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A Torino un seminario sull’accesso all’alloggio

A Torino ci sono famiglie senza casa e case senza abitanti. Su 502mila alloggi di civile abitazione, oltre 78mila, il 15%, sono sfitti, secondo Istat. Se riuscissimo ad utilizzarne anche solo la metà ai fini di edilizia sociale avremmo risolto buona parte dei problemi”. L’accesso all’alloggio per le fasce grigie è stato il tema di un seminario organizzato dalla cooperativa Liberitutti in collaborazione con Cicsene nell’ambito del progetto europeo Hero.

A Torino un seminario sull’accesso all’alloggio, promosso da Liberitutti nell’ambito del progetto sull’antiziganismo “Hero” (Housing and Employment of ROma people) realizzato in collaborazione con l’associazione Cicsene ha allargato il dibattito sulle condizioni di disagio abitativo vissuto dai Rom italiani a tutte le categorie svantaggiate e discriminate. E’ toccato al project manager Marco Buemi raccontare il cammino di due anni e mezzo del progetto europeo “Hero”, le ricerche a cura del professor Vincenzo Romania dell’Università di Padova sulla realtà abitativa dei rom a Torino, Genova, Dortmund e Budapest. “Tre gli obiettivi del percorso: accesso dei rom al lavoro, all’alloggio e all’educazione – ha spiegato Buemi –Hero cerca di combattere gli stereotipi anche attraverso la diffusione del cortometraggio realizzato con la tecnica stop- motion”.Le difficoltà di accesso all’alloggio per le categorie svantaggiate e discriminate, per quelle che sono definite le fasce grigie della società (sono a rischio a causa della perdita del lavoro, di divorzio, malattia) sono in costante aumento. Il tema è stato al centro del focus moderato da Cicsene, il Centro Italiano di collaborazione per lo sviluppo edilizio nelle Nazioni Emergenti, che ha come mission quella di intervenire sulle disuguaglianze abitative, per contrastare il disagio, e promuovere politiche abitative. Venticinque le organizzazioni locali che hanno preso parte all’incontro. Denunciata “una totale assenza di politiche nazionali per la casa, il dilagare degli sfratti, l’aumento delle liste di famiglie in attesa di una casa. E ancora: “sono sempre di più le persone senza dimora o in condizioni abitative di estrema precarietà, cresce il caporalato abitativo, è stato detto, a più riprese.

Gianfranco Cattai, presidente del Cicsene, oltre a presentare una riflessione in 17 punti sulle motivazioni dei proprietari che decidono di tenere sfitte le seconde case piuttosto che fittarle ha esaminato il fenomeno degli alloggi e delle categorie svantaggiate e discriminate.

A Torino ci sono famiglie senza casa e case senza abitanti, ma c’è un fenomeno nuovo: su 502mila alloggi di civile abitazione, il 15 per cento (dati Istat) oltre 78mila sono sfitti”, ha sottolineato il presidente Cattai. “Ora se approfondiamo e consideriamo che in virtù del turn over non tutti gli alloggi sono liberi, se consideriamo la quota degli alloggi fittati in nero e di quelle abitazioni che sono utilizzate con le formule di affitto breve turistico, tipo Airbnb – ha ragionato – possiamo stimare un dato credibile di almeno 40mila alloggi da recuperare a fini sociali”. “Se noi li riuscissimo ad utilizzare ai fini di edilizia sociale avremmo risolto buona parte dei problemi – auspica Cattai – Si pensi che le ultime richieste di case popolari a Torino sono state 14mila, troveranno risposta in 2mila. Punto. E tutti gli altri?

Per Cattai oltre alla questione “soldi e manutenzione delle case vuote” perché “non si deve costruire nulla di nuovo, c’è un urgente tema culturale da affrontare”. Quale? “La mancanza di fiducia di relazioni nella comunità”, dice Cattai che elenca anche alcune possibili soluzioni, a patto che si passi dalle parole ai fatti: “Non dobbiamo fare più solo discussioni sul welfare abitativo e sulla funzione della proprietà privata che è sicuramente personale ma anche sociale, ma occorre ragionare da una parte sulla tutela delle garanzie da assicurare ai proprietari, dall’altra riconoscere la priorità che l’accoglienza avvenga nel rispetto delle culture di origine di tutti gli stranieri”.

Tra le associazioni locali intervenute al Polo del ‘900 c’erano A.i.z.o. rappresentata dalla fondatrice Carla Osella, Fondazione Operti, Sinloc, Caritas della Diocesi di Torino e le associazioni Arteria, Il rosa e il grigio e Famiglie Accoglienti Torino. Hanno partecipato al dibattito anche i consiglieri regionali del Piemonte Silvio Magliano e Monica Canalis e l’assessore comunale al Welfare, Jacopo Rosatelli.

La sociologa e pedagogista Carla Osella, che dei Rom condivide ogni giorno peso e difficoltà, fondatrice dell’Associazione italiana zingari oggi (Aizo) ha parlato della sua esperienza diretta per diversi anni all’interno dei campi rom e ha sollecitato le istituzioni a “rendere protagonisti i rom, ad entrare nei campi per discutere e vedere cosa succede, senza fare politiche a tavolino”.

Se un gruppo famiglia rom chiede di vivere in 14, tutti assieme, in un’abitazione il tema va affrontato: è una proposta logica che traspone il loro modo di sentire la comunità nella nostra comunità – sottolinea il presidente Cattai – Serve flessibilità e creatività a una richiesta intelligente che rispecchia il modo di vivere dei rom. E’ vero che a Torino gli alloggi sono costruiti per due/tre persone e che il 44% dei nuclei è composto da una persona, ma dobbiamo attrezzarci per individuare una cascina, un alloggio che permetta di soddisfare le loro esigenze

Oggi giovedì 8 febbraio HERO giunge alle battute finali. Il progetto di Housing and Employment of ROma people, coordinato da Liberitutti scs, con il supporto di una rete internazionale di partner europei sarà presentato giovedì a Bruxelles nella sede della Commissione europea (Boardroom Rond Point Schuman 6, Box 5- dalle 13 alle 17,30). Saranno presenti: i responsabili del progetto, i rappresentanti dei partner – Università degli Studi di Padova, ARCI Liguria APS, GrünBau gGmbH (Dortmund), Létra Egyesület (Budapest) – ed esperti che porteranno i loro contributi sulle politiche e le strategie che mirano a promuovere la piena integrazione delle minoranze Rom nei paesi coinvolti: Italia, Germania e Ungheria.

Il progetto è cofinanziato dal Programma “Diritti, uguaglianza e cittadinanza” REC (Rights, Equality and Citizenship) dell’Unione Europea.

DATI SUI ROMANÌ E CENNI SULL’ANTIZIGANISMO

L’antiziganismo è un complesso storicamente costruito e persistente di discriminazione consuetudinaria contro un gruppo sociale stigmatizzato come gitano. La sua stessa definizione comprende una serie di specifiche controverse e storicamente accettate nella società, che comportano una mancanza di riconoscimento e comprensione della sua esistenza, nonostante crescano ogni anno iniziative di contrapposizione a questo stato delle cose (Alleanza contro l’Antigypsyism, 2019).

Dati recenti ci indicano che in Europa vivono più di 10 milioni di Rom, Sinti e Nomadi (EC, COM 406,2019). Il Rapporto Annuale della Commissione Europea 2019 sottolinea che solo il 43% della popolazione Rom tra i 24 e i 64 anni ha ottenuto un lavoro retribuito e più del 63% dei giovani non hanno accesso ad un’educazione appropriata, a un impiego stabile e a una formazione lavorativa; inoltre, il 67% delle famiglie vive in quartieri abitati esclusivamente o quasi da Rom, molto spesso all’interno di fabbricati estremamente precari o in aree fortemente esposte ad attività criminali. Una delle ragioni che determinano questo scenario è che il 43% dei Rom viene discriminato nel tentativo di affittare e acquistare casa o nella ricerca di un impiego professionale.

Nonostante negli ultimi venti anni sia stata registrata una diversa attenzione da parte dei governi nazionali attraverso strumenti legislativi e finanziari utili ad affrontare la questione, infatti, permangono per molte di queste comunità condizioni critiche di esclusione sociale e segregazione in aree marginali del contesto urbano, unite a condizioni di povertà estrema con basso accesso all’assistenza sanitaria e ad un alloggio dignitoso (Housing Right Watch, 2010). HERO si propone di contrastare l’antiziganismo e la discriminazione nell’accesso all’alloggio e al lavoro, innescando un cambio di paradigma rispetto agli stereotipi culturali che ne ostacolano l’inclusione e promuovendo azioni di responsabilizzazione nei confronti della comunità.

 

Il cyberbullismo inquina la vita. L’impegno del Corecom

“Il cyberbullismo non conosce né confini né età, penetra nelle vite dei giovani come in quelle degli adulti inquinando le nostre comunità e avvelenando il mondo online che dovrebbe essere un luogo di connessione, apprendimento e condivisione positiva. È un problema che richiede una grande attenzione da parte di tutti, soprattutto delle istituzioni che devono dedicare un maggiore impegno affinché si crei un ambiente online sicuro e rispettoso” – lo dichiarano i componenti del Corecom Piemonte: il presidente Vincenzo Lilli, la vicepresidente Alessia Caserio e il commissarioMarco Briamonte, in occasione della Giornata mondiale contro il bullismo e cyberbullismo. – “Le ferite inflitte dal cyberbullismo non sono meno reali di quelle fisiche, e spesso lasciano cicatrici profonde nella psiche di chi le subisce. È nostro dovere – sottolineano i componenti – fare tutto il possibile per proteggere coloro che sono deboli e vulnerabili e garantire che tutti possano sfruttare appieno i benefici della tecnologia senza paura o intimidazione. L’educazione è la chiave per combattere il cyberbullismo – concludono i componenti del Corecom Piemonte – dobbiamo insegnare ai nostri giovani a navigare in modo sicuro nel mondo digitale, a essere consapevoli delle conseguenze delle loro azioni online, non possiamo permettere che il silenzio o l’ignoranza prevalgano su queste questioni. Come Comitato già da tempo abbiamo predisposto una casella di posta elettronica dedicata: nocyberbullismo@cr.piemonte.it per il ricevimento delle segnalazioni da parte dei soggetti interessati. Le comunicazioni potranno essere effettuate da ragazzi e ragazze che hanno compiuto 14 anni, nonché da genitori con minori che abbiano subito atti di cyber bullismo”.

Recentemente per contrastare il fenomeno del cyberbullismo e del revenge porn, tutti i Corecom in Italia hanno siglato a Matera un protocollo con il Garante per la privacy, che impegna i Comitati regionali per le comunicazioni a realizzare percorsi educativi rivolti principalmente al mondo della scuola, per sensibilizzare i più giovani ad un utilizzo responsabile dei media ed accrescere quelle competenze tecniche e culturali, indispensabili ad interagire consapevolmente con un universo comunicativo in continua evoluzione. Una collaborazione utile ad elaborare forme di cooperazione comune che possano valorizzare le Competenze ed i poteri del Garante e le esperienze e la presenza sul territorio dei Corecom.

Le insidie di bullismo e cyberbullismo

“Voglio ricordare ancora una volta l’impegno di papà Paolo Picchio, sua figlia Carolina è stata la prima vittima del cyberbullismo. La sua è una battaglia per difendere i nostri ragazzi, i nostri figli, perché lui lo ripete dovunque va: ‘Le parole fanno più male delle botte. Se hanno colpito mia figlia, così forte e vincente, tutti sono a rischio!’”. Con queste parole il presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia ha voluto celebrare la Giornata mondiale contro bullismo e cyberbullismo.

A partire dal 2018 il Piemonte si è dotato della legge regionale denominata “Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”.

“Il bullismo è violenza psicologica, è libertà senza obblighi e doveri, è isolamento. In quest’ottica la scuola e in generale il mondo degli adulti, deve svolgere un ruolo di cerniera. Quella cyber, poi, è una forma di bullismo particolarmente insidiosa e sempre più diffusa tra i ragazzi, frequentatori assidui delle piattaforme social” ha aggiunto Allasia.

Bambini, ragazzi giovani e meno giovani rischiano ogni giorno di essere vittime di messaggi violenti e volgari fino a diventare oggetto di insulti, inganni, esclusione e sfociare addirittura nella persecuzione.

“Questa Giornata deve servire per riflettere sul fenomeno del cyberbullismo e del bullismo, domandandoci quali siano le ulteriori strategie da mettere in atto affinché tutti i ragazzi, più o meno piccoli, possano sempre più riconoscere i pericoli della rete e combatterli” ha concluso.

Al  “Sereno Regis” partecipazione giovanile con un gruppo di giovani madri

Per una maggiore partecipazione alla vita democratica

 

Verrà presentato giovedì 8 febbraio prossimo, alle ore 11:00, presso la sala Poli del Centro Studi “Sereno Regis”, in via Garibaldi 13, a Torino, il progetto “We Care But Who Cares About Us”. Il progetto, che ha ottenuto un finanziamento all’interno del programma “Erasmus Plus”, vede come capofila la cooperativa Educazione Progetto e, come partner, il Centro Studi “Sereno Regis”, la Città di Moncalieri e il Comune di Rosta. È un progetto di partecipazione giovanile costruito insieme a un gruppo di giovani mamme, e che si pone l’obiettivo di sostenere la partecipazione alla vita democratica di giovani genitori under 30, offrendo l’occasione di “study visit”, aumentando l’opportunità di confronto con i decisori politici locali, accompagnando i giovani nella redazione di riflessioni sul loro percorso di consapevolezza e volgendolo a una dimensione europea con la visita alle istituzioni europee, in particolar modo all’ European Economic and Social Commitee, a Bruxelles, per raccontare l’esperienza del progetto. Tutte le analisi empiriche fatte sui servizi all’infanzia, che la cooperativa Educazione Progetto gestisce, ma anche gli scambi frequenti con gli operatori delle realtà delle reti territoriali, riportano che i giovani genitori under 30 sono quasi tutti giovani con minori opportunità, un più basso livello di scolarizzazione, forme maggiormente precarizzate di lavoro o assenza di lavoro, soprattutto per quanto concerne le donne, background migratorio, scarsa rete sociale e invisibili a tutte le azioni di politica giovanili, culturali e di promozione dell’occupabilità. Sono giovani a cui si interessano i servizi e ai quali si intende proporre un coinvolgimento specifico su attività sostenibili e inclusive, che non creino conflittualità nella gestione del tempo famigliare ma che, al contrario, possano costituire parentesi di confronto, benessere, socialità e riappropriazione di se stessi.

Mara Martellotta

Otto bambini provenienti da Shanghai in THE MUSIC WANDERING PENINSULA

Lunedì 5 febbraio 2024

Ore 18 – Chiesa del Collegio San Giuseppe

Via San Francesco da Paola, 23 – TORINO

Otto bambini provenienti da Shanghai, con la collaborazione di un’orchestra di giovani musicisti e coristi di tutte le età di Torino, saranno protagonisti, lunedì 5 febbraio alle ore 18, di un evento musicale internazionale nell’incantevole cappella del Collegio San Giuseppe (Via San Francesco da Paola 23. Ingresso libero).

I giovanissimi musicisti, diretti dal Maestro Li Xinyu, proporranno un repertorio di ampio respiro, con musiche dei più celebri compositori di tutto il mondo.

L’evento, che conclude il corso di perfezionamento musicale che ha visto coinnvolti Li Xinyu, Alberto Conrado, Alessandro Conrado e Barbata Briano, è organizzato dall’associazione True Voice+ Studio, dal Collegio San Giuseppe e dall’associazione Agamus.

San Valentino, “Liveout Entertainment”: il lifestyle australiano incontra quello italiano

Il format, ideato dall’event manager australiana, Tammy Byrne-Smith, trae origine dalle tradizioni e dai modi di vivere tipici del popolo australiano: l’amore e la cura per gli spazi all’aperto, vengono riproposti a Torino – al Circolo Canottieri Armida – con un evento curioso e unico nel suo genere, nella serata dedicata agli innamorati. 

 

Cura per il verde, condivisione di esperienze all’aria aperta, rispetto per l’ambiente: caratteristiche che, negli ultimi tempi, hanno messo Torino al centro dell’attenzione per le città più “green” d’Italia. 

Un carattere vincente e al passo coi tempi che si è fatto notare anche dalla lontana Australia.

Liveout Entertainment” è un format di divulgazione che vede protagonista le caratteristiche del lifestyle oltreoceano e che ha trovato in Torino (modello  replicabile anche in altre città d’Italia) il suo “ buen retiro” : 

Non dimenticherò mai com’è nata l’idea di Live out – spiega Tammy, la fondatrice del progetto – . Era un giorno d’estate, mi trovavo con un’amica designer e ci stavamo confrontando su quanto sarebbe bello importare in Italia i modi di vivere la socialità e la cura nello sviluppo degli spazi abitativi , tipici della cultura australiana. 

 Tammy , che risiede a Torino con la famiglia da ormai 20 anni, aggiunge : “ Quando ero piccola, vivevamo appieno gli spazi verdi, facevamo feste in famiglia e in giardino, secondo uno stile di vita semplice e in armonia con la natura. I nostri spazi esterni erano confortevoli quanto l’interno della casa

Grazie ad innate capacità organizzative, studi specifici, una solida esperienza professionale e una personalità estroversa LiveOut Entertainment è diventata una parte importante della società, proponendosi anche come organizzatore di eventi aziendali, feste private, inaugurazioni, meeting, aperitivi, party, pranzi e cene di gala, e molto altro.

Alla luce di questo, il primo degli eventi del nuovo anno è l’organizzazione della serata di San Valentino: Tammy e il suo staff, desiderosa di portare a Torino,  nella giornata più dolce dell’anno,  un po’ di “australian San Valentine’s Day” , propone un’esperienza simpatica e curiosa. 

In collaborazione con la piattaforma digital di divulgazione gastronomica – Neh experience – , Live out reinventa il giorno di San Valentino con una serata dedicata non solo alle coppie, ma anche ai single o gruppi di amici che desiderano trascorrere la giornata più dolce dell’anno all’insegna del gusto, della qualità e a contatto con partner commerciali di eccezione.

La serata avrà luogo il 14 febbraio, dalle 19.30 alle 23 presso le sale dello storico circolo “Canottieri Armida”, in Viale Virgilio 45, all’interno del Parco del Valentino a Torino. 

Il costo è di 55 euro a persona e comprende un aperitivo a base di prodotti gastronomici e vinicoli locali e regionali e la partecipazione a contest, gentilmente offerti dai partner della serata: 

  • Bagel e gli Spiedini di insalata del locale “1610 Bagel Torino
  • Agnolotti al tovagliolo de “ La bottega di Mastro Taricco
  • Vino in abbinamento alle portate della cantina “ Hic et Nunc” di Vignale Monferrato
  • Biscotti artigianali con sorpresa speciale di “ Patrizia Panetteria
  • Genepy della Farmacia Montanaro
  • Colonna sonora della serata con una speciale playlist di canzoni romantiche, perfette per festeggiare l’amore in tutte le sue sfumature
  • Lezioni di bon ton con Cristiana Ferrini di “ Enjoy Bon Ton” , che curerà il “Corner delle buone maniere”: pillole di galateo e comportamento durante la serata per essere sempre impeccabili in ogni situazione, anche ad un aperitivo di San Valentino
  • Lotteria “ Valentines”, offerta da Casa Martini. Durante la serata verranno estratti 2 tour “ Martini Experience” per 2 persone, 2 Martini Discovery Tour per due persone e 1 degustazione di vini presso la cantina Hic et Nunc.

 

Informazioni e iscrizioni al seguente link: https://www.nehexperience.com/it/ecommerce/esperienze/be-friendly-in-everyway-at-valentines-day

Sempre più fascismo in Tv e giornali: i conti non fatti col regime?

 IL COMMENTO 

di Pier Franco Quaglieni

I giornali sono sempre più invasi da articoli sul fascismo come fossimo quotidianamente alla vigilia di un 25 aprile. Non passa giorno senza articoli che ripercorrono le vicende del regime.  Anche in Tv il fascismo è molto presente. Forse si può dedurre che i conti storici con il fascismo non siano stati fatti nei tempi dovuti  e che ci trasciniamo la questione dal 1945 /46. Sul tema dei conti con il fascismo ho scritto più volte, ma  penso sia utile evidenziare due anomalie oggi  trascurate  che hanno impedito di farli: troppi fascisti (milioni di persone)  sono diventati in pochi giorni antifascisti , l’amnistia di  Togliatti del 1946 (che aiutò perfino l’assassino di Matteotti il quale ebbe l’ergastolo commutato in 30 anni carcere), finì di mettere sullo stesso piano i  fascisti e i  partigiani  responsabili di fatti cruenti “non particolarmente efferati”, un’espressione letterale piuttosto  ambigua e in effetti un po’  vergognosa  della legge di amnistia del ’46. Così dopo poco tempo tutti i gerarchi fascisti fruirono dell’amnistia. Si era iniziato nel 1944 /45 a parlare di epurazione che non venne mai  fatta seriamente, e si finì nell’amnistia interpretabile  anche come pietra tombale della guerra civile. I conti non vennero mai  fatti se, ad esempio,  il MSI entrò in  Parlamento già nel 1948 con deputati ex repubblichini in  palese violazione della  XII norma transitoria della Costituzione, comma due. Ogni tanto qualcuno urlò  al lupo fascista,  spesso solo per ragioni elettorali contingenti, perché al Sud ,dove raccolse subito molti voti , il MSI  venne di volta in volta considerato un alleato prezioso. La legge Scelba  contro il rinato partito fascista  di fatto non venne  mai applicata. Nacque  invece l’antifascismo parolaio  a costo zero dei venditori di fumo ideologico, quelli sopravvissuti finì ai nostri giorni e più che mai in agitazione contro l’attuale governo. Il MSI  a suo tempo si conquistò il diritto ad esistere attraverso il consenso elettorale e nessuna persona seria pensò mai di metterlo al bando. Fu tra i partiti quello, almeno apparentemente, più democratico con congressi in cui si dibatteva e ci si scontrava anche duramente. I dibattiti interni al MSI rivelarono  una dialettica  tra camerati non da poco. Ci fu un tempo in cui molti partigiani vennero messi in soffitta in quasi tutti i partiti: due veri eroi della Resistenza come Silvio Geuna e Valdo Fusi non andarono oltre  la prima legislatura finita nel 1953. Restarono solo i comunisti che ebbero  facile gioco nel monopolizzare la Resistenza.  Questa è una  realtà  che molti fingono di non vedere e che grava anche sull’oggi.  Nessuno ha mai pensato ad una pacificazione nazionale perché il clima della pregressa guerra civile serviva a tanti. Una guerra civile durissima e sanguinosa (che ebbe strascichi anche nel dopoguerra con il triangolo della morte) che in larga misura si concluse con l’amnistia di Togliatti che forse fece bene a guardare le cose con un realismo un po’ cinico e a trarne le conseguenze. Chi dice che la Meloni è  fascista, forse necessita di un corso di recupero di storia contemporanea proprio su questi temi.

Quando l’istinto ci inganna

Se il titolo di questo articolo fosse stato posto come domanda, avrei tranquillamente potuto scrivere “quasi sempre”.

L’istinto, indispensabile negli animali per la propria salvaguardia, rimane in minima parte negli esseri umani che hanno sviluppato l’intelligenza, la parola, la manualità al punto da aver relegato l’istinto ad un qualcosa a cui dare ascolto “dopo” (“l’istinto mi diceva di non andare” oppure “[..] di non fidarmi”)

Il nostro cervello, anche nelle persone con QI più elevato (la media italiana è 97, negli anni 60 era 110, ça va sans dire) è spesso vittima del “pregiudizio della convenienza”: vediamo come funziona.

Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman ha spiegato che il cervello umano possiede due sistemi speculari deputati all’adozione delle decisioni. Il primo dei due sistemi si basa su elementi cognitivi che possiamo recuperare abbastanza agevolmente e che noi associamo alla sensazione di “sentirsi bene”; ecco perché questa correlazione, tanto semplice quantoimmediata, la rende una struttura conveniente. Il secondo dei due sistemi, invece, interviene se una persona, al contrario, deve adottare decisioni prendendo in esame un numero maggiore di fattori. Va da sé che questo secondo sistema sia più lento e meno piacevole del primo, motivo per cui la maggior parte delle persone preferisce quest’ultimo.

Il pregiudizio di disponibilità è forse la forma più comune tra i pregiudizi di convenienza: consiste nel prendere una decisione sulla base dei dati più accessibili (quello che viene in mente prima) piuttosto che dopo aver valutato con attenzione anche altre prospettive. Un simile approccio impedisce alle persone di cercare le informazioni meno scontate che qualora fossero reperite verrebbero tenute in scarsa considerazione. Così facendo, il cervello sarà portato a non scegliere una soluzione obiettiva e adeguata.

Il nostro cervello compie quotidianamente centinaia di migliaia di operazioni aritmetiche, logiche e analitiche delle quali non abbiamo percezione: quando, però, una decisione implical’effettuazione di calcoli impegnativi o di valutazioni logiche ecco che il primo dei due sistemi di cui disponiamo avrà il sopravvento sull’altro.

Immaginiamo un medico di base che riceva i pazienti durante un’epidemia influenzale: sarà indotto, proprio per quel pregiudizio, a valutare i sintomi di ogni paziente come fossero propri della sindrome influenzale anziché analizzarli in modo oggettivo, come se l’influenza non esistesse.

I pregiudizi di convenienza, inoltre, sono più frequenti quando ci troviamo sotto stress e affaticati o confusi, specie se le decisioni da adottare sono numerose e difficili. Soluzione? Evitare l’istinto di seguire il percorso più facile.

Vediamo un esempio pratico. Nel gennaio del 2007, un violinista suonò per 45 minuti nella metropolitana di New York eseguendo magistralmente alcuni brani particolarmente complessi, rimediando alla fine della sua esibizione poco più di 30 $. Peccato che fosse uno dei migliori violinisti al mondo, lo stesso che tre sere prima aveva fatto il tutto esaurito nel teatro di Boston, il cui biglietto di ingresso costava 100 $ a persona e in entrambi i casi utilizzasse un violino del valore di 3 milioni $.

Questo è un esempio di pregiudizio della disponibilità: è evidente che la gente abbia associato l’idea che un artista che suona nella metropolitana non possa essere uno “bravo” altrimenti suonerebbe altrove, senza notare che era vestito elegantemente, che il violino era in condizioni perfette, che l’uomo era curato (unghie, barba, capelli, ecc). Ha associato unicamente il luogo al ruolo, esattamente come se un dirigente d’azienda nel tempo libero facesse il dog sitter e noi lo considerassimo basandoci sull’hobby adottato e sull’abbigliamento, anziché interrogarlo per scoprire chi sia lui e perché lo si veda solo dopo una certa ora o solo nei week end.

Gli esempi, com’è ovvio, potrebbero essere numerosi ed ognuno di noi può verificare nella propria esperienza quante volte si è dato “ascolto” alla scelta più facile, più ovvia anziché valutare con logica i fatti; quante volte abbiamo ipotizzato sulla base degli elementi più evidenti, mentre l’analisi di elementi ulteriori avrebbe consentito una disamina più accurata, con risultati anche opposti.

Questo meccanismo è usato, per esempio, negli ipermercati dove si viene attirati dal prodotto in offerta, senza valutare se lo sia davvero, se realmente ci occorra e se, nel caso di alimentari, riusciremo a consumarlo prima della scadenza.

E’ evidente che il nostro cervello non voglia affaticarsi con analisi, calcoli, decisioni e ripensamenti: quante volte, però, abbiamo perso serie occasioni sul lavoro, nelle amicizie, nei viaggi per aver permesso al primo sistema di zittire il secondo?

Se da tale sistema fosse dipesa la nostra vita attuale, la nostra carriera o la nostra felicità?

Sergio Motta

Il pensiero libero di Bruno Segre

 

La scomparsa di Bruno Segre, decano degli avvocati torinesi e protagonista delle più importanti battaglie per i diritti civili, ha rinnovato i ricordi dei tanti momenti vissuti insieme, le discussioni e i racconti, le sue battute argute, i viaggi nei luoghi della memoria con gli studenti ai quali volle partecipare. Era amatissimo dai ragazzi e rammento il loro stupore e gli occhi sgranati quando, davanti al sacrario della Grande Guerra a Redipuglia e ai resti dei camminamenti e delle trincee spiegò che lui era nato ai primi di settembre del 1918, quando ancora tuonavano i cannoni e, fallita l’offensiva austriaca di giugno, si stava preparando la terza battaglia del Piave, la durissima e decisiva battaglia di Vittorio Veneto. L’avvocato era un brillante affabulatore, un uomo dall’immensa cultura e dalle mille esperienze che amava intrattenersi e raccontare le esperienze di una vita che coincise con il novecentesco “secolo breve” e la prima parte dei duemila. In quelle occasioni si poteva assistere a vere e proprie lezioni di storia, come accadde più volte a Trieste o in Emilia, alla casa museo dei Cervi a Gattatico, al campo di transito di Fossoli ( dove venne internato anche Primo Levi) o al museo della deportazione di Carpi. In quella occasione insieme a Bruno partecipò anche Franco Berlanda, grande comandante partigiano e notissimo architetto amico di grandi protagonisti del Novecento come Picasso, Giulio Einaudi e Le Corbusier. Quando mi chiese di collaborare a L’Incontro ne fui felicissimo e onorato. Le due passioni della sua vita coincisero con le professioni che lo videro per decenni sulla ribalta della vita torinese e italiana: l’avvocatura e il giornalismo. Infatti, oltre ad indossare la toga per settant’anni con memorabili e appassionate arringhe, dopo aver collaborato a numerose e prestigiose testate fondò L’Incontro nel 1949. Un mensile indipendente, con un programma politico culturale “ispirato alla pace, alla difesa dei diritti civili, al laicismo, all’opposizione a razzismo e antisemitismo”. Quattro grandi pagine con un formato su nove colonne e la testata in rosso che, ininterrottamente per settant’anni, diede voce alle idee di quest’uomo straordinario, mai rassegnato  e sempre pronto – con un’invidiabile lucidità e impareggiabile dialettica – a dar battaglia per i suoi ideali libertari e socialisti, per la laicità delle istituzioni e per i diritti umani. Mi diede anche l’ambito tesserino di riconoscimento del giornale che conservo come una reliquia. In occasione del suo 99° compleanno (ogni anno, fino all’ultimo, erano occasioni speciali per festeggiarlo ) venne pubblicato un bel  libro:  Libero pensare, una giornata nello studio dell’avvocato Bruno Segre. Un omaggio a cura di Marisa Quirico composto da 18 scatti in bianco e nero del fotografo Renzo Carboni, accompagnati da una prefazione di Davide Manzati e dagli interventi (in rigoroso ordine alfabetico) di Luciano Boccalatte, Nino Boeti, Carlo Greppi, Nico Ivaldi, Maria Mantello, Pietro Polito, Donatella Sasso e Guido Vaglio. Alberto Bolaffi, nella dedica al libro, offrì un sintetico e autentico profilo di Segre: “Caro Bruno, parafrasando Giovannino Guareschi, penso che tu sia uno dei migliori interpreti del suo pensiero quando, da prigioniero in Germania, scrisse che libertà esiste ovunque esiste un cervello libero”.Ultimo allievo di Luigi Einaudi, laureato in legge nel 1940 e discriminato dalle leggi razziali nei confronti degli ebrei, Bruno Segre venne arrestato una prima volta nel dicembre del 1942 per “disfattismo politico” e una seconda nel settembre del 1944 quando venne catturato e rinchiuso nella caserma di via Asti e poi trasferito nelle carceri Le Nuove dalle quali riuscì fortunosamente a fuggire qualche tempo dopo. Un’esperienza alla quale dedicò un libro-memoriale, Quelli di via Asti, scritto nell’estate del 1946 ma pubblicato solo nel 2013. Partigiano nelle file di Giustizia e Libertà, antifascista tutto di un pezzo e irriducibile paladino delle battaglie per la laicità e i diritti civili , Bruno Segre è stato protagonista delle più importanti vicende lungo un secolo intero. Una su tutte: la difesa, davanti al Tribunale militare di Torino nel 1949 di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza in Italia. Bruno Segre è stato tutto questo e molto altro. Le foto di Carboni contenute in quel libro, scattate nello storico studio dell’avvocato al n.11 di via della Consolata, ci regalano un’immagine di quella wunderkammer tra imponenti schedari e tantissimi libri. Era lì, al secondo piano di un antico palazzo del settecento che, entrando nello studio di Segre, il fotografo ebbe l’impressione di “attraversare lo specchio di Alice”. Era un luogo dove si respirava l’aria di una storia che vide protagonista un uomo che, parlando di se stesso e parafrasando il titolo di un suo libro-intervista, poteva affermare a testa alta e senza alcun timore di non essersi mai arreso.

Marco Travaglini

Askatasuna, Max Casacci: “Una scelta coraggiosa di tolleranza e libertà”

 

Definito “un bene comune” dal sindaco Lo Russo, il centro sociale di Corso Regina Margherita 47 si avvia verso una nuova vita nel segno del dialogo e della cultura. Tra i garanti, anche Max Casacci dei Subsonica.

Nonostante ci fosse chi ne auspicasse sgombero e chiusura, all’insegna della cosi detta “linea dura” il sindaco e l’amministrazione Lo Russo hanno approvato un piano per garantire al centro sociale uno spazio dove poter continuare dibattito politico ed eventi culturali. A farne da garante, tra gli altri, Max Casacci che sulla sua pagina Facebook scrive:

“La Città di Torino si oppone allo sgombero dell’Askatasuna: un atto coraggioso, per nulla scontato.
Questa mattina la Città di Torino ha presentato una delibera che avvia un processo di progettazione partecipata, consentendo di considerare lo spazio del Centro Sociale Askatasuna “bene comune” da mettere a disposizione della comunità locale in base a regole condivise.

Questo processo porta alla costituzione di un comitato promotore con il sostegno di personalità garanti, tra le quali figurerà anche il mio nome. Sarò quindi a disposizione dello spazio, insieme ad altri, per co-progettare momenti di cultura, aggregazione e libertà espressiva.

L’iniziativa, in completa controtendenza rispetto a richieste e pressioni conformi all’attuale clima politico nazionale, accoglie anche alcune forti sollecitazioni da parte mondo musicale, che si era espresso con una lettera aperta indirizzata alla Giunta.
Nel documento si invitava la Città a non allinearsi alle richieste di sgombero di uno spazio libero e alle politiche repressive messe in atto con l’insediamento del nuovo Governo.

Questa iniziativa rafforza e sottolinea il valore sociale e culturale di Askatasuna che trovandosi in Vanchiglia -uno dei borghi a più alta densità di creatività della città- potrà rappresentare sempre di più un presidio, un polo aggregativo per linguaggi sotterranei e culture giovanili molto attive in città, elevando il livello di un quartiere identificato troppo spesso con gli effetti del disagio della movida notturna.

Questa scelta coraggiosa, che innescherà innumerevoli attacchi politici a livello locale e nazionale, potrà essere motivo d’orgoglio per la Torino che si riconosce nel pluralismo, nella tolleranza e nella libertà di espressione e quindi anche di dissenso. Almeno per me e per molti musicisti che hanno sostenuto queste posizioni, lo sarà.”

Dialogo, non repressione. E che Torino sia di esempio anche in questo.

Lori Barozzino

(Foto Museo Torino)