|
|
|
|
Serena Fasano, delegata per il Piemonte e la Valle D’Aosta di UNA, Aziende per la Comunicazione Unite, e partner della agenzia Instant Love ci parla di educazione in rete.
Il 13 novembre scorso è stato il giorno della gentilezza, un tema di cui si parla molto con l’obiettivo di contrastare questo clima di discordia, ma anche di ingiurie e violenza verbale, facilmente riscontrabile sui social media o in televisione, che rappresenta lo specchio di un fenomeno proprio della mondo reale odierno.
Perchè si parla sempre di più di gentilezza, anche al mondo digitale?
Il tema della gentilezza si sta affacciando in maniera piu’ consistente all’interno del mondo della comunicazione, se ne parla maggiormente perchè ci si è resi conto che è necessario sempre di più educare e rendere consapevoli le persone di tutta una serie di regole e di condotte proprie della relazione, sia nel mondo reale che digitale. Il fine è di contrastare l’attuale approccio caratterizzato da una forte attitudine all’egoismo, all’individualità e soprattutto al conflitto, spesso spietato; è come se si fosse sviluppata nel tempo una grande angoscia che impedisce un confronto sano con gli altri, si pensa a difendere il proprio spazio, le proprie idee, anche con veemenza.
La gentilezza rappresenta ancora un valore?
Attualmente purtroppo modi garbati e buone maniere sono associati, spesso, alla debolezza, soprattutto nei confronti di noi donne. È necessario credere, invece, che un approccio cortese non corrisponde ad una mancanza di fermezza, non è fragilità, è un metodo che facilita le relazioni, il lavoro e lo scambio. Non è sempre spontaneo applicarla, a volte bisogna fare uno sforzo perchè è più facile usare toni duri e arrabbiarsi, ma impegnarsi ad essere cordiali e anche empatici è determinante, migliora noi stessi e l’ambiente circostante. Questo vale anche per il digitale dove i dialoghi aspri sono molto frequenti soprattutto sui social come Facebook, che ha avuto una evoluzione negativa: all’inizio era una magia, un luogo dove ritrovare persone e pubblicare belle immagini iconiche, in seguito si è trasformato in una piattaforma per polemizzare e discutere, è diventato una sorta di sfogatoio oltre ad un veicolo di fake news. Ora sta affrontando un nuovo passaggio legato alle creazione di community intorno ad interessi specifici: speriamo che questa possa essere un’evoluzione più pacata.
Qual è la strada da percorrere per attuare un cambio di rotta e ripristinare il principio del dialogo sano?
L’educazione digitale e la consapevolezza. Capire le dinamiche che sono dietro al mondo digitale, osservare con un occhio obiettivo il suo funzionamento e capirne le regole aiuterebbe ad utilizzarlo in maniera cosciente. La formazione è uno ausilio essenziale per acquisire gli strumenti per una corretta navigazione: usare toni e parole giusti, non rispondere alle provocazioni, non alimentare polemiche. Sono necessari codici comportamentali che si possono diffondere solo attraverso l’educazione, a cominciare dalle scuole. Le regole delle buone maniere devono avere il sopravvento sugli impulsi più bassi che sul web hanno terreno fertile, è essenziale un cambio culturale.
MARIA LA BARBERA
Alcuni anni fa era consuetudine, da parte degli sposi, dopo la prima notte di nozze esporre un lenzuolo macchiato di sangue, a dimostrazione che la moglie era ancora vergine, a tutela dell’onorabilità di lei e di lui.
Come sa chiunque abbia una Qi appena normale, tale esposizione non provava nulla per due motivi: in primo luogo il sangue poteva essere dovuto alle mestruazioni o procurato in altro modo (carne macellata) per tacitare i pettegolezzi; in secondo luogo, particolarmente durante gli anni ’70, era quasi una regola praticare sesso anale per arrivare integre al matrimonio (anche con un altro partner). Molti anni prima, nel 1928, Hertz De Benedetti aveva scritto un poemetto goliardico dal titolo “Ifigonia in culide” (parodia di Ifigenia in Aulide) dove raccontava come le vergini di Corte, per deliziare il Sovrano, restassero vergini davanti concedendo, diremmo noi oggi, il lato B.
Resta, tuttavia, vivo nella nostra cultura il concetto di verginità quale pregio, quale maggior valore per una donna, esattamente come un’auto nuova vale più di una usata, se escludiamo le auto d’epoca che però, nel caso delle donne, sono fortemente deprezzate.
La verginità (e l’imene come suo simbolo) infatti non ha alcun significato medico essendo unicamente un concetto culturale, risalente ad un’epoca in cui il controllo sulle donne e sulla loro sessualità era totale e l’autodeterminazione inesistente.
Tutti, almeno lo spero, sanno che l’imene è una membrana ubicata all’ingresso del canale vaginale che può avere forme diverse (luna, semiluna, perforato); le più sfortunate hanno un imene imperforato che le obbliga a subire un piccolo intervento chirurgico in occasione del menarca per permettere la fuoriuscita del mestruo.
Mi sono sempre domandato quale funzione abbia l’imene e ancora non l’ho capito: qualcuno sostiene che eserciti una barriera contro la risalita di germi nel canale vaginale, altri che sia un organo come l’appendice, della quale sentiamo la presenza solo quando si infiamma e dobbiamo essere operati.
Si tratta di una membrana piuttosto elastica che in alcuni casi non viene deflorata durante il primo coito ma, per assurdo, può rompersi in seguito ad un trauma, attività sportiva violenta, caduta da cavallo, ecc.; in alcuni casi, inoltre, è stato riscontrato un imene intatto in donne prossime al parto, segno che l’attività sessuale non aveva modificato la struttura delle membrana.
Su un campione di 100 donne intervistate, solo 4 hanno dichiarato di aver subito una perdita di sangue durante la presunta deflorazione, segno anche questo di enorme ignoranza nell’associare perdita di sangue a deflorazione; molto più verosimilmente si tratta di perdite ematiche dovute alla scarsa lubrificazione, alla mancanza di delicatezza del partner per scarsa intimità, poca dimestichezza e disinteresse per il piacere della partner.
Anni addietro una persona mi chiese perché io non scegliessi donne vergini, piuttosto di una con molta esperienza; risposi, in totale onestà, che se era molto “usata” vuol dire che aveva ottime prestazioni, altrimenti sarebbe stata sempre a riposo. Lasciai l’interlocutore perplesso.
La religione, poi, soprattutto quella farneticante di certi estremismi anglosassoni considera la verginità un “must”, un obbligo nei confronti del futuro marito; guarda caso tra quelle persone il tasso di infelicità è ai massimi livelli.
L’idea stessa di doverlo fare solo con il marito (dopo aver pronunciato il fatidico SI) e quindi sapere di dover dare il massimo con quella persona, in quel luogo, in quel momento è sicuramente un’ottima fonte di stress, di ansia da prestazione; va da sé che non potendo imparare la pratica a scuola o presso conoscenti di chiara fama ci si presenti all’appuntamento coitaleda perfette impreparate. Per gli uomini invece nessuna prescrizione perché, beati noi, non vi sono segni visibili di presunte esperienze pregresse e, quand’anche vi fossero, sarebbero giuste perché “l’uomo è uomo”.
Ovviamente non la penso così, riporto solo i pensieri di molte, troppe persone.
La Chiesa ha sicuramente contribuito enormemente a diffondere questo culto della donna vergine. Sant’Ambrogio, per esempio, scrisse ben cinque opere sulla verginità, con preferenza per quella femminile: De virginibus, De viduis, De virginitate, De institutione virginis e Exhortatio virginitatis. Il Vescovo di Milano esaltò la verginità come massimo ideale di vita cristiana, degno erede di quel Saulo, poi convertitosi col nome di Paolo di Tarso,che disse “colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio”. Ambrogio ritenne che la verginità fosse l’unica vera scelta di emancipazione per la donna dalla vita coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente il fatto che il matrimonio costituisce solo un contratto economico e sociale, che non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: “Davvero degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di essere messa all’asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri chi offre il prezzo più alto”.Ambrogio arriva al punto di invitare i genitori a rispettare la scelta di restare vergini dei figli che, così facendo, non sono obbligati a sposarsi.
E’ vero, parliamo di 17 secoli fa ma solo fino a 50-60 anni fa guai se un genitore scopriva che la figlia aveva avuto rapporti prima del matrimonio; nota bene, non perché la figlia avesse fatto male di per sé, ma perché poi lo sposo e tutti i suoi parenti avrebbero denigrato la ragazza e, “Il lupo e l’agnello” di Fedro insegna, la sua famiglia di origine.
A tutt’oggi, e per i distratti ricordo che siamo nel 3° millennio, in alcune scuole degli Stati Uniti il programma di educazione sessuale include o si basa sull’astinenza: un chewing gummasticato o un mozzicone di sigaretta vengo usati come metafora: una volta usati sono da buttare perché nessuno li vuole più.
La realtà è che, tuttora, troppe persone ancora pensano che il primo coito cambi la vita a chi lo subisce, che nulla sia più come prima; la verità è che, se la società abbattesse il culto della verginità, avremmo persone consapevoli di ciò che fanno e lo fanno senza ansia, paure, tabù e obblighi o divieti.
Per finire non voglio obbligare nessuno a “perdere” la verginità:semplicemente, chi vuole restare vergine per qualsiasi motivo è giusto che lo rimanga, come è sacrosanto che chi desidera avere rapporti appena la ragione glielo consente sia libero di averli senza essere etichettato, catalogato o, peggio, schernito o denigrato.
E’ però necessario che, da parte di entrambi, vi sia il consenso.
Sergio Motta
Sex coach
Chiunque visiti il nostro Paese, e ancor più noi che ci viviamo, non possiamo non conoscere la cucina, i cibi, le ricette e tutto ciò che contraddistingue la nostra alimentazione da quella di molti altri Paesi.
Per ammissione di molti stranieri, noi cuciniamo i cibi mentre loro si limitano a cuocerli, non riuscendo così ad attribuire al pasto quel valore aggiunto che la nostra cucina ha guadagnato in secoli di storia.
La posizione geografica, il clima, la presenza di montagne elevate e di mari pescosissimi, di fiumi e laghi, di pianure estese ed una storia multi-millenaria, fabbriche di armi e di imbarcazioni hanno contribuito a rendere l’Italia famosa in tutto il mondo per le sue prelibatezze.
Ma questo sarebbe l’aspetto puramente alimentare della cucina; noi italiani andiamo oltre: il mangiare, il cucinare, il sedersi a tavola è diventato un rito sociale, un momento che non soltanto riunisce parenti ed amici ma che stimola riflessioni, è prodromico alla redazione di un contratto, consente di raccontare le proprie vacanze attraverso ciò che di alimentare si è portato a casa.
Un carissimo amico narra che la sua compagna, finlandese, potrebbe vivere a cotoletta e patatine, eventualmente aggiungendo alla sera una minestrina (modello nudelnsuppe tedesca) senza sentire la necessità di cambiare sapori.
In effetti sembra che mentre noi viviamo per mangiare, molti altri Paesi mangino per vivere.
Ho viaggiato in Medioriente, nei Caraibi, nell’Africa sub sahariana, nel Maghreb, nei Balcani, in Turchia e posso dire che sono pochi i Paesi che si avvicinano al nostro per varietà di cibi, per modalità di cottura, per fonti (ovini, caprini, equini, molluschi, pesci d’acqua dolce e di mare, verdure e frutta di tutti i generi) e per capacità di presentazione oltre che per qualità dei vini di ogni tipo e gradazione e dei liquori e distillati.
Tralasciando festività quali Pasqua e Natale, anche la preparazione di un pasto della domenica o di una festa di compleanno è un evento conviviale che consente non soltanto di soddisfare il bisogno primario di alimentarsi, ma coinvolge i partecipanti, a vario titolo, nella riuscita dell’evento.
Dalla scelta della tovaglia e degli accessori, dalla scelta dei menù e delle bevande la socialità tra i partecipanti è un sentimento che raggiunge il suo culmine nel brindisi di inizio pasto e prosegue con la portata in tavola delle varie portate.
Ancor più se ognuno dei partecipanti porta qualcosa perché narrerà come gli sia venuta l’idea, dove abbia trovato la ricetta, dove abbia comprato le materie prime, ecc.
In ogni regione ci sono riti, tradizioni particolari tipiche di un periodo dell’anno e cibi che diventano il motivo ufficiale dell’incontro, mentre il motivo ufficioso, ben più importante, è ritrovarsi, magari dopo mesi senza vedersi.
Negli ultimi mesi, almeno a Torino e Milano, i ristoranti sono tutti prenotati, e non solo nei week end, segno che le persone dopo aver dovuto rinunciare obtorto collo ai ritrovi, alle serate a cena fuori, stanno recuperando perché la voglia e la capacità di relazionarsi è superiore a qualsiasi paura, a qualsiasi rischio sanitario.
A chi non è capitato, trovandosi da solo in prossimità del Natale o di Pasqua, di essere invitato da parenti o amici “così mangiamo insieme”.
E cosa dire dei giovani che, magari solitari e taciturni davanti allo smartphone, trovano però occasione di dialogo e cameratismo nell’intervallo di pranzo in un fast food o nella mensa universitaria?
Eventi come “Cheese”, la “Fiera del peperone”, la “Fiera del tartufo bianco” o la “Fiera del bue grasso” iniziano come una fiera di paese ma proseguono come un momento conviviale organizzato mesi prima e vissuto come un pellegrinaggio laico, in adorazione di questo o quel cibo.
Dalla trippa di Moncalieri al tartufo d’Alba, dalle olive taggiasche o coratine alle lenticchie di Castelluccio di Norcia i santuari del cibo vedono aumentare ogni anno il numero di visitatori e di eventi.
Le trasmissioni di cucina in TV, moltiplicatesi negli anni, sono la dimostrazione mediatica di quale e quanto sia l’interesse per il cibo.
Non dimentichiamo, però, che gli eccessi possono nuocere gravemente alla salute e che una festa è bella quando la si vive ogni tanto e non diventa una abitudine perpetua.
Soprattutto ricordate: non guidate se dovete bere.
Sergio Motta
Con Jacopo Bulgarini d’Elci, direttore Mondoserie.it
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica
Sala Feste
Piazza Castello – Torino
Mercoledì 20 novembre, ore 17
Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili
Palazzo Madama presenta il sesto appuntamento del ciclo di conferenze a ingresso gratuito che, dal luglio a dicembre 2024, approfondiscono alcuni dei temi presentati nel percorso di mostra Change! Ieri, oggi, domani. Il Po e accoglie nella Sala Feste la conferenza – spettacolo del giornalista e critico televisivo Jacopo Bulgarini d’Elci, direttore di mondoserie.it.
Un racconto di come il cinema e la tv abbiano messo in scena cambiamento climatico e crisi ambientale, attraverso le scene spesso indimenticabili di opere potenti di ieri e di oggi: da The Day After Tomorrow a La principessa Mononoke, da Mad Max a Snowpiercer, da The Road alla saga di Dune, da The Last of Us a Don’t Look Up. Partendo da un’immagine involontariamente profetica: i cupi e alienanti cieli arancioni di Blade Runner 2049, sequel (uscito nel 2017) del leggendario film di Ridley Scott. Quella scena di finzione diventerà realtà tre anni dopo, il 9 settembre 2020, quando i cieli della Bay Area di San Francisco si faranno improvvisamente arancione…
Ed è questo il tema che la conferenza affronterà: quello di una Natura maltrattata, trascurata, offesa, che si prende la sua “vendetta” in un numero sempre più grande di racconti distopici cine-televisivi. Che sia per lo scioglimento dei ghiacci, per le siccità, per un inquinamento soffocante, per un virus o un’infezione fungina, il futuro che il cinema e la tv ci propongono è apocalittico. Specchio del nostro senso di colpa?
Jacopo Bulgarini d’Elci è fondatore e direttore di Mondoserie.it, progetto multimediale che, nella forma di articoli, indagini lunghe, podcast, indaga in profondità le nuove forme dell’immaginario collettivo. In particolare il nuovo “racconto lungo”, la serialità televisiva, capace di tradurre gli umori sotterranei che popolano i sogni (e gli incubi) del nostro tempo. Comunicatore, progettista culturale, giornalista, è stato vicesindaco e assessore alla Cultura del comune di Vicenza.
Al progetto della mostra Change!, e riflettendo in linguaggi diversi sugli stessi temi oggetto della conferenza-spettacolo, ha contribuito anche con il video omonimo, parte integrante del percorso espositivo, e con un saggio nel catalogo.
Questa espressione, tipicamente piemontese, anticipava i tempi attuali dove tutto viaggia veloce, dove tutti hanno fretta, dove nel tempo occorrente a fare dieci cose ne vogliamo fare trenta.
Letteralmente “fai presto perché è già tardi”, è un’istigazione a non perdere tempo, ad accelerare i ritmi se no rischiamo di arrivare fuori tempo massimo; a fare cosa, spesso, non lo sa neppure chi la pronuncia.
Non è un problema solo torinese, anzi: provate ad andare a Milano e ve ne accorgerete. Se sotto la Madonnina occupate il lato sinistro della scala mobile, sicuramente vi arriverà qualcuno alle spalle rimproverandovi perché deve superarvi, dicendovi di spostarvi alla vostra destra. Normalmente chi va di fretta così, però, lo rincontrate ai tornelli di uscita della metro perché non trova il biglietto per uscire.
Ma sotto la Madonnina è tutto di fretta: una domenica mattina ero in metro, direzione fuori città, ed una mamma stava strattonando il bimbo di pochi anni perché era tardi, la mamma di lei li aspettava a pranzo. Vicino alle porte della vettura ci scambiammo uno sguardo e la signora, forse leggendo nei miei pensieri, mi disse “Dobbiamo andare da mia madre ed è già tardi” (erano le 11); mi venne spontaneo chiedere se abitasse lontano. Mi rispose “No, scendiamo alla prossima, poi sono 300 metri a piedi”. Alla risposta capii che l’umanità merita di estinguersi. A meno che la signora dovesse preparare da zero la casseula, nel qual caso sarebbe stata fortemente in ritardo, mi domando quale fosse la sua concezione del tempo.
E non è l’unico caso, anche qui sotto la Mole, dove la gente ha fretta anche in auto, corre e sorpassa in curva sulle stradine di montagna per arrivare, quando va bene, cinque minuti prima di me, dopo aver rischiato la vita (problemi suoi) e aver messo a repentaglio la mia.
Quando con i miei collaboratori analizzo i tempi attuali, confrontandoli con 30-40 anni fa, mi rendo conto (e loro me lo confermano) che ora facciamo tutto in tempi ristretti, vogliamo fare più cose nello stesso tempo in cui, tempo addietro, ne facevamo la metà e, in generale non conosciamo più il significato di relax, di riposo, di quiete.
Qualcuno attribuisce allo stress, al logorio della vita moderna (come recitava uno spot pubblicitario di cinquant’anni fa) questa incapacità di gestire i ritmi ed i tempi, questa smania di fare sempre di più a scapito, com’è evidente, della qualità.
Se io non mi fermo mai a controllare i risultati ho ottime probabilità che quanto ho fatto sia difettoso, impreciso, raffazzonato.
Purtroppo, e le previsioni non tendono al bello, non sembra vi siano segni di ravvedimento o, quantomeno, di capire quale rischio corriamo con questa eterna rincorsa alla quantità. Quando si entra in questo meccanismo del “sempre di più”, “sempre più in fretta” si sviluppa una vera e propria dipendenza che ci porta a perdere il senso del tempo.
Da quanto non sentite un amico, un conoscente dire “ieri mi sono rilassato”, “ieri ho guardato tre film”, “ieri mi sono seduto in riva ad un torrente a fare nulla”? C’è sempre qualcosa da fare, e siccome lo facciamo in fretta, solo dopo ci accorgiamo che è da rifare, da rimediare. La casa è sempre da pulire (delle due una: o viviamo in un letamaio o abbiamo una casa di 300 mq e la colf è in sciopero), bisogna mettere ordine nel box o in cantina, devo preparare quei progetti per il giorno dopo in ufficio (ti pagano nei festivi?), la spesa domenicale, il pranzo con tizio o caio e potremmo aggiungerne quante ne volete.
Addirittura, stare in ozio almeno qualche ora di un giorno alla settimana sviluppa in noi il rimorso per aver sprecato tempo prezioso, per aver rinunciato a costruire qualcosa.
Io non parlerei di stress quanto piuttosto di ansia: mentre lo stress è la reazione ad un evento, ma può anche essere positivo, il c.d. “eustress” e darci il giusto stimolo, per esempio, prima di una gara, l’ansia è la reazione anticipatoria di un evento, non dipende dall’evento stesso ma dal nostro approccio ad esso, se ci sentiamo inadeguati, ecc.
Io dico sempre che, a preoccuparsi in anticipo, se poi non era nulla ci siamo preoccupati inutilmente; se, invece, era qualcosa che non abbiamo potuto prevenire, per cosa ci siamo preoccupati a fare?
Sergio Motta
In occasione dell’anniversario dei 125 anni dalla fondazione della FIAT, il MAUTO- Museo Nazionale dell’Automobile presenta la mostra “125 volte FIAT-la modernità attraverso l’immaginario FIAT”, titolo della rassegna visitabile da oggi fino al 4 maggio prossimo nel museo di Corso Unità d’Italia, a Torino. L’esposizione ripercorre la lunga e avvincente storia, unica nel contesto industriale novecentesco, della fabbrica automobilistica torinese, offrendone una rilettura che ne evidenzia l’impatto sociale e la produzione artistica. Il progetto espositivo è curato da Giuliano Sergio, realizzato in collaborazione con il Centro Storico FIAT e Heritage Hub, esposta negli spazi a piano terra del museo. Nata nel 1899, la FIAT ha saputo cogliere le opportunità della rivoluzione industriale e dell’Unità nazionale italiana, per imporsi quale principale interprete privato della modernizzazione del Paese nel secolo scorso, attingendo al vasto patrimonio visivo prodotto o ispirato da FIAT. L’esposizione ripercorre il legame che ha legato l’azienda torinese allo sviluppo economico italiano, un racconto disseminato tra arte, design, comunicazione, pubblicità, musica e letteratura che, attraverso la potenza evocativa degli oggetti e delle immagini, narra oltre un secolo di storia e sperimentazioni non solo in campo automobilistico, offrendo uno sguardo approfondito su un modello imprenditoriale unico di un’azienda che ha rappresentato la via italiana verso la modernità, esplorando linguaggi, settori produttivi e ambiti geografici.
Il percorso espositivo si sviluppa a partire da un approccio polidisciplinare ben rappresentato da un team di cocuratori che hanno affiancato Giuliano Sergio: Davide Lorenzone e Ilaria Pani, rispettivamente Conservatore e Responsabili del centro di documentazione del MAUTO; Maurizio Torchio, Responsabile del Centro Storico FIAT; Roberto Giolito, Head of Heritage Stellantis Italy. Insieme a loro, in qualità di esperti nel campo nei rispettivi campi d’indagine e autori di saggi in catalogo, si possono citare Clino Trini Castelli, designer; l’architetto e artista Maurizio Cilli; il giornalista Mauro Coppini; l’architetto Manuel Orazi e il pubblicitario Roberto Vaccà.
Le auto in esposizione sono 9, tra cui si annoverano la Eldridge Mefistofele del 1923, con una silhouette slanciata per massimizzare la velocità, che ha segnato uno dei primi esempi di vetture da record, la 508 Balilla del 1932, compatta ed economica, che presenta il passaggio dalla produzione di automobili per élite a un’idea di mobilità per le masse, la iconica 500 A Topolino del 1936, entrata nell’immaginario collettivo, rivoluzionaria nel design e pensata per offrire una soluzione di mobilità agile e scattante che avrebbe ispirato generazioni di city car, la Coupè sportiva 8V prodotta tra il 1952 e il 1954, ideata per un pubblico esclusivo, la 600 del 1955, caratterizzata da una architettura semplice ma innovativa e progettata per rendere la vita dell’utente più facile e piacevole. Seguono la 124 Abarth Rally del 1973, auto da competizione, la XI1/23 prototipo del 1974, avanzata concept car elettrica a due posti, che anticipa il futuro della mobilità sostenibile, la Panda 30, considerata l’utilitaria italiana per eccellenza insieme alla 500, la 500 Riva del 2016, un gioiello esclusivo per amanti del lusso dal design ricercato, e la nuova 500 “La Prima”, cabrio, rilettura in chiave sostenibile e altamente tecnologica di un’icona senza tempo del design italiano.
Le vetture esposte sono corredate da una vasta selezione di opere d’arte, documenti d’archivio, materiali grafici, fotografici e audiovisivi d’eccezione, che contribuiscono a definire l’immaginario visivo dell’azienda: dai manifesti e bozzetti pubblicitari di inizio secolo realizzati da Leopoldo Metlicovitz e Plino Codognato, nei quali si compie il transito dalla cultura estetica Liberty all’abbagliante potenza delle possibilità tecniche e meccaniche che ispireranno il Futurismo, alle opere pittoriche di Mario Sironi, Carlo Carrà e Felice Casorati, che offrono una straordinaria rappresentazione della modernità immaginata da Fiat tra le due guerre, dai disegni di Marcello Dudovic e Giuseppe Romano, che portano alla ribalta la figura femminile, protagonista della modernità degli anni Venti, a una serie di fotografie scattate da Luigi Ghirri a Palazzo Grassi negli anni Novanta. Poi documenti cartacei e audiovisivi e memorabilia arricchiscono di dettagli questo racconto, distribuito in otto macrosezioni espositive: la prima si intitola “Manifesti e bozzetti”, la seconda “Terra, mare e cielo”, la terza “Design e stile”, la quarta “Visioni al futuro. Architettura, urbanistica e energia”, la quinta “Oltre l’auto”, le ultime due riguardano “Cinefiat e pubblicità” e “Sport e corse”.
“125 anni di FIAT è una data importante per tutti, per l’azienda come per il MAUTO da essa partecipato – spiega il Presidente del MAUTO Benedetto Camerana- ma lo è soprattutto per Torino, che si conferma una delle grandi città dell’auto globali. La mostra è una rilettura della storia FIAT, dalla fondazione al futuro, non una ma 6 FIAT, una miniera rivelata di sorprese e produzioni non solo meccaniche e industriali in senso lato, ma anche artistiche, grafiche, architettoniche, sociali, musicali, letterarie e pubblicitarie. La linea critica del MAUTO, quella di ripensare l’automobile come punto d’incontro di un sistema di valori, discipline e linguaggi differenti. Il carico culturale dell’auto sta nella sua straordinaria capacità di comunicazione, di riprodurre e comunicare memorie, sogni, viaggi, luoghi, emozioni individuali e collettive. La mostra va oltre il fenomeno auto e indaga sulla struttura organizzata della sua produzione: è il racconto dell’espressione della modernità culturale di una grande industria del Novecento che si avvia verso il domani e alle battaglie dei prossimi decenni”.
“La mostra racconta la storia della Fiat – spiega Alberto Cirio, Presidente della Regione Piemonte – che è la storia industriale e produttiva del nostro territorio. Una panoramica di 125 anni di ingegno, tecnologia e capacità di fare, che ancora oggi caratterizzano Torino e Piemonte, oggi a disposizione del pubblico e dei turisti, che hanno l’opportunità di scoprire un patrimonio unico e prezioso della storia del nostro Paese”.
“Nel corso dei suoi 125 anni di storia – afferma il Sindaco di Torino Stefano Lo Russo – FIAT ha rappresentato una pietra miliare della storia industriale italiana, portando il nome di Torino nel mondo. Una storia nella quale ha sempre saputo guardare al futuro, anticipando stili, tendenze e tecnologie, un patrimonio che questa mostra valorizza al meglio, offrendo uno sguardo su un percorso unico nel panorama dell’industria automobilistica”.
Mara Martellotta
Dal 15 novembre 2024 al 04 maggio 2025
|
---|
|
---|
Credits Cosimo Maffione |
---|
Mercoledì 27 novembre si terrà la proiezione di un docufilm sulla violenza di genere organizzato dai Centri Antiviolenza degli ospedali della Città della Salute di Torino
Dal 21 al 27 novembre servizi gratuiti da parte di oltre 240 ospedali con il Bollino Rosa di Fondazione Onda ETS e nei Centri Antiviolenza. In occasione della settimana dedicata al contrasto della violenza di genere, il Centro Soccorso Violenza Sessuale SVS dell’Ospedale Sant’Anna di Torino e il Centro Demetra dell’Ospedale Molinette della Città della Salute di Torino hanno organizzato, mercoledì 27 novembre 2024, presso la Sala Montessori della Città Metropolitana di Torino, in corso Inghilterra 7 dalle ore 15.30 alle 18.30, la proiezione di un film documentario intitolato “Un altro domani”, di Silvio Soldini e Cristiana Mainardi, che riunisce testimonianze di vittime, autori di violenze e figure dell’ambito giuridico, sanitario e psicologico si occupano del problema. Il docufilm verrà presentato al personale docente che in questi anni ha partecipato al progetto “Consenso”, ideato e programmato dalle psicologhe che lavorano nei due centri. A seguire è stata organizzata una tavola rotonda in merito alla violenza di genere he prevede un’iscrizione obbligatoria entro il 15 novembre 2024. Il Centro Soccorso Violenza Sessuale dell’Ospedale Sant’Anna e il Centro Demetra dell’Ospedale Molinette di Torino sono parte integrante del Centro Esperto Sanitario contro la violenza della Città della Salute di Torino, come istituito dalla legge regionale n.4 del 24 febbraio 2016 “Interventi di prevenzione e contrasto alla violenza di genere e per il sostegno alle vittime di violenza e ai loro figli”.
Attualmente vengono seguite da due centri un totale di circa 250 donne, con un incremento del 15% degli accessi rispetto agli anni prepandemia. La percentuale di donne straniere è stabile, del 48% le italiane e 52% le straniere. Sul totale di donne accolte, il 7% ha riferito un maltrattamento in gravidanza, perpetrato dal partner nel 78% dei casi. In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra il 27 novembre, la Città della Salute di Torino e Fondazione Onda ETS lanciano la quarta edizione dell’(H)Open Week, che si terrà dal 21 al 27 novembre, con l’obiettivo di incoraggiare le donne vittime di violenza a rompere il silenzio e avvicinarle alla rete di servizi antiviolenza che può offrire percorsi di accoglienza protetta e progetti di continuità assistenziale e di sostegno, fornendo servizi concreti e indirizzi ai quali rivolgersi per chiedere aiuto. Gli oltre 240 ospedali con Bollino Rosa, che hanno al loro interno percorsi dedicati, e i centri antiviolenza aderenti all’iniziativa offriranno gratuitamente alla popolazione femminile visite, colloqui, consulenze, infopoint e distribuzione di materiale informativo.
“Anche quest’anno l’obiettivo – spiega Francesca Merzagora, Presidente della Fondazione Onda ETS – è quello di sensibilizzare il pubblico sull’esistenza di altri tipi di violenza oltre a quella fisica e sessuale. Esistono infatti violenze psicologiche, verbali e persino economiche che possano culminare o meno in episodi di stalking o violenza fisica. È importante sottolineare come il controllo che può essere esercitato su una donna non scaturisce solo dalla forza fisica, ma anche dalla volontà di controllare e limitare la sua libertà personale, con lo scopo di isolarla e lederne la dignità. Fondazione Onda ETS vuole ogni anno dare un aiuto concreto alle donne in difficoltà, garantendo per una settimana servizi gratuiti a sostegno delle vittime di violenza, incoraggiandole a uscire dalla spirale del silenzio, della profonda sofferenza e solitudine. Voglio ringraziare la Professoressa Alessandra Kusterman, Presidente SVS Donna aiuta Donna SCS per la collaborazione in questo progetto”.
Per l’occasione verrà distribuito negli ospedali un opuscolo informativo dal titolo “Violenza di genere – riconoscerla, prevenirla e contrastarla”.
Mara Martellotta
Qualcuno di voi si potrebbe riconoscere, infatti gli scatti in bianco e nero sono il risultato di una ricerca sociale curata da Daniele Segre negli anni 70.
Alla Mole Antonelliana è stato presentato un libro e una mostra di cancellata per ricordare Daniele Segre ad un anno dalla sua scomparsa.
Dalla collaborazione di Emanuele Segre, il figlio con il già direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano nasce il desiderio di esporre alla città le immagini più significative del primo libro, la cancellata della Mole è la location espositiva di 14 grandi foto in bianco e nero che rappresentano volti, sguardi, momenti di uno spaccato della società dell’ epoca.
Dopo 45 anni viene rieditato e integrato il libro, la nuova edizione raccoglie oltre cento foto, alcune inedite, ritrovate negli archivi , e un QR code per vedere in streaming la trilogia dei film “Il potere dev’essere bianconero” del 1978, Ragazzi di stadio del 1980 e Ragazzi di stadio 40 anni dopo del 2018.
Il 42 festival del Cinema di Torino ospiterà la proiezione del film “I ragazzi di stadio” nella sezione Zimbaldone il 24 novembre alle ore 21.45 al cinema Romano.
GABRIELLA DAGHERO