SPETTACOLI

Onde di Terra conquista il Cinema Massimo

Supera gli 8 mila spettatori nella Granda

 

Onde di Terra, film con una distribuzione indipendente, supera gli ottomila spettatori nella Granda e conquista il pubblico al Cinema Massimo di Torino. La pellicola sui matrimoni combinati nella Langa degli anni Settanta, scritta e diretta da Andrea Icardi, ha ottenuto numerosi premi a livello italiano e internazionale e continua a registrare sold out ogni sera.

La prima proiezione torinese al noto cinema Massimo ha rappresentato un evento memorabile. La sala gremita ha accolto con entusiasmo il regista, il cast e il visionario imprenditore Renato Sevega, che ha investito nel progetto. Proprio durante un confronto post produzione tra il cast e il pubblico Sevega, CEO di Siscom, azienda leader nella produzione di software per la pubblica amministrazione, ha sottolineato quanto fosse importante raccontare, attraverso questa pellicola, le tradizioni di una società e di una terra che gli hanno dato tanto.

“Siamo partiti da un soggetto che riguardava la pallapugno. Andrea Icardi me lo ha portato e io per tre settimane non sono riuscito ad andare avanti nella lettura, non mi convinceva – ha raccontato l’imprenditore di Cervere- Allora Andrea ha cambiato la prospettiva, puntando la storia su un fenomeno singolare degli anni Settanta. Il 36% della popolazione era andato via dalle colline e i pochi uomini rimasti non trovavano donne con cui formare delle famiglie. Fu il periodo dei bacialé, i sensali di matrimoni, che mettevano in contatto gli uomini di Langa con donne del Meridione. Fu un periodo di incontri di culture diverse, di solitudini e di nuove visioni per quella terra. Finii di leggere la sceneggiatura in neanche due sere e dissi “Cominciamo!”.

La protagonista Erica Landolfi, visibilmente emozionata, ha dichiarato “ Questo film mi ha permesso di riscoprire, approfondire e ri-amare due autori fondamentali della terra di Langa, Beppe Fenoglio e Cesare Pavese. È stato un viaggio personale e artistico che mi ha arricchito profondamente”. L’attore Paolo Tibaldi ha anche elogiato l’attenzione al dettaglio nel processo creativo: “ Abbiamo svolto un lavoro filologico intenso per ricreare i dialoghi, utilizzando modi di dire e parole dell’epoca. È stata una sfida che ci ha permesso di restituire autenticità al racconto.

Il fotografo Lorenzo Gambarotta, che ha curato la fotografia ricercando in modo maniacale le ottiche degli anni Settanta, sottolinea: “Abbiamo cercato di ricreare quelle atmosfere, quelle luci, il ritmo della storia. 41giorni di riprese sono state condensate prima in 2 ore e mezza e poi nella versione definitiva di 1ora e 40 minuti.

Determinante per la narrazione e la dimensione poetica del film è stato il supporto della colonna sonora, composta dal maestro Enrico Sabena che, attraverso la scrittura e l’impiego degli strumenti, ha accompagnato l’evoluzione del film dalla dimensione intima iniziale, con l’utilizzo del solo pianoforte, al respiro corale e sociale della trama, con il coinvolgimento dell’Orchestra Sinfonica della Romania per l’esecuzione di alcune partiture. Una maestria riconosciuta anche dalla prestigiosa classifica della rivista Colonnesonore, che ha inserito quella di Onde di Terra tra le 100 migliori colonne sonore del 2024.

Il regista Andrea Icardi ha espresso gratitudine per tutti coloro che hanno reso possibile questa opera affermando:” Un grazie di cuore al cast, ai collaboratori e agli abitanti dei paesi in cui abbiamo girato. Senza il loro supporto sarebbe stato impossibile. Voglio menzionare un episodio che sintetizza bene questo spirito. Un abitante di Langa, inizialmente ritroso a farci girare nel suo campo, ha letteralmente ribaltato il suo trattore per aiutarci a girare in sicurezza una scena drammatica, e con costi esegui. È stata una dimostrazione straordinaria di generosità e dedizione”.

 

Mara Martellotta

 

Il romanzo della Bibbia con Aldo Cazzullo e Moni Ovadia

Sabato 25 gennaio, ore 21 Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

 

Con Aldo Cazzullo e Moni Ovadia il racconto teatrale che ripercorre gli episodi più significativi dell’Antico Testamento

 

 

“Il romanzo della Bibbia” è una storia narrata a due voci: Aldo Cazzullo racconta e Moni Ovadia lo accompagna con letture, interventi e canti e le musiche dal vivo, che spaziano dal sacro al contemporaneo, di Giovanna Famulari.

Il racconto tocca alcuni degli episodi e dei personaggi più noti dell’Antico Testamento: dalla Creazione a Sodoma e Gomorra, da Adamo ed Eva all’Arca di Noè, da Abramo fino alla profezia di Isaia che preannuncia e lascia intravedere l’arrivo del Messia. C’è una cosa che rimane sempre uguale: la trama. Il sugo di tutta la storia. Il romanzo della Bibbia. La grande vicenda degli uomini vissuti sotto lo sguardo di Dio, da Adamo fino ai nostri padri, le origini della nostra cultura. Sullo sfondo le spettacolari testimonianze che queste storie hanno lasciato nelle arti visive, vere fonti di ispirazione nei secoli dei più grandi artisti.

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Sabato 25 gennaio, ore 21

Aldo Cazzullo & Moni Ovadia

Il romanzo della Bibbia

Di Aldo Cazzullo e Moni Ovadia

Con le musiche dal vivo di Giovanna Famulari

Video: Elisa Savi

Disegni sulla sabbia: Gabriella Compagnone

Audio e luci: Stefano Dellepiane e Andrea Garibaldi

Biglietti: intero 22 euro, ridotto 20 euro

In collaborazione con Associazione Revejo

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

Come si lavora per allestire le grandi mostre: uno sguardo sul Museo Nazionale del Cinema di Torino

Guardare uno spazio e un tempo di Storia torinese nel suo interno, nelle sue componenti più intime, guardare chi li occupa quello spazio e quel tempo, chi vi lavora, chi fa e chi agisce. “Visioni e sfide”, nella sua presentazione al cinema Massimo, è allora sì un volo d’angelo, leggerissimo, su qualcuno degli avvenimenti che abitano nei programmi del Museo Nazionale del Cinema ma è sopratutto la conoscenza delle diverse aree di competenza e di lavoro che sono alla base della quotidianità di quegli uffici. Bella invenzione, che credo mai prima abbia visto la luce, che certo non cancella il prodotto, ovvero la mostra o la rassegna, ma lo anticipa nell’impegno della preparazione, dei contatti, della ricerca di sponsor, degli allestimenti, delle maestranze che lo abitano. Un assunto “tanto semplice quanto spesso trascurato”, sottolinea il direttore Carlo Chatrian, perché “un museo, prima di essere un luogo in cui vengono preservati, esposti e raccontati oggetti, è un insieme di persone”. Nulla di fortemente trionfalistico ma il confronto con le tante competenze maturate nel corso degli anni dalle persone, “a fornire la base su cui poi s’innestano gli eventi e le attività”. Un viaggio dietro le quinte quindi (e sarà quanto prima il direttore stesso a condurre, mensilmente, in visite guidate quanti lo vorranno per scoprire un luogo che l’intero mondo ci invidia e le sue mostre, “io ho lavorato in molte occasioni all’estero, e una realtà come il Museo del Cinema di Torino non esiste al mondo”) che non inverte soltanto le prospettive ma mostra le complessità, frugando per una volta tra quelle “aree che hanno poco da comunicare in termini di appeal ma senza di queste l’istituzione non esisterebbe”. Non un castello arroccato da qualche parte imprecisata, capace soltanto “di attirare turisti a suon di colpi d’artificio”, ma una realtà concreta e un segno – simbolico e tangibile al tempo stesso – della volontà di fare cultura da parte di “una istituzione che si sente parte di una comunità”.

Nove sezioni che sono l’anima lavorativa del Museo, nove responsabili a esporre in un susseguirsi di slide le strade da perseguire, numeri e idee, procedure e svolgimenti, dovuto omaggio anche all’ottantina di persone che vi lavorano, quote rosa più che altamente rispettate. Il Coordinamento generale in primo luogo, affidato nelle mani di Daniele Tinti, che guarda alle varie sedi in cui si divide il Museo, nelle più differenti parti di Torino e cintura, alle stesure dei contratti, alle acquisizioni di beni e servizi, alle procedure d’appalto, alla necessità di avvicinare al centro la Bibliomediateca “Mario Gromo” in modo da renderla più comodamente fruibile o di avere una nuova location per gli uffici della Fondazione, come quella del rifacimento del giardino all’esterno della Mole in modo da essere più comodo al flusso delle entrate e delle uscite dei visitatori, o di individuare la nuova sede della manifestoteca, che oggi occupa il caveau ex Unicredit di via Nizza – ultimo nato, con l’Asta Bolaffi dell’ottobre ’24, per una cifra di 37.500 euro, il rarissimo manifesto della “Corazzata Potëmkin” realizzato a Alksandr Rodčenko che fu pittore, fotografo e grafico, fra i principali artisti dell’Avanguardia russa, acquisizione che verrà esposta nell’ambito di un evento espositivo programmato nel corso del 2025, che segna i cent’anni del capolavoro di Sergej Ėjzenštejn.

Un’Amministrazione a gestire i circa 18 milioni di euro che sono il budget della Fondazione, con un 23% della spesa relativo al personale dipendente o il 19% che riporta alle prestazione di servizi, mentre tra gli altri, sul versante dei ricavi s’allineano gli ingressi alla Mole e al cinema Massimo e ai Festival, le sponsorizzazioni e gli affitti, non dimenticando i contributi dei Soci, del Ministero della Cultura e dell’Unione Europea. Claudia Gianetto guida l’Area Mole che comprende 12 dipendenti, suddivisa in “Servizi educativi”, “Servizi tecnici” e “Organizzazione mostre”, mettendo sul tavolo otto manifestazioni (suddivise tra la Sala del Tempio, la sala dell’accoglienza e la cancellata esterna) per l’anno in corso. Non soltanto l’attesissima “The Art of James Cameron” (dal 26 febbraio al 16 giugno) o la mostra dedicata a Donato Sansone, a partire dal 7 aprile: organizzata da Cinemovel in collaborazione con il Museo e il Comune di Settimo, dal 27 marzo presso l’Ecomuseo di Settimo, sarà visitabile la mostra fotografica “Una carovana per ‘Io capitano’”, dedicata al tour che l’ultimo film di Matteo Garrone ha fatto in Senegal, nei luoghi dove il film è stato girato.

Senza togliere nulla ai colleghi, porremmo l’Area Patrimoni guidata da Stefano Boni al primo posto su una personalissima scala dei valori. Venti persone coinvolte nella preservazione, restauro e valorizzazione di tutte le collezioni del Museo, alle radici quella della fondatrice Maria Adriana Prolo che negli anni s’è arricchita di lasciti e di acquisizioni per un totale di oltre tre milioni di opere (“i negativi? sono come i fagioli della Carrà, un giorno o l’altro riusciremo a sapere quanti sono esattamente”), con depositi dislocati in varie sedi laddove “la recente locazione di due nuovi depositi per la cineteca e il settore apparecchi risolverà solo in parte il problema ma permetterà un maggiore agio nello stoccaggio e messa a disposizione per ricercatori delle nostre collezioni”. Importante il settore del restauro: in occasione di una personale dedicata a Carlo Lizzani alla Cinémathèque française è prevista la digitalizzazione di “Esterina”, del 1959, in collaborazione con la Cineteca Nazionale, lavoro che ci permetterà di rigustare al meglio i volti di Carla Gravina e di un Domenico Modugno all’epoca trentenne.

Grazia Paganelli illustra quell’area Cinema (“che è veicolazione di contenuti ed espressione del nostro amore per il cinema”) che comprende la programmazione del Massimo, le sale 1 e 2 per i film in prima visione, la 3 per i film classici restaurati, gli omaggi a registi alle rassegne tematiche e alle collaborazioni con altre associazioni o realtà locali (con la GAM ci sarà venerdì 24 la presentazione del film documentario “Mary Heilmann: Waves, Roads & Hallucinations” che accompagna la mostra dell’artista attualmente nelle sale di via Magenta). Collaborazioni di grande prestigio, come quella con la Biennale veneziana a riproporre i tanti Leone d’oro, ad iniziare il 3 febbraio da “Rashomon” (1950) di Akira Kurosawa, con la presentazione di Carlo Chatrian e Alberto Barbera (secondo titolo in rassegna, 17 febbraio, “Ordet” di Carl Theodor Dreyer), o i nove titoli che andranno a formare la rassegna di Amir Naderi, regista iraniano tra i più importanti della sua ultima generazione, un percorso articolato che inizia nel suo paese poco più di cinquant’anni fa, dopo un’infanzia di strada e dopo aver lavorato per anni come fotografo di scena e assistente alla regia, e la decisione di abbandonare tutto per raggiungere gli Stati Uniti e coltivare nuovamente la propria visione di cinema. Naderi è in Italia per la preparazione di un nuovo film e il 25 gennaio sarà al Massimo per la presentazione di “Monte” (2016) che dà inizio all’omaggio (sino al 31). Il Massimo che anche quest’anno sarà l’involucro principale dei festival cinematografici torinesi: l’area è guidata da Piero Valetto, la 40a edizione del Lovers Film Festival dal 10 al 17 aprile con Vladimir Luxuria in scadenza alla direzione, la 28a edizione del CinemAmbiente dal 5 al 10 giugno e per il secondo anno guidato da Lia Furxhi, la 43a edizione del Torino Film Festival dal 21 al 23 novembre, per il secondo anno sotto la direzione artistica di Giulio Base (già in scadenza? o riconfermabile per il lavoro svolto e per quell’aria di glamour portata sotto la Mole?).

Conta cinque dipendenti il TorinoFilmLab, tutte donne tiene a precisare Mercedes Fernandez che lo dirige, un laboratorio che spazia nel settore audiovisivo internazionale, includendo tra l’altro 13 attività di formazione e sviluppo sia per film che per serie tv, 2 fondi per la coproduzione e la distribuzione e una community formata da 2400 membri in 101 paesi diversi. Con cifre di completo rispetto se si pensa che il 17 anni il TFL ha supportato lo sviluppo di oltre 800 progetti di cui 220 già realizzati e ha assegnato 6.907.000 euro, a cui s’aggiungono fondi per altri 496.00 euro stanziati da realtà partner. Idee e aiuti che guardando soltanto al tempo recente si sono concretizzati nell’enorme successo di “Vermiglio” du Maura Delpero, Leone d’Argento a Venezia e già nella shortlist come rappresentante italiano agli Oscar; come successo e premi sono andati ad “Albatros” di Wannes Destoop, progetto per una serie tv del 2018 e lanciato due anni dopo, insignita del Prix Europa Miglior Fiction TV Series Europea 2021, cui ha fatto seguito “Holy Rosita”, miglior film all’ultimo TFF. Un eccezionale “incubatore di talenti”, definisce Fernandez il suo settore, un immancabile lavoro di squadra che dà i propri frutti anche alla Berlinale in febbraio dove “Little Trouble Girls” della slovena Ursula Djukic aprirà la nuova sezione “Perspectives”, seguito da “The Settlement” di Mohamed Rashad e da “Houses”, nella sezione “Forum” con 30 film da cinque continenti, lungometraggio scritto e diretto da Veronica Tetelbaum, nel 2019 alunna del FeatureLab.

Elio Rabbione

Nelle immagini: il manifesto della “Corazzata Potëmkin”, nuova acquisizione del Museo Nazionale del Cinema di Torino; il volto di Amin Haderi e una scena tratta dal suo “Harmonica” (Iran, 1973) in programmazione al Massimo il 27 e 28 gennaio; una scena di “Little Trouble Girls” della slovena Ursula Djukic, pronto per la Berlinale.

Un mito antico attraverso le strade di Torino

The Opera – Arie per un’eclissi”, registi Davide Livermore e Paolo Gep Cucco

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Ama l’opera lirica, ama il teatro, adesso il cinema lo pensa – con ricchezza di idee, di mezzi e di compagni di strada – e lo fa. Caso certamente unico – il raro è davvero del tutto inesistente -, a lui la Scala ha in epoca recente affidato l’inaugurazione della propria stagione per quattro anni consecutivi, con passione e per passione cura le sorti da sempre del Baretti torinese, per due anni ha assunto la direzione del Palau de les Arts Reina Sofia a Valencia per andarsene di brutto quando l’amministrazione comunale gli ha negato un sostegno, si è ribaltato su Genova del cui Teatro Nazionale è direttore dal 2020.

Cinema, che passione! allora e Davide Livermore, con la immaginifica collaborazione di Paolo Gep Cucco (ideatore e regista di manifestazioni, ha curato progetti video per Tiziano Ferro, è stato responsabile dei tour di Cremonini e Mengoni, per il mai troppo lodato “A riveder le stelle”, spettacolo televisivo che ha sostituito complice la pandemia la prima della Scala anno 2020, ha raggiunto il 14% di share che contato sulle dita sta ad arrivare a 2 milioni e 600.00 spettatori soltanto in Italia), afferra le “Metamorfosi” di Ovidio, innaffia il mito di Orfeo ed Euridice (le voci e i volti sono quelli di Valentino Buzza e Mariam Battistelli, tenore e soprano d’eccezione) con un Monteverdi e un Gluck d’annata, allarga il suo sguardo di raffinato melomane tutt’intorno e con validi quanto sonorissimi esempi musicali dà vita a “The Opera – Arie per un’eclissi”, ovvero viaggio agli inferi – presto hotel Hades a cinque stelle raccomandato dal tristo proprietario Pluto, il basso Erwin Schrott – e ritorno per la bella ninfa che nella allegria di un gioco venne morsa da una serpe e mandata laggiù salvo che poi il suo inguaribile innamorato non tentasse con ogni forza di riportarla in terra. Così il mito caro agli antichi, considerato qui con lo sguardo e la quotidianità di vita e di morte rivisti con gli occhi di oggi, quello sguardo verso un mondo infetto dove uno sparo improvviso, dove la pallottola di una P38 colpisce il cuore di Euridice, in un supermercato, il carrello e la spesa rovesciati a terra. In una piazza di sapore e di ampiezze dechirichiane, dove trovano richiami a Nervi e Mollino, già attende Caronte con le sembianze di un Vincent Cassel disincantato che guida vecchi autobus e taxi sulle acque dell’Acheronte, che sbarca lo sposo infelice tra le grinfie di Proserpina (una flautata Fanny Ardant posata nel buio di quel luogo dal cielo immenso della Tour Eiffel) e di una concierge (Caterina Murino, bravissima), più guardia carceraria che dedita all’accoglienza. Come pure l’almodovariana Rossy De Palma, tra un cruciverba e una stirata in tintoria a sostenere confronti tra Vivaldi e Händel, e la visione da parte di Orfeo dei suoi genitori, una madre (Angela Finocchiaro) su un letto d’ospedale e un padre in canottiera che in una cucina anni Sessanta confessa quel rapporto padre e figlio che non c’è mai stato. Tra i corridoi del Regio torinese e i ruderi di una Parigi semisommersa, in mezzo a teatri da futuribile scavo archeologico, nello spazio della hall dove viaggiano valige e camerieri ballerini a cui Daniel Ezralow ha dato la sua benedizione, s’avventura la vicenda e il suo immancabile e funesto ritorno: mentre tutt’intorno s’inseguono arie, sotto la direzione di Plàcido Domingo e Fabio Biondi, con tantissimo Puccini e un po’ di Verdi (brindisi lieto e la donna ch’è mobile), Ravel e Bizet e Bellini con i numi citati sopra e ancora e ancora molti sino a lambire i Frankie Goes to Hollywood, dove alle altezze di quelle note serpeggiano molteplici quanto modernissimi sound design elettronici.

La consacrazione della “storia di tutte le storie”, la storia dei due infelici amanti e del fato crudele, un giardino fiorito che scenograficamente e fotograficamente accompagna il viaggio al di là della morte con l’espressione completa di ogni perfezione. Non più un’opera per palati legati con nastri forti alla tradizione, ma l’esperimento condotto in punta di cervello, una girandola di invenzioni e di suggestioni, una prova raccomandabile di opera-musical (un vero peccato che la visione sugli schermi abbia avuto tempi estremamente ridotti), una strada avvincente “dove la parola, l’opera, il pop, la moda e le arti visive si fondono”: una visione contemporanea a cui hanno contribuito gli apporti di Dolce&Gabbana e l’alta tecnologia del virtual set allestito presso i Prodea Led Studios di Torino. “Questo film porta il carattere dell’opera a un nuovo livello, straordinariamente moderno e al tempo stesso assolutamente antico”: capace di incrociare come due vasi comunicanti, senza tentennamenti, gli appassionati della settima arte e quanti si stringono al cuore un’arte più antica, calate entrambe in una narrazione senza slabbrature, in un tempo-non tempo sospeso e coinvolgente, all’interno di una classicità e di un oggi che viaggia per le strade di Torino, dove si può parlare comodamente di “ibrido” senza che quel termine, in troppi momenti delle nostre giornate, cominci a far rizzare i capelli sulle nostre teste.

Il Museo del Cinema omaggia la storia della Mostra di Venezia

 

 

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino rende omaggio alla storia straordinaria della Mostra Internazionale di Arte cinematografica della Biennale di Venezia con i Leoni di Venezia, ripercorrendo i film vincitori delle edizioni del festival più antico del mondo.

Con la collaborazione dell’archivio Storico della Biennale, il Cinema Massimo 3 proiettori due film che hanno ricevuto il Leone d’Oro. Il primo appuntamento è per lunedì 3 febbraio 2025, alle ore 20.30, al Cinema Massimo, con Rashomon di Akira Kurosawa, premiato nel 1951. A presentare la rassegnare e introdurre il film ci saranno Carlo Chatrian e Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia.

“Come Museo Nazionale del Cinema ci sembrava giusto omaggiare il festival più antico del mondo e il ruolo fondamentale che ha avuto e ha nel promuovere la settima arte – sottolinea Enzo Ghigo, Presidente del Museo Nazionale del Cinema – l’idea di presentare i film vincitori nasce dalla convinzione che, in quanto testimoni esemplari del loro tempo, raccontano l’evoluzione del cinema e del festival che l’ha ospitati. Siamo molto grati alla Biennale di Venezia per aver accettato il nostro invito a condividere la sua storia, preziosi in quanto capaci di intercettare per tempo le tendenze del futuro e che hanno lasciato tracce nel presente”.

“Siamo felici di accogliere la proposta del Museo Nazionale del Cinema di celebrare la straordinaria avventura dei Leoni d’Oro della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, molti dei quali sono pietre miliari della storia del cinema mondiale, quindi del nostro immaginario – dichiara Pietrangelo Buttafuoco, Presidente della Biennale di Venezia – Siamo certi che anche grazie alla collaborazione del nostro Archivio Storico il Museo Nazionale del Cinema appronterà una bellissima rassegna che offrirà, con una rilettura unica, una nuova occasione di riflettere sui classici riconosciuti e di gettare la giusta luce sui capolavori meno noti”.

Il Leone d’Oro della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia è considerato uno dei riconoscimenti più prestigiosi al mondo, e ha premiato film che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del cinema, grazie alla lungimiranza delle giurie dei direttori artistici che si sono avvicendati negli anni, e al fatto che la mostra faccia parte della Biennale. Nella sua storia quasi centenaria, il Leone d’Oro è diventato qualcosa di più di un premio, ma un vero e proprio simbolo della stagione e, di volta in volta, è andato a film che hanno anticipato i tempi e certificato mode, che sono diventati pietre miliari della storia del cinema. Innovazione, coraggio e qualità artistica sono tratto distintivi della programmazione della mostra, che spesso ha contribuito alla nascita dei grandi autori, dando all’universo cinematografico ogni volta un nuovo stimolo e nuovi elementi di riflessione.

Il secondo appuntamento del mese sarà il 17 febbraio 2025, alle 20.30, presso il Cinema Massimo 3, con la proiezione di Ordet- La Parola, del 1954, di Carl Theodor Dreyer, premiato nel 1955.

 

Mara Martellotta

 

A Dogliani torna il Festival della Tv

www.festivaldellatv.it

dal 23 al 25 maggio 2025

RITROVARSI
è il tema della quattordicesima edizione

Il borgo di Dogliani, nel cuore delle Langhe, torna a essere il palcoscenico privilegiato per uno degli eventi più attesi della primavera: il Festival della TV. Dal 23 al 25 maggio 2025, le piazze, il cinema-teatro e gli spazi del centro ospiteranno la quattordicesima edizione con tre giornate dedicate al mondo della televisione, del giornalismo e dei media in un programma ricco di incontri, dibattiti e spettacoli.

ll tema scelto per questa edizione, “Ritrovarsi”, nasce dall’urgenza di riscoprire il valore della connessione reale in un’epoca in cui le tecnologie digitali sembrano aver amplificato, anziché ridotto, il nostro isolamento. “Ritrovarsi” significa mettere al centro il dialogo autentico, la comunità fisica, e il bisogno di una narrazione più profonda e consapevole, capace di andare oltre la superficialità e la velocità che dominano il racconto contemporaneo.

Viviamo tempi contradditori. Mai come prima siamo interconnessi, possiamo comunicare tra noi ad una velocità impensabile solo pochi anni fa, condividere momenti, luoghi, emozioni. Abbiamo costruito strumenti eccezionali per stare sempre insieme, inventato piattaforme che, nel nome stesso, hanno la dimensione della socialità come presupposto e ci permettono di partecipare alla vita altrui e rendere partecipi gli altri della nostra. Tutto straordinario in apparenza, la cura definitiva alla solitudine. Eppure. Sembra che, di questi meravigliosi giocattoli, quasi nessuno di noi conosca davvero le istruzioni d’uso. Queste praterie infinite di socialità apparente, troppo spesso, sembrano avere paradossalmente acuito il nostro individualismo, il nostro isolamento, contribuendo a costruire degli avatar di noi stessi, o di come vorremmo apparire, ad uso e consumo di una platea virtuale di altri avatar. È tempo di recuperare il senso della realtà. Ribaltare la scala dei valori, rimettendo al centro la comunità reale rispetto a quella virtuale. Vivere queste opportunità tecnologiche come strumenti per incidere ancora meglio sulla realtà, e non ridursi, noi, a strumenti di una tecnologia che prenda il sopravvento sulle nostre vite. C’è bisogno di vita vera, di contatto fisico, di contradditorio. C’è bisogno di ritrovare una profondità che si sta perdendo nel racconto e nell’informazione, oggi il più delle volte sopraffatta dalla superficialità e dalla velocità, che ne è spesso la premessa. Abbiamo l’opportunità di vivere tempi tecnologicamente straordinari e destinati ad evolvere, in maniera ancora più dirompente, verso scenari che richiederanno una consapevolezza sempre più forte, proviamo a non sprecare questa opportunità. 

Il Festival della TV, organizzato da IL Idee al Lavoro con la direzione artistica di Federica Mariani, la direzione organizzativa di Simona Arpellino e quella tecnica di Mauro Tunis, si conferma come un punto di riferimento per comprendere le evoluzioni e i cambiamenti di un settore in continua trasformazione. Non solo una celebrazione dei protagonisti e dei successi della televisione, ma anche l’occasione di riflettere sulle sue sfide attuali, sull’impatto sociale e culturale che genera e sul ruolo fondamentale che continua a rivestire nell’era digitale.

Per l’edizione 2025 la manifestazione si rinnova con una proposta ancora più ampia e articolata. Sul palco saliranno i volti più amati del piccolo schermo, insieme a giornalisti, autori, registi e nuove voci che stanno plasmando il futuro della narrazione mediatica. Al centro del Festival temi attualissimi: dalla televisione come strumento di informazione e intrattenimento al rapporto con i social media, fino alle sfide legate alla pluralità e alla qualità dei contenuti.

Dogliani, con il suo fascino unico, si trasformerà ancora una volta in un laboratorio a cielo aperto dove il dialogo tra protagonisti e pubblico sarà motore di un appuntamento fatto di incontri straordinari, dialoghi sorprendenti e occasioni speciali. Tra le strade del borgo si intrecceranno storie, esperienze e visioni in un’atmosfera di condivisione e scoperta. La magia del Festival non si limiterà solo agli incontri ufficiali: da sempre la tre giorni di Dogliani è un’occasione per vivere appieno la bellezza delle Langhe tra cultura, enogastronomia e un’accoglienza calorosa, un’esperienza in cui il racconto della televisione si intreccia con le storie dei suoi protagonisti e quelle di un pubblico sempre più consapevole e curioso.

Il Piccolo Teatro Comico presenta il monologo di Stefano Gorno “Live show 2.0”

Venerdì 24 gennaio, alle ore 21, il Piccolo Teatro Comico porta in scena Stefano Gorno in “Live show 2.0”. Lo spettacolo avrà luogo in via Mombarcaro 99/b a Torino, in zona Santa Rita, e rappresenta il decimo appuntamento della stagione di un teatro il cui tema, quest’anno, è “Punti di vista – incontro”. Il “Live show 2.0″ rappresenta una stand up comedy e traccia il contesto di un uomo con i cinquant’anni in arrivo, la fine del mondo dietro l’angolo, il pericolo della famiglia tradizionale, i falsi idoli, la nuova vita in un nuovo appartamento, la solitudine, l’intelligenza artificiale. Sembra non ci sia niente da ridere, ma non è così.

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Dena Derose e i Meganoidi

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Magazzino di Gilgamesh suona Max Altieri & Friends.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena il trio Paolo Porta 3. Al Blah Blah si esibiscono i Traitrs+ Secret Folder.

Giovedì. Alla Divina Commedia sono di scena i DAG. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Selton. All’Off Topic si esibiscono i Viito. Al Blah Blah suonano gli Electric Wires. Al Cafè Neruda si esibisce il trio di Alberto Marsico.

Venerdì. Al Folk Club è di scena Dena Derose. Al Blah Blah suonano i Meganoidi. Al Magazzino di Gilgamesh è di scena Giulia Impache. Alla Divina Commedia suonano i Noi Duri 2.0. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Whitemary. Al Circolo Sud suona Skulla.

Sabato. Al Blah Blah sono di scena Let Them Fall & No More Extasy. Alla Divina Commedia si esibiscono i Dogma. Al Circolo Sud  suona Roncea.

Domenica. Al Blah Blah è di scena la The Andy Mcfarlane Two Man Orchestra.

Pier Luigi Fuggetta

“Il gioco delle ombre” di Palcoscenico Danza

La rassegna diretta da Paolo Mohovic, un progetto del TPE Teatro Astra dal 2015

 

Torna Palcoscenico Danza, la rassegna diretta da Paolo Mohovich, dal 2015 progetto del TPE Teatro Astra. I sette appuntamenti con la danza punteggiano gli spettacoli di prosa proposti dal TPE con cinque prime nazionali e tante proposte portate in scena da eccellenze della coreografia contemporanea nazionale e internazionale e da talenti emergenti.

La Stagione 2024/25 del TPE Teatro Astra si intitola Fantasmi ed è dedicata al nostro rapporto con la verità. Anche quest’anno Palcoscenico Danza trova l’aggancio tematico: “Il gioco delle ombre” è il titolo di questa edizione che vede alternarsi sul palcoscenico, tramite il potente mezzo del movimento corporeo, le ombre che risiedono dentro l’individuo, quelle che si manifestano, quelle che esistono o non esistono.

Si parte il 21 gennaio al Teatro Astra con un trittico, “Duo d’Eden”, “Grosse Fugue” e “Elegia”, messo in scena dalla MM Contemporary Dance Company. Un Adamo ed Eva immersi in un percorso di sensualità, eros, difesa, attacco, in un mondo non così sicuro e idilliaco. Quattro donne corrono, si accasciano, si risollevano in un turbine vitale e frenetico sulle note di Ludwig van Beethoven. “Duo d’Eden” e “Grosse Fugue” sono i due capolavori della coreografa francese Maguy Marin, Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia. Per “Grosse Fugue” la compagnia ha ricevuto il premi Danza&Danza 2024 per la Valorizzazione del repertorio. Elegia di Enrico Morelli è un invito alla cura, un viaggio onirico per ritrovare il proprio essere fragile e insicuro; la musica lascia anche spazio alle parole tratte dalle poesie di Mariangela Gualtieri. I tre lavori sono interpretati dai danzatori della MM Contemporary Dance Company.

Si prosegue con una prima nazionale della compagnia spagnola Led Silhouette. I fondatori e direttori, Martxel Rodriguez e Jon López, portano in scena “Los Perros”, al Teatro Astra il 24 e 25 gennaio. Si tratta di una coreografia di Marcos Morau, con il suo stile inconfondibile anche oggetto della Masterclass di Palcoscenico Danza organizzata il 25 gennaio, in collaborazione con Eko Dance Project.

Il 7 e 8 febbraio va in scena al Teatro Astra un’altra prima nazionale: Nyko Piscopo con la compagnia Cornelia propone una sua personalissima versione del celebre balletto Giselle, che per l’occasione diventa GISELLƎ, in cui il tema centrale resta l’amore, ma reinterpretato oltre il genere e il pregiudizio. I danzatori e le danzatrici della compagnia Cornelia ballano tra reale e virtuale questo capolavoro intramontabile che trova qui una nuova narrazione e dimensione contemporanea anche grazie alle musiche rielaborate dal compositore Luca Canciello.

Il Teatro dell’Altro, in collaborazione con Eko Dance Project, porta al Teatro Astra il 15 febbraio “Au revoir Moroir”, la nuova coreografia di Paolo Mohovich in prima nazionale che, con la drammaturgia di Cosimo Morleo e la musica originale di Max Fuschetto, mostra sul palcoscenico sette danzatori e cinque attori che lavorano sull’osservazione del proprio riflesso come origine di un viaggio di conoscenza. Si conferma anche quest’anno la collaborazione con il festival Interplay: Daniele Ninarello presenta “I offer myself to you”, la cui danza gode della collaborazione, tramite immagini, suoni, istruzioni e tracce, di Cristina Donà, Elena Giannotti e Alessandro Sciarroni. L’appuntamento è in collaborazione con Lavanderia a Vapore di Collegno, centro di residenza per la danza.

Il 4 marzo va in scena “Behind the light”, scritto e interpretato da Cristiana Morganti, alla cui regia ha collaborato Gloria Paris, con il disegno luci di Laurent P. Berger e con i video creati da Connie Prantera. Lo spettacolo è fortemente autobiografico, racconta di una crisi familiare, professionale e intima, con una sequela di eventi con il tipico effetto domino, in cui una disgrazia pare chiamarne un’altra e in cui sembra venga meno ogni singolo punto di riferimento.

Informazioni e prenotazioni sul sito TPE Teatro Astra

Telefono: 011 5119409

 

Mara Martellotta

Un grande Alessandro Haber nelle nevrosi di Zeno Cosini

La coscienza” al Carignano sino a domenica 19 gennaio

Ettore Schmitz iniziò a scrivere “La coscienza di Zeno” nel 1919 e lo diede alle stampe, a spese proprie, nella primavera del ’23, dopo che l’editore Cappelli ebbe affidato al suo redattore di fiducia, Attilio Frescura, la revisione del romanzo su cui esprimeva le proprie riserve linguistiche e non soltanto. Un successo poi ma un successo un po’ sbiadito e sudato (“occorreva riscriverlo tutto”, gli scriverà Frescura), con recensioni affatto soddisfacenti, deludenti per il borghese ebreo triestino se non fosse arrivata l’amicizia e l’apprezzamento di Joyce, se non ci avessero pensato i francesi a fare di Svevo “le premier romancier d’analyse qu’ait produit l’Italie”. Insomma erano in pochi a filarselo da noi, nella critica e tra i comuni lettori, se ancora un vecchio compagno d’ufficio – come c’insegna Claudio Magris nel bel volumetto che accompagna, ricco di vari interventi, la riduzione del romanzo in scena al Carignano sino a domenica prossima per la stagione dello Stabile torinese -, venuto a sapere che aveva scritto dei romanzi, aveva esclamato: “Chi, quel mona de Schmitz?”. In Italia sarebbe in seguito arrivato Eugenio Montale a scoprire tutta la grandezza di Italo Svevo, con tutto quel diritto che pretendeva, e sappiamo bene quanta sia stata la strada percorsa.

Bene ha fatto il Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia a riproporre quel romanzo, nella scorsa stagione e poi una lunga tournée, nel ricordarne il centenario della pubblicazione, l’adattamento nuovissimo è di Paolo Valerio (anche regista illuminato) e Monica Codena, a dare una veste nel nuovo millennio a una figura caposaldo della letteratura italiana dopo che nei decenni ormai lontani un grande Tullio Kezich e altri avevano affidato il ruolo a Lionello, Montagnani, Bosetti, Pambieri, Dorelli, tra le tavole del palcoscenico e lo schermo televisivo. Oggi, qui, Zeno Cosini è Alessandro Haber, una grande poltrona ad accoglierlo, il bastone in una mano, l’abito grigio a conclamarne il grigiore di spirito e di vita (con il perenne spegnersi dell’esistenza il grigio accompagna tutti i costumi, accompagna la cornice fatta di ampi tendaggi a delimitare il chiuso di una casa, di un salotto dove sono immaginati volumi e quadri di famiglia, dove un ampio spazio tondo riflette visi e panorami triestini, la luna e il luccicare del mare, una scatola chiusa dove crescono nevrosi, dove è impossibile sentirsi in sintonia con il mondo: ogni cosa dovuta all’estro di Marta Crisolini Malatesta) e il personaggio ne esce fuori con un disincanto, con una proprietà di gesti lasciati perdersi nell’aria – certi giochi delle mani da imprimersi nella memoria accompagnano le parole e non pochi silenzi -, con una ironia e una precisa contraddittorietà che intelligentemente lo ingigantiscono e lo trasmettono appieno a chi guarda. Attraverso il sipario ancora chiuso inizia ad arrivarci un grande occhio – l’acceso indagare di quello che per Zeno è il dottor S. che rimanda alle teorie del viennese Sigmund -, poi tutto con estrema e tangibile leggerezza si concretizza, come leggeri sono quei movimenti coreografici (dovuti a Monica Codena) che tutti gli altri personaggi intonano, in uno spazio che s’alleggerisce o si riempie di sedie – che possono anche diventare letti di morte – e di presenze ininterrotte, come fantasmi che ritornano a guidare, a sopportare, a intessere rapporti continuamente deboli o sbagliati. La cena col padre con cui intellettualmente non c’è nulla di comune, le visite in casa Malfenti e la irrisa seduta spiritica, l’innamoramento per Ada e il ripiego su Augusta in seguito tradita con la giovane Carla pronta a trarre profitto dalla relazione mentre guarda già altrove, i rapporti con il suocero e con lo sfortunato quanto inconcludente cognato Guido, un rapporto di amore e odio, un appoggio nell’economia dell’ufficio e un abbandono (“Egli mancava di tutte le qualità per conquistare od anche solo per tenere la ricchezza”), una girandola di proponimenti e di U.S. che stanno a significare “ultima sigaretta”, il recupero di una salute che si travestirà da “inguaribile malattia”, sino allo scorcio finale che s’allinea con le pagine del romanzo, a guardare avanti ai misfatti del mondo, tra gas velenosi ed “esplosivi incomparabili”, più potenti, più feroci, dove quelli già a disposizione messi a confronto parranno degli “innocui giocattolini”, dove la terra tornerà ad essere una nebulosa che “errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.

Nell’attraversare gli otto capitoli del romanzo, Valerio mette ordine a quel continuo intersecarsi di passato e di presente che è stato dell’autore, ponendo un filo di temporale logicità, di narrazione ordinata. Creando altresì nella elasticità del racconto la figura di un Cosini giovane, che commenta e che (ri)vive, immerso nelle proprie avventure, mentre il grande vecchio fumatore rimane a guardare o impone la sua stessa parola quando il fatto del momento più gli sta a cuore. Avventurandosi ancora ben oltre, come in un gioco di matrioske o in inaspettato cappello a cilindro, corporizzando da dietro le quinte un altro “attore”, definito tout court “il mio suggeritore”, in uno straniante esperimento teatrale neppure uscito dalla penna di Pirandello. Accanto a quella di un Haber (che abbiamo al termine visto estremamente sofferente ma riconoscente a chi lo aveva seguito chiamando a testimone un ragazzino seduto in prima fila) in vero stato di grazia, sono da sottolineare le prove di Francesco Godina (il giovane Zeno), di Meredith Airò Farulla (Augusta) e di Chiara Pellegrin (Ada), di Emanuele Fortunati assai bravo come frastornato Guido. Una trasposizione, quella vista poche sere fa, pienamente convincente, moderna e divertente, leggera nell’esprimere pensieri alti, seguita e applaudita con calore da tutto il pubblico presente in sala.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Simone Di Luca.