Un incontro che unisce finanza e narrativa, con molti punti chiave che collegano due mondi apparentemente distanti:
6 febbraio 2025, alle ore 18.45

Coniato dal filosofo Glenn Albrecht dell’universita’ di Newcastle in Australia, “solastalgia” e’ un neologismo che deriva dalla fusione di “solace” e “nostalgia”, che insieme creano la nostalgia della conforto. È un termine che indica il senso di malessere che si genera quando l’ambiente circostante viene maltrattato, danneggiato e deturpato. A dar vita a questa “patologia del luogo” sono fenomeni climatici estremi come tempeste e alluvioni, ma anche fuoriuscite di petrolio e altri disastri causati dall’uomo. Quando i territori a cui apparteniamo, quelli delle nostre radici, non sono piu’ riconoscibili ai nostri occhi e alla nostra memoria questo puo’ causare stress, ansia e malessere.
Ci si sente come se quei luoghi, che rappresentano la nostra identita’ ci fossero stati portati via, si crea un senso di smarrimento dovuto alla trasformazione della nostra casa, di quello spazio che ha la funzione di rifugio e di sicurezza sia fisica che psico-sociale. Albrecht comincio’ a parlare di solastalgiariferendosi alle vicende dell’ Upper Hunter Valley che vennemodificata, meglio dire stravolta, a causa delle operazioni di estrazione mineraria che avevano causato nei suoi abitanti importanti problemi di umore, rabbia e senso di frustrazione.
Gli interventi dell’uomo sull’ambiente naturale, sempre piu’spesso, hanno risvolti funesti non solo sul sistema ecologico, ma anche sugli esseri umani che lo vivono e che non lo riconoscono piu’ come loro habitat originario. Questo fenomeno nostalgico, sfortunatamente, non e’ piu’ ricollegabile unicamente a singoli eventi, ma lo si puo’ trattare a livello globale a causa della massiccia attivita’ di antropizzazione che incede inarrestabile e di frequente in maniera irrispettosa. Quest’anno siamo rimasti tutti sorpresi dal caldo record e innaturalmente protratto al sud e dai violenti temporali al nord che hanno avuto il potere di distruggere paesaggi naturali e urbani; ognuno di noi guarda a questi fenomeni estremi con preoccupazione perche’ compromettono la possibilita’di previsione, di poter pianificare molte attivita’, ma soprattutto creano la sensazione di non essere al sicuro nel proprio ambiente.Si da’ origine cosi’ alla “ecoansia” che produce molti dubbi sul futuro, impedisce di progettare soprattutto ai giovani che gia’ da tempo hanno cominciano a ribellarsi. Diversi sono, infatti, gli interventi attivi di ragazzi, conosciuti e non, che alle conferenze dell’Onu o alle manifestazioni in piazza con determinazionedenunciano lo sfruttamento del pianeta, urlano la loro paura per il futuro chiedendo uno stop all’utilizzo indiscriminato e dannosodel nostro pianeta. Da una parte il progresso dall’altra la necessita’che questo sia sostenibile e riguardoso, generazioni a confronto sull’avvenire, ma di sicuro un malessere ecologico sempre piu’diffuso nel presente.
MARIA LA BARBERA
Riguardando alcune interviste e conferenze del compianto Sergio Marchionne, mi ha colpito molto la sua analisi sulla pretesa, da parte della maggior parte degli italiani, di veder rispettati i propri diritti senza però rispettare i tanti doveri che l’appartenenza alla nostra società impone.
Si pretende il diritto allo studio, al lavoro, alla giornata di 8 ore, alle 40 ore settimanali, alle ferie, ad una giusta retribuzione e molto altro, ma per ragioni di comodo gli obblighi vengono sempre tralasciati.
Proprio perché alcuni diritti sono divenuti sacrosanti grazie a lotte sindacali, garanzie costituzionali o sentenze giudiziarie tutti ne usufruiamo dimenticando, però, che nel diritto vige un patto sinallagmatico tra diritti e doveri, ovvero vige il “do ut des” che implica il godimento di un qualcosa in cambio di qualcos’altro.
Mi spiego meglio: ho diritto alla sanità gratuita o alla pensione, a condizione di aver versato i contributi o pagato le tasse (questo è il dovere); anche su altre materie, tuttavia, spesso si confondono i ruoli e si pretende solo senza sapere (o volere) elargire nulla in cambio.
Faccio un esempio: pretendere la promozione a fine anno scolastico senza studiare è un controsenso; lo stesso dicasi per il lavoro dove non possiamo pretendere il posto a tempo indeterminato se, durante il periodo di prova, abbiamo assunto atteggiamenti ostili.
I sindacati, passati i fasti dell’autunno caldo (con uno Statuto dei lavoratori proposto dall’allora Ministro Donat Cattin e non guadagnato dalle OO.SS), hanno incentivato sempre più la concessione dei diritti a ogni lavoratore anche a costo, non di rado, di tutelare i lavativi o difendere gli indifendibili a scapito della meritocrazia.
Da un tale substrato non può che nascere la consapevolezza che i diritti siano dovuti, mentre i doveri sono tali solo per i meno furbi, per i più ligi, per i fessi insomma.
Naturalmente questo concetto di applica anche al voto politico, dove sempre più gente non si reca alle urne ma poi starnazza sui difetti della maggioranza uscita dalle urne, dove sempre meno gente si reca in Consiglio comunale ma poi pretende provvedimenti non di competenza del Comune; che dire di chi non sa neppure che dalle elezioni politiche del 2022 il numero dei deputati è sceso da 630+315 a 400+200? Però tutti giurerebbero di poter insegnare ai politici come si amministri davvero un Paeseesattamente come, davanti alla TV, siano tutti arbitri, giudici dei contest canori, Mister di calcio o strateghi di un conflitto.
E’ sicuramente ora, anche se siamo parecchio in ritardo, di insegnare fin dalle elementari cosa e quali siano gli obblighi e che sono connessi allo status di cittadino e, una volta appresi qualisiano, spiegare che se assolvi correttamente ai tuoi doveri godrai di una serie di diritti.
Tutti noi abbiamo l’obbligo di fare qualcosa perché il nostro Paese, la nostra società e, di conseguenza, ognuno di noi funzionino al meglio; ma se è facile essere passivi godendo di diritti è molto più impegnativo essere parte diligente assolvendo agli obblighi. Fino al 2004 esisteva la leva obbligatoria in Italia, poi sospesa dalla Legge 23 agosto 2004, n. 226: i renitenti alla leva erano davvero pochissimi, almeno in tempo di pace; scommettiamo quanti sarebbero oggi se la leva venisse ripristinata? Eppure è un obbligo derivante dal diritto di vivere in pace, di garantire al Paese la difesa in caso di attacco e, da alcuni anni, di coadiuvare le FF.OO. nel pattugliamento di zone a rischio.
Probabilmente stiamo ancora troppo bene per riflettere che se viviamo di soli diritti, di diritti moriremo.
Sergio Motta
Tra i molti cambiamenti intervenuti nella nostra società negli ultimi decenni vi è anche l’aumento della vita media; non è infatti difficile ormai trovare persone che hanno compiuto 90 anni ed oltre, specie nei Comuni di montagna.
All’aumento dell’età, però, non sempre corrisponde una qualità della vita accettabile: patologie degenerative sempre più frequenti, solitudine, problemi deambulatori costringono gli anziani al ricovero presso le strutture dedicate, le “Residenze Sanitarie Assistenziali”.
Se da un lato questi ricoveri mostrano che la società si è organizzata per sistemare gli anziani non autosufficienti, dall’altro denota il forte mutamento nelle abitudini sociali cominciato una ventina di anni fa almeno e tutt’ora in forte espansione.
Pensate soltanto a quanti anziani conosciamo, degenti presso queste strutture perché i figli sono entrambi occupati con il lavoro o impossibilitati ad occuparsi di loro per altre ragioni.
Un primo dubbio da sollevare è il rapporto tra stipendio percepito e costo della degenza in RSA: a fronte di uno stipendio (buono) di 2000 euro al mese, va considerato che un mese in RSA ha un costo che si aggira tra i 2500 ed i 3000 euro + IVA al mese.
Vale dunque la pena lavorare e, per questo motivo, dover spendere circa 1000 euro al mese in più di quanti ne guadagniamo, nella migliore delle ipotesi? Certo, qualcuno sosterrà che in tal modo si crea occupazione perché in una RSA trovano impiego OSS, infermieri, medici, cuochi e cucinieri, tecnici, giardinieri, ecc, ma pensando unicamente all’aspetto occupazionale arriveremo a perdere di vista ogni valore umano, a catalogare le persone in base a quanto contribuiscano all’aumento del PIL e non in base agli affetti o alla relazione di parentela.
Se tornassimo ad occuparci dei nostri ascendenti, come loro si sono occupati di noi quando le parti erano invertite? In una società i più grandi hanno il compito di allevare ed educare i più giovani fin quando questi siano in grado di badare a se stessi; dopo, però, non vanno buttati via perché inutili ma, anzi, aiutati perché non più in grado di essere autonomi, in una sorta di patto sinallagmatico tra le generazioni.
Spesso sembra che le persone vengano paragonate agli oggetti di uso quotidiano: fino a qualche anno fa portavamo a riparare la TV, la radio o l’elettrodomestico guasti, chiamavamo il tecnico per frigo, lavatrice o forno quando si guastavano e il falegname quando i mobili mostravano segni di usura nello scorrimento dei cassetti, le maniglie non chiudevano più correttamente e così via.
Ora, complice la tecnologia che rende obsoleti oggetti di 3 anni, appena qualcosa si guasta valutiamo se sia di una classe energetica superiore, se la garanzia aggiuntiva sia scaduta e 90 volte su 100 decidiamo di buttare via l’oggetto per acquistarne uno nuovo; con quello che abbiamo speso, il risparmio energetico derivante alla nuova classe energetica si manifesterà dopo almeno 4 anni, quando probabilmente cambieremo nuovamente l’elettrodomestico.
Con gli anziani rischiamo di fare la stessa cosa: quando non ci servono più e diventano impegnativi meglio destinarli ad una struttura che li accudisca per noi, anche se non è la scelta economica migliore, pur di non modificare le nostre abitudini, non rinunciare alla nostra libertà, non sacrificarci in nome dell’amore parentale.
Ma è una ruota che gira: quando toccherà a noi preferiremmo avere uno dei nostri congiunti, anche solo qualche ora, a casa ad alternarsi ad una badante o essere scaricati in una struttura dove saremo poco più che numeri e vedere i nostri cari quando si liberano?
Se la ricerca scientifica puntasse davvero sul migliorare la qualità della vita anziché prolungarla soltanto? Se coinvolgessimo gli anziani in tutti i livelli della nostra società, anziché esautorarli quando non sono più attivi, quando diventano un peso? Non dimentichiamo che gli anziani rappresentano la nostra memoria storica e la loro esperienza può aiutarci ad evitare il ripetersi di errori.
Pensiamoci, potrebbe toccare a noi.
Sergio Motta
L’Università di Torino ha recentemente avviato un progetto dedicato all’arte e al benessere di studenti e studentesse, parte del Bilancio Partecipativo di Ateneo 2024, votato dal corpo studentesco.
Facciamo arte è un progetto dell’Università di Torino che ha come obiettivo la promozione della socialità e del benessere delle studentesse e degli studenti attraverso l’arte all’interno degli spazi universitari.
Tra novembre 2024 e giugno 2025 vengono attivati laboratori ed eventi artistici che spaziano dal teatro, alla danza e alla musica come danza di comunità, teatro sociale, laboratori di percussione.
Attraverso una rielaborazione collettiva e una strumentazione artistica e psico-sociale sono narrati i vissuti dei giovani di fronte a macro-eventi scioccanti come le pandemie o le guerre.
L’ultima parte del progetto è dedicata alle azioni per il mantenimento e il potenziamento delle capacità acquisite durante i laboratori: consapevolezza e gestione delle emozioni, comunicazione, resilienza, problem solving, creatività e flessibilità.
I laboratori si svolgono all’interno degli spazi dell’università, distribuiti tra i vari poli, in modo da ripopolare luoghi familiari associati allo studio con attività extra curriculari pensate per coinvolgere la comunità universitaria in nuove esperienze artistiche.
Il primo laboratorio di Danze Popolari a Palazzo Nuovo e il primo concerto di Sassofoni, hanno avuto un buon esito.
Il prossimo evento del 2025 sarà Marimba in Suono, concerto a cura di Cesare Fornasiero del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, che si svolgerà il 31 gennaio dalle 18 alle 19,45, nell’Auditorium del Complesso Aldo Moro, in Piazzale Aldo Moro.
Oltre al concerto, a febbraio verranno avviati altri laboratori rivolti a studenti e studentesse:
Pause4Student: Laboratorio di Danza, dal 5 febbraio al 12 marzo, ogni mercoledì dalle 13,45 alle 15,15 allo StudiumLab a Palazzo Nuovo (Via Sant’Ottavio 20, Torino).
Hearts: Workshop Artistici per il benessere dell3 student3 universitar3, laboratori di teatro che verranno attivati a Torino, dal 19 febbraio al 9 aprile ogni mercoledì e dalle 13 alle 15 in Aula Magna del Rettorato (Via Po, 17, Torino) e a Grugliasco, dal 19 febbraio al 26 marzo, ogni mercoledì dalle 16,45 alle 18,45, nella Sala Eventi della Biblioteca Diffusa (Largo P. Braccini 2, Grugliasco).
Per iscriversi al concerto e ai prossimi laboratori si prega di compilare il seguente form: https://forms.gle/naoSRox9Lua7V4HS7
I laboratori sono aperti anche a partecipanti esterni all’Università di Torino, in base alla disponibilità di posti. Il calendario è in continuo aggiornamento e vi invitiamo a tenere d’occhio la pagina web di Facciamo Arte per informazioni aggiuntive sugli orari e sui luoghi di svolgimento: https://www.unito.it/ateneo/gli-speciali/facciamo-arte-laboratori-creativi-psicosociali
Non solo il latino ma anche la geografia, la storia con attenzione a quella dell’Occidente e, udite, udite, le famigerate poesie a memoria alle elementari. Insomma , dopo anni in cui la scuola ha visto smarrire sempre di più il suo ruolo, anche, appunto, a causa di programmi scolastici annacquati, ora si cerca di correre ai ripari per arginare il cosiddetto “analfabetismo funzionale”, quello, tra l’altro, di cui ci si accusa vicendevolmente nei commenti sui social, ignorando che frequentemente, chi attribuisce all’interlocutore questa condizione, ne è vittima egli stesso. Perchè gli analfabeti funzionali sono, insospettabilmente, fra noi. Ecco le nuove indicazioni del Ministro dell’Istruzione e Merito Valditara
Leggi l’articolo su lineaitaliapiemonte.it:
Il clutter, in inglese, è l’accumulo indiscriminato; viene utilizzato per indicare l’abitudine di conservare ogni oggetto, se non addirittura di raccoglierlo in giro, fino al punto di non potersi più muovere.
Se fino a 3-4 qualche decenni orsono il clutter riguardava oggetti tangibili, fisici che andavano a riempire cassetti, ripostiglio, cantina o altri angoli di casa, la diffusione di massa dei files digitali ha portato a clutterizzare anche, e soprattutto, il nostro pc.
Un tempo, quando la fotografia era analogica e sceglievamo con cura quelle che sarebbero diventate foto da stampare, riponevamo le foto in un album, o nei portafoto trasparenti, indicando in copertina il luogo o la data o l’evento cui si riferissero.
L’avvento della fotografia digitale ha aumentato in modo iperbolico la quantità di foto che annualmente scattiamo o riceviamo (anche tramite i social) al punto che catalogarle diventa impossibile o, quanto meno, richiede tantissimo tempo.
Pensate che, prima della diffusione della fotografia digitale, scattavamo una media di un centinaio di foto per ogni vacanza (3 rullini da 36); ora, tranne casi più gravi, i 100 scatti li abbiamo realizzati quando arriviamo al casello dell’autostrada (quello della partenza) perché dobbiamo compulsivamente fotografare ogni cosa incontri il nostro sguardo: ciclista, cartello, giocoliere, semaforo guasto, auto sportiva, alba, tramonto e luna.
Va da sé che, al ritorno, archiviare in modo “sensato” qualche centinaio (se non migliaio) di scatti diventa un’impresa epica: luogo, particolare (museo di….,, ristorante XY, ecc) e, dunque lasciamo tutto buttato in un’unica cartella. Ovviamente, quasi mai eliminiamo le foto palesemente inutilizzabili perché sfocate, scure, scattate involontariamente.
Lo stesso dicasi di files word, mail, video e, in generale, tutto quello che riponiamo nel nostro pc.
Esattamente come un ripostiglio senza scatole né etichette, un PC con documenti di ogni genere salvati alla rinfusa rende difficile ogni ricerca, specie se riveste carattere di urgenza.
In un’epoca in cui andiamo sempre di fretta, in cui c’è l’ansia di accumulare sempre più oggetti, in cui abbiamo sovrabbondanza di ogni oggetto (e le foto non fanno eccezione) sarebbe forse il caso di tornare al vecchio sistema di conservare solo il necessario, di eliminare subito il superfluo e di tenere traccia di tutto ciò che facciamo; fare pulizia ci permette non soltanto di eliminare il superfluo, ma anche di ripassare in rassegna ciò che abbiamo e avevamo dimenticato di avere e, ancora più, vedere come nel tempo siano cambiati i luoghi, la società, il modo di vivere e la nostra cultura in senso lato.
Una persona che fotografi durante 10 week end l’anno, durante le vacanze estive e in occasione di 6-7 feste (compleanni, Capodanno, ecc) accumula in un anno qualcosa come 5-6000 fotografie; quante credete che ne guarderà?
Sergio Motta
Quando si parla di inquinamento si pensa subito ai fumi delle fabbriche, agli scarichi delle auto e a tutta una serie di agenti che lavorano all’esterno. Sicuramente la percezione della nocività di tutte quelle sostanze che agiscono al di fuori delle nostre mura è più forte per la semplice ragione che è tutto più visibile e tangibile. Si sottovaluta invece quello che è il pericolo di avvelenamento negli ambienti chiusi e quindi anche all’interno delle nostre case nelle quali si può determinare un mix di sostanze dannose per la nostra salute. Il peggioramento dell’aria negli ambienti chiusi, diventata negli ultimi anni più insalubre e nociva, ha diverse cause, ma quello che complica decisamente la situazione è che attualmente, soprattutto dopo la pandemia, le persone vivono sempre di più in luoghi confinati. L’orientamento è certamente quello di ridurre i consumi energetici grazie anche ad una evoluzione di materiali nell’edilizia che sigillino sempre di più gli interni per ovviare, per esempio, agli eventi climatici estremi. Questo miglioramento in termini di isolamento tuttavia ha un risvolto negativo che corrisponde ad una diminuzione del ricircolo dell’aria e questo è uno dei motivi predominanti del deterioramento della qualità dell’aria all’interno degli ambienti chiusi.
Le altre cause che aggravano le condizioni negli habitat domestici o lavorativi sono le attività praticate dagli umani come per esempio il fumo, l’uso di combustibili solidi, la pulizia e la manutenzione con detergenti e igienizzanti chimicamente tossici, l’utilizzo non appropriato di stufe e camini. Gli agenti inquinanti sono di tre tipologie: chimici, fisici, come per esempio i microclimi, impianti radio e tv ed elettrodomestici, e biologici come muffa, acari, funghi e microrganismi.
Le conseguenze sulla salute causate dell’inquinamento indoor sono diverse e di differente entità e gravità: una semplice tosse, ma anche problemi respiratori e purtroppo il cancro.
Quali sono i suggerimenti che gli esperti danno per tenere sotto controllo l’inquinamento domestico? Sicuramente arieggiare spesso gli ambienti, posizionare piante in grado di assorbire l’anidride carbonica e altre sostanze nocive, non fumare, non creare condizioni che favoriscono l’umidità, utilizzare intonaci antimuffa, usare il deumidificatore e il depuratore d’aria, ridurre l’uso di deodoranti per l’ambiente. Inoltre è consigliato di non eccedere con l’utilizzo di detergenti e sostanze chimiche nella pulizia e non fare miscele pericolose come unire candeggina e ammoniaca. Riguardo a quest’ultimo punto è bene, prima di procedere con la detersione, leggere quali sono le dosi indicate e utilizzare i tappi o i piccoli contenitori per calcolarle. È bene anche ricordarsi di limitare al massimo l’uso di pesticidi e insetticidi, veri e propri veleni per il nostro corpo e quello dei nostri amici animali.
C2 presente negli ambienti chiusi
Apertura finestre per il cambio d’aria importantissime anche per non fare accumulare umidità
Pulire filtri condizionatore
Vestiti tintoria farli arieggiare
MARIA LA BARBERA
Prometeo, la nuova piattaforma del Politecnico di Torino, inaugura al Circolo dei lettori, in collaborazione con Universo, la piattaforma di eventi dell’Università di Torino, un ciclo di incontri per esplorare e affrontare insieme le sfide della nostra contemporaneità
Dieci incontri per discutere e affrontare insieme i cambiamenti e le sfide della nostra contemporaneità: prende avvio domani il ciclo di appuntamenti “Le Muse Sapienti. Geografie del presente”, iniziativa realizzata nell’ambito della nuova piattaforma di produzione di contenuti culturali per il public engagement del Politecnico di Torino, Prometeo, in collaborazione con Fondazione Circolo dei lettori e con Universo, il programma di eventi culturali dell’Università di Torino; una serie di dinner talks serali al Circoli dei lettori articolati in due momenti distinti, un primo di confronto tra gli ospiti sui temi che animano il nostro presente e un secondo di coinvolgimento del pubblico mediante la formula dell’aperitivo per continuare la conversazione in un contesto conviviale.
La scelta del nome, “Le Muse sapienti”, si ispira all’opera musicale Le muse galanti proposta nel 1743 da Jean-Jacques Rousseau e, attraverso una serie di confronti fra tecnologhe, tecnologi, scienziate, scienziati, umaniste, umanisti, artiste e artisti, vuole dimostrare che la tecnologia è umanità e che occorre riconciliare l’umanità con le sue creature.
La tecnologia ha infatti assunto un ruolo sempre più decisivo nello sviluppo sociale e in tutti gli ambiti della vita umana, dalla formazione al lavoro, dall’ambiente alla salute. Per questo motivo, il Politecnico di Torino intende intensificare le proprie iniziative di condivisione di conoscenza con la cittadinanza, rafforzando con Prometeo l’azione di Biennale Tecnologia, la grande manifestazione culturale a cadenza biennale che l’Ateneo realizza e promuove con successo dal 2019.
L’idea è di produrre contenuti d’interesse per il pubblico, contenuti di volta in volta differenti: spettacoli teatrali, cortometraggi, libri di saggistica, pubblicazioni a fini didattici, ma anche podcast, video, lezioni per studenti della scuola e dell’università, e ancora contenuti per i social network, eventi di intrattenimento e dialogo con esperti, mostre, e molto altro.
Domani il primo appuntamento, “Pensare la fine”. Una riflessione sulla vecchiaia, pensiero spesso rimosso dalle nostre menti perché portatrice dell’idea, considerata da molti spaventosa, di non “essere più noi stessi”. Ma, si interrogano gli ospiti del talk – Agnese Codignola, Alessandro Chiarini e Paola Stringa – non sarebbe invece meglio prepararsi e affrontare la questione con pragmatismo? E allora il dialogo si concentra, nello specifico, sulle malattie degenerative e in particolare sull’alzheimer, con lo sguardo rivolto al futuro della ricerca e alla gestione della persona, a partire dalle conoscenze scientifiche e nella prospettiva di nuove soluzioni, in armonia con il modo in cui vogliamo pensare la nostra identità, gestendola fino alla fine.
Il secondo appuntamento si terrà il 30 gennaio prossimo e vedrà in dialogo tra loro, moderati da Guido Saracco, Giovanna Iannantuono e Andrea Prencipe. Dal titolo “Università generativa”, l’incontro esplorerà le opportunità offerte oggi da un mondo in costante cambiamento, con l’invito, rivolto alle nuove generazioni, di “imparare a disimparare” per lasciare il posto alle conoscenze associate ai cambi di paradigma in arrivo. Nel farlo, è necessario tuttavia conservare le qualità «umane» del pensiero, qualità sapientemente integrate con le nuove frontiere della rivoluzione tecnologica. Il monito è quindi di mantenere accesa la fiamma della creatività rispettando le tradizioni e il sapere ricevuto, ma al contempo di aprirsi alla diversità e al mondo intero. A tutto questo formeranno le università generative.
Il palinsesto degli incontri continuerà con i seguenti talk:
I dieci appuntamenti si svolgeranno presso la sede del Circolo dei lettori, in Via Gianbattista Bogino 9, Torino, e cominceranno alle 18.30, con ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Chi possiede la Carta Io leggo di Più del Circolo dei lettori può prenotare il proprio posto (info@circololettori.it | 011 8904401).
Per l’aperitivo a seguire, è necessaria la prenotazione (Barney’s | 011 8904417 – 348 0570986 – barney@circololettori.it).