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La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Finalmente Santo – D’Alema cinese – La cultura tra Liguria e Piemonte – Lettere

Finalmente Santo
Il Papa Leone XIV proclamerà oggi santo Pier Giorgio Frassati (nella foto di copertina),  figlio del senatore giolittiano Alfredo,  forse in odore di massoneria , ma sicuramente laicissimo e quasi incapace di comprendere a pieno la santità di suo figlio che pure viveva nella sua stessa casa di Corso Galileo Ferraris e nella villa materna di Pollone. Ho letto con interesse un bell’articolo dell’amico Bruno Quaranta che, ricordando il giovane Frassati, lo collega idealmente a Gobetti per il comune antifascismo. E’ certo che Sturzo scrisse per Gobetti ed è certo che Frassati sia stato iscritto al partito popolare di Don Sturzo ,ma stento a vedere altre affinità perché Frassati era uomo di fede , portato ad esempio dai suoi professori gesuiti del “Sociale“. E’ una fede totale, direi assoluta come una volta la definì la sorella Luciana che io conobbi e i cui libri tanto hanno aiutato a far conoscere il fratello,  che ebbe una lunga e travagliata causa di beatificazione. Tante volte uno dei miei più cari ed autorevoli amici, Jas Gawronski ,mi ha parlato dello straordinario zio. Si ricordava anche Papa Francesco di Frassati perché suo padre era nell’Azione Cattolica torinese insieme a Pier Giorgio. Non vedo affinità politiche tra i due torinesi e anche affinità intellettuali perché Gobetti, oltre ad essere un agitatore politico (oggi si definirebbe un  attivista), era un uomo di cultura e un editore, mentre Frassati si era iscritto al Politecnico ad ingegneria mineraria per poter aiutare in concreto una delle categorie di operai più disagiata, quella appunto dei minatori.
Difficile appaiare insieme il figlio di un droghiere e il figlio di un grande imprenditore di successo. Appartenevano a due Torino diversissime, se non addirittura antitetiche. Forse l’unica cosa che potrebbe apparentemente accomunarli è l’allontanarsi dal liberalismo paterno del santo per il popolarismo e l’allontanarsi dal liberalismo confuso  per un rapporto sempre più stretto con Gramsci e i comunisti da parte  di Gobetti che fu ferocemente antigiolittiano. Einaudi scrisse che Gobetti faceva l’amore con i comunisti. Ritengo che si possa dire con certezza storica che Frassati non abbia mai avuto ubriacature ideologiche per la rivoluzione bolscevica che Gobetti considerò liberale. Il cristianesimo integrale di Frassati non poteva neppure lontanamente confondere il pensiero sociale della Chiesa con cedimenti verso il comunismo del biennio rosso torinese. Il suo amore cristiano senza confini  era l’esatto opposto dell’odio di classe.  Mi è molto piaciuta la biografia di Frassati pubblicata nel 2025  da  Luca Rolandi  che  va oltre a quella del ciellino don Primo Soldi. Si può dissentire da alcune sue affermazioni ,ma non si può non cogliere  il valore storico innovativo dell’opera.
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D’Alema cinese
Per una volta sono d’accordo con Carlo Calenda che ha definito una “schifezza al livello di Salvini” l’apparizione di D’Alema in piazza Tien Ammen (quella dei massacri di studenti!) insieme al leader cinese, a Putin, Kim Jong Un. L’ex premier italiano ha motivato la sua presenza in Cina come un auspicio di pace.
Conobbi D’Alema quando moderai alla Festa dell’”Avanti !“ un dibattito tra lui e Giuliano Amato. Debbo confessare che sotto sotto parteggiavo per Amato, ma dovetti  constatare che l’abilità dialettica del leader comunista si rivelò molto superiore. Fu poi un deludente segretario di partito e un presidente del Consiglio che preparò la strada per il ritorno di Berlusconi. Poi venne rottamato da Renzi e non riuscì più a rimontare la china del tramonto. Qualche volta se ne esce fuori con dichiarazioni balzane e neppure più il suo vino e le sue scarpe fatte su misura hanno  un grande interesse. Il fatto di essere andato in Cina a perorare la pace, appare davvero come la fine politica  di un uomo anziano che non “va in Cina per affari di famiglia “,come diceva una vecchia canzoncina, ma per motivi internazionali. Incredibile.
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La cultura tra Liguria e Piemonte
 Con un’amministrazione civica come quella di Sanremo che è molto faziosa non solo  nelle sue scelte culturali, la stagione di conferenze del Casinò potrebbe essere una forma di  sicuro bilanciamento, anche se  essa si macchiò dell’infamia  di aver invitato  il “conte“ Licio Gelli, capo della loggia coperta P2, losco affarista e mandante di stragi che hanno  cercato di minare la Repubblica, come quella infame della stazione di Bologna. Il bassissimo livello anche quest’anno degli invitati a parlare  che appaiono inamovibili e sono  frutto di scelte discrezionali molto  superficiali e stantie , minano la credibilità dell’evento sanremese. Una piccola – fisicamente molto esile – professoressa che insegna a Sanremo -anche con la scusa del Premio Strega, di cui si ritiene “esclusivista“ nel Ponente ligure, è un altro protagonista, egocentrica e faziosa, della piazza sanremese dove ha invitato in pompa magna- udite udite!- Scurati. Per non parlare dell’ Istituto internazionale di studi liguri di Bordighera, la nobile e importante creazione di Lamboglia e Costa,  succubo delle scelte sinistre di una sua animatrice. Il Ponente è davvero malmesso, se aggiungiamo che  ad Alassio hanno portato in trionfo il faziosissimo conduttore di “Report “e hanno rimesso in circolazione un vecchio giornalista e piccolo scrittore, quintessenza della bolsa retorica  che De De Felice chiamava  vulgata.
Antica veduta di Genova

 

Quando a Torino ci si lamenta di circoli e circoletti che si sono impossessati del Salone (sedicente) internazionale del Libro, non ci rendiamo conto di cosa succede nella vicina Liguria che non è più  quella di Montale, Sbarbaro, Calvino, Seborga, Betocchi , ma è quella dei nipotini mediocrissimi di Nico Orengo, specializzato nelle acciughe fritte.  Nel Ponente esiste ad Andora un luogo straordinario nello storico Palazzo Tagliaferro  – un vero  Pireo di libere idee -, esistono biblioteche come quella di Laigueglia e fondazioni importanti come la Oddi di Albenga. Ma esse sono l’eccezione che conferma la regola , se per trovare un luogo aperto al dibattito vero  bisogna rivolgersi al parco della clinica San Michele  di Albenga dove un uomo di scienza e cultura promuove “cultura e garantisce salute “ in una forma moderna di “mens sana in corpore sano“ che droghe e psicofarmaci di tanti cosiddetti intellettuali hanno reso una frase latina priva di significato. La cultura da  assessorato ,come definii quella del settario Giorgio  Balmas, primo amministratore comunista – neppure laureato- dedito a partire dal 1975  per un intero decennio   ad egemonizzare la cultura torinese, appiattendola sul gramscismo, in fondo è rimasta un esempio, con la differenza che Balmas, senza studi regolari in campo musicale, come più volte ebbe a sottolineare Massimo Mila,inventò “Settembre musica”, oggi diventato Mito che privilegia Milano e mette in ombra Torino. L’assessora odierna Purchia, che proviene dal San Carlo di Napoli, si è rivelata poco adeguata e fa quasi rimpiangere il limitatissimo Fiorenzo Alfieri molto attivo soprattutto quando era affiancato dal capo gabinetto del Sindaco Cigliuti  che lo corresse più volte. Purchia è una specie di araba fenice introvabile, se non vogliamo ripetere i vetusti versi del Marino. Non usa neppure rispondere alle lettere e non interviene  nelle manifestazioni ufficiali in cui nella Sala Rossa si ricorda Valdo Fusi che forse per lei è un signor nessuno.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Emilio Fede
Mi sembra incredibile lo spazio dedicato ad Emilio Fede in occasione della sua morte. L’uomo e il giornalista non lo meritavano.  Filippo Ferro

Condivido il suo giudizio. Il suo fu un giornalismo caricaturale che adesso viene ricordato con grandi articoli da giornali avversari. Hanno ragione ad elogiarlo perché ha contribuito all’insuccesso di Silvio Berlusconi nel modo peggiore, cioè ostentando un fanatismo settario che finiva nel ridicolo. Fu un intrattenitore televisivo come Funari, quasi mai un giornalista. In Rai ebbe la carriera spianata dal suocero vicepresidente Rai a vita Italo De Feo. Il vizio del giuoco fu un altro dei suoi limiti. Imploriamo anche per lui la pace cristiana, ma la sua figura dimostra che Tolstoj quando sosteneva che tutti i morti sono belli, sbagliava. La sua tragica fine a 94 anni in una Rsu suscita pena , ma non puo’ giustificare gli elogi . Berlusconi subì un grave danno da un palafreniere così  imbarazzante.

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La farsa di Racconigi
Era previsto un piccolo convegno a Racconigi, dove nacque nel 1904, su “Umberto di Savoia luogotenente del Regno”. Dovevano partecipare il principe Emanuele Filiberto e lo storico saluzzese Mola. Sulla locandina è apparso per il principe  l’appellativo di “capo della Casa di Savoia” che ha provocato l’immediata rinuncia dell’ottuagenario Mola che parteggia per gli Aosta. Aveva ragione Lei a dire che si tratta di un’operetta, non certo morale come quelle di Leopardi, ma di  uno spettacolo di vedove allegre e conti di Lussemburgo  in voga nella Belle Epoque. Giulio Quaglia


La notizia non merita attenzione. C’è da stupirsi che il Comune di Racconigi si lasci intrappolare in questioni del tutto irrilevanti.  La nobile figura di Re Umberto II che io ricordai a Racconigi nel 2023, deve restare fuori dalle beghe che definire dinastiche appare fin troppo generoso.

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La ferrovia nel Ponente: no al raddoppio!

I lavori per raddoppiare la ferrovia litoranea nel Ponente sembra che stiano per riprendere perché Salvini ha fatto un’altra scelta sbagliata, in questo caso seguendo i suoi predecessori . Arretrare a monte la ferrovia ,eliminando le attuali stazioni nel centro delle città, è un gravissimo errore che penalizzerà la ferrovia e incentiverà l’auto. So che lei da anni si batte contro il raddoppio fatto a spese degli utenti!  Raffaele Delfino

Concordo con lei: una scelta scellerata che ha danneggiato le località già interessate dal raddoppio. Andare in treno a Sanremo è un problema perché la stazione è totalmente periferica quasi fosse un aeroporto. Il raddoppio tra Finale Ligure e Andora avrà un impatto ancora peggiore. La tratta di 32 chilometri sarà in galleria per 25.  Il risparmio di tempo previsto tra Genova e Ventimiglia è di circa mezz’ora, un vantaggio poco significativo. Ovviamente il percorso in galleria annullerebbe la possibilità di vedere i paesaggi e il mare liguri. Sparirebbero del tutto le stazioni  di Laigueglia, Ceriale e Borgio. Andrebbero molto lontano dal centro quella di Albenga  e le fermate (senza più stazione) di Loano, (a 5 chilometri dal centro !) e Pietra, per non parlare della sotterranea di Alassio
Un’alternativa al progetto fatto proprio da Salvini c’è ed è quella di correggere e modernizzare l’attuale linea togliendo molti passaggi a livello senza stravolgere i territori e i servizi.  Già oggi è ben visibile il calo di utenza nella parte della linea raddoppiata e il disagio che ha provocato. Addirittura il valore degli immobili è stato modificato da un raddoppio che ha favorito le piste ciclabili nate sulla ex ferrovia, ma non ha soddisfatto le esigenze di residenti e turisti. I lavori dovrebbero partire alla fine del 2026. Va tutto rivisto nell’interesse della Liguria e dei cittadini. Il nuovo presidente della Liguria, che non è un politicante ma un uomo del fare, deve intervenire al più presto.

Tortora ritorna

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Al festival del cinema di Venezia viene presentata la serie Tv in 6 episodi “Portobello” diretta da Marco Bellocchio. Appare un buon segno che “Portobello“ si riferisca in primis alle lettere dal carcere  di Enzo Tortora – lo storico conduttore della trasmissione televisiva – inviate alla compagna  Francesca Scopelliti. Aprendo il “Corriere della Ser “ che ha dato la notizia con il dovuto risalto, ho chiesto ad una ventenne al bar della spiaggia se sapesse chi fosse stato Tortora. Mi ha detto subito che non sapeva nulla neppure di “Portobello“, la celebre trasmissione di Enzo in  Rai. Che i giovani non sappiano nulla di Tortora  è un male (a volte dimenticare può anche essere un bene  che significa che  alcuni fatti negativi del passato sono stati rimossi e archiviati  da un presente  migliore), è un male, ripeto, perché la vicenda giudiziaria, mediatica,  umana e civile di Enzo arrestato e ammanettato in diretta televisiva è una pagina di storia che non si può dimenticare, come l’affaire Dreyfus dell’ Ottocento, il capitano ebreo (e’ il caso di ricordalo oggi più che mai) accusato ingiustamente e difeso da Zola. Pannella che difese Tortora, fu lo Zola solitario del Novecento. Ho provato a chiedere alla giovane  interlocutrice se sapesse almeno di Dreyfus, ma mi  confessato  di non sapere di cosa si stesse parlando. Forse è il caso di una bella ma ignorante ragazzina che non fa testo , ma forse è l’esempio di una gioventù che non ha studiato a scuola , non ha mai letto un giornale , legge pochi libri futili  ed è incollata al telefonino per ore. E ‘ il segno nefasto dei tempi che viviamo che si sappia tutto di Pippo Baudo e nulla di Enzo Tortora perché il suo caso fa da pietra di paragone in termini di civiltà per non dimenticare mai i danni mortali provocati da una giustizia ingiusta. Tortora fu accusato senza prove da pentiti pluriomicidi.  Un vero pentito fu Maurizio Peci ucciso dalle Br per il suo “ tradimento“.
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I pentiti contro Tortora erano delinquenti comuni e nulla di più.  Molti altri pentiti si dimostrarono non credibili, specie quando furono usati da magistrati come minimo poco attenti. La tragedia di Tortora forse non doveva essere ricordata attraverso la metafora di Portobello, ma doveva essere  titolata direttamente il caso Tortora. C’è da sperare che la nuova serie televisiva possa scuotere le coscienze intorpidite da un populismo ignorante ed arrogante di cui i giovani sono le prime vittime. Anche i liberali di Zanone (che Tortora definì ironicamente il farmacista di Pinerolo) girarono la faccia da un’ altra parte, dimenticando che Tortora era un liberale del PLI e soprattutto dimenticando cosa fosse lo stesso liberalismo. Allora solo Alfredo Biondi seppe stare dalla parte di Enzo. Gli altri, in primis la sinistra giustiziera, fu contro il borghese per bene Tortora, magari strizzando l’occhio ai terroristi rossi. E’  per questi motivi che la ventenne in bikini mozzafiato che non sa nulla di Tortora ,deve rivestirsi di una consapevolezza storica e civica senza la quale si può solo stare in spiaggia a prendere il sole.

Follie per Gaza: sciopero da soviet e gli ebrei cancellati da Facebook

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Pensavo che Giuseppe
G i u l i e t t i   fosse scomparso almeno dalle cronache, dopo aver girovagato per decine d’anni in Tv e in Parlamento. Era un personaggio un po’ patetico sopravvissuto a sè stesso; adesso coglie la  tragedia di Gaza per riemergere dal fiume dantesco dell’oblio, proponendo l’unica cosa in cui è stato eccellente: uno sciopero di protesta. Il buon uomo ha sempre solo promosso e fatto scioperi e bisogna capirlo. Ma l’aspetto  politicamente indecente è che  G i u l i e t t i  richieda una giustificazione  a chi decidesse di non aderire  allo sciopero. E questo appare come una gravissima  minaccia alla libertà che neppure i sindacalisti della Fiat che picchettavano davanti agli ingressi per impedire agli operai di entrare in fabbrica, facevano.  Forse solo  i camalli di Genova si comportavano come  G i u l i e t t i.  Il chiedere una giustificazione  è  un atto di autoritarismo assoluto, da soviet rivoluzionario: un’anticamera alla fucilazione mediatica alla schiena. C’è anche un oscuro professorino o insigne  professorone  dell’Università di Palermo che invita a togliere l’amicizia su Facebook agli ebrei. Qui siamo ad un qualcosa che evoca le leggi razziali del ‘38. Verrebbe voglia di dire, parafrasando Kennedy davanti al Muro di Berlino, che anch’io sono ebreo. Il Rettore dell’ Università di Palermo ha subito smentito il prof. apparso con il suo nome e la sua fotografia non tanto  per il suo insegnamento o i libri eventualmente scritti, ma per un post su Facebook. Povera Italia! Con Prezzolini verrebbe voglia di dire porca Italia, ma io non sono un anti-italiano e quindi non userò mai quella espressione, anche se  i segni della depressione sono evidenti. Spero che non siano inguaribili.

Gli intellettuali nella storia d’Italia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Qualche sera fa ad Alassio di fronte ad una domanda del pubblico, ho improvvisato una risposta sugli intellettuali italiani e la loro storia. Qualche osservazione merita forse di essere ripresa. Per secoli dall’età delle Signorie in poi e anche in parte del Medio Evo (pensiamo alla scuola poetica attorno a Federico ll) se si esclude Dante, gli intellettuali  italiani sono stati dei cortigiani destinati a servire un principe, fosse quello di Machiavelli o di altra signoria.  Il grande Ariosto dovette porsi al servizio degli Estensi che non apprezzarono neppure la sua opera. Pochissimi furono vittime del potere come Bruno, Campanella, Galilei. Per trovare esempi di poeti che non si piegarono nella” genuflessioncella “come era tenuto a fare il Metastasio alla corte di Vienna , bisogna attenendere l’abate Parini fustigatore dei privilegi, gli illuministi milanesi e quelli napoletani. Anche Goldoni cittadino della Repubblica di Venezia andò alla corte francese. E poi l’aristocratico Alfieri che odiò “ le muse appigionate “e seppe tenere la schiena dritta. Ma è soprattutto da Foscolo che nasce una poesia civile capace di opporsi ai potenti fino alla scelta dell’esilio, come i piemontesi Baretti e Radicati di Passerano. Foscolo morì povero a Londra. Anche gli aristocratici Leopardi e Manzoni  seppero non piegarsi mai al potere. Nell’800 ci furono tanti intellettuali e scrittori che furono patrioti e conobbero il carcere e l’esilio a partire da Francesco De Sanctis. Anche Carducci fu poeta libero, malgrado la nomina a senatore. Nell’800 incomincia ad insinuarsi anche nel mondo della cultura la Massoneria che non fu protagonista, come molti sostengono, del Risorgimento. Molti poeti e scrittori scelsero il sostegno della Massoneria. A determinare  un cambiamento fu il graduale riconoscimento in Italia e all’estero dei diritti d’autore che li liberò dalle edizioni pirata delle loro opere.

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Con i diritti d’autore dovrebbe cessare il mecenatismo. Ma in effetti non è così perché la politica diventa una seduzione irresistibile per tanti intellettuali. D’Annunzio ne è un esempio alto anche se a volte confuso. Sarà soprattutto di fronte al fascismo che gli intellettuali si schierarono pro o contro nel 1925 con i manifesti di Gentile e di Croc, tema che ho affrontato nella mia lectio iniziale. Ma il banco di prova fu il Ventennio. Mussolini, che conosceva bene le ambizioni degli intellettuali italiani, creò la Reale Accademia d’Italia con appannaggi , feluche , titoli di eccellenza. In pochi resistettero alla tentazione, ma molti furono fascisti per convinzione a partire da Pirandello e Ungaretti.  Gli intellettuali an tifascisti furono pochi : obbligati all’esilio , condannati al carcere e al confino. I loro nomi vantano il sacrificio di Gramsci , dei fratelli Rosselli e di pochi altri uomini di cultura. Croce seppe opporsi restando in Italia , ma il suo prestigio internazionale e il fatto che fosse senatore lo preservarono dalla persecuzione. Analogamente accadde per il grande economista Luigi Einaudi. Caduto il fascismo il 25 luglio 1943, molti intellettuali che furono fascisti quasi fino al giorno prima, si riposizionarono, trovando la sponda nel partito comunista che accolse i convertiti senza particolari problemi.  Anche durante la Repubblica sociale ci furono Fo, Albertazzi e persino il giovane Spadolini che scelsero di stare dalla parte di Mussolini e di Gentile, assassinato sotto casa nel 1944.

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Togliatti era un politico di razza e accolse tutti  i voltagabbana che diventarono i più devoti comunisti per farsi perdonare il passato. Ha così inizio il sogno dell’egemonia culturale gramsciana che l’intellettuale sardo sperava con radici più nobili. Gramsci concepiva il partito comunista  come il nuovo “Principe“ di Machiavelli, un partito compatto e disciplinato, un partito pronto a fare la rivoluzione bolscevica. Togliatti era più realista di Gramsci e pensò ad accaparrarsi  posti nelle università , nelle case editrici , nei giornali , nel cinema da affidare ai suoi militanti. Quella egemonia non è più quella di un tempo, ma continua a resistere. La maggioranza degli uomini di cultura  con Marchesi, Russo  e tanti altri nel 1948 scelse il fronte popolare . Una minoranza scelse la libertà: i Silone, i Pannunzio, i Longanesi, i  Guareschi. Per fortuna dell’Italia vinse il fronte raccolto attorno a De Gasperi, a Croce, ad Einaudi, a Saragat, la cultura restò un monopolio degli sconfitti e non fu certo un premio di consolazione.

Il torinese Silvio Fasano Patron del concorso di bellezza maschile ad Alassio

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Silvio Fasano è uno dei personaggi più conosciuti e stimati di Alassio  ormai da tanti anni. E’ il fotografo e giornalista principe del Ponente, corrispondente storico del Secolo XIX, testimone della storia di Alassio e del suo territorio con un  archivio preziosissimo  di fotografie che dovrebbero essere esposte e conservate in qualche museo perché testimoniano la vita del Ponente nei momenti lieti e tristi , importanti e quotidiani. Il sindaco Canepa lo ha insignito dell’Alassino d’oro, la più alta onorificenza alassina. Fasano per tanti turisti e residenti è famoso  almeno come il bacio di Alassio. Da tanti anni egli organizza il concorso nazionale   “Il più bello d’Italia“, raccogliendo ad Alassio  la meglio gioventù italiana. La manifestazione che riempie di pubblico la grande piazza partigiani, ieri sera è stata aperta dal suono dell’inno di Mameli di fronte a cui il pubblico non si  è subito alzato in piedi, seguendo il generale Odello e chi scrive: un brutto segno dei tempi che viviamo: “patriai tempore iniquo”, avrebbe detto il poeta Lucrezio. Ma  il colto e patriota Fasano aveva scelto di iniziare con il suono di un Inno, scritto da un giovane e cantato da tanti giovani nel Risorgimento  imparato da Fasano alla scuola dei Salesiani di Torino che abbiamo frequentato insieme. Ho visto sfilare una gioventù diversa, quasi nessun cappellone  e pochi tatuaggi, una gioventù sportiva che fa ben sperare per il futuro d’Italia. La presentatrice ha detto più volte giovani “ belli dentro e fuori “. Ed aveva ragione. Giovani anche in giacca e cravatta, oggi una rarità.
Avrei dovuto dire quattro parole al pubblico su invito di Fasano. Mi ero preparato in mente un discorsetto in cui avrei voluto dire semplicemente che auguravo a questi giovani di avere una vita di pace come ha avuto la mia generazione e non ha avuto quella di mio padre che ha servito l’Italia in guerra. Poi, attorniato da tre splendide ragazze che erano insieme con me sul palco, mi sono un po’ perso e mi sono  limitato a dire che a me piacciono solo le donne. Bene i baldi e pettoruti ragazzi concorrenti, ma le  belle donne restano per me l’unico oggetto di desiderio, come anche a Silvio Fasano che con il suo concorso sfida il politicamente corretto e altri luoghi comuni d’oggi che lascio immaginare. Ci vorrebbe tanta gente come Fasano che sa premiare una gioventù non afflosciata su se’ stessa che non ha già perso il piacere della vita  come tanti smidollati “fragili” ed ama la natura e l’amore come Dio comanda, anche se non  credenti.

E’ mancato Enrico Morbelli, presidente della Famija piemonteisa di Roma e fondatore delle scuole di liberalismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Aveva 83 anni ed era stato un brillante giornalista in Rai, figlio di quel Riccardo  Morbelli che creò con Angelo Nizza  la trasmissione radiofonica  di  grande successo “I quattro moschettieri”.Era un liberale autentico, colto e fermo nelle sue idee, ma capace di porsi  sempre in discussione come è nello stile dei liberali. Agli inizi del nostro rapporto mi considerava uno dei soliti “liberali litigiosi” , poi si accorse, nei  nostri ulteriori incontri, che tra di noi poteva nascere solo una utile collaborazione e una buona amicizia, come poi è stato. Morbelli, esponente di rango del partito liberale a Roma, era stato l’animatore della Fondazione Einaudi della capitale, creata da Malagodi e Badini Confalonieri e fu anche candidato sindaco di Roma. Al di là della crisi del Pli e della dolorosa  dismissione della storica sede di via Frattina dove Enrico era di casa, fu capace di guardare lontano, creando le scuole di liberalismo in tutta Italia dove chi scrive è stato docente. Morbelli ha creato a livello intellettuale una nuova classe dirigente liberale di cui Nicola Porro resta l’allievo diventato maestro. Lo scorso anno fu il promotore delle celebrazioni nazionali di Luigi Einaudi per cui si spese senza risparmio di sé, girando in  tutta Italia. Ma Morbelli era anche un bon vivant, amante della cucina e della convivialità. Lui mi invitava a Roma e io lo invitavo a Torino, sempre negli stessi locali storici.

Avevamo  nei mesi scorsi prenotato  in autunno una fonduta con tartufi. Nostro amabile e raffinato commensale era spesso il giornalista Michele Canonica, pronipote del grande scultore e attuale Presidente della “Dante Alighieri“ di Roma. La Famija piemonteisa si è ripresa  sotto la sua illuminata e capace  presidenza, dopo la crisi non affrontata da Zanone presidente che cedette la storica sede della Famija fondata nel 1944 dal ministro liberale Marcello Soleri. E’ stato Morbelli a chiarire che presunte presidenze oltre a Soleri non corrispondevano al vero . L’aver avuto come Segretario generale un uomo capace ed autorevole come l’avv. Francesco Ugolini  è stato un aiuto molto importante che Morbelli più volte ha riconosciuto. E la Famija andrà avanti anche perché Ugolini è uno straordinario organizzatore che ha già pianificato le future attività.

Il 23 ottobre sarò sicuramente a Roma per ricordare alla Famija Marcello Soleri a 80 anni dalla sua morte. Ci sarà con me la pronipote Olimpia Soleri e mi peserà molto l’assenza di Enrico che volle tenacemente programmare quell’incontro . Pur essendo un piemontese quasi sempre vissuto a Roma (d’estate tornava nella casa avita in provincia di Alessandria come i Carandini tornavano a Collereto), aveva salde le sue radici nel Piemonte liberale e risorgimental . Quando Piero Ostellino venne al “Cambio“ per  ricevere il premio “Pannunzio”, fu felice  di avere Morbelli al suo fianco.
Per la scuola di liberalismo gli indicai come direttore il compianto Massimo Edoardo Fiammotto che gli fu utile e fedele collaboratore in quello spirito di lealtà che è proprio dei liberali piemontesi che si sentono eredi di Cavour e di Sella e vedono la piccola politica come cosa estranea. Morbelli fu anche al mio fianco nel centenario della nascita di Pannunzio nel 2010,  quando alcuni pensarono di creare all’ultima ora  una associazioncina per scalzare dal Comitato Nazionale il Centro “Pannunzio”, nato nel 1968. Morbelli fu fermissimo nel condannare un’operazione di potere indecente. Da quell’anno nacque tra noi anche una forte amicizia personale che mi impedisce di trattenere le lacrime alla notizia della sua morte improvvisa.

Ghigliottina o esaltazione: il fanatismo non ha mezze misure

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Ho letto un’interessante intervista con l’editore Antonio Sellerio il quale sorprende  soprattutto per due affermazioni che danno un’idea non particolarmente esaltante del presente della casa editrice che fu di Leonardo Sciascia. La prima riguarda il mandante dell’omicidio Calabresi, Adriano Sofri, che viene considerato “un amico, una persona di straordinaria cultura e sensibilità“, a cui Sellerio ha dedicato la sua tesi di laurea. Sofri viene definito in modo apodittico “innocente” , malgrado le condanne passate in giudicato e il fatto che non ha mai neppure  ottenuto la grazia che il presidente Ciampi non firmò. Ma dell’intervista colpisce anche l’elogio sperticato di Luciano Canfora e la critica malevola nei confronti di Alessandro Barbero che “non vive benissimo la sua enorme popolarità“, anche  se Sellerio gli riconosce “rigore sabaudo e passione come pochi sanno fare”. Sono frasi che non necessitano di particolare commento. Solo oggi ha trovato smentita la bufala della sostituzione di Barbero dalla direzione di Rai  Storia con il giornalista Mario  Sechi. Nei giorni scorsi sui social è scoppiata  l’indignazione per la cacciata di Barbero, noto per le sue idee nettamente di sinistra (ebbe la tessera del Pci firmata da Berlinguer, come lo storico di Vercelli ama orgogliosamente  evidenziare). Ho delle riserve sul fatto che Barbero scorrazzi in tutte le età storiche con molta disinvoltura, ma è difficile disconoscergli capacità affabulatorie che piacciono tanto alla gente semplice che ama le solite vulgate. Barbero è infatti  un grande divulgatore – come vide tanti anni fa Piero Angela – anche se è anni luce distante  dalla profondità e dalla chiarezza non semplicistica di Paolo Mieli che, allievo di Renzo De Felice, fa trasmissioni esemplari proprio su Rai Storia in cui c’è sempre un confronto a più voci. Sechi non può neppure essere lontanamente paragonato a Mieli, ma non può neppure essere demonizzato per ragioni ideologiche:  la sua simpatia politica non è legata ad un partito (fu persino candidato con Monti), ma  il giornalista sardo si può considerare un moderato dotato di una certa cultura rispetto a tanti giornalisti di destra un po’ troppo ruspanti. Non sarebbe stato  sicuramente adatto a dirigere Rai Storia con la quale per altro   già collabora  in una trasmissione economica. Il fanatismo politico oggi tende ad esaltare in modo acritico o a ghigliottinare in modo altrettanto  aprioristico. In realtà la notizia era falsa, ma  l’occasione per fare baccano è stata presa al volo. Se vogliamo rimanere su temi leggeri, leggo  con sorpresa che a Racconigi, in provincia di Cuneo, il principe Emanuele Filiberto di Savoia  parteciperà ad un convegno sul nonno  Umberto, insieme allo storico che ha fondato e presiede una Consulta dei Senatori del Regno (sic) che sostiene il ramo Aosta della dinastia che contesta la legittimità storica dell’attuale pretendente e soprattutto di suo padre Vittorio Emanuele.  E‘ un piccolo fatto di trascurabile entità che rivela anch’esso la confusione che regna dappertutto. La prima a farne le spese è la storia usata in modo strumentale come una clava  per tutti i fini, anche quelli più impensabili, a sinistra e a destra.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Aldo Cazzullo ad Alassio – Alaska -Lettere

Aldo Cazzullo ad Alassio
Cazzullo riceve il premio per l’informazione culturale ad Alassio . Con tutti i libri pubblicati sui temi più disparati, gli editoriali e le interviste (non settarie) che pubblica, credo sarebbe diventato difficile non conferirgli il premio alassino 2025. Anche la sua presenza televisiva sulla  7  è stata massiccia. Nessun giornalista, neppure Mieli, ha oggi la notorietà di Cazzullo che da giovane andava in vacanza a Loano, ma avrebbe aspirato ad Alassio. Poi la famiglia comprò una casa ad Andora e il sindaco Mauro  Demichelis  gli diede qualche anno fa le chiavi della città con notevole  preveggenza. Conosco Cazzullo da molti anni e anch’io in tempi lontani l’ho premiato nel suggestivo studio del pittore Enrico Paulucci a Torino. Ci affacciammo insieme sul balcone da cui si vede piazza Vittorio, il Po, il monte dei Cappuccini all’imbrunire: una suggestione indimenticabile.
Cazzullo ha le sue idee, ma sa anche rispettare quelle degli altri. Un fanatico   di un paesino ligure  ha suggerito ad un pronipote di Mussolini di chiedere a Cazzullo un contraddittorio  sui temi del fascismo allo scopo di creare un po’ di confusione. Da storico ho una visione del fascismo e di Mussolini diversa da quella di Cazzullo, ma quella del pronipote del duce mi appare priva totalmente di cultura storica e di attendibilità. Un libro scritto o fatto scrivere da altri che non merita di essere letto e neppure considerato. Approfittare del premio a Cazzullo per qualche minuto di visibilità mi  appare molto meschino.
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Alaska
Ogni passo verso la pace in un mondo in guerra che rischia un conflitto nucleare devastante da cui il mondo intero non si salverebbe, è sempre importante. Trump ha tentato senza successo di smuovere le cose, avviando un dialogo. Non credo che il vertice abbia dato risultati, ma va neppure considerato a priori un fallimento.
La storia è sempre imprevedibile e non bisogna cessare di sperare in altri passi successivi.  Parlarsi fa sempre bene. Certo il dignitario russo alla corte dello Zar con la maglietta dell’URSS appare un elemento che ha dell’ incredibile e forse è stata una provocazione per farsi notar e Ma sotto tanti punti di vista la Russia è tornata sovietica o è nostalgica dell’impero sovietico. Quell’impero dopo Yalta e la divisione delle sfere di influenza ha contribuito,  magari forzatamente e non certo per amore della pace, un equilibrio che ha evitato una terza guerra mondiale. E’ un ricordo lontano che ci indica come non sempre sono stati i pacifisti ad evitare le guerre. Proviamo a crederci anche noi. Non perdiamo nulla e troviamo una via magari illusoria per evitare a noi  le  troppe ansie ed alleviare  ai tanti attivisti in inutile e e mobilitazione  la fatica delle loro continue esibizioni in piazza.
LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Erba in piazza San Carlo
Sono stata  a fare una passeggiata in piazza San Carlo anche per vedere i cantieri della nuova via Roma che sembrano quasi quelli del Ventennio che rifece l’ intera via.
Vi mando due fotografie dalle quali, malgrado la siccità, appare come l’erba cresca  abbondantemente tra il porfido di piazza San Carlo. Torino città più verde d’Italia o incuria  anche nel salotto di Torino? Forse occorrerebbero due capre per brucare l’erba. Io vengo da Saluzzo, ma  la manutenzione della  mia città è ben diversa.
 Giorgina Bocca
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Io mi limito a transitare sotto i portici e non cammino mai nella piazza. Passo sotto i portici per vedere le vetrine e magari prendere un aperitivo da Stratta.  Gli artisti di strada mi infastidiscono come i vecchietti sulle panchine in piazza mi intristiscono. Non mi ero quindi  mai accorto dell’erba. Un fatto marginale perché l’incuria, da quando è stato istituito un apposito  assessorato alla cura della città ,è un  problema del centro e della  periferia . Sono lontani i tempi quando bastava un sms al sindaco Fassino per ottenere un intervento veloce. Oggi Torino – al di là dell’impegno del sindaco che apprezzo – ha alcuni assessori che andrebbero mandati a casa , ma gli equilibri politici precari impongono di non toccare nulla.
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La storia non si può attualizzare  
Ho assistito ad una recente presentazione ligure del suo libro su Pannunzio. Mi ha stupito  il tentativo di una presentatrice di “attualizzare Pannunzio“. Lei ha dissentito, ma è stato generoso, forse troppo generoso. È  stato  perfino troppo cavaliere. Lo dico da donna. Con un uomo avrebbe reagito diversamente. Buon Ferragosto!   Maria  Aicardi
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E ‘ stata una serata non positiva. Ometto il nome della signora in questione, ma preciso che  non è stata  ovviamente la presentazione della prof. Jaqueline Visconti che si è rivelata ancora una volta intellettualmente straordinaria .La storia è storia e attualizzarla è  un errore. Semmai essa va contestualizzata. Prevedere da che parte starebbe oggi  Pannunzio o chiunque altro  è una sciocchezza in cui cadono anche le persone acculturate. Se poi si vuole portarlo dalla propria parte per avvalorare le proprie ragioni politiche, è  operazione intellettualmente scorretta. Sono vecchi discorsi che chi è ideologizzato non può capire.

Ordini e digiuni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il presidente dell’ordine dei medici di Torino  ha deciso di digiunare per Gaza, denunciando l’olocausto dei palestinesi. Stento a considerare adeguata  la conoscenza storica del Presidente che ha stabilito che cosa è un olocausto. Forse segue Moni  Ovadia. Ma il presidente non si è limitato a digiunare lui, ma ha invitato i colleghi a seguire il suo esempio e a mettere sui social la loro foto. Sarebbe interessante sapere quanti medici torinesi hanno digiunato. Un mio amico, scherzando, mi ha detto: sono a dieta, il digiuno mi farebbe bene ,ma  trasgredirò la dieta perché ritengo che gli ordini professionali debbano essere apolitici e debbano limitarsi ai fini istituzionali per cui esistono. I medici non sono metalmeccanici e come presidente  di norma non vogliono Landini.  Perché ad esempio, non hanno sospeso cautelativamente un medico e ginecologo rinviato a giudizio per atti non proprio in linea con l’etica professionale? Perché il Presidente non ha digiunato per la strage di ebrei del 7 ottobre di due anni fa?

L’assenteismo valdostano del 10 agosto

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il referendum confermativo svoltosi in Valle d’Aosta, in pieno periodo feriale, il 10 agosto  ha registrato un’assenteismo record: ha votato solo il 16 per cento degli aventi diritto. La riforma elettorale che reintroduce tre preferenze di cui almeno una  alle candidate donne, è stata approvata con il 52 per cento dei voti contro il 48 per cento dei contrari. Gli astenuti non  ci sono stati. La Valle d’Aosta, se si escludono i tempi di Chabod, di Passerin d’Entreves e di Pedrini, unico consigliere regionale  liberale in Valle, ha avuto periodicamente una politica fortemente condizionata,  in termini corruttivi, dalla presenza del Casino di Saint – Vincent, come  Sanremo e Campione  per il  loro  Casinò. Il movimento autonomista valdostano, per quanto fiancheggiatore del PCI, fu interessato a vari scandali. Ora sembra che le cose siano migliorate e il centro-sinistra ha voluto modificare la legge elettorale. Favorire la presenza femminile  in consiglio regionale e ‘ sicuramente bene, anche se le tre preferenze non garantiscono una effettiva par condicio. Il tempo delle quote rosa  ad ogni costo appare lontano. Ma il punto dolens è un altro: la partecipazione di quel 16 per cento di elettori che vanifica la stessa politica delle buone intenzioni. I valligiani non hanno più le virtù civiche dei loro padri montanari. Oggi in valle ci sono tantissimi meridionali che hanno modificato l’immagine stessa valdostana  . Quel 16 per cento dovrebbe essere un campanello d’allarme per le elezioni future . Anche in Valle il disamore per la politica ha fatto breccia. I tempi un po’ utopistici ,ma nobili di Emile  Chanoux e della Carta di Chivasso sono lontani. Non a caso Federico Chabod non partecipò, alla stesura di quella Carta, se non mandando un breve testo. Il suo realismo politico, maturato nei suoi studi su Machiavelli, non gli consentì  di stare con i sognatori, oggi del tutto dimenticati in Valle ,dove si confonde l’autonomismo con il federalismo.