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Il cardinale e il giornalista. Fede e laicità in tv

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Che Chicco M e n t a n a  intervisti il cardinale Gianfranco Ravasi mi infastidisce, mi intristisce, mi turba.  Ravasi e’ un gigante, M e n t a n a  un giornalista ambiguo, adatto a discutere con Bersani, Fini e Renzi

Quando  M e n t a n a  evoca la parola morte ci porta a incrociare le dita.  Ravasi quando parla di morte , ci porta a pensare al mistero della morte, ma anche al mistero della resurrezione.  Ravasi ci porta a riflettere per capire la vita e i suoi dolori. M e n t a n a  ogni sera da’ il Bollettino dei morti e non va oltre.  Mi è quasi impossibile ascoltare le alte parole di Ravasi mescolate con le banalità di M e n t a n a .  Il cardinale ha una umanità smisurata, rafforzata da una cultura altrettanto smisurata.  Ravasi sente la solitudine della morte non come una cronaca da tg di Cairo con la coda acida della Gruber.  Così impedite di sentire il conforto del Cardinsle che è uomo, prima di essere un porporato. Io lo conosco e non lo vedo mescolato con  M e n t a n a  che esprime una tv commerciale, Ravasi è ricchezza spirituale, e’ donazione di se‘. M e n t a n a non mi sciupi anche il Natale della sobrietà. Ci lasci ascoltare la voce di Ravasi che ci fa sentire la parola di Cristo bambino e di Cristo risorto. Il virus ha tragicamente ucciso persone, ma ha anche ucciso le banalità giornalistiche. Non ci dia M e n t a n a  lezioni di laicità. A noi basta Benedetto Croce.  E insieme a Croce “non possiamo non dirci cristiani”. E non solo a Natale . E non insista ossessivamente con Pasolini che è la forzatura evidente di un ateo che vuole interferire nel cristianesimo senza averne titolo. Il Cardinale è un vero cristiano ed e un uomo molto paziente.  Ma non a caso egli invoca il silenzio interiore contro la “socializzazione forzata” di cui la tv è uno strumento che guasta la nostra quotidianità, creando ansia continua. I tg vivono di titoli eclatanti, del tutto incuranti della sensibilità di chi ascolta; la fede ascolta invece i nostri sconforti e ci offre una risposta come sa fare il Cardinale Ravasi.

Un calendario non basta a minare le istituzioni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni  G a d  L e r n e r  di cui nessuno si occupa più, cerca di risalire la china con una polemica contro il calendario di Mussolini edito da decine d’anni

 Era in vendita in tutte le edicole italiane e poi l’Anpi ha invitato a non venderlo in nome ovviamente della libertà… Io acquistai il calendario nel 1960 e un’altra testa quadra come mio zio molto simile a L e r n e r , mi riprese duramente per l’incauto acquisto Mio padre che era stato un vero liberale senza fanatismi, invito’ mio zio a tacere perché sentiva puzza di regime in casa. Mio padre leggeva Pannunzio e Guareschi,  ma non tollerava i comunisti intolleranti. Leggeva Croce, ma non Lenin.  Secondo lui i rossi e i neri andavano combattuti e basta. Pur laico, amava i preti perché nel 1948 arginarono il pci. Io sfogliai il calendario proibito senza provare ne’attrattattiva ne’ scandalo. Vidi per la prima volta il duce e sembrava illogico che non mi fosse stato mai consentito di vederlo, anche se tanti anni dopo scoprii in casa una vecchia fotografia di Mussolini dedicata ai medici d’Italia che non era lì per caso. Non indagai, ma ebbi dei dubbi sull’ dei calendari. Il discorso si chiuse li’. Dieci anni dopo, se lo avessi saputo,  sarei andato a comprarmi il calendario di Alessandra Mussolini seminuda, ma forse questa era una notizia falsa per squalificare chi costrinse al ballottaggio Bassolino a Napoli,  senza esibire seni e coscie.  Che in questo maledetto 2020 ci sia ancora un vecchio L e r n e r  che nessuno legge più, che urla contro il calendario, fa ridere . L’unica cosa comica di quest’anno. E incolpa anche un pessimo libro di Bruno Vespa sul duce scritto molto male, di aver ricreato il clima favorevole al calendario.  Caro L e r n e r,  a far rivalutare Mussolini , malgrado la guerra fascista con milioni di morti, sono troppi antifascisti di cartapesta che accettano e sostengono Conte e di Maio. Non è il calendario che mina le istituzioni democratiche , ma il disastro a cui ci hanno portato, con l’aiuto di una pandemia non affrontata con serietà e ancora oggi in pieno, drammatico sviluppo da chi ci governa. Un po’ ha dato una mano Scurati con il libro M. che, nelle sue esagerazioni faziose e non storiche, fa pensare ad una sorta di Achille Starace dell’antifascismo di questo primo ventennio del nuovo secolo. Ventennio, parola terribile e impronunciabile , se pensiamo che nel 1922 ci fu la Marcia su Roma.

Casellati, voce libera e coraggiosa

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Nel silenzio più assoluto del Colle più alto che si limita a frasi generiche o a proposte di governi di legislatura che non gli spettano, il discorso del Presidente del Senato Elisabetta Casellati per gli auguri rivela una terzieta’ e un’ indipendenza di giudizio che le fa molto onore

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Casellati, seconda carica dello Stato, nella sua apparente fragilità e delicatezza fisica, si rivela una donna di ferro, capace di assumersi responsabilità che altri dovrebbero manifestare da tempo.
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Neanche Cesare Merzagora che pagò la sua indipendenza con le dimissioni coatte, era arrivato a tanto, anche perché nessun governo ha eguagliato nella sua negatività l’attuale armata Brancaleone che va a Bengasi con il cappello in mano e i soldi nel portafoglio  (in questo caso va bene il contante) per liberare i pescatori siciliani che hanno subito più di cento giorni di carcere senza adeguate iniziative diplomatiche italiane. Casellati lancia un forte richiamo ,denunciando le arretratezze, le contraddizioni, gli errori che portano gli italiani a non sapere neppure  come passeranno il Natale. Da giurista attenta  Casellati richiede norme anche severe, ma certe. Il Governo fa continue riunioni con i capi delegazione di partito  invece che con i ministri, istituendo un ircocervo mai visto, una sorta di direttorio nazionale che si pone al di sopra del governo stesso, senza obiezioni da parte di chi dovrebbe vigilare sul rispetto formale e sostanziale della Costituzione. La Presidente del Senato esprime la sua preoccupazione per cosa potrà accadere con il vaccino in un paese allo sbando che oggi ha il più alto numero di morti in Europa. Tra le alte cariche dello Stato solo Casellati sa assumersi le responsabilità che le derivano dall’essere presidente del Senato. Noi eravamo abituati ad avere dei Casini e dei Fini presidenti della Camera che intralciavano il lavoro del governo, sollevando continue polemiche per interessi  inconfessabili di partito. Oggi, per nostra fortuna ,abbiamo una presidente che non fa pesare le appartenenze di partito e da voce alle angosce degli Italiani. Senza di Lei nessuno si occuperebbe del disastro a cui stiamo andando  incontro. Auguri di  buon Natale e buon anno nuovo, Presidente, che pare uscita dalla storia del Risorgimento. Nata, per nostra fortuna, un secolo in ritardo, per tutelare i cittadini e la dignità della Nazione che Conte a Bengasi ha ridotto a pezzi come nessun altro capo del governo precedente. Lei pare uscita da una stampa risorgimentale del Senato del Regno. Una voce libera e coraggiosa che difende l’Italia o quello che purtroppo è rimasto di un Paese che fu tra i primi del mondo malgrado una sconfitta in guerra che lo aveva distrutto. Lei ,Presidente ,ad uno storico, ricorda l’età di Luigi Einaudi e di Enrico De Nicola  e ancor prima certi discorsi coraggiosi di Benedetto Croce che si levò a parlare con quello spirito di libertà che rinfranco’  tanti italiani che disperavano sul futuro della loro Patria.
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Il Natale profano

Il commento/ di Pier Franco Quaglieni

Nell’infuriare  pasticciato ed incerto delle polemiche sulle chiusure natalizie mi ha colpito una delle tante piccole bestialità di Salvini:

il Natale è per le famiglie divise o, come dicono altri, per le famiglie allargate dopo divorzi, unioni civili, convivenze, ulteriori matrimoni, quelle con  quindici figli di tanti letti e cinquanta nipoti. Un Natale a misura di un falso cristiano che esibisce rosari e crocifissi , non certo per pregare. E’ un Natale pagano, fatto di grandi e volgari  abbuffate, di luci colorate, di regali più o meno costosi.  E spesso e’  arricchito di un presepe lasciato in un angolo della casa, esibito come segno di divisione e non di unione tra ”tutti gli uomini di buona volontà”. Mangiar bene e in allegra compagnia piace a tutti, anche a quelli che non vogliono il presepe perché offenderebbe i musulmani. Il clima festoso di un desco che riunisce famiglie ed amici è sempre un’attrattiva.
Il Cristianesimo rinunciatario e imbronciato alla Jacopone da Todi e’ un qualcosa che poteva armonizzarsi con la miseria di certe epoche medievali. Lo stesso “inventore”  del presepe, Francesco d’Assisi, pur nel suo pauperismo, dimostrò di amare la vita e la natura, segni della grandezza di Dio creatore. Rinunciare alle abitudini consolidate per combattere la pandemia sembra un sacrificio intollerabile, mentre in effetti si tratta solo        del contorno del Natale o, meglio, di quello che molti atei ”cattolici per un giorno”       intendono per Natale.
Ho letto addirittura di regali di
Natale consistenti in buoni per incontri sessuali con escort extra lusso.  Una società priva di valori morali non può resistere agli sconquassi di alcuni divieti. Eppure il Natale ancora per Guido Gozzano significava la mangiatoia di Betlemme traslocata in terra piemontese  alberghi dal nome ottocentesco ben presenti in Piemonte. Il Natale era Gesù Bambino, malgrado Gozzano  fosse dubbioso sull’esistenza di Dio come gran parte degli intellettuali della sua epoca. Per Ungaretti che scrive del Natale  del 1916 a Napoli (e non
dal fronte):  la festa per il poeta  consiste in quattro capriole di fumo in casa, alternativa al “gomitolo di strade” affollato quasi  come l’odierno assembramento. Ben strano destino quello di Ungaretti che non fa parola di Gesù , anche se era destinato, molti anni dopo,  a convertirsi alla fede cristiana. Giovanni Pascoli sentì il fascino delle ciaramelle e delle ninne nanne,  pur non essendo anche lui un credente.
Io ricordo certe prediche di un frate cappuccino in preparazione al Natale che metteva in guardia dal “consumismo fatto di panettoni e cotechini”. Quella frase mi è rimasta in mente, come i ricordi dei miei genitori degli  anni della seconda guerra mondiale, quando c’era un fronte a dividere e non i divieti confusi di Conte.
Sta di fatto che ho deciso di rinunciare a tutti i contorni del Natale, al massimo qualche fiore per dire la mia amicizia a poche persone. Ma non voglio fare o ricevere doni importanti datati 2020, un anno maledetto.  Amavo tanto avere luci colorate in casa e decorazioni       luccicanti. Quest’anno non è più così.
Sto riscoprendo il Natale che si accontenta delle nuvole di fumo
e sente come un pericolo da evitare
per sé e per gli altri  l’andare in giro per negozi.  Alcuni giorni non esco neppure di casa. La sola idea che ogni giorno muoiano di  COVID tante persone mi porta a pensare alla parola di salvezza portata dal Cristo in terra. Se sarà consentito,  andrò come ho fatto per tanti anni a vedere il presepe meccanico di via Po.
Andrò a rendere omaggio ai morti della mia famiglia  portando loro una stella di Natale. Ma come dice ancora Ungaretti, “ho tanta stanchezza sulle spalle” e la falsa giocosità di quest’anno mi è intollerabile. Quando tanti anni fa vidi al Velentino il Luna Park durante le festività natalizie capii che c’era qualcosa di stonato e di inopportuno. Mi venne in mente che dei dipendenti della mia famiglia ( che poi seppi essere tutti comunisti ) passavano la notte di Natale a vedere il circo di Mosca come alternativa alla Messa di Mezzanotte.
Oggi c’è tanta gente come Salvini che protesta perché non può fare il solito banchetto . Anche a me piaceva andare  a cena , pur senza eccessi, ma quando penso ai telegiornali che mi agghiacciano con il numero di morti, sento raggelarsi  il cucchiaio di minestra che ho in cola  e mi viene spontaneo recitare mentalmente un requiem per i tanti sconosciuti che non ce l’hanno fatta. Se mi sarà consentito , sarò felice di essere più sereno il prossimo anno.
E rileggerò Gozzano, Ungaretti e Pascoli, cercando di ritrovare,  se ne avrò ancora la forza, la gioia di Gesù Bambino, del Presepe, del Natale semplice che senza accorgermi avevo vissuto negli Anni Cinquanta quando eravamo tutti più sobrii, anche i bambini che scrivevano la letterina a Gesù Bambino senza sapere che distruzione e che morte aveva portato la guerra sciagurata voluta da Mussolini.

Onorificenze e real-politique

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il maresciallo jugoslavo Tito responsabile dell’infoibamento di circa 15 mila italiani del confine orientale e di un vera e propria pulizia etnica in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia venne insignito della gran Croce al merito della Repubblica italiana

E venne anche gratificato della Legion d’onore francese. E‘ una consuetudine diplomatica lo scambio reciproco di onorificenze tra capi degli Stati in visita all’estero. C’è chi in Italia in varie occasioni ha chiesto l’annullamento di quel riconoscimento a Tito. Io non mi unii mai a quella richiesta che rivela la non conoscenza delle consuetudini diplomatiche. Sulla Legion d’onore a Tito nessuno ebbe mai da eccepire. Adesso per il conferimento della legion d’onore al presidente egiziano il cav. Corrrado Augias e altri intendono restituire a Macron la Legion d’onore per non essere equiparati al presidente egiziano che, tra l’altro, ha firmato con Macron importanti accordi commerciali, come già accadde per l’Italia in tempi recenti.  Giusto protestare per il giovane Regeni, se le stesse anime candide si fossero scadalizzate per Tito e per tanti capi di stato che ebbbero onorificenze da paesi democratici, pur essendo sistematici violatori dei diritti umani più elementari. L’ex comunista Augias è  il tipico esempio di chi protesta a senso unico. Ad esempio, non ebbe mai una parola per lo scienziato Sacharov imprigionato dai sovietici. Eppure, avendo 85 anni, quelle vicende liberticide in Unione Sovietica, le ha vissute, mantenendo il più assoluto e conformistico silenzio verso l’Unione Sovietica. Il Cav. Augias fu anche deputato europeo dell’ex partito comunista.  Qualche diritto in più a protestare ha la Bonino che però non restituisce la Legione che ebbe quando era ministro degli Esteri e sa cosa sia la real- politique. Il caso Regeni e’ vergognoso, ma cosa si dovrebbe dire di chi sta armeggiando vigliaccamente per privare della medaglia d’oro al valor civile alla memoria conferita da Ciampi alla studentessa infoibata Norma Cossetto, come sta succedendo a Reggio Emilia? Non si fa politica con le legion d’onori, ma semmai con la diplomazia ; quella italiana ha al vertice di Maio che dimentica i pescatori rinchiusi nelle prigioni libiche da mesi e ha fatto molto poco per Regieni. Sarebbe comunque interessante sapere che meriti abbia Augias per aver ottenuto la legion d’onore e non l’ordine di Lenin che sarebbe stato assai più meritato, anche se il giornalista è stato corrispondente della Rai da Parigi.

La sanità malata e le responsabilità della politica

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / In due recenti articoli relativi alla pandemia e al come è stata affrontata in Italia e nelle diverse regioni non ho esitato a scrivere di ghigliottine e di tintinnar di manette 

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Già da subito, in marzo, denunciammo l’improvvisazione manifestata  in modo strabiliante  che ha portato a circa trentamila morti. Allora però tutti portavano come scusante la assoluta novità del virus e il fatto che in altre nazioni esso fosse stato affrontano in modo peggiore. Ma ieri sera la trasmissione televisiva “Non è l’Arena“ che non amo per i suoi toni populistici, ci ha rivelato una verità sconvolgente: il ministero italiano  della Salute era privo di un piano pandemico, rimasto fermo al 2006. L’unico ministro serio è stato Girolamo Sirchia che affrontò il problema. Dopo di lui ministri, sottosegretari, direttori generali si sono scordati di un adempimento che un Paese civile non può ignorare per la bellezza di 14 anni. Ecco una delle cause della debacle italiana che oggi ha il primato di morti in Europa. Così si spiega la mancanza di mascherine considerate “inutili” per almeno un mese perché ne eravamo sprovvisti. Così’ si spiega la mancanza di camici idonei per medici e infermieri e la scarsità di ossigeno. La Sanità italiana è stata mandata allo sbaraglio nel silenzio generale di politici e giornali. Certo esiste anche  un’altra  colpa vistosa  grave: l’aver smantellato la sanità pubblica a vantaggio di quella privata. Questa causa inchioda alle proprie  responsabilità governi e regioni ed è una colpa storica di cui qualcuno dovrà rendere conto a destra ma anche a sinistra. Ma l’aver appreso ieri sera che in Italia non esisteva un piano aggiornato per affrontare le pandemie aggrava ulteriormente la posizione di politici e alti dirigenti. Questo fatto mette anche  in luce come le opposizioni siano state incapaci e inutili, limitandosi a sollevare polveroni inutili e in certi casi dannosi, andando in piazza senza mascherine. Quando si scriverà la storia di questo maledetto 2020 nessuno potrà ignorare un fatto  gravissimo che ci da’ il quadro esatto di una classe dirigente formata prevalentemente  da inetti. Ancora di più oggi invoco il tintinnare delle manette oltre alle dimissioni immediate dei colpevoli. Una verità così sconvolgente non si può insabbiare: sarebbe anche un ulteriore affronto alle migliaia e migliaia di morti a cui va resa in qualche modo  giustizia.
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Ciampi il Presidente che rispettò il senso della storia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni nel centenario della nascita  del Presidente Ciampi (Livorno, 1920 – Roma, 2016)

Malgrado Carlo Azeglio Ciampi fosse da tempo ammalato, la sua scomparsa ha suscitato una forte emozione in tanti italiani. È un fatto raro per un personaggio che fu anche uomo politico e fece scelte ancor oggi contestate.

Fu Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006. Una delle presidenze sicuramente più rispettate e senza ombra di macchia, che suscitò un ideale confronto col settennato di Luigi Einaudi, anche lui governatore della Banca d’Italia. Nella sua presidenza giocarono un ruolo da protagonista il segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni, e il consigliere per le relazioni esterne Arrigo Levi. Gifuni, uomo di alta caratura politica e diplomatica, fu sicuramente determinante in molte scelte di Ciampi.

Scelse come senatori a vita l’imprenditore Sergio Pininfarina, il poeta Mario Luzi, la scienziata Premio Nobel Rita Levi Montalcini. Meno convincente fu, per la verità, il laticlavio concesso ad Emilio Colombo, democristiano di lungo corso.

Torino fu per lui un motivo di forte attrazione per il suo passato risorgimentale e giustamente Nerio Nesi gli conferì a Santena il premio “Cavour”. Aveva anche dei legami famigliari con il Piemonte perché la mamma di Ciampi, Maria Masino, apparteneva ad una famiglia cuneese. Andò a far visita a Cuneo con grande entusiasmo e gli fecero incredibilmente anche visitare una mostra su Giolitti non ancora inaugurata. Girò per tutte le province italiane per sentire il polso della situazione e per testimoniare la presenza dello Stato in tutte le realtà.

Nel 2001, nel suo viaggio in Piemonte, rese omaggio alle tombe di Cavour a Santena e di Einaudi a Dogliani. Andò a trovare nelle loro abitazioni Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, per poi recarsi a rendere omaggio alla statua di Vittorio Emanuele II e a visitare il Museo Nazionale del Risorgimento e la Scuola di Applicazione d’Arma dell’Esercito. Nella sua visita dedicò anche attenzione alla Fondazione Einaudi. Un percorso paradigmatico della presidenza Ciampi.

Accettò di presiedere il comitato per i 150 anni dell’Unità d’Italia, ma dovette lasciare l’incarico per le peggiorate condizioni di salute e per la scarsa collaborazione delle forze politiche, alcune delle quali volevano attuare l’austerità solo a spese del Comitato. Fu sostituito da Giuliano Amato con esiti non sempre felici perché le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia furono in tono decisamente minore.

Sicuramente la presenza di Ciampi avrebbe garantito delle condizioni diverse, anche se va ricordato che ci fu chi mise addirittura in dubbio se dovesse essere giornata festiva il 17 marzo, giorno in cui venne proclamato, a palazzo Carignano, il Regno d’Italia.

Ebbe un grande amico, l’avvocato Paolo Emilio Ferreri, Presidente del Consiglio di reggenza della sede torinese della Banca d’Italia, da  lui nominato Cavaliere di Gran Croce, la massima onorificenza della Repubblica, come Sandro Pertini fece per Emilio Bachi

Con l’avv. Ferreri e il notaio Antonio Maria Maroccofui tra i soci fondatori dell’Associazione dei Cavalieri di Gran Croce creata a Torino e poi “trasferita” a Roma, come tante altre realtà nate sotto la Mole.

Uno dei miei collaboratori al Centro “Pannunzio”, Carlo Guerrieri, mazziniano livornese trapiantato a Torino, era stato allievo al liceo classico di Livorno del giovane prof. Ciampi, che si era laureato alla Normale di Pisa in Lettere, sostenendo l’esame di ammissione con Giovanni Gentile, per poi laurearsi successivamente in Giurisprudenza.

Guerrieri mi parlò spesso del giovane docente, molto timido e del suo entusiasmo per la letteratura italiana e per i valori risorgimentali in anni in cui essi erano totalmente dimenticati, se non aspramente criticati, in modo particolare a Livorno.

Quando andai ai funerali di Guerrieri a Livorno, mi resi conto, tenendo un breve discorso in chiesa, del clima di faziosità esistente.

Successivamente Ciampi scelse di entrare in Banca d’Italia e di proseguire una carriera che lo portò ad esserne Governatore.

Credo che non ci sia ancora la serenità per scrivere con un qualche distacco di Ciampi Ministro dell’economia e Presidente del Consiglio: le vicende dell’euro sono ancora così oggetto di aspra polemica che diventa impossibile porsi in una dimensione storica. Ci vorranno anni per dare un giudizio sereno di un periodo fra i più travagliati della storia italiana. È necessario invocare un’opportuna sospensione di giudizio su una cronaca che non è ancora storia perché appartiene ad un ciclo non concluso. Va detto però che l’idea di Europa che ebbe Ciampi è molto diversa da quella prevalente a Berlino e a Parigi nel 2016. 

Su Ciampi Presidente della Repubblica non ci sono dubbi, invece.

Egli rappresentò la dignità dell’Italia durante un’epoca in cui il debordante inquilino di palazzo Chigi era nel pieno della sua vitalità politica.

E seppe riconciliare gli italiani con la loro storia.

Le visite a Solferino e San Martino vollero sottolineare, in anni in cui il leghismo sbeffeggiava il Risorgimento e l’Unità d’Italia, che cosa significassero quelle pagine sanguinose e dimenticate di storia.

Il suo viaggio a Cefalonia ricordò in modo emblematico il comportamento dell’Esercito dopo l’8 settembre 1943, rendendo omaggio ai Caduti della Divisione Acqui. La vulgata del “tutti a casa” di Alberto Sordi venne finalmente superata non tanto ad opera degli storici, ma del Presidente della Repubblica.

Da quel momento fu più facile parlare del contributo dei militari alla Guerra di Liberazione. L’8 settembre con lui non segnò la “morte della Patria”, come ritenne Ernesto Galli della Loggia, ma la sua rinascita. 

Ciampi non si fermò al ricordo della Resistenza, in modo non settario, come guerra patriottica, ma “sdoganò” un tema assai più difficile: El Alamein, dove nel grande sacrario, costruito da Paolo Caccia Dominioni, riposano 5200 soldati italiani a «cui mancò la fortuna, non il valore», per dirla con la parole di una lapide dedicata al 7° Bersaglieri.

El Alamein fu il campo di battaglia dove si immolò la Divisione paracadutisti “Folgore”: un nome da non pronunciare in Italia, per tanti decenni, pena la condanna ad essere considerati fascisti.

Ciampi stesso, dopo l’8 settembre 1943, superando infinite difficoltà, raggiunse il governo legittimo a Bari e si arruolò nel rinato esercito italiano.

Egli ripristinò la verità storica e riconobbe il valore dei combattenti della guerra perduta che nei deserti africani e nelle steppe russe seppero tenere alto il nome del soldato italiano, malgrado le difficoltà di ogni tipo e il fatto di rendersi conto, come il maggiore Enrico Martini Mauri e molti altri protagonisti della Resistenza, di combattere in una guerra sbagliata.

L’aver insignito della medaglia d’oro al valor civile Norma Cossetto, giovane studentessa istriana violentata, torturata e gettata nella foiba di villa Surani ed aver contribuito a far decollare il Giorno del ricordo il 10 febbraio è un altro dei suoi meriti.

Dopo di lui il ricordo di questo giorno è stato via via disatteso da scuole e istituzioni. Io scrissi a Gifunisegnalando Norma Cossetto e quasi subito il Presidente si interessò del suo caso drammatico. E fu Ciampi a volermi oratore ufficiale al primo Giorno del ricordo.

Anche il fatto di aver insignito della medaglia d’oro Fabrizio Quattrocchi, rapito e ucciso in Iraq, è da sottolineare. La sua ultima frase prima di morire «Adesso vi faccio vedere io come muore un italiano» venne colta nel modo giusto dal Presidente, mentre altri imbastirono astiose e insulse polemiche su Quattrocchi.

Oriana Fallaci venne insignita dal Presidente della medaglia d’oro dei benemeriti della cultura della Repubblica italiana. Anche in questo caso un atteggiamento controcorrente che l’ha distinto in modo positivo perché erano gli anni in cui era stata aizzata, contro la scrittrice italiana più conosciuta nel mondo, una campagna d’ odio. E fu sempre Ciampi a non concedere la grazia al mandante dell’omicidio Calabresi Adriano Sofri, malgrado le insistenti campagne di stampa e i pressanti appelli a suo favore. Era favorevole anche Pannella che arrivò ad attaccare il Presidente. Tanti anni dopo il leader radicale convenne con me che la battaglia a favore di Sofri era almeno discutibile.

Ciampi ha cambiato verso alla storia italiana: i tricolori sono tornati ad essere presenti in tutte le cerimonie e nelle scuole, l’Inno di Mameli è finalmente stato suonato non più solo all’inizio delle partite di calcio. Il 2 giugno  2001 organizzai un concerto della fanfara dei bersaglieri di Asti – una delle più importanti in Italia – il primo concerto per la ripristinata festa della Repubblica voluta da Ciampi. Fu un grande successo di pubblico che sventolò centinaia di bandierine tricolori in piazza CLN a Torino. Il Presidente inviò un messaggio esprimendo «apprezzamento per il valore storico e civile dell’iniziativa».

Il percorso del recupero del senso della storia è lungo e difficile e sicuramente i governi della destra paradossalmente hanno impedito che esso progredisse. Il tentativo di equiparare i “ragazzi di Salò” agli altri combattenti ha ostacolato il processo iniziato da Ciampi, che dimostrò  quella virtù civile che veniva da lontano e che l’Italia aveva perduto totalmente.

Il suo è stato un esempio solo in parte seguito anche dal Presidente Napolitano, ma lo spirito e la storia dei due uomini erano molto diversi. Così come non si può non evidenziare la diversità sostanziale tra Ciampi e Scalfaro. Ciampi non dimenticò mai di essere stato eletto dal voto unanime delle Camere e si sentì sempre Presidente di tutti.

Su Ciampi politico, ripeto, si può discutere – riconoscendo a priori che fu un galantuomo – senza riuscire a trovare una sintesi storica, ma a CiampiPresidente appare impossibile non rendere omaggio.

Il Centro “Pannunzio” gli dedicò gli “Annali” 2006. Nell’editoriale scrissi tra l’altro: «Il Centro “Pannunzio” ha visto in Lei in questi sette anni la viva vox constitutionis, il supremo custode dei valori più alti della Nazione e della democrazia, rinate a nuova vita dopo la guerra e la fine della dittatura, un esempio eccezionale di dedizione alla Patria che è ormai entrato nella storia d’Italia».

Ciampi disse una volta che dai Gesuiti aveva imparato l’amore del prossimo, dalla Scuola Normale di Pisa e in particolare dal filosofo laico Guido Calogero, il rispetto degli altri.

Qui sta il senso profondo del suo settennato che è stato caratterizzato dal rispetto del senso della storia e della verità che non è mai una sola.

Un Natale diverso

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Che questo Natale sia diverso da tutti i Natali che abbiamo vissuto in precedenza, credo sia un dato di fatto incontrovertibile, come credo siano incontrovertibili le responsabilità delle restrizioni che dobbiamo subire:

un’estate senza controlli e senza responsabilità e una improvvida riapertura delle scuole senza sicurezza e senza trasporti adeguati ci hanno portati a vivere le angosce di questi giorni che stanno colpendo sempre più persone. I sacrifici del Natale oggi ci sono imposti per vivere una Quaresima più serena.  Un paradosso degni dei tempi.
Quindi non rimpiango i Natali del passato fatti di intimità domestica e di gioie condivise. Quei Natali avevano qualcosa di forzato e di artefatto che ci voleva ad ogni costo più buoni o addirittura felici. Quest’anno è stata anche sacrificata la parte religiosa con l’eliminazione della Messa di mezzanotte, forse pensando che chi partecipava quella funzione avrebbe potuto finire la serata trasgredendo in discoteca.

Il Natale come festa religiosa in effetti è stata dimezzata da decine d’anni. Il Natale consumista rischia anche lui di finire perché la povertà e l’incertezza economica appaiono più tangibili del passato. Sarà un Natale che farà ricordare ai più vecchi i Natali di guerra quando la morte era all’ordine del giorno. Ma quanto è accaduto al presepe del Duomo di Torino supera ogni immaginazione.  La Madonna e San Giuseppe appaiono con la mascherina anti COVID per impedirci anche solo un attimo di uscire dall’incubo in cui viviamo immersi.  E’ una cosa che non ha nessun senso e non ha nessuna spiegazione plausibile.

Il 24 dicembre , ovviamente e rigorosamente alle ore 21 , forse anche il Bambin Gesù verrà esposto nella mangiatoia con la mascherina d’ordinanza. Un modo bislacco di intendere il presepe decontestualizzandolo dalla tradizione di cui non potete privarci.  Attendiamoci altre sciocchezze. Magari una farmacia potrebbe fare l’albero con le mascherine, in linea con i tempi. Magari si potrebbero anche offrire in vendita dei pacchi natalizi di mascherine decorate per l’occasione. Le hanno fatte con il tricolore e i simboli dei partiti, non ci sarebbe da stupirsi che la fantasia malata possa portare anche a queste estrosità macabre.
Vietateci tutto, ma consentiteci almeno di pensare ad un presepe non contaminato dal
COVID.

Se quest’estate troppi cretini avessero usato più mascherine non ci troveremmo in questa situazione che, se non fosse tragica,  ci farebbe persino sorridere.  O forse hanno messo le mascherine al presepe per poterci strappare un sorriso, constatando la stupidità collettiva a cui siamo giunti. Diversamente anche solo un sorriso sarebbe davvero impossibile.

Se il Salone del libro diventa “comunale”

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni    Il Salone internazionale del libro “Vita nova” aperto ieri a Torino rivela tutte le difficoltà create dal Covid e si rivela un’impresa di cortissimo respiro culturale

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Quando venne scelto Nicola La Gioia a dirigere il Salone ,si capì subito che quella scelta, così dettata da motivazioni prevalentemente  politiche ,non avrebbe potuto portare a buoni risultati  e infatti il Salone  si impantanò subito nelle polemichette sull’editore del libro di Salvini a cui venne negato lo spazio espositivo che aveva regolarmente acquistato.
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Ma che adesso La Gioia voglia farci passare per Salone internazionale del libro venti lezioni da alcuni teatri italiani e promozioni librarie in 34 librerie torinesi  con un po’ di bonus da dieci euro riservati a studenti piemontesi  (malgrado le scuole chiuse), appare un’ azione  leggermente sfrontata e priva di significato e di respiro editoriale. Utilizzare il Salone internazionale per dare un po’ di soccorso a 34 librerie torinesi in difficoltà’ ci sembra una scelta assai discutibile  che riporta il Salone, che raramente fu davvero internazionale, ad ambito comunale, come le tante iniziative simili che si tengono in Italia per promuovere il libro. Era una cosa da non fare perché non consona con le tradizioni del Salone la cui caratteristica era il pluralismo e il fervore di iniziative promosse da grandi  e piccoli editori. Non basta mettere in un programma Saviano e Sgarbi per garantire la pluralità delle voci, così come  non bastano 34 librerie  torinesi per dare l’idea anche remota  di quello che era il Salone in passato. E’ un Salone fatto con i fichi secchi per fare un favore a 34 librai che  ci auguriamo possano trarne  un qualche auspicabile e legittimo  profitto in tempi difficili.
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Un appoggio appunto forse utile per sostenere questi librai in affanno, ma non certo per sostenere  la cultura intesa in modo adeguato. In ogni caso  un progetto di difficile realizzazione, considerato il divieto di assembramento anche nei negozi. Nessuno può pretendere grandi cose da  una Torino divenuta zona arancione, ma nessuno sentiva la necessità di una edizione così ridotta da far apparire il Salone un’iniziativa totalmente  priva del suo spirito originario. Il libraio Pezzana che fu il vero ideatore del Salone, non avrebbe mai pensato ad una cosa del genere perché il libraio Pezzana, ideando il Salone, seppe andar oltre gli interessi delle librerie torinesi. Cercando sul sito del Salone  non appare  inoltre un programma concreto e non capisce cosa accadrà nelle 34 librerie che hanno aderito al progetto a cui auguriamo la massima fortuna anche se non contribuisce certo a riaffermare il nome di  Torino come città del libro che la fine miserevole della UTET Grandi  opere ha definitivamente cancellato. Appare emblematico dell’ importanza di questo Salone “ internazionale“ il fatto che il settimanale “Torinosette“  gli dedichi  un articolo a quattro colonnine, il doppio dello spazio riservato ad un  piccolo convegno da remoto su Vittorio Emanuele II i cui relatori sono così noti da non essere neppure nominati.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

L’ultima spiaggia: salvare la pelle

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni L’ennesimo, pletorico Dpcm che stabilisce nuove norme ulteriormentente restrittive per le festività di Natale e ‘ stato presentato in Tv dal presidente del Consiglio in un giorno che si e’ chiuso con quasi un migliaio di morti per il COVID, un record mai raggiunto neppure a marzo

Conte fino a pochi giorni fa parlava di duri sacrifici imposti agli Italiani per garantire loro un Natale diverso che oggi ha smentito con norme restrittive che rivelano il totale fallimento della politica di governo e regioni nel fronteggiare la pandemia. Un pasticcio tutto italiano dove le regioni hanno contribuito a complicare le cose, rendendole irresolvibili e in cui il Governo si è rivelato un gruppo formato di velleitari improvvisatori.

Lasciamo perdere le norme e i divieti che daranno un ulteriore colpo mortale alla nostra economia. Il problema, prescindendo dal disastro economico,  e è che il virus non è stato fermato. Tante chiacchiere e tanti sacrifici senza raggiungere l’obiettivo.
Conte dovrebbe almeno concedere un dono agli italiani per Natale: dare le dimissioni insieme a Speranza e a questo sempre più inquietante commissario di nome Arcuri che ha già fallito per i banchi di scuola.

Con quasi mille morti al giorno c’è una sola conclusione da trarre:  hanno fallito e devono andarsene a casa. Questo è un principio democratico elementare che dovrebbe prevalere su ogni altra considerazione.Natale o non Natale, stiamo arrivando alla disperazione,  siamo prigionieri di una situazione che può
sfociare in una tragedia collettiva e individuale mai vista e neppure immaginata. Gli Italiani hanno
perso la speranza di vivere o almeno di sopravvivere.

Hanno davanti se ‘ la catastrofe e chi dovrebbe essere, per il suo ruolo super partes arbitro a tutela del popolo sovrano, sembra putroppo non essersi reso conto di nulla. Non è il problema di tener aperto o chiuso a pranzo un ristorante il 25 dicembre , qui il problema è riuscire a tutelare l’incolumità delle persone. Quasi mille morti in un giorno indicano un disastro di gravissime dimensioni, una vera ecatombe. E nel frattempo si delinea l’ipotesi sempre più vicina di una patrimoniale che rapinerà i risparmi degli
Italiani.

Se Bertinotti voleva far piangere i ricchi, Conte vuol far piangere tutti. Il Governo giallo – rosso si è rivelato il peggiore di tutti i governi possibili e nel momento dell’emergenza ha rivelato tutta la sua inadeguatezza. Ci sono colpe di cui dovranno rendere conto a Dio e alla storia. Ma in un paese democratico non bisogna attendere quei giudizi , bisogna procedere subito.  È in gioco la nostra pelle. Non possiamo più attendere. Ne va della nostra vita. L’angoscia sta montando senza possibilità di autocontrollo in tantissimi italiani. Questa è la vera tragedia, non il divieto di vedere i nonni a Natale o di fare il cenone a Capodanno.