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In un precedente articolo avevo trattato il tema del bossing(http://www.iltorinese.it/2022/09/07/il-bossing/) e delle sue ripercussioni sull’ambiente di lavoro; avete sicuramente sentito parlare di mobbing e delle problematiche ad esso connesse, dalla salute di chi ne sia vittima alla quantità di cause pendenti nei vari tribunali visto l’aumentare dei casi.
E’ relativamente recente, invece, il neologismo “straining” (dall’inglese “to strain”, forzare, costringere).
A differenza del mobbing, dove il datore di lavoro, un superiore gerarchico o anche un semplice collega manifesta comportamenti aventi carattere intenzionalmente persecutorio e vessatorio, che si manifestano con offese, discriminazioni, umiliazioni, aggressioni, riduzione delle possibilità di carriera, che possono nel tempo portare all’insorgenza di patologie psico-fisiche anche gravi nella vittima, lo “straining” consiste in azioni moleste, vessatorie, discriminatorie isolate, attuate una tantum, che inducono comunque in chi ne sia vittima una condizione di stress.
In altre parole, a differenza di quanto accade nel mobbing, nello straining non vi è continuità, non potendolo quindi assimilare ad un piano criminoso.
Fu Harald Ege a coniare il termine dopo essersi reso conto che molti suoi pazienti manifestavano sintomi tipici di una condotta vessatoria pur non trattandosi di azioni ripetute nel tempo; questo significava non poter considerare tali comportamenti “mobbing” mancando la reiterazione del comportamento nei confronti della vittima: in tal caso, le vittime sarebbero rimaste prive di tutela giuridica, non esistendo le condizioni di mobbizzazione.
I comportamenti tipici dello straining vanno dalla privazione degli strumenti per svolgere il lavoro alla mancata convocazione a riunioni ed incontri, al demansionamento, al rimprovero immotivato.
Occorre, tuttavia, distinguere lo straining dal semplice stress correlato alla mansione lavorativa, alla complessità delle mansioni svolte, dal particolare luogo di lavoro o, in generale, da ciò che non sia provocato volutamente al fine di creare nocumento.
E’ innegabile che essere demansionati possa tradursi in una perdita di autostima, in un peggioramento della qualità della propria vita e poiché lo stress è estremamente individuale alcuni soggetti manifestano i sintomi dello stress anche dopo un solo episodio vessatorio.
Come riconoscere lo straining e distinguerlo da comportamenti legittimi nel rapporto gerarchico?
Harald Ege ha schematizzato sette punti che consentono di riconoscere lo straining.
1) L’evento deve avere luogo in ambito lavorativo.
2) Le conseguenze della azione ostile devono essere costanti;
3) La situazione di conflitto deve durare almeno 6 mesi;
4) Le azioni subite devono appartenere ad almeno una delle seguenti categorie:
5) La vittima dello straining si deve trovare in una situazione di costante inferiorità.
6) La vicenda ha raggiunto almeno la II fase del Modello individuato da Ege (Fase I: azione ostile; Fase II: conseguenza lavorativa percepita come permanente; Fase III: conseguenze psicofisiche; Fase IV: uscita dal lavoro);
7) Deve sussistere un intento persecutorio (non deve trattarsi di un evento involontario).
Non dimentichiamo che lo straining provoca sia un danno biologico (stress, disagi psicofisici) che professionale (perdita di chance, mancato aggiornamento). Per unacorretta diagnosi da parte del medico e per un corretto instradamento della causa civile e/o penale si rende necessario, quindi, valutare tutti i cambiamenti intervenuti in un soggetto in seguito allo straining.
Anche chi ci circonda, però, può fare molto percependo i minimi cambiamenti di umore, di comportamento, di abitudini aiutando chi sia vittima di straining ad agire senza indugio, anche ai fini di una tutela risarcitoria.
Sergio Motta
Venerdì 2 giugno prossimo in piazza San Carlo dalle 15 alle 21.30 il volontariato ‘esce dagli schermi’.
Ogni anno in occasione della ricorrenza del 2 giugno, data di celebrazione della nascita della Repubblica italiana, scendono in campo forze armate e corpi militari che restituiscono un quadro parziale del nostro meraviglioso dettato costituzionale.
A partire dalla sua promulgazione la Costituzione italiana è stata oggetto di una rilettura da parte degli obiettori di coscienza, portando alla reinterpretazione del concetto di ‘difesa della patria’ e passando da una visione militare di tutela del territorio a un impegno verso i più fragili.
Alla luce della possibilità di effettuare il servizio civile, il centro servizi per il volontariato VolTO ETS, insieme ai partner che hanno aderito all’iniziativa, vuole festeggiare la Festa della Repubblica con un evento in piazza, il 2 giugno prossimo, per celebrare l’impegno degli enti del Terzo Settore che compiono azioni di solidarietà sociale. Sarà anche presente il servizio di orientamento al volontariato di VolTo.
Il programma del 2 giugno prevede una inaugurazione con saluti istituzionali, un videogioco musicale e un dibattito su giovani e volontariato con i Giovani del Centro Studi Sereno Regis e della Città Metropolitana di Torino.
Mara Martellotta
FOTO VINCENZO SOLANO
Sabato 27 maggio
Quando lo sport diventa solidarietà. L’idea é da plauso con lode. Tanto più quando il gesto solidale è rivolto a bimbi con problemi pesanti di salute che impediscono loro di condurre una vita “normale”, al pari dei loro coetanei “più fortunati”. E’ questo il principio di base che sta dietro alla seconda edizione del progetto – torneo di calcio, organizzato dall’Associazione “Sommariva del Bosco Solidale” insieme all’“Associazione Sportiva Studentesca” e“ASD Cit Turin LDE” (con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città di Torino e Terza Circoscrizione) con l’obiettivo di creare un Crowdfunding a favore di “Respiro Libero ONLUS” (www.fondazionerespirolibero.org) e rivolto al Reparto di Pneumologiadell’Ospedale infantile “Regina Margherita”della “Città della Salute” di Torino. Da ricordare che un’analoga raccolta fondi era già servita nel 2022 per realizzare la nuova degenza di Pneumologia Pediatrica dell’Ospedale di corso Polonia, che, attraverso i fondi raccolti con questa nuova edizione di “Regala un sorriso” affronterà l’ammodernamento tecnologico e la ristrutturazione degli Ambulatori e del Day Hospital.
L’appuntamento è per sabato 27 maggio, a partire dalle 14,30, presso l’impianto sportivo“Cit Turin” in corso Ferrucci 63/A, a Torino.
A contendersi il podio saranno le squadre nazionali di “Città del Vaticano”, dei “Parlamentari italiani”, la “Nazionale Italiana dell’Amicizia”, oltre ad una rappresentativa composta da figure Istituzionali della Città di Torino e della Regione Piemonte. “Ma i veri protagonisti – è stato ricordato nella Conferenza di presentazione – saranno tutti coloro che per la circostanza effettueranno una donazione per la più che nobile causa a cui è intitolata la giornata di sport”.
Ad arricchire e ad allietare la manifestazione saranno anche alcune squadre di calcio dei giovanissimi delle scuole del primo ciclo degli Istituti Comprensivi “Rita Levi-Montalcini”,“Alberti”, “Spaziani” e “Cit Turin LDE” che si esibiranno in un torneo di carattere inclusivo. Non mancheranno piacevoli intermezzi di intrattenimento con le “CHEERLEADER TITANS” (vice campionesse mondiali), l’“ORCHESTRA MUSICALE GIOVANILE WITO” e il cantante FRIO. La “Nazionale Italiana dell’Amicizia”, inoltre, oltre a dare spettacolo (si prevede) in campo, presenterà anche la pièce per famiglie “2&Picche, Noemy e i loro amici Supereroi e Principesse”.
L’evento si concluderà domenica 28 maggio, alle ore 8,45, con la celebrazione della Santa Messa presso la “Basilica di Superga” con visita guidata alle tombe dei Savoia e alla “Lapide” in memoria del “Grande Torino”.
Per info: 335/5398921
Si possono effettuare donazioni fin da ora con versamenti a: SDB SOLIDALE ODV- Piazza Vittorio Emanuele 12 – Cavallermaggiore (Cn)
Iban IT46G0103046150000000915695
g.m.
Nelle foto:
– Impianto sportivo “Cit Turin”
– Il gruppo degli organizzatori alla conferenza stampa
La commissione “Barriere Architettoniche Lions” del distretto Lions 108ia1, in collaborazione con il gruppo consiliare “Torino Libero Pensiero”, organizzano, giovedì 25 maggio dalle ore 17 alle 19, in Sala delle Colonne (piazza Palazzo di Città 1, Municipio di Torino), la conferenza aperta al pubblico e alla stampa: “Barriere Architettoniche cognitive”, patrocinata dalla Città di Torino e dalla Confartigianato.
Quando si parla di Barriere Architettoniche, vengono in mente gli impedimenti fisici allo spazio che determinano una difficoltà di accesso alle persone diversamente abili. Questo approccio non è però sufficiente per garantire un egualitario ed inclusivo uso dello spazio. Già nel 2001, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva definito, nel suo report “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” (ICF), le “Barriere Architettoniche” come formate non solo da elementi fisico-architettonici, ma anche da elementi sensoriali e cognitivi.
L’abbattimento delle barriere non va più inteso come l’applicazione di una normativa standardizzata universale per l’accesso a persone diversamente abili ai servizi, ma in modo ben più ampio, tenendo conto dell’insieme delle caratteristiche spaziali, percettive, organizzative-gestionali, per assicurare una reale fruizione dei luoghi.
L’utilizzo del termine fruizione, e non più accesso, mette l’accento sugli aspetti anche cognitivo-percettivi ed emotivi, richiamando l’attenzione sulle possibilità di partecipazione attiva all’interno di uno spazio di tutte le persone, negate o favorite dalle condizioni ambientali stesse.
Per questo motivo, la corretta progettazione deve superare la logica “da manuale” evitando soluzioni preconfezionate.
Progettare senza Barriere Architettoniche Cognitive vuol dire considerare non solo gli aspetti estetici e formali, ma anche porre al centro dell’attenzione l’essere umano, le sue peculiarità ed esigenze: il suo essere persona (uomo, donna, bambino) che evolve nel tempo della propria vita e all’interno della quale va incontro a cambiamenti temporanei o permanenti, che rendono la persona differente dalla norma, ma meritevole di non subire una discriminazione fruitiva dell’ambiente progettato intorno all’uomo stesso.
PROGRAMMA DELLA CONFERENZA:
Internazionalizzazione, rapporti con società a partecipazione regionale, sicurezza, polizia locale, immigrazione, sport, politiche giovanili
L’Arc. Tiberio illustrerà il cambio sostanziale del paradigma progettuale che passa dall’assicurare l’accesso a persone con capacità fisiche diverse dalla media gaussiana umana a garantire la corretta fruizione spaziale a chiunque. Il cambio di paradigma ha spostato l’attenzione della disabilità della persona all’ambiente, ambiente che può creare facilitatori ambientali che annullano le limitazioni e favoriscono la piena partecipazione ed inclusione alla vita sociale.
Il prof. Alberto Giachero illustrerà i meccanismi della percezione, dell’attenzione e delle funzioni esecutive applicate all’esplorazione dell’ambiente con riferimento alle nuove tecnologie (realtà virtuale). Basandosi sulle recenti pubblicazioni scientifiche internazionali del Laboratorio Sperimentale Afasia di Torino fornirà una visione della disabilità e dell’inclusione sociale facente capo alla riabilitazione cognitiva.
Il termine accessibilità comunicativa (o accesso alla comunicazione) si riferisce al diritto, sancito dall’art. 21 della Convenzione ONU, per i diritti delle persone con disabilità. Questo diritto spiega l’importanza fondamentale della libertà di espressione e opinione ed accesso alle informazioni. L’accesso è il punto che crea una connessione con le barriere, queste intese come barriere di comunicazione, che le persone con disabilità cognitive incontrano quotidianamente in diversi contesti e che possono portare a discriminazione, perdita di controllo e autonomia. Tra i modi per fronteggiare queste barriere ci sono gli adattamenti ambientali, che potrebbero consistere nell’adattamento delle informazioni e della cartellonistica nei luoghi pubblici perché tutti i luoghi possono essere resi davvero accessibili.
Quando si parla di barriere in tema di disabilità, la prima immagine è una scala e una carrozzina come ideogramma della disabilità. Si identificano le barriere alla qualità della vita come quelle architettoniche. Ma se guardiamo ai numero le disabilità fisiche rappresentano circa il 3% del totale, quelle sensoriali il 3%, le intellettive e relazionali il 70%, altre tipologie il 24%. Appare quindi chiaro che oltre gli interventi per il superamento delle barriere fisiche occorre intervenire su quelle intellettive e relazionali. Tali interventi, oltre che ragionevoli ed indispensabili dal punto di vista dell’eticità e della modernità del pensiero sociale, ci vengono proposti da due carte fondamentali: la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e la nostra Costituzione. La non eliminazione delle barriere si trasforma immediatamente in un atto discriminatorio.
Per informazioni e per comunicare la propria partecipazione, scrivere a: tlp@comune.torino.it
E’ l’inizio del 2010 quando Francesca Crescentini, in arte Tegamini- piacentina doc trapiantata a Milano– decide di fondare un blog a metà tra un diario di bordo e un contenitore curioso. Ad oggi è una delle content creator culturali più seguite con account che conta più di 207 mila followers e la fama di bookblogger tra le più influenti d’Italia. Francesca per anni ha militato nel marketing editoriale e ha lavorato come digital copywriter, ma dal 2016 si è dedicata alla carriera di traduttrice e quella- appunto- di creatrice di contenuti digitali. Libri ma anche tanto altro, come il racconto di aneddoti di vita quotidiana di lavoratrice freelance e mamma. Il suo entusiasmo le ha permesso di arrivare al pubblico e conquistare anche i più scettici, guadagnandosi una popolarità frutto di intelligenza e simpatia.
Ospite al Salone del Libro 2023, Francesca ha preso parte come relatrice alle conferenze “Il libro oltre il libro” e “I ferri del mestiere. Autopromuoversi con i social network”, oltre a partecipare al firma- copie del libro della casa editrice Revue Dessinée Italia per cui Tegamini ha ideato una rubrica dedicata proprio ai libri.
Al Salone dei Libro hai fatto un po’ di tutto: dal lavoro per tirare in piedi lo stand alla trafelata trottolina che documenta e intervista chiunque. Come vivi ora il fatto di essere dall’altra parte della barricata in qualità di ospite speciale?
Sono molto contenta perché adesso è molto più riposante, ma è stato utile poter assistere a tutto il percorso creativo: dallo studio degli spazi per allestire lo stand all’ideazione del segnalibro. Adesso me lo vivo cercando quello che mi piace e questo aspetto mi diverte. Inoltre apprezzo poter raccontare quello che faccio o ad aiutare gli altri a descrivere il proprio lavoro: per me è un grande onore.
Sei sempre stata legata al Salone del Libro quindi.
Sì, l’ho sempre vissuto con grande entusiasmo anche quando collaboravo per le case editrici e la sua realizzazione comportava un duro sforzo. Scegliendo un lavoro che amo, la fatica si smussa e- per tale ragione- questo evento ha sempre rappresentato una grande gioia.
Sui social hai riposato una tua intervista in chi hai detto che tra i tuoi tre libri del cuore c’è quello di Niccolò Ammaniti (Ti prendo e ti porto via). Hai avuto modo di leggere anche il suo ultimo romanzo (La vita intima)?
Sì, l’ho letto e mi è piaciuto molto. Ho avuto modo di riscoprire l’Ammaniti che mi ricordavo cioè quello più “caciarone”: è stato un gradito ritorno. L’ho poi seguito nelle sue avventure televisive e mi ho apprezzato anche questo suo filone. Insomma un ritorno che mi ha portato grande gioia.
Oltre ad essere una traduttrice e una content creator, sei anche una giovane mamma di due bambini piccoli. Come fai a coniugare questi due ruoli?
Faccio fatica come tutti ovviamente. SopraTtutto durante l’ultimo anno (in cui è nato il suo ultimo figlio) è diventato molto difficile organizzarsi anche perché mancano dei supporti strutturali avendo i nonni che abitano lontani. Spero diventi più semplice prossimamente con l’inizio del nido. Ci sono delle grandi gioie, però, che compensano la fatica.
Valeria Rombolà
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Con Claudia Bruno, Alessandra Caracciolo, Emanuela Morrone, Benedetta Perego, Claudia Serra e Eduardo Viviani.
In un’afosa Palermo senza tempo ha luogo una mostra fotografica di Letizia Battaglia. Nessuno, però, si presenta all’evento, e la fotografa si trova a interloquire con la donna che sta pulendo la sala, Rosa Balistreri. Le due donne si confrontano sulla loro città, sull’arte, sulla vita e sulla mafia. Una Letizia stanca e demotivata annuncia di voler lasciare la Sicilia. Nello svolgersi degli eventi, per ogni “giustificazione” che Letizia si dà per lasciare la città, assistiamo a un incontro. Sono momenti ancora senza tempo e senza luogo, durante i quali la fotografa si confronta con le storie e i racconti personali di donne straordinarie che prima e dopo di lei hanno lottato, ognuna a suo modo (col sangue del proprio sangue, con la divisa, con la fiducia), contro la mafia. Ogni incontro è accompagnato dalla chitarra e dalla voce di Rosa che, con il suo ruvido canto, le sostiene tutte. Letizia incontra Emanuela Loi, Felicia Impastato, Rita Atria, e grazie a ognuna delle loro testimonianze ritrova pian piano forza. Le storie di queste donne non sono storie felici, ma anche per loro, Letizia, rivedrà la sua posizione e la sua scelta di abbandonare la città.
Sarà presente Elena Ciccarello, Direttrice responsabile della rivista Lavialibera e Docente di Sociologia della devianza presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale.
Ingresso libero con prenotazione al link.
Il 18 maggio si è svolta a Palazzo Civico di Torino la Conferenza “I romeni in Italia tra vecchi stereotipi e nuovi orizzonti”, organizzata dall’Ambasciata di Romania in Italia, il Consolato Generale di Romania a Torino, insieme all’Istituto Di Studi Politici S. Pio V, Dossier Statistico Immigrazione – IDOS. L’evento, al quale hanno participato quasi 100 invitati, tra ricercatori, rappresentanti delle istituzioni italiane, forze dell’ordine, numerosi esponenti del mondo associativo e personalità romene che vivono nella regione Piemonte, si è tenuto presso la sede e con il patrocinio del Comune di Torino.
Durante il Convegno è stato presentato il volume bilingue “Radici a metà Trent’anni di immigrazione romena in Italia”, che comprende una serie di analisi e statistiche sociologiche multisettoriali, utili a capire le variegate dimensioni della presenza romena in Italia.
Sono intervenuti: l’Ambasciatore di Romania in Italia, Gabriela Dancău, l’Assessore Gianna Pentenero del Comune di Torino, Ioana Gheorghiaș, Console Generale di Romania a Torino.
“In questi 30 anni di immigrazione, la nostra comunità è cresciuta e si è sviluppata. I romenihanno superato il livello di bisogni basilari, come casa e lavoro, diventando nuovi cittadini inseriti nelle scuole e nelle università, come alunni e studenti, ma anche come docenti. Sono presenti nei luoghi di cultura, come artisti e creatori di bellezza, nei registri anagrafici delle camere di commercio, come imprenditori di alto livello”, ha affermato Ioana Gheorghiaș. Il console generale ha portato delle statistiche aggiornate con riferimento alla zona di competenza dell’ufficio consolare, statistiche che dipingono una comunità “proiettata verso il futuro”, con “oltre 4000 imprenditori, 1000 studenti negli amfiteatri dell`Università di Torino e altrettanti nelle aule del Politecnico , con migliaia di bambini e ragazzi di età scolastica che popolano le aule delle scuole di vario grado”.
“Torino è delle città italiane dove la complessità dei rapporti bilaterali tra la Romania e l’Italia si manifesta al massimo”, ha ricordato l’Ambasciatore Gabriela Dancău, elencando i numerosi eventi – economici, culturali, accademici – organizzati nell’ultimo anno proprio nel Piemonte, come frutto dell’ottima collaborazione inter istituzionale al livello bilaterale.
“Oggi è stato inaugurato il Salone Internazionale del Libro al Lingotto e non poteva mancare in questo contesto la presentazione del volume “Radici a metà – 30 anni di immigrazione romena in Italia”. La ricerca “riesce a cogliere fedelmente anche la dimensione umana che ha accompagnato l’immigrazione romena in Italia negli ultimi tre decenni”.
Parlando dello sviluppo del paese negli ultimi anni, l’ambasciatore ha parlato della trasformazione economica della Romania, ricordando il crescente scambio economico tra i due paesi, in continua evoluzione, anche a livelli decentralizzati.
A Torino, una città simbolo per l’industria automobilistica, ha menzionato che la Romania “produce oggi quasi lo stesso numero di autovetture quanto l’Italia, cioè 420.000 pezzi all’anno, 5 volte di più rispetto agli anni ’90”. Lo sviluppo del paese è dovuto anche agli sforzi e ai sacrifici dei romeni emigrati, tra cui spicca quelli arrivati in Italia. La comunità romena in Italia negli ultimi 30 anni ha subito enormi cambiamenti e oggi siamo testimoni di nuove esperienze di successo, senza necessità di evocare il carattere. L’integrazione individuale è frutto del loro lavoro, dei loro sacrifici, dell’impegno delle autorità romene, della Chiesa ortodossa, cattolica e greco cattolica, che sono state una guida e hanno portato sollievo e speranza e non per l’ultimo della disponibilità mostrata dalla società italiana che ha accolto la comunità romena all’estero. L’integrazione è anche frutto dell’impegno di istituzioni come l’IDOS e San Pio V, che, in una visione lungimirante, si sono fatte una ragione nello spiegare l’evoluzione positiva verso l’integrazione, a differenza di mostrare episodi isolati ai quali spesso la stampa e i politici hanno dato visibilità in questi ultimi 30 anni. Per questo ringrazio sentitamente i ricercatori e gli autori dei singoli capitoli”.
I curatori del volume, Antonio Ricci, ricercatore del Centro Studi IDOS e Miruna Cajvaneanu, giornalista romena, hanno presentato i dati e le conclusioni della ricerca, con un focus sulla presenza romena nel Piemonte.
Antonio Ricci ha presentato l’evoluzione, attraverso dati statistici, della presenza romena in Italia.
Eccone alcuni: “Nel 2020 i titolari di impresa nati in Romania sono 50.230, di cui 30.426 nelle costruzioni (si tratta di un vero e proprio passaggio verso il lavoro autonomo nello stesso settore in cui è tuttora convogliata una buona parte dei lavoratori romeni alle dipendenze, tanto che in taluni casi si tratta di para-imprese nate per soddisfare i rapporti di sub-fornitura). Negli anni più recenti l’imprenditoria romena ha trovato nuova linfa grazia alla progressiva apertura a nuovi ambiti di attività, trainata dal ruolo crescente delle donne.
Nel 2020 il valore aggiunto generato dai lavoratori stranieri in Italia è stato pari a 146,7 miliardi di euro, cioè al 9,5% del PIL, e tenuto conto che i romeni in Italia rappresentano oggi il 20,8% della presenza straniera, è doveroso riconoscere ai lavoratori romeni di contribuire ogni anno ad almeno il 2% del PIL italiano”.
In Piemonte c’è un’importante comunità romena, che comprende 73.074 lavoratori (64.739 dipendenti, 7.754 autonomi, 581 parasubordinati). Ci sono anche 4.028 pensionati (1.631 pensioni IVS, 1.858 pensioni assistenziali, 331 pensioni assistenziali, 208 più di una tipologia).
Ecco come viene distribuita la presenza sul territorio nelle varie provincie: Torino si trova al primo posto, con 88.068 presenze (42,2% sul totale degli stranieri), Cuneo – 15.775, Alessandria – 12.632, Asti– 6.724, Novara 3.683.
Miruna Cajvaneanu ha esposto alcuni aspetti qualitativi rilevati dalla ricerca, con luci e ombre. E’ stato notato come al livello associativo, l’impegno della comunità non è omogeneo e ha ancora margini di sviluppo. Molto più significativa è la dimensione religiosa (sul territorio italiano ci sono oltre 400 parrocchie ortodosse, e una cinquantina tra quelle cattoliche di rito latino e greco cattoliche. Dal punto di vista della cittadinanza attiva, sono pochi i cittadini romeni che esercitano il loro diritto di voto attivo e passivo alle elezioni amministrative ed europee, in qualità di cittadini comunitari. Dall’indagine sociologica realizzate nell’ambito della ricerca, è emerso che “i romeni si sentono a casa in Italia, come in Romania, e devono fare i conti con un’integrazione transnazionale sui generis. Interessante notare che il trasferimento della cultura romena alla generazione dei bambini risulti ridotto e generalmente limitato all’uso della lingua romena nello spazio familiare. Da questo punto di vista è probabile che il risultato finale possa essere l’assimilazione”. Inoltre, 46% dei romeni che vivono in Italia dichiarano si sentirsi “cittadini europei”.
Hanno raccontato poi la loro esperienza di successo in Italia: la designer Mioara Verman, Luciana Enescu, organizzatrice e promotrice di eventi caritabili di anvergura nel Piemonte e Viorel Bohotici, giovane ricercatore al Politecnico di Torino.
Luciana Enescu, nata in Bacău, ha lavorato prima come baby sitter, poi, dal 2003 ha iniziato un percorso nel campo dello spettacolo benefico. Dal 2013 con la sua “Eneselle Spettacoli” organizza e promuove diversi eventi di beneficienza, per realtà importanti come AIDO Torino (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, tessuti e cellule), FMRI Torino (Federazione Malattie Rare Infantili), Lila Piemonte (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids), FPRC (Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro, Candiolo).
Mioara Verman, sarta e stilista, vive a Torino da più di 25 anni. La passione e determinazione per il suo lavoro non è passa inosservata ed è diventata Presidente Federmoda – CNA Torino. Da quasi 17 anni gestisce la propria attività, è madre di due figli ed è spesso impegnata in svariati impegni sociali per i più fragili.
Viorel Ionut Bohotici è un promettente studente di Ingegneria Elettronica presso il Politecnico di Torino. Appassionato di Matematica, Fisica, Chimica, e Biotecnologie. Diplomato a Jesi in biotecnologie sanitarie, dall’età adolescenziale ha svolto innumerevoli attività nel campo della ricerca scientifica. Ha presentato i suoi progetti all’Expo di Dubai, ed in varie competizioni scientifiche tra cui il “Regeneron ISEF di Atlanta” dove è arrivato 4°. Grazie ai suoi progetti, ha preso parte alla serie “Science Fair” della prestigiosa “National Geographic”.
L’evento è stato moderato da Benedetto Coccia, ricercatore dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V, che sottolinea la “vicinanza dell’anima” tra Italia e Romania, per citare uno studioso romeno. “Una vicinanza dovuta non tanto alle vicende che recentemente hanno indirizzato una quota consistente dell’emigrazione romena in Italia, rendendo di fatto il gruppo romeno
la comunità straniera più numerosa nel nostro Paese (quasi il 23% dell’intera popolazione straniera residente in Italia), quanto piuttosto alle comuni origini neolatine che hanno dato, sin dall’antichità, a queste due popolazioni, solide radici filosofiche, giuridiche e culturali comuni.” E da qui anche il nome della ricerca, “Radici a metà”, che si riferisce anche al sentimento di appartenenza, d’identità dei romeni che, ormai da anni, vivono in Italia.
Si tratta della terza edizione di una fortunata serie di Convegni con lo stesso tema, promossa dall’Ambasciata di Romania in Italia sul territorio italiano. Le prime tappe sono state in Campidoglio, alla presenza del Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e a Firenze, presso sede della Regione Toscana, con la partecipazione del Presidente della Regione, Eugenio Giani.
Foto Mihai Bursuc
Lunedì 22 maggio, alle 16,30, la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo presenterà al Salone del Libro di Torino (Sala Gialla, Padiglione 2) il progetto REMEMBR-HOUSE, realizzato in collaborazione con il MEIS, il Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, di Ferrara. REMEMBR-HOUSE, sostenuto dall’Unione Europea all’interno del programma CERV – Citizens, Equality, Rights and Value Programme, è un progetto incentrato sulla memoria della Shoah ed è rivolto a docenti, educatori, operatori culturali e studenti e ad un pubblico internazionale. Il tema centrale del progetto è la casa, nella sua dimensione di spazio fisico ed emotivo al tempo stesso. L’obiettivo è quello di incentivare un lavoro creativo a partire dalle carte del Fondo EGELI, custodite dalla Fondazione 1563, che consentono di recuperare dettagliate liste dei beni sequestrati agli ebrei in Piemonte e Liguria dopo l’emanazione delle leggi razziali fasciste nel 1938 e negli anni successivi. La casa si trasforma così in un mezzo straordinario per avvicinare alla storia della Shoah: far rivivere la memoria di stanze e oggetti perduti stabilisce un legame con il passato e con storie individuali che diventano simboli per riflettere sul presente e sui diritti umani fondamentali. Al Salone del Libro di Torino i ragazzi delle scuole potranno sperimentare i laboratori didattici di REMEMBR-HOUSE, lavorare sulle fonti e ricostruire, in scala e con una loro personale rielaborazione, le case degli ebrei perseguitati durante il nazifascismo. L’attività al Salone proseguirà con Sara Gomel, filosofa, educatrice e scrittrice, che introdurrà il tema della casa dal punto di vista della filosofia per ragazzi in un incontro indirizzato ad insegnanti ed operatori culturali. Dopo Torino, la prossima tappa del progetto sarà il 30 maggio online sulla piattaforma Zoom per lanciare il concorso a premi internazionale di REMEMBR-HOUSE, che metterà alla prova studenti, istituzioni e centri di aggregazione giovanile di tutta Europa. |
IL 19 maggio si e´tenuta a Palazzo Arsenale, presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito, la conferenza “Multinazionale ‘ndrangheta. L’Organizzazione criminale piu´ramificata del mondo” con Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, in un dialogo con Paolo Di Giannantonio e Germana Zuffanti, preceduta dai saluti del Comandante, il Generale di Divisione Stefano Mannino.
Sono almeno 34 i Paesi in cui la presenza della ‘ndrangheta e´confermata e dove costituisce una minaccia grave al pari dei cartelli messicani, delle triadi cinesi o delle mafie postsovietiche; in Italia le ramificazioni sono arrivate in molte regioni, la primaper infiltrazioni e´la Lombardia, a seguire ci sono il Piemonte, la Liguria, il Veneto, la Valle D’Aosta, il Trentino Alto Adige e il Lazio. Questa multinazionale criminale e´sempre piu´globale e interconnessa, in grado di creare macrostrategie, infiltrarsi nel territorio e governarlo, capace di penetrare le istituzioni e contaminare l’economia. La ‘ndrangheta possiede una nuova identita´ che si e´ adattata ai tempi e con il suo “sguardo presbite” conta sempre di piu´ sullo smaltimento dei rifiuti tossici, sul gioco d’azzardo online e sulle droghe sintetiche (che hanno un livello superiore di tossicita´ e inducono piu´ rapidamente la dipendenza)senza rinunciare, comunque, a tutte quelle attivita´ come il traffico di armi, la prostituzione e la contraffazione che, oltre a rendere economicamente, consolidano una posizione di potere stabilita nel tempo attraverso la creazione di una forte rete relazionale e “traffico di influenze”. Questa nuova versione della mafia calabrese ha compiuto lunghi passi verso il business del futuro, si avvale delle nuove tecnologie, mantiene un profilo basso, centellina la violenza e punta alla “normalizzazione” della propria immagine anche mediante l’uso dei social network che vengono utilizzati non solo per inviare messaggi criptati, e quindi poco intercettabili, ai narcotrafficanti messicani, brasiliani ocolombiani, ma anche con l’obiettivo di creare “forme di inter-realta´” che guadagnano centinaia di like e visualizzazioni.
La neo ‘ndrangheta, non piu´ predatoria ma “avanguardista”, continua ad esplorare oltre confine e, con grande fiuto e spiccata attitudine a sfruttare ogni occasione per fare affari, ha intuito gia´da diverso tempo quanto l’Africa possa essere redditizia sia per il suo smisurato serbatoio di risorse, ma anche per il terribilescenario di poverta´e disperazione, fonte di caos e quindi dibusiness. Diamanti grezzi, macchiati del sangue di bambini, donne e uomini “dallo sguardo spento”, pagati con armi destinate agruppi ribelli ma anche a Stati, eserciti e corpi di polizia. Il coltan, un minerale nero metallico necessario per la produzione di apparecchi tecnologici, il tantalio utilizzato nell’industria aerospaziale e nel nucleare, detenuti in una alta percentuale in Congo, sono alcune tra le materie prime di cui la ‘ndrangheta va a caccia e che baratta con l’artiglieria destinata ai “signori della guerra” africani, indispensabile per loro guerriglie. Purtroppo anche le risorse umane rappresentano merce di scambio per la criminalita’ organizzata, disperati alla ricerca illusoria di una vita migliore partono in massa verso le nostre coste e una volta arrivativengono impegnati in lavori sottopagati e spesso indegni. E poi ci sono i rifiuti tossici che in questo continente, martoriato e sfruttato, arrivano in grande quantita´ e quasi tutti provenienti dall’industria hi-tech e farmaceutica mondiale, tonnellate di veleni e vecchi dispositivi elettronici vengono scaricati in mare o in aree naturali africane.
E l’Ucraina? La ‘ndrangheta sara´ gia´pronta ad approfittare di questa “tavola imbandita” su cui c’e´di tutto: business edilizio, armi, traffico di esseri umani, mercato nero e fondi europei? Si parla gia’ di 600 miliardi di danni, senza contare le infrastrutture, un affare ghiotto per chi guadagna dove ci sono catastrofi. D’altronde tutto cio’ e´ gia´ capitato durante il Covid-19, un’emergenza che ha fatto arricchire le organizzazioni criminali prima con il “welfare di prossimita´ “ e poi rilevando le aziende che durante la pandemia rischiavano di chiudere, il tutto con la pretesa di mascherare tali azioni speculative per azioni filantropiche a sostegno di famiglie e aziende in sofferenza, innescando, invece, un meccanismo di dipendenza da cui difficilmente si esce. Tutto questo Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ce lo raccontano in maniera approfondita nel libro “Fuori dai confini”, ci spiegano che “le mafie sono come i virus, mutano in continuazione per adattarsi ai cambiamenti dell’organismo sociale che le ospita”. La ‘ndrangheta oggi e’ una azienda moderna al passo con i tempi, che fa affari anche in tempo di guerra, “la mafia calabrese d’altronde gli affari li ha sempre fatti”.
MARIA LA BARBERA