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In vista del “Disability Pride”
Mercoledì 10 aprile, dalle 18,30
Tema al centro dell’evento: “Voce, Diritti e Accessibilità: un dialogo sulla disabilità”. L’incontro, che vedrà confrontarsi mercoledì prossimo 10 aprile (a partire dalle 18,30) autorevoli esperti del settore e giovani direttamente o indirettamente coinvolti nel problema, vuole porsi come momento di approfondimento di una “condizione” che, ancor oggi, lascia irrisolti molti problemi rispetto all’esigenza dell’offerta di un vivere quotidiano dignitoso e “senza barriere” per una non piccola fetta di società su cui non sempre, da parte di chi di dovere, restano accesi e concretamente operanti i riflettori. Obiettivo: anticipare, in modo costruttivo, il prossimo “Disability Pride” – la giornata istituita a livello internazionale “per ribadire l’orgoglio delle persone disabili e neuro divergenti” dall’ “Assemblea Generale delle Nazioni Unite” ed entrata in vigore dal 2 maggio 2008 – la cui seconda edizione (un migliaio i partecipanti alla prima del giugno scorso) si terrà a Torino sabato 20 aprile prossimo.
Organizzatrice dell’appuntamento di mercoledì 10 aprile, presso l’“Open”, spazio aperto di “diversità” in corso Stati Uniti a Torino, la “Fondazione Time2”, creata da Antonella e Manuela Lavazza (quarta generazione della celebre Azienda torinese fondata nel 1895 da Luigi Lavazza) e attiva dal 2019 “con l’obiettivo di favorire i diritti dei giovani con disabilità e permettere loro di costruire un proprio progetto di vita indipendente”.
L’appuntamento si aprirà con una “tavola rotonda” che vedrà il confronto tra l’attivista e studiosa di “disability studies” e vita indipendente Elisa Costantino, Laura Polacchi, psicologa del lavoro e delle organizzazioni e Alessia Volpin, “Diversity & Inclusion specialist” in “AccessiWay”, nonché coordinatrice “Disability Pride Torino” e attivista per i diritti delle persone con disabilità e “LGBTQIA+”, che dialogheranno con i partecipanti al “Gruppo – percorso” di “self-advocacy” promosso da “Fondazione Time2”. Il Gruppo – che sta lavorando sulla progettazione per l’accessibilità per persone con disabilità intellettive al “Disability Pride” di Torino – è formato da: Marianna Bertolino, 18 anni, studentessa e appassionata di trekking; Gioele Garino, 20 anni, autore del cortometraggio “Ricordi del passato” e aspirante grafico; Simone Manolio, 20 anni, barista da “Tribe Down”; Alessandro Ghisolfi, 26 anni, laureato al “DAMS” con una tesi su Carlo Buti e attivo nel volontariato; Desirée Palumbo, 20 anni, atleta di “Sport Time2” e testimonial di “Special Olympics Italia”. A moderare l’incontro sarà Chiara Basile, responsabile Programmazione e Sviluppo di “Fondazione Time2”.
La serata continuerà con Alessandro Gibin, giovane autore del cortometraggio “Compagni di Classe”, realizzato nell’ambito di “Spaesamenti”, che leggerà dal vivo la lettera, al centro del filmato, dedicata ai suoi compagni di classe. Un testo in cui Gibin racconta del suo “autismo”, delle sue difficoltà e spiega alcuni comportamenti.
Durante l’evento sarà anche letto il “Nuovo Manifesto 2024” del “Disability Pride Torino”.
L’accesso alla serata è totalmente libero, lo spazio è privo di qualsiasi barriera architettonica. L’evento sarà sottotitolato per permettere la partecipazione anche a persone “ipoudenti”.
Appuntamento dunque all’ “Open”, spazio aperto di “diversità” (in Corso Stati Uniti 62/b) a Torino per una serata “all’insegna dei diritti nell’ambito della disabilità”.
Prenotazione consigliata ma non obbligatoria (https://www.eventbrite.it/e/biglietti-voce-diritti-e-accessibilita-un-dialogo-sulla-disabilita-873355829797)
g.m.
Nelle foto:
– Locandina “Disability Pride”
– “Open –Time2”
Chi non ricorda questa frase del Marchese del Grillo, magistralmente interpretato da Alberto Sordi, con la quale il Marchese spiega, in modo inequivocabile, come lui possa tutto e gli altri no, come lui sia qualcuno e gli altri poco nulla.
Senza arrivare ad un personaggio così simbolico, quotidianamente siamo circondati da persone che credono di sapere, di essere, di potere mentre è già tanto se la natura ha permesso loro di vivere un tempo sufficientemente lungo da pronunciare queste eresie.
La scienza spiega, in parte, questa deformazione cognitiva con la sindrome di Dunning-Kruger, che ho trattato in un mio articolo su queste colonne il 27 febbraio del 2023; in parte, tuttavia, c’è la presunzione da parte delle persone, ed indipendentemente dal titolo di studio conseguito, di essere meglio degli altri, più potenti, più sapienti, più tutto.
Ce ne accorgiamo nelle cose più banali, come aiutare una persona in difficoltà a caricare la spesa sull’auto, piuttosto che nell’aiutare una persona anziana o con difficoltà motorie ad attraversare la strada e, in generale, aiutare chi a nostro giudizio sia inferiore a noi, momentaneamente o per eventi occorsi.
Il criterio col quale giudichiamo l’altro, la sua presunta inferiorità o diversità, è ovviamente in stretta relazione col nostro carattere, con la nostra cultura (non in senso scolastico) e con le nostre esperienze di vita; in altre parole, non può essere parametrata o misurata in alcun modo, non esistendo per fortuna una scala di valori ai quali rapportarsi.
Mi capita, quindi, di elargire volentieri qualche euro ad un anziano, che vorrebbe aiutarmi a caricare la spesa nell’auto e al quale non permetto di farlo, vista l’età e ipotizzando le sue condizioni di salute, ma di rifiutare qualsiasi aiuto ad un giovane che stia seduto con la birra in mano o il cartoccio del vino al suo fianco che guarda ed aspetta l’obolo, come fosse un diritto acquisito; non perché sia etilista, ma perché sarebbe opportuno imparasse a guadagnarseli e perché, aiutandolo economicamente, lo illudiamo che il suo stile di vita sia corretto e che il suo modus operandi sia accettato.
Salendo nella scala dei possibili casi di egocentrismo, abbiamo il collega che appena arrivato pensa di poter dettare legge, stravolgere le regole dell’ufficio e decidere quali compiti gli siano maggiormente graditi ritenendo che l’esperienza, le capacità ed il ruolo dei colleghi siano poco importanti, se non addirittura inferiori ai propri.
Se queste condotte sono parzialmente accettabili dove la gerarchia sia istituzionalizzata (in ambito militare, per esempio) è pur vero che la dignità umana va sempre preservata: anni or sono i superiori si potevano rivolgere ai subordinati (un sergente al soldato, per esempio) con il “tu” o urlando perché “da che mondo è mondo, il sergente è un persona che urla” come diceva Abatantuono nel film “Mediterraneo”; da alcuni anni è fatto obbligo, salvo concessioni da parte degli interessati, usare il “lei”, trattandosi di un luogo di lavoro a tutti gli effetti e la confidenza va bene se concessa, non estorta.
Allo stesso modo, anche in ambito scolastico si assiste, oggi più che mai, a perfetti deficienti che insultano i docenti ritenendo inutili i loro insegnamenti, non riconoscendo la loro autorità e, ancora peggio, assumendo toni e atteggiamenti pericolosi che, di per sé, impediscono qualsiasi legittimazione del loro comportamento.
Come porre rimedio a questo stato di cose? Iniziando con la consapevolezza che non sappiamo mai chi abbiamo di fronte: mi è capitato di incontrare, al pub di pomeriggio, una persona che sembrava uno scappato di casa e scoprire, in breve tempo, che si trattava di un docente di matematica di un prestigioso politecnico italiano, autore di non ricordo quante pubblicazioni, come pure una persona che, dopo la morte dei genitori, non si curava più di stesso, non si lavava (rendendo impegnativo ogni contattoravvicinato), e scoprire che parlava fluentemente sei lingue edaveva conseguito due lauree.
Analogamente, ho incontrato spesso persone che potevano fare il manifesto animato di diversi brand di moda, vestiti elegantemente, con macchinone da centomila euro, ma che a parlargli insieme dimostravano non solo la loro ignoranza in ogni campo, ma palesavano senza vergognarsene la loro supponenza, l’arroganza e la pochezza dei loro ragionamenti.
Ma la consapevolezza non è sufficiente: se l’umiltà ed il buon senso sono doti innate, l’educazione, l’umiltà sono frutto dell’educazione che i genitori in particolare, e la scuola in aggiunta, devono saper erogare fin dalla più tenera età con le parole e soprattutto con l’esempio.
Quindi, prima di criticare qualcuno, domandatevi se in casa vostra avete fatto tutto il possibile per evitare ciò che vi sta dando fastidio in altri; è più saggio aspirare la polvere anziché raccoglierla sotto il tappeto.
Sergio Motta
Premio di Musica in “Lingua dei segni”
Da sabato 6 aprile a domenica 15 settembre
Fra arte, musica, tanti concerti e attesi ospiti, ma anche talk, reading e spettacoli teatrali, prenderà il via sabato prossimo, 6 aprile, il nuovo appuntamento con “Oltranza Festival”,il festival multidisciplinare che promuove a Torino la “totale accessibilità” dei luoghi e dei contenuti della cultura, e si differenzia dalla maggior parte degli altri Festival perché, nella sua organizzazione, la resa accessibile dell’evento è al primo posto. Promossa da “Indiependence” e “Soundset APS”, in collaborazione con “LISten APS”, “Magazzino sul Po” e “Anomalia Teatro”, la rassegna si aprirà alle 21 di sabato prossimo 6 aprile al “Magazzino sul Po” (Murazzi del Po Ferdinando Buscaglione, 18), con il “Premio Listen To Me”: il contest di “musica visiva” per cantautori e cantautrici, dedicato alla musica inclusiva e organizzato da “Soundset APS” e “Indiependence”, in collaborazione con “LISten APS”.
“Ospite d’onore” della serata, “Il Solito Dandy” (al secolo Fabrizio Longobardi, torinese, classe ’93), cantautore che – col suo stile rétro e il suo fascino d’altri tempi – è approdato alla finale di “X-Factor 2023”, e che al “Magazzino sul Po” regalerà una breve performance in acustico con i suoi brani tradotti in “LIS” dall’interprete Erica Zani.
“L’arte e l’incontro – sottolinea Gigi “Bandini” Cosi, presidente di ‘Indiependence’-sono un diritto di tutti. Il nostro non vuole essere però un ‘Festival’ sulla ‘disabilità’. Nostra convinzione é che l’incontro sia l’elemento più potente che sperimentiamo nella vita. E che siano proprio l’‘arte’ e la ‘cultura’, per la loro natura aggregativa, il mezzo più potente attraverso cui amplificare questo messaggio. Perché questo accada, i luoghi che frequentiamo e i contenuti che promuoviamo devono diventare ‘accessibili’ a tutte e a tutti. Nell’immaginare gli spazi d’aggregazione, e quindi nel creare cultura, non può essere concepibile un luogo che, a priori, escluda qualcuno”.
Il “Premio Listen to me” rappresenta quindi la “prima importante iniziativa”, il primo passo fra le tante attività proposte e gli appuntamenti del Festival. Obiettivo del “contest”, la promozione dei concerti e delle performancemusicali tradotte in “lingua dei segni”, per sensibilizzare artisti, pubblico e operatori dello spettacolo, sul tema dell’inclusione. Il vincitore avrà inoltre la possibilità di esibirsi dal vivo con la traduzione dei propri brani in “LIS (Lingua dei Segni Italiana)” sul palcodell’evento principale di “Oltranza Festival” in programma domenica 7 luglio allo “Spazio 211” di via Cigna.
Al fine di “migliorare ulteriormente l’accessibilità” della serata, oltre alle traduzioni in “LIS” il pubblico potrà fruire di “palloncini” per favorire la percezione musicale attraverso le vibrazioni, sottotitoli per le canzoni. In più i volontari saranno a disposizione per facilitare l’ordinazione al bar e per necessità di comunicazione e mobilità, compreso l’accompagnamento per il tragitto “piazza Vittorio/Magazzino”. Prevista anche la possibilità di avere un contatto in “videochiamata in LIS” per informazioni, oltre a un pannello di comunicazione da banco, specifico per chi ha impianto cocleare grazie alla collaborazione con “APIC”. E, infine, proprio per eliminare qualsiasi tipo di “barriera”, gli organizzatori hanno pensato e provveduto ad un’iniziativa davvero da “dieci e lode”: un “intervento risolutore” per rendere accessibile (a partire già da sabato 6 aprile) lo spazio sotto il palco del Magazzino con l’installazione di un “piano – palco” in grado di offrire a tutti la possibilità di una migliore visione ed acustica.
Il ricavato del Festival è destinato in parte al finanziamento di una “borsa di studio” in “Disability Management & Inclusive Thinking” presso la “SAA” di Torino e in parte alla realizzazione di “interventi di abbattimento” di barriere architettoniche in circoli culturali non ancora a tutti accessibili.
“Oltranza Festival” prevede altri sette appuntamenti, da domenica 5 maggio a domenica 15 settembre. Evento di chiusura, “Ad Oltranza//Teatro in Lis”, lo spettacolo teatrale tradotto in “lingua dei segni” con visita guidata al “Museo d’Antichità” ai Musei Reali.Per le persone cieche e ipovedenti sarà possibile fruire dell’“audio – descrizione” e, per loro, anche la possibilità di partecipare al “tour tattile” sul palcoscenico.
Per ulteriori info e programma completo: www.oltranzafestival.it
g. m.
Nelle foto di Marzia Allietta: immagini di repertorio e ” Il Solito Dandy”
C’è bisogno di un cambio di mentalità e di cultura, la vendita degli animali dovrebbe essere vietata.
Ogni volta che chiedo dove è stato preso un animale domestico e la risposta è “in un allevamento” o semplicemente “c’è un signore che li vende” mi si chiude lo stomaco e smetto persino di fare le coccole al povero animale che con questa manifestazione di ignoranza e insensibilità non c’entra niente. Ci sono poi altre questioni e situazioni che mi confermano che non ci siamo ancora, che la mentalità non è ancora cambiata e che si pensa che un essere vivente possa essere messo in vendita e conseguentemente acquistato, così come un oggetto.
“ I cani del canile hanno problemi”, “io voglio questa razza di cane”, “ho cercato nei rifugi e nei canili ma non ho trovato il cane che volevo”, in queste affermazioni ci sono false credenze, disinformazione e moltissime scuse. I trovatelli, i cani randagi e quelli che si trovano nei canili non sono altro che cani acquistati e poi abbandonati, esseri innocenti che hanno avuto la sfortuna di nascere in un contesto sbagliato, lo stesso vale per i gatti ovviamente.
Ci sono persone che “ordinano” il cane su internet perché oltre alla razza scelgono anche il colore mentre qualche altro cane,altrettanto bello e pieno di qualità, muore nell’anonimato di un canile o in strada. Lo so che ognuno è libero di fare ciò che vuole, è legittimo, ma prendere un cane o un gatto dovrebbe voler dire, oltre alla sacrosanta volontà di crearsi una compagnia, salvare un’anima, darle un riparo, regalargli una vita dignitosa. Prendere un animale domestico non può essere un desiderio a tempo determinato, una moda, un capriccio o un atto di egoismo. Gli animali vanno rispettati come esseri senzienti, vanno salvati e amati e, nel caso si avesse la consapevolezza di non essere in grado di occuparsene o di non avere tempo e voglia, sarebbe meglio non prenderli, tantomeno acquistarli!
Ci sono associazioni, volontari, pagine sui social che ci informano come adottare una animale domestico, ci consigliano e ci spiegano quali sono gli impegni da prendere, ovviamente per tutta la durata di vita del cane o del gatto. Bisogna pensare che ci sono le vacanze, gli impegni familiari o lavorativi e quindi se non si è nella condizione di prendersene cura meglio lasciarlo dove è.
Abbiamo assistito alla vergogna post Covid, ai molteplici abbandoni di quei cani che durante la pandemia fungevano da pass per uscire e che dopo l’emergenza sono stati mollati come spazzatura, ebbene questo è un indicatore di quanto si sia ancora lontani dall’avere una relazione sana con il mondo animale. Adottare consapevolmente è l’unica via, non ce ne sono altre, salvarli e non comprarli per aderire alla tendenza del momento e poi, infine, non abbandonarli, mai!
“La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali” (M. Gandhi)
MARIA LA BARBERA
La Rai si prepara a portare sul piccolo schermo una serie tv girata a Torino sulla straordinaria vita di Mike Bongiorno, il mitico presentatore televisivo che ha incantato intere generazioni di spettatori italiani.
Nato a New York il 26 maggio 1924 da madre torinese, Enrica Carello, Bongiorno si trasferì a Torino all’età di cinque anni, dove crebbe e si formò, diventando una delle figure più emblematiche della televisione italiana.
Il protagonista della serie potrebbe essere Elia Nuzzolo, noto attore italiano, (impegnato anche nel ruolo di Max Pezzali nella serie dedicata al gruppo musicale degli 883), mentre la regia sarà affidata a Giuseppe Bonito.
La decisione di effettuare la maggior parte delle riprese a Torino non è casuale; la città sabauda ebbe un significato profondo per Bongiorno, poiché vi trascorse una parte fondamentale della sua giovinezza, avvicinandosi allo sport e al giornalismo.
La serie potrebbe includere scene ambientate in luoghi significativi per la vita del famoso conduttore, come il Liceo Classico Rosmini, dove si è diplomato, e anche scene che riproducono gli eventi legati alla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale Bongiorno fu arrestato dalla Gestapo.
Un’altra curiosità in merito, è la scelta del Teatro Gobetti, dove probabilmente verranno ricostruiti gli uffici della Rai a Milano, dove Mike Bongiorno trascorse molti anni della sua carriera. Questo dimostra un’attenzione particolare ai dettagli da parte della produzione, che cerca di restituire fedelmente l’atmosfera e gli ambienti legati alla vita del protagonista.
La trama della serie, ancora in via di definizione, promette di ripercorrere l’intera vita del presentatore, offrendo agli spettatori un ritratto avvincente e completo di una delle figure più influenti della storia televisiva italiana.
Parallelamente al casting del protagonista, la ricerca di comparse è già iniziata. La Film Commission Torino Piemonte e la società di produzione Viola Film stanno raccogliendo le candidature di uomini, donne e bambini residenti o domiciliati in Piemonte, tra i 7 e i 75 anni, per ricreare fedelmente l’atmosfera dei diversi periodi della vita di Bongiorno.
Si cercano anche figure speciali, come attori che parlino tedesco per le scene legate agli anni della guerra, attori che parlino inglese e atleti uomini di salto in alto, riflettendo così le diverse sfaccettature della vita del celebre presentatore.
Per coloro che desiderano far parte di questo entusiasmante progetto e che corrispondono ai requisiti richiesti, è possibile inviare la propria candidatura all’indirizzo mail torino.figurazioni@gmail.com entro il 10 aprile.
Il lavoro sarà regolarmente retribuito, offrendo l’opportunità ai residenti del Piemonte di contribuire a una produzione televisiva di grande rilievo e di celebrare la vita straordinaria di uno dei più grandi presentatori televisivi italiani di tutti i tempi.
Cristina Taverniti
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La lingua italiana, lo sappiamo, è una delle più articolate, in grado di esprimere infinite sfumature di significati attraverso l’utilizzo di infiniti vocaboli, forme verbali complesse e, in generale, una grammatica che consente di costruire il periodo più adatto ad ogni contesto.
Anche nelle forme colloquiali, nei saluti, nelle richieste ufficiali vi sono standard ai quali attenersi dettati, a seconda dei casi, da ufficialità, confidenza, prassi, ecc.
Tralasciando il “voi” apologetico, tuttora in uso nel sud Italia nei confronti degli anziani (il film “Benvenuti al sud” di Luca Miniero lo narra molto bene) il “lei” è la forma con la quale approcciarsi con uno sconosciuto o quando vi sia da rispettare una gerarchia.
Ricordo ancora, avevo 5 anni, quando mi rivolsi ad una signora che abitava nel palazzo accanto al mio dandole del tu: lei mi apostrofò dicendo “Chi ti ha dato tutta questa confidenza?”; per fortuna i tempi si evolvono e, talvolta, anche le persone.
Il “tu”, un tempo riservato ai rapporti camerateschi, alle amicizie di lunga data anche se riprese dopo tanti anni ed ai rapporti di lavoro, è oggi diventato il pronome col quale rivolgersi anche alle persone con le quali si ha meno confidenza, oserei dire anche agli estranei.
A me capita spessissimo di essere salutato o congedato con un “ciao” o dandomi del “tu” alla cassa degli autogrill, nei bar cittadini, al mercato o negli uffici: personalmente non credo che il “tu” istighi alla mancanza di rispetto, come sono sicuro che il “lei” non implichi ipso facto maggior rispetto; purtroppo, il “lei” quale pronome allocutivo, nella lingua italiana, si presta ad essere confuso con il pronome personale (a Lei o a lei?).
Nel film “Il presidente, una storia d’amore”, il Presidente (Michael Douglas) invita ancora una volta il suo assistente (Martin Sheen) a dargli del tu, visto che oltretutto è stato suo testimone di nozze: Sheen risponde che non riesce perché lui è il presidente.
Quante volte, da interlocutori appena incontrarti, si viene salutati con “Ciao” e ci si rivolge a noi con il “tu”? Penso che la confidenza, cioè trattare qualcuno senza formalità, non sia deprecabile a priori; è sicuramente peggio se, pur dandosi del “lei” si entra nello spazio intimo di una persona, prendendosi libertà non gradite o cercando di “farsi gli affari altrui” (nel mondo dello spettacolo il “tu” è la norma).
Ai miei studenti, anche se molti di loro ora sono più giovani di me, propongo subito di darci del tu; nell’andragogia, infatti, non contano tanto le nozioni possedute, insegnate dall’alto, quanto l’esperienza maturata, trasmessa alla pari, in uno scambio vicendevole di suggerimenti, prove, tentativi e riuscite: un trasferimento di nozioni anziché un’infusione.
Spesso ci si arrocca su posizioni distanti, volutamente rigide, per vantarsi della propria posizione, del proprio ruolo, confondendo autorevolezza con autoritarismo: si può essere autorevoli pur entrando in amicizia (con quasi tutti i miei allievi è nata e rimane un’amicizia) come pure si può essere privi di credito pur nella autorità della quale si è investiti.
Un tempo nei luoghi di lavoro vigeva il “lei” perché non era considerato corretto entrare in confidenza con gli umili sottoposti (citazione di fantozziana memoria); ora nella stragrande maggioranza delle aziende il “tu” non solo è consentito ma incentivato, considerando il manager come un direttore d’orchestra e non un cocchiere che frusta i cavalli; il lavoro in team, inoltre, viene ostacolato da una fittizia forma di rispetto, specie se il “lei” può, come detto prima, nell’assegnazione dei compiti può creare confusione tra il lei, riferito alla collega del team oppure a me, ma detto con ossequio.
In altre parole, badando ai contenuti ed ai risultati anziché ad una vetero forma di linguaggio, nulla contro l’utilizzo del tu anche in ambito professionale o associativo o accademico, purché vi sia sempre il rispetto altrui; rispetto che spesso manca quando ci si rivolge ad altri con la finta rispettosa forma del “lei” di cortesia.
Sergio Motta
È accompagnata da un programma artistico ed educativo, da studio visit, visite laboratorio ed è documentata da una pubblicazione. Si propone dunque come una piattaforma, pensata per promuovere azioni volte a offrire occasioni di visibilità, promozione e approfondimento delle ricerche degli artisti e delle artiste, favorendo il coinvolgimento del pubblico torinese e delle comunità di riferimento in città.
“Con questa iniziativa ci poniamo l’obiettivo di ampliare e consolidare l’impegno del Comitato nella promozione e nella tutela dei diritti umani e civili – ha spiegato il presidente del Consiglio regionale e del Comitato, Stefano Allasia – in particolar modo anche in considerazione dell’attuale periodo storico e dei cambiamenti nel quadro geopolitico internazionale, in cui è sempre più sentita la necessità di far conoscere, rendere effettivi e garantire con maggior forza tali diritti sia in tempo di pace che in tempo di guerra”.
“Da cinque anni il Comitato coinvolge numerosi attori del territorio e ha promosso iniziative con al centro il tema dei diritti negati da regimi illiberali o coinvolti in conflitti e dell’oppressione della condizione femminile. Abbiamo inoltre valorizzato artisti che riscontrano difficoltà a esercitare nei loro paesi d’origine, in cui i diritti umani, il mondo dell’arte e della cultura sono fortemente compromessi”, hanno aggiunto i vicepresidenti del Comitato Sara Zambaia e Giampiero Leo.
La mostra è concepita come uno spazio polifonico, nel quale riflettere sui meccanismi di conservazione e di trasmissione della memoria. Attraverso la pittura e la fotografia, le opere esposte offrono alla sguardo stratificazioni di tempi, luoghi ed esperienze e fanno luce sulla natura del ricordare e sulle sue implicazioni nella vita di tutti i giorni. Tema che accomuna le pratiche artistiche di Arvin Golrokh, Bahar Heidarzade e Ahmad Nejad, è la memoria dei ricordi del paese d’origine, specchio del passato e patrimonio inalienabile di immagini che contribuiscono a connotare l’identità di ciascun artista.
Durante il processo di estrazione del ricordo, le immagini esposte risalgono in superficie e diventano frame nei quali il passato si innesta all’esperienza soggettiva del presente per costruire nuove narrazioni.
Coinvolti in vari di processi elaborazione, manipolazione, sovrapposizione e cesura, i ricordi sono rimodellati alla luce del presente. La nuova città, Torino, diventa un terreno d’incontro tra esperienze quotidiane e passate; ed è proprio in questo scambio che emergono opere che racchiudono vissuto, realtà e nuovi immaginari che raccontano storie intime e al tempo stesso condivisibili da tuttə.
Nel ricucire i passaggi della propria storia, ciascun artista declina quest’intreccio tra memoria e vita quotidiana secondo logiche diverse. Ahmad Nejad predilige un approccio processuale e astratto. Attraverso il suo lavoro rielabora storie, leggende e tradizioni della cultura del suo Paese, trasmettendo emozioni e atmosfere senza rivelare esplicitamente la fonte. Alcune opere di Nejad, come la serie Prime tracce (2023-2024), svelano la lenta preparazione del supporto pittorico con la stratificazione del colore come metafora del processo di emersione mnemonica. In altri lavori, come Una porta sull’Altrove (2023), una trama intricata di forme, materiali e colori ha il potere di richiamare ricordi e visioni oniriche.
Bahar Heidarzade alterna la dimensione pittorica astratta all’intervento su materiale fotografico. Le tele della serie Dieci Anni (2019-2021), realizzate con acrilici e smalti, ripercorrono emozioni associate a traumi ed eventi taciuti, depositate negli strati più profondi della memoria e resi secondo un codice cromatico. Nella serie Memoria (2018- in corso), sviluppata a partire da fotografie di persone sconosciute reperite in vari angoli della città, l’artista rinviene tracce della propria infanzia all’interno di immagini di altre persone. Le fotografie sono così in grado di risvegliare nell’artista sensazioni assopite e di ricostruire un passato nostalgico.
Arvin Golrokh produce immagini ancorate alla memoria sociale dell’Iran. Evitando rappresentazioni dirette e didascaliche, le sue tele di grande formato Gli arroganti (2023) e Profeti Svergognati (2023) scompongono e frammentano le forme in immagini vivide e non immediatamente riconoscibili. Così elaborata, la figurazione appare svincolata da specifici contesti politico-sociali che tuttavia rappresentano la fonte di ispirazione dei lavori.
In dialogo tra passato e presente, Ri-connessioni si presenta come un’occasione per avviare una riflessione critica. I lavori esposti sono punti di snodo tra memoria individuale e memoria pubblica, e invitano chi guarda a esplorare e riconsiderare il proprio rapporto con il passato e con le narrazioni storiche.
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo / Bookshop via Modane 16, Torino www.fsrr.org Ingresso gratuito Giovedì: 20-23, da venerdì a domenica 12-19
Sabato 30 marzo andrà in scena a Torino Dal seno al “ventre” per amarsi di più, spettacolo di danza del ventre, a supporto dell’Associazione GADOS – Gruppo Assistenza Donne Operate al Seno.
«La danza del ventre può aiutare le donne ad amare il proprio corpo anche quando non è perfetto. Supportare le donne nel raggiungimento di questo obiettivo è anche ciò che vuole fare l’Associazione GADOS, affiancando le pazienti operate alla mammella e sostenendo il loro reinserimento familiare e sociale in un momento in cui, molto probabilmente, non amano più il loro corpo», dice Maddalena Bellissimo, insegnante di danze orientali alla Silvan School Dance di Nichelino.
Il ricavato è destinato al “Fondo Aiuta Donne”, un progetto di GADOS che sostiene le donne in difficoltà economica che devono affrontare una serie di spese richieste dalle terapie oncologiche. Non è scontato che chiunque possa permettersi l’acquisto di un reggiseno post intervento, una parrucca, un turbante, interventi di estetica oncologica, tatuaggi al capezzolo o creme adatte a radioterapia e cicatrizzazione; eppure, sono ausili necessari. GADOS con questo progetto si impegna a renderli più accessibili.
Qualche anticipazione sulla serata? «Con questo spettacolo si potranno percorrere le strade dell’Egitto, passando attraverso le sue regioni e conoscendo i vari stili che le caratterizzano, dal folklore alla danza orientale più classica. Sul palco ci saranno ballerine giovanissime (bambine delle elementari, adolescenti e teen), mamme giovani che balleranno con le loro bambine e danzatrici adulte, che grazie alla danza del ventre hanno riscoperto il loro corpo in età matura e si sono innamorate del palco», racconta Maddalena Bellissimo.
«È un luogo comune che la danza del ventre sia per donne belle, vestite in modo succinto che ancheggiano; questa idea è tipica di coloro che non la conoscono e, purtroppo, rischia di allontanare da questo stile di danza le donne che hanno poca autostima», spiega ancora l’insegnante.
La danza del ventre può diventare uno strumento importante per tutte le donne, perché aiuta a riscoprire e “sentire” la propria femminilità, condizione fondamentale per il benessere emotivo di chi affronta un’operazione al seno.
«Questo tipo di danza offre alle donne uno spazio per esprimersi, connettersi sia fisicamente che emotivamente e riscoprirsi. Può essere utilizzata come una forma di terapia ed essere un completamento prezioso alle terapie tradizionali per migliorare il benessere psico-fisico delle donne, come forma di rilassamento e conseguente benessere generale, tonificazione e flessibilità, espressione emotiva e senso di comunità. Ecco perché questa forma di danzaterapia e la lotta contro il tumore al seno possono congiungersi in modo significativo per offrire supporto alle donne che affrontano questa sfida», dice Rossella Noto, Presidente dell’Associazione GADOS.
La serata permetterà di supportare la causa di GADOS e riscoprire una cultura intrisa di significati, messaggi e valori che decostruiscono i pregiudizi su una forma d’arte che non è unicamente bellezza e apparenza.
• Dove: Teatro Provvidenza – Via Vittorio Asinari di Bernezzo, 34/A, 10146 Torino TO
• Quando: sabato 30 marzo, ore 21
• Biglietti: costo a partire da 18 euro. È possibile acquistare i biglietti con bonifico bancario oppure direttamente a teatro presso la biglietteria.
• Per informazioni e prenotazioni: maddy1988@gmail.com / 340 – 8403264
GADOS è un’associazione no profit che opera dal 1984 presso l’ospedale Sant’Anna e da due anni anche presso il Presidio del Mauriziano. Fino ad oggi ha aiutato 25.000 donne e le loro famiglie prima, durante e dopo le terapie oncologiche. Lavora per portare un’informazione chiara e semplice sulla malattia, grazie agli interventi di personale medico e non. Sostiene la donna operata al seno o in attesa di un intervento chirurgico, supporta le pazienti nel decorso della malattia e sensibilizza gli operatori socio-sanitari, le autorità e l’opinione pubblica. Promuove un sano stile di vita e il valore della prevenzione. GADOS è associata a Europa Donna Italia e ha contribuito alla recente formazione della Delegazione Europa Donna Piemonte.
La Asd New Silvan School Dance è un’associazione di ballo e danza nata con una marcata impronta verso i Balli Caraibici; oggi è un centro per la danza a 360°. Insegna dall’Hip Hop alla Danza Classica, dalla Danza Moderna alla Danza del Ventre per passare da Reggaeton, Caraibico e finire al Liscio Tradizionale e Balli da Sala, questa scuola è tra le più conosciute e rinomate del Piemonte per professionalità, eventi e divertimento. Iscritta al CONI, l’ASD New Silvan School Dance appartiene alla Federazione Italiana Danza Sportiva (FIDS).