SOMMARIO: Cristina Prandi Rettrice – Miriam Mafai – Trump, il reazionario – Lettere




LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com






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Toccherà a me dare l’estremo saluto in chiesa a Edoardo nella sua Pinerolo dove fu consigliere, assessore, direttore del quotidiano “Il Corriere Alpino”, dirigente del PLI con incarichi nazionali, l’unico Pinerolese che si trasferì a Roma a collaborare con il ministro Altissimo, suo grande amico che gli impedirono di ricordare come lui avrebbe voluto a dieci anni della sua morte. Meschinità di uomini non gli permisero di fare un atto di omaggio tanto desiderato. Fiammotto era un generoso, un passionale che non si risparmiava. Era un liberale che amava il Pinerolese Facta, Giolitti e soprattutto Einaudi. Io lo avviai allo studio di Soleri. Da Pinerolese non disdegnava neanche Parri di cui ricordava l’eroismo nella prima guerra mondiale e anche nella Resistenza. Amava Marco Pannella liberale prima ancora che radicale. Tra noi ci fu un grande rapporto. Fui io a proporlo alla scuola di liberalismo a Enrico Morbelli come coordinatore regionale. Ma Edo fu un pannunziano a tutto tondo sempre presente. In Pannunzio liberale aveva trovato il suo più vero ideale politico. Chiuse la sua carriera politica con un magistrale discorso fatto di cultura vera ad Ivrea. Ne ebbe un premio di cui andava orgoglioso. A settembre verrà onorato al Centro Pannunzio come meritava, la chat del Centro è stata Invasa per giorni dal cordoglio dei soci. In gennaio avrebbe voluto candidarsi ad una più alta responsabilità nel Centro, ma lo dissuasi perché lui era utile nel ruolo ricoperto. Tra due anni sarebbe stato prezioso in altra funzione, liberato dagli

Donna simpatica e molto appariscente, mi invitava qualche volta nella piscina della villa di viale Seneca che Firpo le aveva fatto costruire. Si prendeva il sole e si parlava quasi solo di politica. Mi diceva che lei era una “convinta comunista” e si lamentava del marito spesso assente… Poi ci fu un momento anche di forte dissenso, quando pretese di venire a presiedere il Direttivo del Centro “Pannunzio” in sostituzione del marito. Di lì in poi i nostri rapporti da amichevoli diventarono molto conflittuali per poi annullarsi. Alla fine votammo la sfiducia a Firpo come presidente. Io cercai ancora di mediare, ma non era più possibile perché ogni margine si era spezzato a causa soprattutto di Laura che non andavo più a trovare in villa. Dicevano che fosse una grande studiosa di Campanella come il marito, ma io non l’ho mai sentita parlare dell’argomento. Si mise in luce come consigliera dello Stabile di Torino per alcuni processi pubblici che organizzo’. Quello a Craxi, privo di veri difensori, suscitò polemiche. La sua faziosità era aumentata nel tempo. La fondazione da lei creata intitolata al marito con l’apporto di ingenti fondi pubblici ha subito un colpo molto forte dal volume dei gemelli che scrissero contro il padre un libro oggi introvabile perché forse l’editore preferì ritirarlo dalle librerie. Al Centro Pannunzio di cui non fu mai socia neppure durante la presidenza di Firpo, la chiamavano Madonna Laura, anche se della musa petrarchesca non aveva nulla. Era una donna molto pragmatica e decisa che tentò di esercitare un ruolo pubblico senza riuscirci. La tomba del marito è stata in totale abbandono per anni nel cimitero di Cavoretto. Un fatto che suscitò stupore.
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Astensioni referendarie
Il Cardinale Camillo Ruini per il referendum per la fecondazione assistita schierò la CEI per l’astensione perché non scattasse il quorum.



È un locale per definizione interclassista: a mezzogiorno pranzano molti operai , alla sera c’è un pubblico eterogeneo con alcune frequentazioni come i Pininfarina, Gino Paoli, Antonio Ricci,Carlo Levi, Ezio Greggio.
Giancarlo, detto anche Zorro e la sorella Marisa sono in sala, un altro sta ai fornelli.
Una conduzione che dà un tono famigliare al locale. Molti dei suoi piatti meritano attenzione, ma anche il modo in cui si è accolti è straordinario. È quasi un‘altera domus. Una certa “freddezza”tipicamente ligure è sconosciuta.Anche la prestigiosa Accademia della Cucina Italiana, guidata dal medico umanista Roberto Pirino, ha promosso dei convivi accademici da “Zorro”.
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In apertura verrà ricordato con un minuto di silenzio Edoardo Massimo Fiammotto
Venerdì 6 giugno alle ore 18 al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Pier Franco Quaglieni parlerà sul tema: “Pier Paolo Pasolini e il fascismo degli antifascisti”. Un tema controcorrente che appartiene al Pasolini “corsaro”, quando lo scrittore e regista prese posizione contro un antifascismo di maniera “ormai fuori tempo massimo”. Egli denunciò il pericolo di una nuova forma di “fascismo” legata al presente, facendo sue alcune denunce di Pannella. Anche sulla Resistenza e sulla contestazione maturò idee diverse rispetto alla “vulgata”. Pasolini morì nel 1975 ed il Centro “Pannunzio” lo ricorda a 50 anni dalla scomparsa. Introdurrà Mario Barbaro.
All’inizio della conferenza verrà ricordato con un minuto di silenzio Edoardo Massimo Fiammotto.
Qualche anno fa, quando fui invitato alla Fondazione “Natalino Sapegno” nel castello di Morgex (Aosta ) a presentare il mio libro “Figure dell’Italia civile”, venni fatto oggetto – al di là della gentilezza nell’accoglienza – di una durissima reprimenda per il mio anticomunismo che appariva dal libro. Fui accusato di essere un vetero seguace di Croce;l’educazione e il cortese invito ricevuto mi impedirono di ritorcere contro il mio illustre interlocutore l’accusa di vetero applicata al suo entusiasta ed esibito “catto-comunismo” , come lui stesso disse, ricordando che si era avvicinato al PCI proprio negli anni in cui Berlinguer propose il compromesso storico con i cattolici, una scelta che forse lo stesso Sapegno non condivideva pienamente. Fu comunque un bel dibattito ricco di spunti conflittuali che di norma mi entusiasmano più dei consensi formali, magari espressi solo per motivi di diplomazia. Io sapevo che Natalino Sapegno (che conobbi di persona insieme al suo amico -ex gobettiano come lui -Mario Soldati che non lo apprezzava particolarmente) da iniziale fervido crociano era diventato comunista, ma ritenevo questo passaggio graduale nel tempo. Me lo confermò anche Carlo Dionisotti, amico di Gobetti, che mai cedette alle infatuazioni gramsciane.
Ho letto per la prima volta un ricordo di Croce a firma di Sapegno, nel 1978, un anno in cui ,non a caso, sindaco di Roma eletto dal PCI era Giulio Carlo Argan che invece non aveva seguito Gobetti, ma il gerarca fascista De Vecchi di Val Cismon e all’antifascismo comunista si convertì molto tardi . > Dallo scritto del commentatore per antonomasia della “Divina commedia” (dove non c’è traccia di una lettura marxista del testo dantesco) apprendo che ci fu da parte sua un molto rapido distacco da Croce e un accostamento altrettanto rapido al marxismo che spiega le polemiche nate a Morgex, anche se fu lo stesso Sapegno a scrivere che “gli anni della liberazione e del dopoguerra segnarono il maggiore distacco da Croce”. In realtà Sapegno ricorda e quasi rivendica lo spirito di ribellione alla “dittatura intellettuale“ crociana che egli ebbe ben prima. Peccato che non abbia mai sentito una ribellione analoga nei confronti della dittatura politica del comunismo. Nel 1956 firmo’ il manifesto dei 101 contro l’invasione dell’ Ungheria , ma fu un fatto episodico che non gli impedì di restare nell’area presidiata dal PCI. Nel 1971 fu tra i firmatari del manifesto contro il commissario Calabresi che armò la mano ai suoi assassini , il manifesto che Bobbio rinnegò, provando vergogna per averlo sottoscritto .Un segno dei tempi terribili che abbiamo vissuto negli Anni 70. Tutto quanto ho scritto – sia chiaro – nulla toglie, crocianamente, al valore dello storico e del critico della nostra letteratura anche perché nel turbine novecentesco delle ideologie furono in pochi a tenere la barra dritta .La distinzione crociana tra politica e cultura consente di salvare lo studioso Sapegno distinguendolo dalle sue scelte politiche.


L’avventura triestina di Borio doveva finire molto presto perché venne nominato direttore del “Lavoro” di Genova. Di cosa fu per davvero, cioè un cedimento vergognoso verso la Jugoslavia mi parlarono la poetessa esule da Zara Liana De Luca e lo storico antifascista Leo Valiani, nato a Fiume, che mi esortò ad agitare il problema delle foibe e dell’esodo, temi allora totalmente occultati dal conformismo degli storici comunisti e anche democristiani. Moro, con il suo contorsionismo verbale con cui tento ‘ di portare i comunisti al governo, arrivò a definire con ipocrisia pretesca Osimo “una dolorosa rinuncia”. Certamente Spadolini per la prima volta ministro non aprì bocca e una volta quando cercai di chiedergli cosa pensasse di Osimo, durante una cena a due al ristorante Tiffany, cambiò subito discorso per ringraziare Giulio Einaudi che gli aveva mandato una bottiglia di dolcetto dei suoi poderi al tavolo. Continuò invece il discorso con me, dicendomi che lui di solito non beveva, ma in questo caso non poteva non onorare il vino del presidente Einaudi; aggiunse che il dolcetto l’avrebbe fatto “dormire come un ghiro” nel vagone letto che lo avrebbe riportato a Roma. Ma su Osimo non pronunciò neppure una parola. Sarebbe diventato dopo poco tempo presidente del Consiglio, nominato da Pertini, notoriamente molto amico di Tito. Cosa mi disse Valiani, a sua volta diventato senatore a vita, del silenzio di Spadolini non lo rivelo anche se c’è memoria nei miei diari. Furono parole comunque molto aspre che non mi sarei mai aspettato. Fu un momento di ira, anche questa volta a cena all’allora notissimo ed apprezzatissimo da Leo, ristorante “Ferrero” tristemente chiuso da molti anni.
Così fecero i primi presidenti De Nicola ed Einaudi, ambedue monarchici come Croce. Il Re Umberto II partì per l’esilio per evitare una guerra civile. Un atto che va ricordato come una gloria del suo breve Regno. Poi con la fine del partito monarchico, la morte inevitabile degli elettori monarchici del ‘46 e la inadeguatezza rispetto ad Umberto II dei suoi eredi hanno fatto sì che la data divisiva sia diventata data unificante tra gli Italiani. A raggiungere questo obiettivo è stato decisivo Il presidente Ciampi, anticipato da Cossiga. Il 25 aprile una parte di Italiani, soprattutto del Sud ,dove non ci fu la guerra civile, lo sente estraneo. Molti giovani non sentono affatto nessuna delle due date.
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Subito dopo la Liberazione del 1945 Genova ebbe due sindaci comunisti, il primo imposto dal CLN, poi ebbe una lunga serie di sindaci democristiani anche per l’influenza del leader Dc Paolo Emilio Taviani. Nel 1960, quando a Genova ci fu una violenta rivolta di piazza per impedire il congresso del MSI che due anni prima si riunì senza proteste a Milano, ci fu un commissario prefettizio a gestire l’emergenza. Ma 50 anni fa Genova svoltò nuovamente a sinistra con un sindaco socialista sostenuto dal pci.
Ho visto in prima televisiva su Sky il film di Andrea Segre su Enrico Berlinguer “La grande illusione” . L’ho seguito con attenzione, anche se non ho mai avuto simpatia per il politico sardo che andai anche ad ascoltare tanti anni fa al Palazzetto dello Sport di Torino. Allora mi parve algido nel suo ideologismo togliattiano, nel film mi è apparso invece un uomo appassionato e un grande trascinatore di masse ,pur travagliato da qualche dubbio. L’idea del compromesso storico mi sembrò fin da subito un progetto ostico e inaccettabile per un liberale. Perfino Valerio Zanone si dovette accorgere che il governo delle grandi intese era invotabile. Come scrisse Mario Soldati che non era un politico, ma un uomo di grandi intuizioni, la democrazia italiana rischiò di venire stritolata dall’abbraccio catto-comunista voluto da Berlinguer e da Moro e realizzato da Andreotti :un pastrocchio che ci avrebbe isolati dall’Europa. Fu il rapimento e l’omicidio di Moro a mandare all’aria il progetto che qualcuno definì cin termine colorito gli “spaghetti in salsa cilena”. Nel 1975 i comunisti conquistarono le grandi città e laddove non riuscirono ad avere la maggioranza sfruttarono il trasformismo di socialdemocratici e liberali che si offrirono di fare da puntello a maggioranze di sinistra in cambio di assessorati e di presidenze.
La digitalizzazione delle lettere di Costantino Nigra sono un grande contributo all’opera assai meritoria di storicizzare una figura non secondaria del Risorgimento di cui fu un protagonista nel campo diplomatico, alle dipendenze dirette del Conte di Cavour. Nigra ad unità d’Italia compiuta fu ambasciatore a Parigi, San Pietroburgo e Vienna in momenti decisivi della storia del nuovo Regno. Le opere storiche scritte su di lui appaiono invece poco interessanti, anche se uno dei nostri migliori storici, Federico Chabod, ne scrisse nella sua storia della politica estera italiana che lessi e studiai per sostenere un esame con Ettore Passerin d’Entreves che nel corso dell’esame mi interrogò su di lui. Resta ancora aperta la questione mai risolta della scomparsa delle sue memorie, che secondo alcuni furono bruciate dallo stesso Nigra, secondo altri si perdettero con la morte del figlio nel 1908, ad un anno di distanza dalla sua morte. C’è stato chi ha fatto molte e anche fantasiose congetture che non meritano di essere prese in considerazione perché Nigra fu vittima di “storici” dilettanti.



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