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Dalle primule di Arcuri al tricolore del generale

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non si può non essere soddisfatti per la rimozione del commissario Domenico Arcuri, manager targato Pd, sempre vissuto di incarichi pubblici, senza mai aver dato prova di efficienza.

Arcuri appare come una vistosa espressione di quel sottobosco romano che ammorba la vita di questo Paese da sempre. Grave colpa di Conte fu scegliere questo grigio personaggio per un incarico così delicato e inedito, mettendo in secondo piano la Protezione Civile che con le emergenze ci convive da sempre e che quasi sempre ha centrato gli obiettivi, specie durante la gestione Bertolaso.  Non voglio infierire ulteriormente su Arcuri che è stato oggetto di tanti miei articoli nel corso un anno zeppo di errori , di inefficienza e persino di arroganza . Non ripeterò qui l’elenco delle sue vistose responsabilità che molti giornali hanno sempre taciuto o minimizzato e che pure apparivano sempre più evidenti anche agli occhi di semplici cittadini . Solo ieri certi giornali si sono accorti degli errori di Arcuri , da tempo ormai inviso a buona parte dell’opinione pubblica . Solo ieri il “Corriere della Sera” ha scritto quanto segue e che dovrebbe da solo portare la Magistratura ad aprire un’indagine : “Il solito consociativismo italiano che porta a distribuire le poche dosi di vaccino disponibili fra ordini professionali , amici degli amici e varie categorie non esposte, mentre milioni di anziani aspettano “. Di quel consociativismo Arcuri è stato ed è l’emblema, anche se non basta cacciarlo per rimediare . Il Presidente Draghi ha scelto il suo successore in un generale degli Alpini di grande esperienza proprio nel campo della logistica che nobilmente e sobriamente ha parlato di voler “servire la Patria”. Non si sentiva da tempo immemorabile ascoltare la parola Patria . Le primule appassite di Arcuri e il tricolore del Generale Figliuolo, potremmo dire, sintetizzando.
C’è stato subito qualche fazioso imbecille che ha palato di “militarizzazione “ del Paese . In effetti il ricorso ad un militare dimostra in modo lampante l’emergenza di oggi che un anno di incompetenze ha aggravato. Dopo un anno ci troviamo in condizioni peggiori senza poter intravvedete un’uscita. La gente e’ sempre più angosciata e di questo Draghi si è reso conto. Resta un mistero la sopravvivenza del piccolo politicante lucano al ministero della Salute .
Auguriamoci che la Penna Bianca possa fare il miracolo. Conte chiamo’i militari solo per “smaltire“ i morti di Bergamo, Draghi chiama il Generale per tutelare la vita degli Italiani che solo una vaccinazione di massa può preservare. Oggi ci sono le condizioni per tornare ad aver fiducia nello Stato, fermo restando che non si può fare di Arcuri il capro espiatorio di una gestione fallimentare della pandemia da parte del Governo Conte di cui si salva il solo viceministro Sileri, l’unico competente e, ironia della sorte, grillino: un vero ossimoro,  anch’esso espressione dei tempi pazzi che viviamo.

 A vent’anni dalla morte dell’ avvocato Volpini  

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Sono passati vent’anni dalla morte del professor avvocato Giacomo Volpini , esponente di spicco del federalismo europeista , segretario regionale del Pri (da cui uscì in aspro dissenso con Ugo La Malfa), giurista insigne , autore di saggi storici importanti, per oltre trent’anni dirigente del Centro “Pannunzio” di cui fu tra i fondatori. Io piansi quando appresi della sua morte immatura dopo un periodo di degenza ospedaliera devastante.

Ero stato a trovarlo in ospedale e mi trovai di fronte ad un uomo disperato che sentiva lo spettro della morte avvicinarsi inesorabilmente, pur essendo ancora disperatamente legato alla vita . Al tempio crematorio di Torino fui io a commemorarlo e non riuscii a trattenere una profonda commozione, parlando della sua morte crudele e della sua vita esemplare e nello stesso tempo trasgressiva. Era un siciliano di Modica che si era formato ed era vissuto a Torino ,che sentì come la sua città. Allievo del grande civilista Emilio Bachi, amico di Sandro Pertini ed antifascista di grande tempra morale, esercitò l’avvocatura e professò il diritto con grande impegno etico e civile. Credo che molti ex allievi ancora lo ricordino con affetto. Era un uomo di ampia cultura e di vasti interessi, ma era anche un amico che amava stare con gli amici, discutere, animarsi e indignarsi in difesa dei più nobili ideali . Per dirla con Emilio De Marchi, avremmo potuto definirlo” Giacomo l’idealista”. Studioso di storia, scrisse importanti libri, tra cui va citato il saggio sull’’Abbazia di Staffarda. Era anche un bon vivant : quante serate a parlare anche di frivolezze, passando dalle cose più serie ai piaceri della vita, in primis l’amore per le donne. Era il nostro modo di essere seri, non seriosi. Egli sentiva fortemente il valore dell’amicizia come pochi altri: in tutti i momenti difficili , anche quando gli amici fidati erano latitanti, Mino è stato presente. lui apparentemente spesso così distratto. Ricordo le cene alla “Locanda della Posta” di Cavour , le serate a sentire musica al piano bar di via Cesare Battisti, le domeniche a Salice d’Ulzio, ma ricordo soprattutto il suo coraggioso  impegno contro il finanziamento pubblico dei partiti nel 1974  e la realizzazione nel 1975 della grande Mostra dei disegni leonardeschi conservati alla Biblioteca Reale di Torino.Lui , Valdo Fusi e Tito Gavazzi riuscirono a sconfiggere le resistenze ministeriali e burocratiche, consentendo al Centro “Pannunzio” di realizzare l’iniziativa più importante dei suoi oltre cinquant’anni di vita. E’ triste dover constatare di non essere riuscito a trovare una sua fotografia. Sicuramente c’è nel mio archivio che mi stanno riordinando ,ma non sono riuscito a trovarla altrove ,un segno dei tempi barbari che viviamo nei quali sono ricordati solo i potenti o i loro servi. Volpini fu un uomo libero senza collare e troppi lo hanno dimenticato .Invece è giusto rendergli omaggio per la grande lezione di libertà che egli ci ha lasciato. Quando seppi della sua morte, ero sulla mia terrazza al mare .Gli dedicai una pianta che vive da vent’anni e che mi ricorda l’amico ogni volta che contemplo il mare dall’alto e immagino di averlo vicino come nei momenti lieti e in quelli tristi perché Volpini è stato uno dei più veri amici che io abbia avuto insieme a Mario Soldati e a Valdo Fusi. Lo sento vicino su quella  terrazza sul mare perché Mino ha saputo sempre volare alto anche nei momenti tragici della sua malattia e della sua morte affrontata con la  dignità  di un laico coerente fino alla fine.

Draghi, serve un cambio di passo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Ci sono ragioni politiche che ci inducono alla benevola cautela nei confronti del Governo Draghi perché esso ci ha liberato da Conte e dal governo giallo-rosso. 

Ciò premesso, sarebbe intellettualmente disonesto non evidenziare che sul tema cruciale della pandemia nulla è  cambiato e che Draghi segue la stessa linea infruttuosa di Conte . Già la riconferma di Speranza ministro della Salute,  espressione di un partitino di poche unità di parlamentari e quindi assolutamente non determinante per la maggioranza, era un cattivo presagio. Ma il discorso fatto ieri davanti alle Camere non dal premier, ma dal suo ministro, rivela una continuità di metodi che allarma. Draghi segue pedissequamente Conte? Il discorso di ieri ci porta a pensare di sì. Eppure la politica di un anno si è rivelata fallimentare sotto tutti i profili . Il Paese potrebbe non reggere una clima da arresti domiciliari che sta provocando gravi guasti alla vita degli Italiani. Draghi si è presentato come la novità. Anche sui vaccini non si vede discontinuità. Tutta la politica dei vaccini va reinventata e Arcuri, per i gravi errori commessi ,va allontanato. Draghi rischia la sua immagine,  se continua a sovrapporre la sua con quella politicamente squalificata di Speranza,responsabile fin dall’inizio della pandemia di errori gravissimi . Draghi deve dare un segnale forte di cambio di passo e identificarsi con Speranza e’ l’esatto opposto di ciò che dovrebbe fare.  E’ persona troppo intelligente è accorta per non coglierlo . Allora viene d’obbligo domandarsi chi protegge occultamente Speranza a cui gli italiani non possono continuare a dare fiducia.  E’ in gioco la nostra vita. E con la vita dei cittadini i politicanti non possono scherzare impunemente. Può suscitare un incendio di rivolta indomabile che travolge tutto il sistema politico e i suoi esponenti.

Gozzini e la vulgata comunista

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Molti hanno centrato l’attenzione sull’offesa all’on.Meloni, che, poco abituata ad usare un linguaggio controllato, forse, come ha detto il prof.Gozzini, ha poca confidenza con i libri.

Gozzini ha detto che non ne ha mai letto uno,sicuramente esagerando. Anch’io ho solidarizzato con Meloni soprattutto come donna insultata pesantemente,pur avendo verso di lei una scarsa considerazione. Lo hanno fatto in molti ,anche il Presidente Mattarella .Chi non lo ha fatto si è rivelato un becero e, se donna, persona spregevole. Val la pena di tornare, a bocce ferme, sul prof. Giovanni Gozzini, figlio del senatore comunista legato al sinistrume fiorentino catto – comunista di La Pira e di padre Balducci, sfociato nel Pci. Gozzini padre e’ passato alla storia per una legge sui carcerati, carica di utopie e di forme demagogiche e dannose. Il figlio non credo passerà alla storia per gli insulti alla Meloni. E’ uno storico contemporaneista di stretta osservanza marxista come molti docenti senesi e non solo ed è stato allievo a Firenze di Ernesto Ragionieri, un capo -scuola che oggi rivela i cascami ideologici della sua opera ormai tramontata. Anche a Torino attorno a Tranfaglia in tempi successivi si formò qualcosa del genere. Come  tutti o quasi i marxisti Gozzini è convinto di una sua superiorità morale assoluta rispetto ai comuni mortali, un po’ come, Eco quando giudicava con parole offensive gli elettori di Berlusconi o altri che non meritano di essere citati, che ironizzarono sulla statura di Brunetta.
Loro sono perfetti anche fisicamente oltre ad essere dotati di un‘ intelligenza superiore. Ma soprattutto si ritengono moralmente esseri superiori e quindi autorizzati a giudicare chi non appartiene alla cellula. E’ ilsolito professore con i jeans o i pantaloni di velluto e con magliomcino e camicia aperta, che rifiuta anche solo l’idea della cravatta come un simbolo borghese.deprecabile. Non escludo che anche nelle sue lezioni porti il discorso sulla politica e sui suoi avversari, gratificandoli secondo un odio antico che viene da lontano. Dei comunisti non ha certo lo stile che aveva Amendola o anche Togliatti che pure con Gide andò giu’ con mano pesante, definendolo un “pederasta degenerato“ e non esito’ a ricorrere in altri casi anche lui alla volgarità, pur essendo il “migliore“. L’opera storica di Gozzini è modesta, anche perché ha fatto l’assessore in Toscana ed ha privilegiato l’impegno politico a quello scientifico per molti anni. E’ stato persino direttore con nomina politica del Gabinetto Vessieux di Firenze , il tempio della cultura borghese dell’ 800, quello che fu diretto tra gli altri da Montale. Quest’anno ha partecipato anche lui alle messe cantate per il centenario del Pci.
Detto tutto questo, lo ritengo una persona non al di sotto di molti docenti universitari italiani, anzi forse un po’ di sopra. Da vero toscano ama il linguaggio a volte scurrile, magari per sentirsi vicini al popolo, malgrado appartenga ad un pa élite privilegiata anche famigliarmente.
Ma il problema vero e’ che certe facoltà non possono continuare ad essere un’ enclave rossa. E’ un diritto che hanno gli studenti quello di poter sentire anche altre voci e non sempre la stessa vulgata che parte da Gramsci e giunge a Gozzini che certamente non è il nuovo Gramsci.

Il “cattivo maestro” Umberto Eco

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   Sono passati 5 anni dalla morte di Umberto Eco di cui scrissi un ricordo quando morì che, riletto oggi, mi appare troppo elogiativo. D’altra parte ne scrivevo in morte e dovevo contenere lo spirito critico anche per rispetto a comuni amici che avrei potuto ferire.

Oggi a cinque anni di distanza mi sento più libero e soprattutto dopo aver letto le agiografie pubblicate in questi giorni mi sento in dovere di bilanciare il discorso con una critica più  severa. Eco è stato sicuramente un grande personaggio e uno scrittore di successo , anche se la sua opera è quasi scomparsa dalle librerie, se escludiamo quello che viene considerato il capolavoro : Il nome della rosa.   Quel romanzo ebbe un grande successo perché un film lo “volgarizzo’“ presso un pubblico ampio forse non in grado di capire almeno una parte del libro.  

Oggi Eco appare soprattutto il profeta di una società sessantottina a  cui lui ha dato una certa dignità culturale: egli infatti  intese far tabula rasa della nostra tradizione culturale, di quelli che un tempo si chiamavano i buoni costumi, la meritocrazia, lo studio del latino , il  Cuore di De Amicis, vedendo in Franti l’anticipatore ideale dell’anarchico Gaetano Bresci che assassino’ il re Umberto I a Monza. Firmo’  il vergognoso manifesto contro il commissario Luigi Calabresi che armò la mano dei suoi sicari , esponenti di Lotta Continua istigati da Sofri. Sui giornali di Scalfari e De Benedetti prosegui’ quell’opera propagandistica iniziata sull’”Unità” da Togliatti volta ad egemonizzare la cultura, comprimendo  la libertà di espressione, magari ricorrendo al sarcasmo che disprezza e rifiuta ogni posizione che non collimi con le superiori  direttive dell’ Ideologia. Scrittori come Prezzolini, Zolla, Guareschi, Pound  per lui sono degni di essere messi nel cestino, visto che il rogo ricorderebbe troppo  il Medio Evo. Filosofi come Croce, Gentile e persino  Abbagnano  per Eco sono dei “cani morti” degni di oblìo. Il valore della religione viene considerato insignificante ed i valori morali dei luoghi comuni da calpestare. L’unico valore “eterno” è l’antifascismo, dimostrando  in questo modo una sostanziale incapacità di storicizzare il passato recente e di capire che nella storia umana non c’è nulla di eterno. C’ è chi lo ha definito anche un filosofo, ma in effetti è stato un ideologo piuttosto fazioso, in un  tempo in cui si incominciava a vedere  con una certa evidenza la crisi delle ideologie. Un ideologo sostanzialmente comunista , malgrado si ammantasse di anticonformismo e usasse battute  a volte spiritose e dissacranti che mascheravano la sua vera natura. Cosa rimane vivo di lui ? Molto poco , se escludiamo il romanzo  che fece del semiologo di Bologna una star letteraria . All’ Università contribuì a creare il  DAMS , una sorta di Facoltà ludica quasi del tutto inutile che ovviamente ebbe grande successo e sforno ‘ laureati destinati alla disoccupazione . Oggi la semiologia è morta e di conseguenza anche il suo maestro italiano ha subìto un netto ridimensionamento nella comunità scientifica . Pur avendo contribuito a dar forza al ’68 e alla distruzione della scuola , ad un certo punto si accorse che gli studenti non erano più in grado di scrivere una tesi di laurea e scrisse un curioso libretto in cui insegnava con umiltà  a compilare un lavoro di ricerca  che gli studenti presessantottini erano in grado di affrontare autonomamente. Un contrappasso che deve far riflettere sui cattivi maestri che hanno imperversato in Italia e di cui Eco è sicuramente uno dei più illustri. Nella sua Alessandria continuano a considerarlo un mito locale , un  gigante del pensiero, ma questa valutazione, forse,  non arriva neppure a Casale Monferrato.

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L’indifferenza morale nei confronti dell’aborto

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Ieri sera ho visto un giallo non entusiasmante in Tv, talmente poco entusiasmante che la mia attenzione si è spostata su un elemento del tutto marginale del film: un aborto della giovane figlia della commissaria di polizia, affrontato con una indifferenza morale che mi ha turbato: l’ aborto in sostanza visto come la cosa più normale del mondo, una sorta di contraccettivo a cui ricorrere per correggere gli effetti di una distrazione precedente.

Non voglio sollevare vespai di polemiche perché l’aborto può ancora essere usato come una clava tra credenti e non credenti. Ma voglio invece evidenziare che non è un tema che possa eludere a priori la riflessione morale. E allora mi è tornato alla mente uno dei maestri più cari che ritengo davvero decisivi per la mia formazione:  Norberto Bobbio . Il filosofo che viene considerato il papa laico della cultura italiana del secondo ‘900 come lo fu Croce nella prima metà del secolo scorso , nel 1981 alla vigilia del referendum sulla legge 194 che legalizzo ‘in Italia l’aborto , nel corso di una intervista, ebbe il coraggio di andare controcorrente rispetto a tutto il fronte laico e sollevo’ delle perplessità che mi fecero riflettere e mi portarono a votare in modo diverso da quello che ritenevo, anche se non ebbi mai il coraggio di dichiararlo pubblicamente e questo resta un mio rimorso e un mio atto di viltà . Illuminante fu un lungo colloquio con il filosofo che ebbi sotto casa sua, quando lo stavo riaccompagnando in macchina a casa dopo una conferenza .

Bobbio dopo aver detto che ci si trovava di fronte ad un problema “molto difficile“ perché c’era un conflitto di diritti e di doveri , ribadiva il diritto
fondamentale del concepito, “quel diritto alla nascita sul quale non si può transigere “. Ed ancora : “ Si può parlare di depenalizzazione dell’aborto , ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all’aborto“. Se penso alle posizioni di Emma Bonino e di tutto il movimento femminista di allora devo invece rilevare una sostanziale indifferenza morale di fronte al problema in base allo slogan che il corpo della donna e’ soltanto della donna. Una frase che e’ sicuramente in parte vera, ma non totalmente. Pochi sostenitori della legge 194 riconobbero che abortire rappresentava comunque una tragedia innanzi tutto per la donna. Il Partito comunista ebbe questa posizione che ben si inscerisce nella storia di quel partito La stessa legge 194 ,se applicata interamente,  non era e non è una legge solo abortista ma che prevede interventi preventivi .
Bobbio non invocava ragionamenti religiosi, ma si richiamava ad un’etica esclusivamente laica .
Certo il problema è molto complesso e riguarda anche la mancanza di un’educazione sessuale in primis famigliare e il rigore della Chiesa contro i contraccettivi ribadito da Paolo VI nell’enciclica “Humanae vitae”.
Non mi permetto di dare giudizi, ritengo, ad esempio, che la battaglia di Giuliano Ferrara del 2008 sull’aborto sia stata una farsa un po’ grottesca imbastita su un problema molto serio sul quale l’ultima parola tocca alla donna. Ma certo l’indifferentismo morale dei tempi che viviamo, non è neppure accettabile. Su certe scelte va sempre rispettato il pensiero di tutti che è poi un caposaldo del pensiero laico, almeno di quello di matrice liberale. Ma l’indifferenza disinvolta di fronte alla vita non è facilmente accettabile.  E questo a prescindere da valutazioni religiose che ciascuno di noi, nell’intimo della sua coscienza, può più o meno accogliere.

È mancata Wilma, la vedova di Aldo Viglione

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

E’ un grande dolore la scomparsa della professoressa Wilma Beano, vedova del presidente della Regione Aldo Viglione. Aveva 97 anni

Si sono celebrati i funerali ieri. Era una donna semplice e forte, colta e sensibile che amava l’amicizia vera e sincera . Ho condiviso un percorso bello di vita insieme al Centro Pannunzio di cui Aldo fu dirigente e lei socia per molti anni. Amava viaggiare e condividemmo anche uno straordinario viaggio sui luoghi della Grande Guerra, a Redipuglia si commosse al mio discorso. Alla Risiera di San Sabba e alla foiba di Basovizza condividemmo il pianto. Era il 25 aprile volle che ricordassi la data e io parlai anche di Aldo , partigiano autonomo ( e non giellista ) in valle Pesio dove sboccio‘ il loro amore. Fu un momento toccante per tutti i presenti .
Con l’amico Giovanni Maria Ferraris presidente del Consiglio comunale di Torino e Stefano Morelli che è stato nel Gabinetto di più sindaci di Torino, volevamo ricordare con una lapide, approvata da Comune e Prefettura, Aldo sui muri di Palazzo Lascaris in via Alfieri,  ma meschinità di politici e ottusità di burocrati lo impedirono. Soffri’ perché questo sfregio alla memoria del più grande presidente della Regione caduto nell’adempimento del suo mandato in un incidente d’auto il
3 dicembre 1988 fu davvero un atto poco edificante , per non dire infame. Seppe vivere nel ricordo dello straordinario marito e padre dei suoi due figli, il
medico Giancarlo e l’avvocato Vittorio che ha proseguito nello studio del padre, ma ebbe un’identità tutta sua.  Era stata una docente appassionata di letteratura italiana e latina di
grande livello intellettuale anche se mai esibito. Vale per lei il rovesciamento del detto che dietro ad un grande uomo c’è’ sempre una grande donna. L’ultima volta che la vidi fu in Comune a Torino quando venne in Sala Rossa per un ricordo del comune amico Mario Soldati. Con lei si perde l’ultima nobile traccia di quel socialismo
fatto di grandi ideali disinteressati e di forti passioni. Un mondo scomparso con la morte di Aldo e che lei continuava con dignità e coraggio a rappresentare. E’ sepolta a Morozzo
a fianco ad Aldo. Andrò a rendere omaggio ai miei due grandi amici che hanno rappresentato un motivo ispiratore della mia vita. E’ motivo di orgoglio averli conosciuti. Erano
anime lunghe che ti restano imprigionate nel cuore oltre che nel ricordo.

Le donne e il governo Draghi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Che il Governo Draghi sia nato con una presenza di donne abbastanza marginale e che tutti i partiti di sinistra – a parole fortemente femministi – abbiano espresso solo ministri uomini, resta un fatto abbastanza curioso . In un Governo lottizzato dai partiti questa responsabilità ricadrebbe quasi interamente sui partiti ,ma in un governo “di alto profilo“  istituzionale che affida al Presidente del Consiglio la proposta dei nomi dei Ministri da sottoporre al Capo dello Stato, risulta difficile incominciare subito con l’attaccare Draghi e lo stesso Mattarella,attribuendo loro scelte maschiliste. Così gli strali si sono rivolti contro i segretari dei partiti che non avrebbero inserito nelle rose di nomi da sottoporre a Draghi delle donne .Zingaretti è stato oggetto di violenti attacchi da parte delle donne escluse e di esponenti femministe di area. E qui ritorna il vecchio discorso delle quote rosa che, applicato al Governo, appare una vera follia in quanto la competenza deve  assolutamente prevalere sulle questioni di genere. Ad esempio, la Ministra delle infrastrutture uscente del Pd ha dimostrato in modo clamoroso una evidente incapacità come tanti colleghi maschi. Un Governo di emergenza nazionale – a meno di essere faziosi o addirittura stupidi  – non può seguire se non criteri di competenza. Ma non va ignorato che esistono donne in politica di buon livello o tecniche di area molto qualificate.

Diventa credibile l’accusa di un accaparramento di posti da parte dei politici maschi, molti dei quali sicuramente non sono eccellenti. Franceschini e Orlando sono politici mediocri che certo non hanno mai  brillato come Ministri, per non parlare di Speranza che andava rispedito a casa d’ufficio. L ’esclusione delle donne del Pd dal Governo ha ridato voce persino a Rosy Bindi che non fa più parte del Partito, malgrado sia stata due volte  Ministro. E’ ricomparsa persino l’ex Ministra Livia Turco a dar man forte alla protesta. Anche la Turco non fu entusiasmante come ministro, anzi ministra, come diceva lei. Restano i posti di viceministro e di sottosegretario che potrebbero compensare le politiche rimaste fuori, ma resta anche, a maggior ragione, la discriminazione. Alle donne solo seconde e terze file. L’argomento è esploso e si è quasi subito sopito. Rimane il problema della parità di genere  che rappresenta uno dei punti essenziali della democrazia perché trova fondamento nell’articolo 3 della Costituzione .

La vicenda rivela un persistente maschilismo proprio in quella parte politica che a parole condanna ogni discriminazione contro le donne.
Qui la pandemia e la crisi economica non c’entrano, c’entra  invece una scelta irreversibile di democrazia e direi anche di civiltà che non può essere elusa dal manuale Cencelli.Anche questo è un segno del degrado di una classe politica fatta di nominati e non di eletti .
La parità uomo- donna ad ogni livello è un qualcosa che le democrazie non possono ignorare e i capi politici  non dovrebbero mai calpestare in modo così vistoso. Non c’è bisogno di essere femministi, per cogliere il grave errore commesso ,a meno di voler sostenere ,dicendo il falso ,che non esistono donne competenti.Berlusconi su tre posti disponibili ha indicato  due donne. Non entro nel merito di quelle scelte, ma sicuramente si tratta di donne ,anche se indossano sempre i pantaloni  ….

Se si vuole storicizzare, va però detto che tutti i governi della seconda Repubblica, salvo il governo Renzi,hanno avuto una media abbastanza ridotta di donne . Un problema che si trascina da tempo, anzi da quando esiste la Repubblica. La parità o addirittura l’eguaglianza aleggia nei discorsi, ma stenta ad essere praticata e la proposta delle “quote rosa“ non è decollata perché è un’offesa  grave all’intelligenza delle donne oltre che al buon senso.

Occorre chiamare i carabinieri anche a San Valentino?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Ieri, festa di san Valentino, dopo tanti mesi di “astinenza”, sono andato a colazione in un uno dei migliori ristoranti torinesi di cui ero in passato e resto cliente abituale ed affezionato, fin dai tempi in cui andavo con Bobbio che abitava a poche centinaia di metri.

Cucina eccelsa come sempre, distanziamento dei tavoli assolutamente rispettato, mascherine del personale in piena regola, cucina e servizio ineccepibile secondo le norme. Ci ritornerò altre volte, sperando che finalmente il COVID ci consenta di pranzare normalmente.
Non posso tuttavia non segnalare un pisquano di cliente (in abbigliamento “sportivo” del tutto non consono al locale) che si è alzato due volte dal tavolo -penso per andare a fumare – senza mascherina. La seconda volta sono intervenuto con tono incazzato e gli ho chiesto perché violasse le norme in modo così plateale.  Mi sono sentito rispondere con arroganza e inciviltà asociale che lui la mascherina non la mette perché “gli da’ fastidio“ . Mi è venuto voglia di chiamare i Carabinieri,  non ad un generico centralino , ma nella figura di un alto ufficiale che mi onora della sua amicizia e che non mi sono mai permesso di disturbare in precedenza. Nel frattempo rientra dalla “pausa sigaretta“ , naturalmente senza mascherina, una bella signora che debitamente richiamata dallo scrivente con toni più urbani e gentili (le belle signore lo meritano di per se’) mi ha detto candidamente di essersela dimenticata. Se la gente “bene”, o meglio arricchita magari con vistose evasioni fiscali , che in passato non avrebbe mai posato le terga in quel ristorante, si comporta così, non possiamo più lamentarci di Speranza e di Arcuri. Siamo un popolo di animali, formato da potenziali suicidi (fatto trascurabile, anzi salvifico socialmente) e da potenziali omicidi, fatto penalmente rilevante e socialmente non accettabile.
A certa gente dovrebbe essere interdetto l’ingresso nei locali pubblici. Nel ristorante prescelto tutto era perfetto per passare un San Valentino sereno anche in tempi di pandemia. Non è accettabile che avventori certo non avvezzi a quel locale guastino il clima di una festa e compromettano la sicurezza degli altri clienti. La prossima volta alzerò la voce in modo ancora più veemente e soprattutto chiamerò i Carabinieri, facendo un esposto in piena regola. Così non si può andare avanti . Gli incivili vanno isolati e colpiti senza pietà anche nel giorno degli innamorati perche’ questa gente non può amare nessuno in quanto del tutto incapace di rispettare la vita delle persone . Barbari che sanno solo riempirsi di cibo, di vino e di nicotina. Presidente Draghi, incominci a dare addosso a questa gente, rendendo loro la vita impossibile.

Barbero anche sulle foibe fa lezione

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni     Che il professor Alessandro  Barbero  dell’Università di Vercelli voglia spaziare su tutto lo scibile storico, imitando in chiave in verità un po’  provinciale il più noto Franco Cardini e voglia dar lezione su tutto  a tutti, è un fatto noto che lo ha portato a scrivere cose inaudite, ad esempio, su Vittorio Emanuele II.

Barbero è un professore di storia medievale che dovrebbe limitarsi al suo ambito come si fa tra uomini di scienza. Sarebbe ridicolo, ad esempio, che uno storico contemporaneista scrivesse di Carlo Magno, ma a Barbero appare invece  normale praticare sistematiche  scorribande storiche in territori temporali che non sono di sua competenza, esponendosi a brutte figure e a facili successi con un pubblico di bocca buona. L’ultima  riguarda le foibe dove ha preteso anche lui di dire la sua sull’onda della violenta campagna giustificazionista delle foibe  ingaggiata dall’ ANPI.
Gli rendo merito perché ha avuto l’onestà di dichiarare  che la sua famiglia è stata fascista e repubblichina, ma forse lo ha detto per dare più credibilità a quanto avrebbe sostenuto sulle foibe, quasi le colpe dei padri possano avvalorare  le tesi storiche dei figli.
Dopo aver condannato le foibe senza cadere nel negazionismo e nel giustificazionismo di moda, ha però contestato la legittimità del giorno del Giorno del ricordo del 10 febbraio, vedendolo come un contrappeso politico  al 25 aprile imposto nel 2004 da un governo di destra in cui prevalevano  i neo – fascisti. E qui Barbero  dimostra di non sapere che quella legge istitutiva passò con il voto determinante del PDS e l’adesione attiva di Luciano Violante e di Piero Fassino.
Il 10 febbraio non è il contrappeso di nulla, semmai è un complemento della Giornata della Memoria perché nei territori del confine orientale italiano ci fu un eccidio di massa  di cui nessuno parlava da decine d’anni perché la parola d’ordine era il silenzio più o meno omertoso imposto dal culturame  egemone di impostazione marxista.
Barbero sostiene senza prove  che gli storici hanno sempre scritto delle foibe senza citare il titolo di una sola  opera. Il primo a scriverne è  stato Gianni Oliva a cui oggi c’è qualcuno che vuole disconoscere quel merito indiscutibile che gli fa molto onore perché Oliva è uomo di sinistra.
Barbero dice che gli italiani occuparono i territori italiani dell’Adriatico orientale nel 1918, dimenticando che essi furono per secoli veneziani ed erano di lingua, arte  e cultura italiana da tempo immemorabile.
Forse Barbero ignora anche Niccolò Tommaseo. Ma ignora gli irredentisti dell’800 come Guglielmo Oberdan  o il repubblicano Imbriani e i martiri novecenteschi come Nazario Sauro e molti altri patrioti che disertarono dall’esercito austriaco, pagando con la vita. Ma Barbero dimentica che quelle terre, già da sempre italiane, furono riconsacrate italiane dal sangue di 650mila morti nella Grande Guerra, un fatto importante, così  come in seguito alla guerra perduta del 40-45 con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947  Furono tolte all’Italia insieme a Briga e Tenda sul confine con la Francia.
Il modo in cui  quelle province vennero governate dai fascisti non giustificano l’odio slavo contro gli italiani che era ben evidente nel 1800 ed anche prima.
Fu la miscela esplosiva di comunismo e nazionalismo slavo creata da Tito a scatenare la pulizia etnica degli italiani ,provocando la morte nelle foibe e gli annegamenti di 15 mila italiani, molti antifascisti e persino partigiani. In ogni caso le violenze del regime fascista non giustificano le foibe a meno di intendere la storia l’hegeliano terribile mattatoio che giustifica la violenza con una violenza senza fine.
Il 10 febbraio giorno del ricordo  ha dei fondamenti storici che la semplificazione superficiale di Barbero ignora. L’ultima perla riguarda l’affermazione che i partigiani comunisti slavi abbiano combattuto dalla parte giusta e che quindi i loro comportamenti si contestualizzano negli orrori della guerra che Barbero definisce  testualmente “ porcate “. Estendendo questo ragionamento , si potrebbe dire che l’URSS di Stalin sia considerare in modo diverso da come la storia l’ha valutata  perché ha combattuto Hitler.
Barbero ignora o non dice le ragioni internazionali che portarono a rivalutare Tito perché si era staccato da Stalin ,ma qui il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano fino all’onorificenza italiana conferita al maresciallo iugoslavo.
La verità è che troppi in Italia non vollero parlare di foibe ,a partire dal Pci per arrivare anche ai socialisti e alla Dc. Anche Saragat non ebbe il coraggio di fare una scelta difforme e  sostenne con Nenni le tesi rinunciatarie che portarono all‘ infame trattato di Osimo firmato di nascosto nel 1975  da Rumor, certo del tutto insensibile ai problemi del confine orientale: un trattato che è rimasta una ferita ancora aperta e fu un tradimento iniquo ed anche vigliacco  degli esuli. E andrebbe anche  ricordato a Barbero che i 350 mila italiani dell’esodo , costretti a fuggire dalle loro terre furono accolti in modo indecente in Italia perché i comunisti italiani li consideravano dei fascisti che andavano trattati come tali  .Questa cosa il medievalista l’ha ignorata.
La storia contemporanea e’ disciplina complessa, prof. Barbero, lei si fermi a Federico Barbarossa. Farebbe più bella figura ed anch’io verrei ad ascoltarla con vivo interesse perché lei sa parlare in modo avvincente.
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