corso delle sue nuove stagioni teatrali torinesi – di “Cantando sotto la pioggia”, in un mese di maggio che vede quasi il termine del calendario. Un omaggio dovuto, “un sogno che si avvera nei confronti di un testo a cui ho pensato da sempre, da quando ho iniziato a fare il mestiere che faccio”, ricordava ieri sera Luciano Cannito, regista, al termine dello spettacolo con applausi davvero trionfali da parte di un pubblico certo di aver incrociato una brillante serata; e poi la eccellente ricostruzione di un clima, che continua a vivere in un’epoca ben precisa ma che allo stesso tempo ha tutti i mezzi per irrobustirsi di vita propria – con tanto di citazioni, dall’orologio di Harold Lloyd di “Preferisco l’ascensore” alle gambe più belle (e costose) del mondo, quelle di una smagliante Cyd Charisse proprio in coppia con Kelly -, di musiche e canzoni, di coreografie catturate da quelle immagini, di pericolante recitazione e di torte in faccia, di dispetti e rivalse tra primedonne, di un divertimento insomma che riempie appieno le tre ore circa dello spettacolo.

Se il titolo è una pietra miliare del teatro musicale, e lo è certamente con un ristretto gruppo di non ti stanchi mai, diceva ancora Cannito in un’intervista a La Stampa, ecco che il regista si fa apprezzare per quella rinuncia alle forzature, per quegli ammodernamenti evitati, per il “rispetto” di quel “sacro che c’è dentro” anche se niente vieta di togliere “un po’ di polvere che si è depositata nel tempo”, pronta a lasciare spazio a una più calcata e pungente ironia.

Con un bel ritmo, che potrà ancora crescere con l’avanzare delle repliche, lo spettacolo guarda gioiosamente al film del ’52 diretto da Stanley Donen e Gene Kelly, quest’ultimo come ognuno sa nel ruolo anche del protagonista Don Lockwood. L’epoca della vicenda è il tramonto del cinema muto, quando immagini in bianco e nero rendevano attori anche approssimativi costretti a costruire facce di circostanza, a strabuzzare occhi fuor di misura, ad atteggiarsi in movenze a dir poco ridicole. Il teatro, quello era l’autentico mondo della recitazione, ma non era pane per tutti. Non per quelle attricette di poco conto che non avrebbero mai potuto prestare la loro voce stridula alle tavole di un palcoscenico, le riprese erano lì a salvarle senza che il pubblico, già allora ai bordi del red carpet, si ponesse tante domande. È quel che succede alla acclamata quanto vanesia, vanitosissima Lina Lamont, che fa coppia con Don in mediocri film di cappa e spada: senonché quel mondo di non più sopportabile cartapesta, dopo i disastrosi tentativi di adattamento, pare scoppiare quando il 6 ottobre 1927 “Il cantante di jazz” con Al Jolson appare sugli schermi a inaugurare il cinema sonoro – una rivoluzione, come quella che a Hollywood ci fu dodici anni dopo con la risata della Garbo per “Ninotchka” – e quelle voci sgraziate avrebbero avuto vita breve. All’orizzonte di “Cantando” appare Kathy Selden, viso notato dal produttore che vede lontano, bella presenza e voce da sogno, semplicità e pochi grilli per la testa, che con l’aiuto di Don, nuovo compagno di lavoro e di vita, e dell’impareggiabile funambolico Cosmo penserà a smascherarla e a metterla in ridicolo, con buona pace di una improbabile carriera.

Legatissimo e mai un attimo che accusi sghembature o rallentamenti che siano lì a intaccarne il ritmo, smagliante, divertente, il vecchio libretto di Betty Comden e Adolph Green rispolverato a dovere secondo la promessa registica, le canzoni di Nacho Herb Brown e Arthur Freed (dal “Mago di Oz” giù giù sino a “Gigi” una delle più belle firme di Hollywood), qui con la traduzione di Cannito e di Laura Caligani, a tornare sempre piacevolmente in mente, le scene di Italo Grassi e soprattutto i costumi di Silvia Califano (un cognome che è una garanzia), che spazia con le sue invenzioni da “Sherazade” a Shakespeare per il festival veronese, dall’Aterballetto al “Lago dei cigni” per il Roma City Ballet Company, non ultimo il disegno luci curato da ValerioTiberi, ogni apporto rende “Cantando” un’occasione da non perdere. Metteteci ancora un corpo di ballo di quindici elementi, di quelli che si cercano e si trovano da chi ha parecchio fiuto alle spalle, che all’occorrenza canta e recita, metteteci degli attori in gran forma e avrete la sembianza esatta del successo o del successone. Senza se e senza ma. Lorenzo Grilli, cresciuto nel teatro di Proietti e nel cinema di Roberta Torre, è un valido Don che sfugge con padronanza alle incertezze del debutto e si irrobustisce, passo dopo passo, mattatore assoluto, davvero efficace, nel momento “in the rain” sotto scrosci non indifferenti d’acqua con voce e salti e zompi invidiabili sui lampioni di scena. Martina Stella e Flora Canto, su due diversissimi versanti, sono due belle attrici, che convincono, un ritrattino tutto sale e pepe di ocaggine agguerrita nel non voler cedere lo spazio che s’è guadagnato la prima, anche capace di mettere in secondo piano, con lodevole convinzione, una vera bellezza; grintosa “my fair lady” del palcoscenico la seconda, pienamente disponibile ad un percorso di tutto rispetto. Folletto della serata, autentico artista, versatile, pronto a mettere in scena per quanti non lo conoscono, autentica scoperta, e a ribadire per i molti altri una insolita bravura che ha preso forma negli anni, e nelle tante tappe, nella danza (tap, modern e acrobatica), nel musical e nelle arti circensi, Vittorio Schiavone, che passa attraverso il Teatro alla Scala e guarda a Michael Jackson: il suo Cosmo, per certi tratti, in coppia con il protagonista o negli assolo, ha tutta la magia dell’inafferrabile, del campione che non hai ancora incrociato, dell’uomo di palcoscenico abituato a sgusciar fuori improvviso, a lanciare piccoli e grandi guizzi e a colpire nel segno, del nome che per il futuro non potrà di certo sfuggirti e che dovrai essere tu a dover tenere d’occhio.

Elio Rabbione

Le immagini di “Cantando sotto la pioggia, regia di Luciano Cannito, sono di Valerio Polverari.

 “Avvocato Malinconico”, di  De Silva e Gallo al Carignano

Venerdì 26 dicembre, alle ore 19.30, debutta al Teatro Carignano “Malinconico. Moderatamente felice” di Diego De Silva e Massimiliano Gallo, che è anche protagonista e regista dello spettacolo. Le scene sono di Luigi Ferrigno, i costumi di Eleonora Rella, il disegno luci di Alessandro Di Giovanni, le canzoni originali di Joe Barbieri. Accanto a Massimiliano Gallo saranno presenti Biagio Musella, Eleonora Russo, Diego D’Elia, Greta Esposito, Manuel Mazzia. Gallo è figlio d’arte, il padre Nunzio Gallo e la madre Bianca Maria Varriale, darà voce e corpo al personaggio dell’Avvocato Malinconico della serie televisiva, da lui interpretata, e trasmessa su Rai 1 nell’ottobre del 2022.

Questo progetto teatrale nasce dall’idea di portare in scena la voce e il corpo narrante dimun perosnaggio letterario e, successivamente, televisivo che, negli anni, ha donquistato un vasto pubblico di lettori e spettatori: Vincenzo Malinconico, l’avvocato dalla carriera sgangherata e dalla vita sentimentale instabile, è forse per questo amato da un pubblico che non ama la prevedibilità dei vincenti. Lo spettacolo vedrà in scena, nella pienezza delle sue attitudini da interprete, il solo Vincenzo Malinconico, che si abbandonerà con il suo flusso narrante, filosofico e irresistibilmente comico, ma sempre votato alla riflessione, perché per far ridere è necessario convincere, parlare all’intelligenza dell’altro, e si concederà a un monologo con il pubblico, in cui si racconterà tematicamente. Lo spettacolo si svolgerà su tre tronconi: professione, sentimenti, famiglia. I tre campi campi di gioco su cui si svolge la vita di ognuno di noi. Uno spettacolo essenziale e coinvolgente, in cui letteratura e teatro si incontrano, e che darà modo al pubblico di ritrovare, nella causticità fisica del palcoscenico, un personaggio dalla vita irrisolta, che ci fa più ridere quando la scopriamo più simile alla nostra.

“Quello di Malinconico è un progetto cui sono legato – dichiara Massimiliano Gallo – e che ho voluto fortemente. È un personaggio che ho amato e ascoltato, ci siamo fidati l’uno dell’altro e, finalmente ne ho indossato i panni. Grazie alla penna di Diego De Silva ho potuto dargli corpo e anima. Ora c’è da cucirgli un abito in cui stia comodo, una scena funzionale, un amico immaginario e cinque attori che gli faranno compagnia. In video gli interventi dei suoi amici e amori del suo complicatissimo mondo. Sarà una regia amorevole, nella speranza di farvi conoscere Vincenzo per come io lo conosco”.

Teatro Carignano-26 dicembre/4 gennaio – 26,27,29,30 dicembre ore 19.30/ 28 dicembre e 4 gennaio ore 16 / recita del 31 dicembre fuori abbonamento.

Teatro Carignano – piazza Carignano 6, Torino – biglietteria@teatrostabiletorino.it – 011 5169555

Mara Martellotta

Open week alla scuola di Circo Flic per gli aspiranti allievi

La Flic Scuola di Circo apre le sue porte dal 16 al 20 marzo 2026 con la Open Week, una settima a dedicata alla scoperta e alla conoscenza approfondita dei corsi professionali di una realtà formative tra le più prestigiose del circo contemporaneo. Si tratta di un’occasione unica per vivere un’esperienza immersiva e sperimentale in prima persona nei metodi didattici e nella filosofia della scuola, per valutare il proprio futuro nel settore. L’iniziativa è pensata per ragazzi e ragazze che vogliano conoscere da vicino il mondo della Flic, e approfondire le opportunità offerte dai corsi professionali, anche in vista delle audizioni per il corso di formazione per l’artista di circo contemporaneo 2026/2027. Durante l’Open Week sarà possibile da parte dei partecipanti prendere parte a laboratori multidisciplinari pratici sulle discipline circensi, partecipare a incontri formativi sulla struttura dei corsi e sulle prospettive professionali, e confrontarsi con gli allievi già in percorso. Si tratta di un’esperienza per approfondire la conoscenza dei requisiti richiesti, valutando le possibilità fisiche e creative sotto la guida degli esperti docenti della Scuola. Un’opportunità concreta per valutare se il sogno di diventare artista del circo contemporaneo possa trasformarsi in realtà frequentando i corsi professionali della Flic. La partecipazione all’Open Week non è vincolante per accedere alle audizioni di luglio, ma rappresenta una semplice occasione per fare una scelta consapevole. La quota partecipativa è di 50 euro, da versare entro il 6 febbraio 2026 in caso di selezione. Sono disponibili 30 posti e le candidature sono da presentare entro il 16 gennaio 2026, che verranno valutate secondo l’ordine cronologico di ricezione. Le audizioni 2026/2027 si svolgeranno presso la sede centrale di via Magenta 11, a Torino, dal 7 al 10 luglio 2026. La partecipazione è gratuita.

Info: info@flicscuolacirco.it

Mara Martellotta

HEROES: Un viaggio tra maschere, corpi e identità

 

Nella nuova creazione di Caterina Mochi Sismondi al Teatro Café Muller

“Ho creato in me varie personalità. Creo personalità costantemente. Ogni mio sogno si incarna immediatamente nell’attimo stesso in cui è sognato, in un’altra persona che comincia a sognarlo, una persona diversa da me”. – Fernando Pessoa

Queste parole di Fernando Pessoa sono il cuore pulsante di Heroes, nuova produzione della compagnia blucinQue diretta da Caterina Mochi Sismondi. Uno spettacolo che attraversa teatrodanza, performance contemporanea, musica dal vivo e tecniche circensi, per esplorare l’identità come territorio frammentato, instabile, in continuo mutamento.

In Heroes non esiste un’unità compatta del corpo o dell’io: esistono parti, zone, indizi, frammenti che suggeriscono qualcosa senza mai ricomporsi in una totalità definitiva. Il corpo diventa così un assemblaggio poetico, un insieme di sintagmi fisici e visivi, un luogo attraversato da metamorfosi continue. In scena, sei performer e una musicista dal vivo evocano un caleidoscopio di identità cangianti, attraversando mondi diversi e contrastanti. Ogni personaggio è ispirato a figure emblematiche della cultura pop, del cinema e della storia dell’arte performativa: David Bowie, cui lo spettacolo deve il titolo, il presentatore di Cabaret, i grandi clown storici come Grock e la famiglia Fratellini.

Non si tratta di citazioni illustrative, ma di presenze archetipiche, di immagini che emergono come fantasmi, attraversano il corpo dei performer e subito si trasformano. Le identità si sovrappongono, si incrinano, si moltiplicano, restituendo una galleria di personaggi sospesi tra comicità e dramma, tra leggerezza e vertigine, tra esposizione e nascondimento. Al centro di Heroes si colloca la figura contraddittoria del clown, inteso non come semplice personaggio, ma come agente di un movimento fisico che lascia un segno.

Il clown è colui che richiama e svela, attraverso la più piccola delle maschere, il naso rosso, una verità nascosta, fragile, spesso dolorosa. La creazione abbraccia il desiderio di svelarne le contraddizioni, di riconoscerne fragilità, difetti, paure, particolarità, senza nasconderli, ma trasformandoli in materia viva, in forza espressiva. Il clown diventa così una figura “fuori luogo”, specchio dell’essere umano contemporaneo, costretto a indossare maschere per sopravvivere e, allo stesso tempo, desideroso di liberarsene. Il lavoro si inserisce pienamente nel percorso artistico di blucinQue, mantenendo viva la commistione tra l’immanenza orizzontale della danza e del teatro e la verticalità delle tecniche circensi. Una ricerca che mette in dialogo terra e aria, peso e sospensione, caduta e slancio, in una costante tensione verso il disequilibrio.

Non esistono limiti imposti al corpo né allo spazio scenico: il movimento diventa atto di spiazzamento, il gesto fisico lascia una traccia, il corpo si espone come luogo di rischio e di rivelazione. Collocandosi volutamente “fuori luogo”, Heroes assume tonalità oniriche, sviluppandosi in quadri visivi di forte impatto emotivo, dove l’immagine non illustra ma suggerisce, non spiega ma apre possibilità. La composizione originale, eseguita dal vivo da Beatrice Zanin al violoncello ed elettronica, accompagna e attraversa l’intero dispositivo scenico. Il suono non è semplice accompagnamento, ma presenza drammaturgica, paesaggio emotivo che amplifica tensioni, fragilità e slittamenti identitari.

Corpo e suono si muovono insieme, creando un’esperienza immersiva che coinvolge lo spettatore in un viaggio sensoriale e poetico.

Heroes è un invito a riconoscere la divina irrealtà delle cose, a cercare frammenti di verità nelle pieghe del paradosso, a lasciar emergere un’identità più autentica e vibrante, celata dietro la finzione del travestimento. Uno spettacolo che, attraverso il corpo e il suono, esplora il confine tra identità e finzione, rendendo visibile la complessità dell’esistenza umana.

Mara Martellotta

Una di quelle figure femminili che hanno cambiato la storia del teatro

Tutte le feste in compagnia della “Locandiera” con Miriam Mesturino

Quindici anni di repliche, un successo firmato Torino Spettacoli, repliche torinesi e in giro per tutta Italia. L’avventura di Mirandolina, “La locandiera”, andata in scena al teatro Sant’Angelo di Venezia il 26 dicembre 1752, è stato detto essere “la più bella commedia di Carlo Goldoni” (più esplicito l’autore: “la più morale, la più utile, la più istruttiva”), una delle più divertenti anche, per i suoi caratteri e per l’intreccio, allegria di finissimo rango o ombre di malinconia che possono sorgere qua e là, è sufficiente che il metteur en scène privilegi questo o quell’aspetto, un panorama di disfacimento, nella sua lettura sociale, che può abbracciare una borghesia e una aristocrazia come il lungo potere della repubblica veneziana. Protagonista di questo allestimento – che vede la regia di Enrico Fasella – Miriam Mesturino, per questa eccellente prova divenuta accreditata interprete goldoniana, che ha per compagni Enrico Caratto e Alessandro Marrapodi, nonché Barbara Cinquatti, Maria Elvira Rao, Sebastiano Gavasso e Stefano Bianco, con la partecipazione di alcuni Germana Erba’s Talents.

Una locanda ereditata dal padre, in quel di Firenze (una sorta di parafulmine, un modo da parte dell’autore, di preservarsi dai fulmini dei suoi concittadini?), serva Mirandolina – vero carattere di esistenza teatrale, a tutto tondo, rappresentante eccellente di una meravigliosa riforma: alle sue spalle scompare ormai del tutto una certa Colombina – a riverire e ossequiare ogni cliente abbia a mettervi piede ma pure padrona efficiente e capace di tenere ognuno al proprio posto, moderna, oggi la diremmo donna-manager che guarda con attenzione alla rispettabilità e alla giusta economia della sua proprietà, estremamente realista e legata in ogni piega alle proprie aspirazioni e ai propri interessi, un giusto avvicendarsi di furbizia e di malizia; e poi un cameriere devoto e pieno d’affezione come altresì di gelosia, un nugolo d’avventori che fanno a gara per accaparrarsi le grazie della bella locandiera, tra tornaconti e ostentazioni: il Conte d’Albafiorita, parvenu che non bada a spese, il Marchese di Forlipopoli spocchioso visionario di una antica ricchezza e di una presenta quanto inutile nobiltà, il Cavaliere di Ripafratta altezzoso e misogino (il “disprezzator delle donne”, è ispirato al patrizio Giulio Rucellai, al quale la commedia è dedicata) ma più di ogni altro ingenuo – “il pover’uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l’arresta, e con uno svenimento l’atterra, lo precipita, l’avvilisce” -: a rappresentare in gesti e parole differenti tutti e tre il vuoto che circola nella società che essi rappresentano, parassiti, instabili, vacui, ormai ridicoli. Tre caratteri con diverse visioni del mondo e della vita, che mercanteggiano in protezioni e titoli, in momentanei compromessi o ingenui raggiri, che si pestano i piedi l’un l’altro, che tentano quel traguardo a cui sanno, più o meno consciamente, vista la strenua difesa della donna, che non potranno mai raggiungere, ogni cosa risolta in un matrimonio finale, non si sa quanto d’interesse e quanto di qualcosa che somigli a un amore certo ancora ben stretto a una ventata di libertà, a cui Mirandolina non vorrà mai rinunciare, ma pur con un happy end che già il pubblico dell’epoca era solito pretendere. “La locandiera” è anche il risvolto del teatro goldoniano, l’esposizione e la conferma di nuove leggi, la cancellazione della commedia dell’arte e delle sue maschere, è il trionfo della quotidianità e del vivere che realissimo si conduce tra campielli e rivi settecenteschi, non più canovaccio ma vitale rappresentazione di azioni e di comportamenti. Una commedia dell’arte che si sfalda anche nelle figure delle due commedianti, Ortensia e Dejanira, pronte a recitare su un palcoscenico ma corpose e solide fuori della scena.

Sottolineava Fasella nelle sue note di regia: “La storia di una donna che rifiuta Conti, Marchesi e Cavalieri, per impalmare Fabrizio, umile borghese quanto lei, al fine – neanche troppo dissimulato – di governare meglio la locanda, non può che essere una tipica allusione alla novità dei rapporti tra borghesia e nobiltà, nel particolare momento storico in cui l’intrigante vicenda si sviluppa. In MIrandolina, si visualizza, attraverso l’artificio scenico, quel mutamento che vede la borghesia conquistare maggior spazio a danno della nobiltà veneziana e non solo… L’immagine che Mirandolina mostra di sé, ammiccando con il pubblico e con la “storia”, zittisce ogni commento critico sul suo personaggio: la locandiera, più che onesta o crudele, più che infida o virtuosa, è un’efficiente donna d’affari, che pone la locanda al centro della sua vita e che al suo buon andamento subordinerà sempre, e oltre qualsiasi apparenza, ogni motteggio e ogni lusinga.” Recite al teatro Gioiello venerdì 26 ore 17, sabato 27 ore 21, domenica 28 ore 16, mercoledì 31 ore 21,30, venerdì 2 e sabato 3 ore 21, domenica 4 ore 16, martedì 6 ore 16.

Elio Rabbione

Nelle immagini, un momento della “Locandiera” e gli applausi del pubblico a Miriam Mesturino, Enrico Caratto e Alessandro Marrapodi.

Per il Concerto di Natale, sul podio dell’Orchestra Nazionale della Rai salirà Giulio Cilona

Martedì 23 dicembre, alle ore 20.30, presso l’Auditorium Rai di Torino, ci sarà una data unica e fuori abbonamento per il Concerto di Natale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Sul podio salirà Giulio Cilona, talentuosa bacchetta, non ancora trentenne, che sostituirà Ottavio Dantone, che non potrà esserci a causa di un’indisposizione. Il direttore d’orchestra siederà anche al clavicembalo nei brani che prevedono lo strumento, e torna alla guida dell’OSN per la terza volta in un anno. Cilena è attualmente “capellmeister” alla Deutsch Oper di Berlino, incarico che ricopre fin da giovanissimo. L’appuntamento natalizio è trasmesso in diretta su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. La serata si aprirà con cil Concerto in re maggiore per due trombe, archi e basso continuo RV 537 di Antonio Vivaldi, con protagoniste le prime trombe dell’OSN Rai Marco Braito e Roberto Rossi. Si tratta dell’unico Concerto per trombe scritto dal compositore veneziano, che torna sui leggii dell’Orchestra Rai dopo 45 anni. A seguire è proposta La Pastorale dall’Oratorio di Natale BWV 248 di J.S. Bach, uno dei più grandi capolavori dedicati alla nascita di Gesù. Di Mozart verrà eseguito il Mottetto in fa maggiore per soprano e orchestra “Ex sultate et jubilate” , con solista soprano Francesca Aspromonte, che sale per la prima volta sul palco dell’Auditorium Rai. Suddiviso in quattro movimenti, il brano fu composto nel 1773 per il cantante castrato Venanzio Rauzzini. A chiudere il programma la Sinfonia n.6 in fa maggiore op.68, detta Pastorale, di Beethoven, la più eccentrica ed enigmatica tra le sue sinfonie. Un quaderno di appunti conservati al British Museum di Londra, permette di gettare uno sguardo sul lavoro preparatorio alla Sinfonia, che fu elaborata tra il 1807 e il 1808. A margine del primo foglio del fascicolo, Beethoven scrisse “Sinfonia caratteristica”, aggettivo che nel ‘700 richiamava un insieme di aspetti peculiari dello stile e della forma di un brano musicale. Il concetto di “carattere”, in un’epoca influenzata dal Manierismo settecentesco, si riferiva in primo luogo all’espressione di un unico sentimento-affetto nell’arco dell’intera composizione. Nell’opera si usava definire “caratteristica” l’ouverture, legata al clima espressivo della scena. La Pastorale fu ultimata nel 1808 e diretta per la prima volta da Beethoven stesso, nel dicembre dello stesso anno, al Theater Anderwien di Vienna.

Biglietti per il concerto esauriti. Eventuali titoli soggetti a rinunce saranno rimessi in vendita un’ora prima dello spettacolo

biglietteria.osn@rai.it

Mara Martellotta

I concerti dell’Accademia di Sant’Uberto 

Giunge a conclusione il percorso con le Residenze Reali Sabaude, che l’Accademia di Sant’Uberto ha proposto nell’arco di quest’anno, con gli ultimi due appuntamenti nell’ambito della rassegna “Cerimoniale e Divertissement 2025-tempi e luoghi della musica”. Al castello della Mandria, sabato 27 dicembre, e alla Palazzina di Caccia di Stupinigi domenica 28 dicembre. La rassegna, promossa in collaborazione con le Residenze Reali Sabaude, dal 2006 accompagna i concerti che si tengono presso la Reggia di Venaria e le altre Residenze Reali Sabaude. Sabato 27 dicembre, alle ore 14.45, il Salone delle Feste del castello della Mandria ospiterà il concerto “Musica rinascimentale-tra divertimenti e danze”, con i musicisti della Reale Scuderia. Il programma è un viaggio affascinante attraverso il mondo sonoro del Rinascimento. Il concerto è a ingresso libero fino a esaurimento posti. Nell’ambito del concerto al castello della Mandria, si può viaggiare in un’ambientazione  rinascimentale proprio grazie alla musica. I brani scelti provengono dai manoscritti, raccolte e codici dell’Europa rinascimentale, eseguiti con copie fedeli degli strumenti dell’epoca, per restituire il colore, la morbidezza e l’energia di quel tempo. Dalle Paduane solenni alle Gagliarde vivaci, dalle Frottole cortigiane alle danze popolari e internazionali, il concerto offre un mosaico di stili e atmosfere che raccontano la vitalità del Rinascimento europeo.

Domenica 28 dicembre, alle ore 17, si terrà il concerto alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. L’ensemble À l’Antica proporrà cinque Triosonate di Bach, e dei suoi quattro figli più noti, offrendo uno sguardo privilegiato sulla vita musicale della famiglia Bach e sull’evoluzione di uno dei generi cameristici più importanti del Settecento. Le opere, scritte nell’arco di circa trent’anni, testimoniano una pratica musicale condivisa, nata in ambito domestico, ma capace di raggiungere anche il pubblico, e mostrano il passaggio dal contrappunto barocco allo stile classico, anticipando Haydn, Mozart e Beethoven.

L’Accademia di Sant’Uberto è nata nel 1996 come associazione Percorsi. Svolge la sua attività di studio e ricerca nell’ambito del Loisir di Corte, in particolare presso la Corte Sabaudia di Ancien Régime. Nel 1996 è stato creato l’equipaggio della Reggia di Venaria da cornice da caccia, per promuovere il recupero della Reggia di Venaria, all’epoca ancora in stato di abbandono, e nel 2002 il Gruppo di Ottoni della Reale Scuderia. Nel 2006 prendeva inizio la vera e propria attività concertistica di musica barocca. Dal 2016 è stato avviato il progetto “Barocco”, in collaborazione con il liceo classico-musicale Cavour di Torino, per la formazione  di giovani musicisti. I concerti vengono tenuti presso la Reggia di Venaria e la Palazzina di Caccia di Stupinigi, e altre Residenze Reali. Nel 2014, le comunità di Italia e Francia hanno annunciato, presso la Palazzina di Stupinigi, la decisione di avviare la candidatura UNESCO dell’arte musicale dei Suonatori di corno da caccia. Il processo di candidatura si è concluso nel dicembre 2020, con l’inserimento della pratica Patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO.

Mara Martellotta