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L’Europa dopo la doccia scozzese

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Per poter dare un giudizio sulla vicenda appena definita dei dazi bisogna tener presenti almeno due fatti, al di là delle persone che hanno condotto la trattativa: in primis il fatto che gli USA sono uno Stato federale con a capo un presidente dotato di ampi poteri, il secondo fatto che l’UE è un’unione di Stati sovrani senza un esercito europeo ,senza una politica estera comune  con governi nazionali anche politicamente diversi. L’elemento che accomuna di più è l’euro che ha  dato vantaggi e provocato problemi ai diversi Paesi  all’atto della sua nascita. L’Europa non ha saputo neppure dotarsi di una Costituzione , arenandosi sulla questione delle sue origini. L’Europa è quindi fragile , mentre gli USA sono uno Stato forte, strutturato in Stati, ma capace di una solidità del tutto estranea al  vecchio continente che si avviò  verso l’unione soprattutto per evitare il ripetersi delle due  guerre che  hanno dilaniato la prima parte del Novecento. Dopo la carica propulsiva di De Gasperi, Schumann e Adenauer e il boicottaggio di De Gaulle , l’Europa dopo i Trattati di Roma del 1957,  non è più riuscita ad avere un suo ruolo convincente. La stessa adesione con riserva dell’Inghilterra che decise di mantenere la sterlina e poi uscì dall’Unione, è oggettivamente una debolezza della EU, se consideriamo lo storico rapporto tra Regno Unito e USA.

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Tutte queste considerazioni portano a capire che Trump ha avuto con facilità, alzando la voce, la possibilità di ottenere i dazi per le merci europee esportate negli USA. Chi ha parlato di libero mercato e di Alleanza atlantica ha fatto discorsi che la sordità di Trump rende vani. Sulla distanza i dazi danneggeranno anche gli USA ma il palazzinaro presidente non riesce ad andare oltre perché manca di lungimiranza politica. Va aggiunto che l’Italia nel quadro della UE e dei rapporti con gli USA non è mai stata un forte interlocutore capace di far sentire in modo concreto la sua rappresentanza. Non è accaduto con Andreotti, Fanfani, Moro, Craxi, Berlusconi, Prodi, Gentiloni, al di là di valutazioni politiche su cui voglio sorvolare. L’unico periodo in cui l’Italia è apparsa più ascoltata è quando fu al governo Draghi, ma ad avere un ruolo è stata la storia personale di Draghi, una meteora che è passata senza quasi lasciare traccia.

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Quando leggo sui giornali i commenti ironici di chi dice il governo difende un accordo  sui dazi indifendibile, vorrei replicare dicendo che la presidente italiana – invitata perentoriamente dall’opposizione a uniformarsi alla EU evitando protagonismi italiani – non può essere incolpata di quasi nulla. A cose fatte, vista la estrema fragilità della presidente della EU che dovrebbe dimettersi dopo la trattativa scozzese con Trump (è la stessa che ha agitato l’Europa usando per prima la parola “riarmo“). Questo dimostra che l’uscita dell’Inghilterra ha indebolito l’Europa di una componente vitale. Di fronte ad un presidente americano che ruggisce, l’Europa indietreggia. Gli statisti europei, si fa per dire, hanno dimostrato di non esistere e hanno sancito, dopo l’accordo scozzese ancora provvisorio, che l’ Europa è tornata un sogno. Peccato non avere più un De Gasperi. Sapere le lingue è  importante, ma a volte non basta.

 

Foto ©EU2024-EP

Gino Paoli, Mussolini e le pagine nere della Resistenza

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Ricordo che al famoso  Collegio “Filippin“ di Paderno del Grappa venivamo svegliati dalla canzone di Gino Paoli “Sapore di mare“. Era un collegio con le stanze singole gestito dai Fratelli delle Scuole Cristiane, dove c’era la piscina olimpionica e la possibilità di fare equitazione. Non so chi avesse scelto quella canzone estiva ascoltata tutte le mattine. Mi è tornato in mente questo episodio leggendo una interessante intervista di Paoli per i suoi prossimi 91 anni portati, sembrerebbe, egregiamente, malgrado la vita dissipat .  E ‘ quasi impossibile non apprezzare gran parte delle canzoni di Paoli, mentre detesto De Andre ‘ per una serie di ragioni che ci porterebbe distanti. Paoli fu deputato eletto nel Pci, a onor del vero per una sola legislatura ed è sempre stato uomo di sinistra anche quando ebbe qualche problema con la SIAE di cui fu presidente e venne accusato di aver sottratto  al fisco  2 milioni di euro , frutto delle sue esibizioni alle feste dell ‘“Unità”, trasferiti illegalmente in Svizzera. Nell’intervista ha dichiarato,  parlando dei repubblichini Tognazzi, Chari e Fo in modo sorprendente: “Il fascismo è stato anche un ideale come lo è stato l’anarchia. Non possiamo accanirci contro vent’anni di storia italiana perché Mussolini è  nella storia italiana. Il Duce era capace e furbo (…)”. Ed ancora: ” Sono consapevole delle pagine nere della Resistenza. Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti. A Genova la mia maestra fu additata come collaborazionista: le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le spararono in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Doria “. D’ora in poi ascolterò le canzoni di Paoli con più piacere, dimenticando  il fastidio  giovanile di dovermi svegliare quasi all’alba, ascoltando “ Sapore di sale “ a tutto volume.

Una riflessione storica sul colonialismo italiano. Contro le vulgate

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Credo che sia necessario avviare una riflessione storica sul colonialismo italiano in Africa che non sia succubo delle grossolane pagine di  Angelo del Boca. A 90 dall’inizio della guerra d’Etiopia (1935 ) Annamaria Guadagni sul “Foglio“ dedica un ampio articolo al colonialismo italiano in Africa iniziato nel 1882 con l’acquisizione della baia di Assab.  Nell’articolo vengono ripercorse le “nefandezze“ e le “atrocità  coloniali italiane”, rimettendo, in modo solo apparentemente sorprendente  in circolazione  le cose scritte con livore anti- italiano da un non storico come Angelo del Boca. Quindi viene evidenziato, come è giusto che sia, l’uso dei gas da parte del viceré di Etiopia Rodolfo Graziani e  viene persino esaltato il comunista Ilio Barontini, definito “leggendario  antifascista”, mandato da Mosca  ad addestrare partigiani in Etiopia  e organizzare un governo provvisorio riconosciuto dall’imperatore etiope in esilio. Viene invece  ignorato il massacro di soldati italiani ad Adua  del 1896 dopo la sfortunata ed improvvida campagna d’Africa, voluta da Crispi, che creò in Italia grande  scalpore e un ricordo destinato a restare nei decenni, sul quale fece leva 40 anni dopo Mussolini per giustificare a suo modo l’aggressione all’Etiopia come sostennero le maggiori potenze coloniali a Ginevra che condannò l’Italia alle “inique  sanzioni“, come venne detto allora.
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Non c’è parola in quasi due pagine di articolo della campagna di Libia del 1911, impresa iniziata  e conclusa durante l’età giolittiana che ebbe il favore degli Italiani, se si escludono Salvemini (che  definì la Libia “uno scatolone di sabbia”) e Mussolini che, allora socialista rivoluzionario, si sdraiava sui binari delle tradotte per impedire ai soldati di partire per la guerra. L’Italia giunse ultima a cercare un “posto al sole“, dovendosi accontentare di territori che non avevano attratto l’ingordigia coloniale inglese, francese e tedesca. Anche il Belgio e il Portogallo erano potenze coloniali e quindi la tesi in base alla quale l’Italia avrebbe dovuto astenersi, come sostiene Giorgio Rochat , uno degli storici più faziosi succeduto in cattedra al grande Piero Pieri, risulta essere viziata da un pregiudizio ideologico e da un anacronismo antistorico che giudica il passato con gli occhi del presente. Le imprese coloniali italiane furono la logica e inevitabile  conseguenza di una Nazione italiana nata con ritardo di secoli che seppe durante la Grande Guerra dare un apporto alla vittoria alleata  che la mise tra le grandi Nazioni europee. Non era più l’Italietta giolittiana il paese che aveva battuto l’impero austroungarico, provocandone la fine che segnò una svolta nella storia Europea carica di conseguenze per lo più non positive, come colse subito Croce già nel 1918.
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Si può discutere se nel 1935 avesse senso imbarcarsi in una nuova impresa coloniale fuori tempo massimo, ma non può essere dimenticato che l’impero africano dell’Italia fu anche quello volto a portare strade, scuole, ospedali in terre incolte e in paesi arretrati in cui vigeva addirittura la schiavitù. L’impero coincise con quelli che De Felice definì gli “anni del consenso”. Andrebbe anche evidenziato che forse l’Italia diede alle Colonie molto più di quanto ne  ricavò. E mi riferisco a Somalia, Libia, Etiopia in cui l’impronta italiana in parte rimane ancora oggi. L’Italia lasciò di sé un ottimo ricordo. Molti coloni italiani rimasero in Libia fino alla cacciata di Gheddafi  e in Etiopia il Negus, tornato al potere dopo la sconfitta dell’Italia in Africa, si circondò di Italiani in posti di responsabilità. L’azienda idroelettrica abissina rimase addirittura di proprietà di una famiglia italiana. Quindi un discorso storico non può fermarsi al livore ideologico di del Boca; anche le vicende dopo la fine del colonialismo italiano non rappresentarono maggiore civiltà e progresso, come dimostra la storia delle ex colonie italiane divenute preda di lotte tribali senza fine.
Ovviamente nell’articolo in questione  viene ignorato il sacrificio del domenicano padre Reginaldo Giuliani caduto nella compagna d’Etiopia ancora oggi venerato dai suoi confratelli  e viene, a maggior ragione,  ignorato il Vice Re di Etiopia e governatore dell’Africa orientale italiana Amedeo di Savoia duca d’Aosta che aveva una storia personale  di contatti e di vita in terra africana: in Somalia insieme allo zio Duca degli Abruzzi e nel Congo belga  come operaio sotto falso nome. Amedeo d’Aosta si era laureato in Giurisprudenza con una tesi  in diritto coloniale in cui si sosteneva che un dominio straniero sugli indigeni poteva trovare giustificazione solo  nel miglioramento delle condizioni  di vita delle popolazioni colonizzate.
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E come vice Re dal 1937 al 1941 il duca  fu promotore di grandi opere pubbliche destinate a durare nel tempo. Certo la dominazione fascista in Africa Orientale si fece sentire, come ebbe rilievo positivo in Libia la presenza  del  governatore Italo Balbo. Nella storia, come anche nella vita, non tutto è da gettar via. Come si dice volgarmente, va almeno distinto il bambino dall’acqua sporca . Come disse Carlo Delcroix che conobbe il principe sabaudo, Amedeo “visse da santo e morì da eroe“. Forse Delcroix esagerava, ma certo la sua figura studiata in modo esemplare da Gianni Oliva, non può essere ignorata. La sua resistenza sull’Amba Alagi  che ottenne l’onore delle armi inglesi e la sua morte in prigionia a Nairobi per restare con i suoi soldati sono una delle pagine più alte insieme alla strenua resistenza dei soldati italiani ad El Alamein a cui rese onore il presidente della Repubblica Ciampi che sentì la complessità della storia ,andando oltre la politica che “giudica e manda”, senza mai  tentare una sintesi storica, neppure a distanza di 90 anni. L’articolo del “Foglio “ non fa che riprendere le vulgate antistoriche del passato. Ed è un peccato che non deve sorprendere perché il giornale di Cerasa è in realtà molto conformista.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La lapide di Matteotti  sfregiata – Tocqueville a Cannes – Ricordi di scuola che pesano ancora – La Russa – Lettere

La lapide di Matteotti  sfregiata
Ricordo che tanti anni fa andai anch’io ad inginocchiarmi davanti alle lapide di Giacomo Matteotti sul lungotevere romano dove nel 1924 venne rapito. Avevo anche la fotografia- andata perduta in un trasloco maldestro della mia biblioteca – con a fianco l’ex presidente Saragat e il mio amico Orsello ed alcuni amici del Movimento Europeo di cui ero vicepresidente. I socialdemocratici erano praticamente assenti perché gente come Nicolazzi non era certo  in grado di capire chi fosse stato Matteotti , fortemente avversato dai comunisti e dai fascisti. Pochi giorni fa ignoti teppisti hanno danneggiato quella lapide che era stata distrutta nel 2017 e nuovamente sfregiata nel 2024, l’anno del centenario della morte di Matteotti per mano violenta di sicari fascisti. Il Ministro della cultura Giuli è andato sul lungotevere e ha baciato la lapide, condannando l’accaduto, definito “un atto di viltà che non deve restare impunito“.
Mi auguro che si proceda celermente alla identificazione dei vandali politici o non politici che siano. A Torino la lapide di Mario Soldati (che  nel  1924 andò a scrivere con il gessetto sui muri di Torino viva Matteotti !) è stata ripetutamente ricoperta di scritte tali da renderla illeggibile. Nulla al confronto dello sfregio e all’offesa al martire della libertà per definizione , l’uomo politico che coniugò l’antifascismo e l’anti comunismo con lucida coerenza. Oggi ci sono vandali drogati e/o ubriachi o magari anche lucidi ( si fa per dire ) che si accaniscono con violenza belluina  contro monumenti che ricordano la storia da loro, ovviamente, non conosciuta. Ma ci sono anche vandali politici che vanno denunciati con assoluta fermezza  perché appartengono all’ala violenta di chi vorrebbe riscrivere la storia.
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Tocqueville a Cannes
Un mese fa a Cannes (dove morì nel 1859) e’ stata intitolata una piazza al visconte Alexis de Tocqueville. Un riconoscimento importante, ma un po’ in ritardo. Tocqueville, oltre ad essere stato un importante politico (fu ministro degli Esteri di Francia e deputato ) , è stato un pensatore  di primo piano che ha studiato la democrazia americana e l‘ antico regime e la Rivoluzione francese. Le sue  opere sono sempre vive, è stato il primo a denunciare i guasti provocati dal giacobinismo sanguinario, come evidenzio’ il grande Nicola Matteucci. Egli  pose dei limiti entro i quali l’eguaglianza non può straripare perché finirebbe di uccidere la libertà che per  Tocqueville e per i liberali è la parola più importante, la ”pense’e me’re“  della democrazia liberale di cui Tocqueville fu uno dei sostenitori più acuti. Fu lui a coniare l’espressione “dittatura della maggioranza“.
Tocqueville

 

La Francia di oggi con Macron, modestissimo presidente egocentrico che si ritiene leader internazionale, una estrema destra ancorata al passato e una sinistra barricadera, sono quanto di più lontano da Tocqueville. Assume un valore speciale che a Cannes si siano ricordati di lui. Sono grato alla mia amica Luisa Millari di avermi segnalato l’evento. Se l’avessi saputo, sarei andato molto volentieri alla inaugurazione anche come – per due volte negli anni- insignito del “premio Tocqueville“.
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Ricordi di scuola che pesano ancora
All’ improvviso oggi mi è tornato alla mente un mio professore della scuola media . Si chiamava don Giovanni Mano che non vidi più dopo la licenza media. Fu mio professore di matematica per un solo anno e ricordo i problemi ostici che ci assegnava. Un professore amico di mio padre, il matematico Guelfo Campanini (che aveva combattuto nell’Areonautica nell’ ultima guerra, come si diceva allora) era in grossa difficoltà ad aiutarmi. A volte attraversavo la strada e andavo a casa sua, ma alcune volte dovetti tornare a mani vuote perchè i quesiti posti si rivelavano senza soluzione. In qualche occasione  entrava in gioco anche il figlio del professore che era ingegnere, ma proprio non c’era nulla da fare. Don Mano il giorno dopo risolveva il busillis molto in fretta ,come se tutto fosse del tutto evidente. Sembrava che si divertisse a creare problemi ai suoi studenti.Oggi lo contesterebbero in primis i genitori, rendendogli la vita impossibile. Mio padre invece sarebbe stato dalla parte del professore comunque, perché ai docenti si doveva portare rispetto. L’anno dopo ebbi il prof. Carmelo Bonanno, figura di ben altro spessore intellettuale ed umano. Lo ritrovai dopo tanti anni nel 1997 ai funerali solenni di mio padre  e diventammo amici. Mi disse, appagando la mia vanità, che erano anni che mi seguiva e mi leggeva  e che si ricordava dell’ambasciatore che veniva a parlargli e al cui funerale non volle mancare. Con mia somma sorpresa Don Mano passo’  l’anno dopo all’ insegnamento delle materie letterarie dimostrando un enciclopedismo eccezionale.
Seppi tempo dopo che, in realtà,  era un semplice maestro elementare e che non era laureato. Una volta, già allora ero appassionato di storia, ebbi una discussione con il don, come si direbbe oggi. Alla fine sostenne una tesi che  mi apparve già in quegli anni molto bislacca e poi del tutto inaccettabile. Don Mano mi disse di affidarmi al manuale del suo confratello Franco Amerio, che usava per i libri di storia firmarsi Moroni, che era il cognome della mamma. Mi disse di affidarmi a lui perché era “super partes“ in quanto la Chiesa non sta con nessuno se non con la verità.
Era  un discorso peggiore dei problemi di matematica insolubili perché fondato o su una candida ingenuità o sulla più totale malafede. Timidamente gli replicai che proprio il Risorgimento dimostrava che la Chiesa era invece parte molto attiva e vivace di un conflitto con lo Stato volto ad impedire l’ unificazione italiana. Non aggiunsi altro e non ebbi repliche. Qualche anno dopo ,studiando Machiavelli, capii le ragioni per cui la Chiesa impedì per secoli quel processo unitario che si ebbe  invece in Francia e in Spagna . Ma sicuramente ,se avessi riincontrato don  Mano, mi avrebbe obiettato che Machiavelli era immorale e quindi inattendibile. In quel caso sarei stato io a fargli una lezioncina su politica e morale che sono distinte e spesso distanti,come scriveva Croce . Don Mano, sapendo qualcosa della mia famiglia, a volte mi chiamava il “piccolo lord “con tono leggermente canzonatorio. In effetti in quella classe di scuola media non c’era proprio la crema di Torino e io potevo sembrargli diverso dai miei compagni: solo in tre o quattro andammo infatti al Ginnasio -Liceo classico. Non era però una questione solo sociale perché io avevo dalla mia gli insegnamenti privati del prof. Salvatore Foa che mio padre mi aveva messo alle costole come precettore. Dopo un solo anno di Ginnasio, Foa morì lasciandomi parte della sua biblioteca che ancora oggi conservo con cura e ho integrato nella mia. Forse anche per il magistero di Foa, che periodicamente andava in Israele, sono sempre stato dalla parte del piccolo Stato aggredito dagli arabi e dal terrorismo. Tra don Mano e il prof. Foa non ho mai avuto dubbi da che parte stare.
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La Russa
Riconosco a  Ignazio La Russa delle qualità personali che ebbi modo di apprezzare quand’era ministro della Difesa nel centenario della Grande Guerra. Ebbe il coraggio di replicare al giornalista Sansonetti  che celebrava i disertori di guerra a cui volevano dedicare una targa nel luogo più improprio: il Vittoriano dove riposa il Milite ignoto. Da quando è presidente del Senato però  non ha  ancora appreso l’arte di rappresentare  la seconda carica dello Stato con quella formale imparzialità che oggettivamente  è estranea ad un uomo di partito di lungo corso e di poca cultura istituzionale.
Ma nella storia italiana ci sono stati presidenti del Senato, da Merzagora a Spadolini, che hanno saputo estraniarsi dalla mischia politica . Per una sola intervista considerata di parte Merzagora  fu costretto a dimettersi. La Russa in questi giorni polemizza addirittura sulla politica della sua città di adozione, dicendo cosa debbono fare Sala e la sua Giunta .
In questo caso non è più il fatto privato del  busto del Duce in casa, ma uno schierarsi polemicamente   in  un conflitto  incandescente,  incompatibile con il suo ruolo di presidente del Senato . Persino Luigi Federzoni , presidente del Senato del Regno sotto il fascismo, era in  un certo modo più istituzionale. La stessa Premier, nel caso di Milano, si è astenuta dall’intervenire come donna di parte e come presidente del Consiglio.

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Ricordando Soleri
Ho ascoltato su YouTube la sua video- conferenza su Marcello Soleri del 23 luglio , ad ottant’anni dalla  sua morte. Mentre Lei nei diversi articoli su Soleri  ha dimostrato di essere uno storico distaccato come sempre dimostra di essere, nel ricordo su YouTube  ha detto di sentirsi coinvolto emotivamente per ragioni famigliari ed ha anche raccontato i legami con Soleri della sua famiglia. Cosa le è accaduto? In effetti però  non ha mai smarrito la lucidità storica di sempre. Gino Bessone
Non credo sia stata una performance riuscita il mio ricordo su YouTube. Io sono ancora un principiante perché ho iniziato su YouTube solo durante il covid. Per parlare io ho bisogno di un  pubblico davanti a cui ispirarmi: appartengo alla vecchia scuola ed appartengo alla schiera dei professori abituati a parlare nelle aule affollate. Il contatto con le persone mi ispira. Infatti i  video che faccio non li riascolto mai, per non entrare in crisi. A volte li faccio cancellare dopo poco perché non voglio lasciare ricordi di algide lezioncine a distanza. Certo però parlando di Soleri mi sono sentito molto coinvolto: io ricordo che  mio nonno  già  da quando ero bambino mi parlava di Soleri come di un mito con il quale ebbe una frequentazione di cui c’è traccia anche nei suoi diari. In estrema sintesi nel video ho definito Soleri “ministro della buona vita“ , capovolgendo l’ingiusto ed errato giudizio di Salvemini su Giolitti considerato il “ministro della mala vita“. Il giolittiano Soleri fu l’esempio della più alta moralità politica. Ho letto oggi uno sconclusionato articolo dell’ottuagenario ex preside di Saluzzo pieno di divagazioni fuori tema. Un vero peccato . Lo storico saluzzese,  grande esperto di massoneria, ha ritenuto di specificare che – al di là delle voci – Soleri non fu massone. Io non ho mai dubitato del contrario. Croce scrisse sulla Massoneria giudizi severissimi di cui Soleri fu  certamente a conoscenza. Massone fu invece Giovanni Amendola, un liberale meridionale molto diverso dal cuneese Soleri.
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Eutanasia
Il  75 per cento degli Italiani  è favorevole all’eutanasia. Visto che la classe politica è latitante e non decide perché non fare un referendum che ponga fine alla sudditanza alla Chiesa cattolica in materia di fine vita? Giuseppina Orsi
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Sono decine di anni che sento parlare di eutanasia che dal greco significa “buona morte“. Io personalmente non ritengo  mai buona, la morte, anche se capisco che il dolore puo’ portare le persone a desiderare di porre fine alla loro esistenza tribolata. Ma il termine “suicidio assistito“ suscita in me forti perplessità. Ho letto i giudizi frettolosi e superficiali di Vittorio Feltri sul tema e dissento dalle sue semplificazioni che sicuramente avranno il consenso di tanti. Per me il valore della vita nello stadio nascente e in quello terminale è cosa molto importante. E ‘ innanzi tutto un  affare di coscienza che in una società inaridita, più profana che laica, come quella attuale appare qualcosa di insensato . La coscienza oggi risulta essere parola ignota ai più. Arrigo Benedetti definì Pannunzio un “laico direttore di coscienze“, una dizione oggi incomprensibile ai più.
Bobbio
Io resto con i miei dubbi di coscienza senza pretendere di essere ascoltato nei miei dubbi  che poi sono gli stessi, laicissimi, di Norberto Bobbio, non di don Giussani. Certi radicalismi mi sono  da sempre estranei. Non per ragioni di coscienza ma per ben più concrete ragioni  anche giuridiche sarei assolutamente contrario ad un referendum in materia di fine vita . Problemi così complessi ed eticamente sensibili  non si possono ridurre ad un plebiscito tra un sì e un no. In ogni caso in Italia esiste il referendum abrogativo e quello confermativo. La Costituzione non prevede referendum propositivi. E questo è un bene perché nella confusione attuale bastano ed avanzano i referendum abrogativi di Landini & soci.

Il Premio Alassio allo scrittore veneto Paolo Malaguti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il Premio Alassio Cento libri – un autore per l’Europa, ideato 31 anni fa dal bibliotecario Roberto Baldassarre e dal giornalista Romano Strizioli, è stato vinto da  Paolo Malaguti per il suo romanzo ”Fumana“. Una scelta avveduta della giuria presieduta da Gian Luigi Beccaria e composta da italianisti stranieri che spesso dimostrano una capacità di andare oltre le logiche di molti premi letterari italiani. L’idea dei giurati esteri ha consentito al premio alassino di avere un respiro più ampio, evitando i legami con la politica che emergono in modo vistoso, ad esempio, con lo “Strega”. La figura di Malaguti va ben oltre un eventuale  impegno politico che non traspare , perché la sua opera non rivela quei cedimenti a cui tanti scrittori si sono dovuti adattare o che hanno scelto di loro iniziativa. I Premi letterari, al di là della lotta inevitabile tra editori, sono spesso spartiti in base a criteri non soltanto politici, ma addirittura ideologici. Chi non fa parte di certi certi cerchi magici ,è tagliato fuori in maniera aprioristica. Anche il Premio Alassio ha avuto le sue colpe sotto la presidenza di Ernesto  Ferrero  che pure fu un critico raffinato e colto, ma non immune dalla compromissione con la politica politicante . Basterebbe citare il conferimento a Michela Murgia,  in verità non ancora così schierata come negli ultimi anni della sua vita, per rendersi conto di un abbaglio che mi portò a disertare negli anni successivi il Premio alassino. La scelta di quest’anno mi pare molto giusta e condivisibile. Uno scrittore che riconosce un debito nei confronti di Giovannino Guareschi, merita attenzione. Forse pochi lo ricordano che ad Alassio andava al mare con la famiglia anche Giovanni o che è ricordato all’ ingresso della biblioteca civica  sul mare da una sua  fotografia sulla spiaggia. Malaguti rappresenta una narrativa che sa fare i conti con la storia senza le solite  faziosità. In quella stessa piazza in cui è stato premiato Malaguti, due giorni prima ha presentato un suo libro un personaggio televisivo tra i più faziosi che utilizzano le trasmissioni per montare scandali. Non avrei mosso un passo per andarlo a sentire , ma la pluralità delle voci è il bello della democrazia liberale che ad Alassio è sempre esistita per merito di amministrazioni che non si sono mai accodate alla cultura – propaganda di tante città e cittadine che usano l’estate per fare  dell’amichettismo politico la loro prevalente ragion d’essere.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Trump, il buzzurro che vorrebbe comandare il mondo –  Israele al Comune di Torino – Lettere

Trump, il buzzurro che vorrebbe comandare il mondo
L’altra sera una piacevole cena in riva al mare rischiava di essere un po’ compromessa  da una discussione animata  su Trump e sui dazi che vuole imporre all’Europa. Il tono del confronto mi ha portato a rinfrescare alcuni dati  storici: dalle economie curtensi stagnanti  del Medio Evo  a quelle dell’età comunale e delle Signorie fondate sul commercio e sulle banche, sia pure ancora limitate dai pedaggi che gravavano sulla libera circolazione delle merci. Ho ricordato il mercantilismo delle monarchie assolute settecentesche fondate sui dazi e il protezionismo. Quest’ultima esperienza rivelò la negatività delle scelte che danneggiarono in primis chi praticava il protezionismo e impediva un’economia dinamica fondata sulla libera concorrenza. La tentazione dei dazi come soluzione dei problemi di un’economia in crisi è tornata spesso nel corso di epoche successive con risultati deludenti.
Appare quindi  di tutta evidenza che un buzzurro come Trump assolutamente privo di cultura politica ed economica e anche di semplice ed elementare cultura abbia riscoperto ricette superate di cui non conosce neppure la storia. Gli Stati Uniti hanno votato un presidente inaffidabile che in un quadro già turbato da due guerre innesca una possibile guerra dei dazi a danno degli alleati europei. La situazione difficile richiederebbe un’America capace di un ruolo internazionale equilibratore , anche se va riconosciuto che la Ue è diventata quasi nulla, lasciando ai singoli Stati  delle politiche nazionali e nazionaliste incompatibili con  l’idea di Europa, come la definiva Federico Chabod. Forse il professore ha prevalso sul commensale e posso aver annoiato. La mia cena poi, all’arrivo di un piatto molto invitante, è proseguita in tutta calma ed allegria perché i commensali, da veri liberali, hanno deciso che ognuno si teneva le sue idee. Questa tolleranza un po’ epicurea  in fondo andrebbe allargata dalle cene al nostro vivere civile. Ne trarrebbe vantaggio quel che resta della democrazia liberale che si fonda sul rispetto di tutte le idee anche quelle più intollerabili e quelle di Trump appartengono a questa ultima categoria.
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Israele al Comune di Torino
Ho letto con attenzione il circostanziato ordine del giorno elaborato dalla consigliera comunale Sara  Diena e votato da 23 consiglieri con sole due astensioni. Ci vorrebbe un lungo ragionamento storico per contestare l’ordine del giorno almeno in alcune sue parti del tutto da rifiutare: l’interruzione di rapporti con Israele, riprendendo la tesi degli studenti filo palestinesi, è sbagliata e non si concilia con la storia della città. Inoltre l’ipotesi di un ritorno ai confini precedenti la guerra del 1967 è da rifiutare perché  quella  guerra  difese Israele da un’aggressione dei paesi arabi sconfitti in pochi giorni. Nel ‘67 Primo Levi donava il sangue per Israele e il ritorno a quei confini sarebbe sbagliato oltre che impossibile.
Ho letto che un solo consigliere comunale leghista  ha fatto un intervento contrario. Dov’era la opposizione? Ho cercato di documentarmi, ma non ho trovato traccia di interventi e soprattutto di voti. L’informazione su quell’ordine del giorno non è stata adeguata. Va riconosciuto che i filopalestinesi hanno atteso in piazza senza ricorsi alla solita violenza: un atteggiamento diverso  in fondo, si sarebbe tradotto in fuoco amico. Una bella testimonianza di coraggio e di  libero pensiero, come si addice ai docenti degni di questo nome,  ha dato il Politecnico di Torino che ha preso le distanze da posizioni ideologiche e politiche che non si addicono ad un Ateneo. Peccato che invece l’Universita’ di Torino abbia ceduto già oltre un anno fa alla demagogia filo palestinese che ha invaso Palazzo Nuovo e il Campus Einaudi.
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Le guardie del Pantheon
Esiste un istituto delle guardie d’onore alle tombe  reali del Pantheon fondato nel decennale della Marcia su Roma nel 1932 come ente morale.
Questo istituto, malgrado le tombe al Pantheon riguardino solo i primi due re d’Italia, continua ad esistere. Non è un’associazione combattentistica o d’arma fin dalle sue origini, anche se ambirebbe a diventarlo, malgrado si sia contraddittoriamente  aperto a chiunque ,anche non militare o ex militare. L’istituto è presieduto da vent’anni sempre dalla stessa persona  e partecipa a manifestazioni  pubbliche  chiaramente monarchiche in cui è presente come ospite d’onore il principe ballerino Emanuele Filiberto di Savoia. L’istituto andrebbe commissariato dal ministero della Difesa o soppresso come ente inutile , dannoso persino alla Causa monarchica. Umberto Oddone
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Non so risponderle. Ho conosciuto per caso  qualche guardia  in Liguria e debbo dire che ne ho tratto una pessima impressione. Spesso si è tratta di gente che non ha mai fatto il servizio militare. Esibiscono un vistoso  mantello come quello dei Lancieri di Montebello con un certo sussiego, quasi un po’  da operetta. D’altra parte il servizio di leva è stato abolito e quindi per sopravvivere l’Istituto doveva aprirsi a tutti. Certo un istituto sottoposto al Ministero della Difesa della Repubblica deve stare attento a muoversi, anche se nessun governo è mai intervenuto , constatando la sua irrilevanza.
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Milano trema
Lo scandalo di vastissime dimensioni che emerge a  Milano impone di riproporre una questione morale . Al di là dell’arresto di un assessore , il sindaco Sala e ‘ indagato per falso e induzione indebita. Cosa aspetta a dimettersi? Anna  Soldini
Non ho mai avuto simpatia per il sindaco di Milano Sala per mille motivi: è un demagogo in doppio petto che non incarna certo lo spirito della città che solo il sindaco Albertini ha saputo degnamente rappresentare.  Non ne chiedo tuttavia le dimissioni perché il garantismo deve sempre prevalere. Semmai mi domando che sorte avrà l’assessore all’ Urbanistica torinese implicato nello scandalo milanese.
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La Malfa e il Campo Largo
L’85 enne Giorgio La Malfa che distrusse il partito repubblicano con Tangentopoli  e fu anche ministro di Berlusconi, scrive ancora articoli, consigliando come si possa battere la Meloni . Uno stratega tanto poco credibile  non andrebbe preso in considerazione. Ha sempre sbagliato tutto. Ugo Stella
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Ho letto su Facebook che il figlio di La Malfa continua a scrivere articoli che sistematicamente non leggo. Non ho mai avuto stima di lui che ho conosciuto bene.  Non parlo quindi per partito preso. Dovrebbe riposare la mente e stare zitto, questo mestierante della politica passato da sinistra a destra e poi da destra a sinistra. Adesso si schiera per il Campo Largo, ma lui è solo esperto di campi stretti, anzi strettissimi, oggi quasi inesistenti. Vuole trovare posto sotto la “tenda” di Bettini. Ridicolo e patetico.

Addio a Goffredo Fofi, il colto illiberale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Goffredo Fofi è stato l’esatto opposto della mia idea di uomo o donna di cultura. Quasi tutto ciò che ha prodotto va contro il mio modo di pensare. Gli sono grato per aver rivalutato Mario Soldati regista, ma lo ha fatto tardivamente. La mia gratitudine finisce qui, al massimo si allarga al fatto di  aver fatto conoscere in Italia il romanzetto più sconcio che  erotico “Emanuelle“ che contribuì a liberare il sesso dal perbenismo e consentì a noi giovani di liberarci della  nostra pruderie  adolescenziale.  E’ anche l’unico merito che riconosco al ‘68 che consenti’ una vita sessuale non inibita dai formalismi tornati con il politicamente corretto di questi anni. Ma la pubblicazione del libro Fofi la volle soprattutto  per finanziare la sua battaglia politica di estrema sinistra. Ha collaborato con tutti quelli che io non apprezzo: Danilo Dolci, Pier Giorgio Bellocchio, Lucio Lombardo Radice ecc. : tutto il comunistume possibile. Ha sostenuto nell’ esordio Baricco e Saviano, per non parlare di “Torino Ombre rosse” e “Quaderni piacentini”, la quintessenza della contestazione  sfociata nel 67 – 68.  Un  suo libro sull’immigrazione a Torino era così fazioso che l’Einaudi non lo pubblicò forse per non dispiacere alla Fiat. Ha incredibilmente rivalutato Totò ed è un altro dei suoi pochissimi meriti. Non ha mai avuto un seggio in Parlamento come tanti suoi colleghi, ma certamente è appartenuto al culturame engagé che tanto male ha arrecato alla cultura e alla scuola italiana. Fondò anche la rivista “Gli asini”, pur essendo un uomo colto. Appartenne a quella cultura illiberale che fece indignare Pannunzio. Su Wikipedia sta scritto che nel 1972 collaborò con Gaetano Salvemini morto nel 1957. E’ a gente come Fofi che va attribuita la crisi dei valori veri in nome di un’ideologia falsa, smentita in modo vistoso dalla storia.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina – Ius Scholae e altro – Lettere

Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina
Quando in estate i giornali riproponevano- in assenza di notizie –  i grandi processi del passato, era l’occasione per rinnovare qualche chiacchiera da bar tra i vacanzieri.  Per lo più si trattava di delitti riguardanti donne ammazzate o mantidi avvelenatrici dei loro amanti o mariti. Soprattutto erano i giornali della sera a riempire le loro pagine di storie passate, in mancanza di cronache presenti. Oggi l’interesse per il delitto di Garlasco e due giovani che,  secondo le diverse partigianerie, avrebbero ucciso la giovane Chiara, è diventato patologico. Mi è capitato di ascoltare un’attempata ex PM che non è mai neppure toccata dal dubbio perché i magistrati, anche quando sbagliano, hanno sempre  ragione come Mussolini  (ricordiamo il caso Tortora!) ha dichiarato che la condanna di Stasi è una condanna giustissima, malgrado due precedenti assoluzioni  che hanno scarsa importanza. L’ex magistrata,  tanto per non smentirsi mai, ha colto anche  l’occasione per attaccare il ministro Nordio. E’ stato patetico ascoltare una autentica fesseria da parte sua  come quella  di definire “sacre” le aule giudiziarie anche perché in uno Stato laico neppure le chiese dovrebbero considerarsi sacre, almeno  dalle leggi Siccardi in poi. L’ex Pm con toni da requisitoria della Santa Inquisizione ha definito ogni revisione del processo una delegittimazione della Magistratura che rientra nel piano più ampio del governo di rendere autoritario il Paese. Poi ho ascoltato dei giornalisti che porterebbero a sentirsi estranei alla categoria: hanno imbastito un processo mediatico che rende  le persone colpevoli o innocenti prima ancora che i processi abbiano inizio. La corporazione dei magistrati ha molto da farsi perdonare se un suo capo ha detto con disarmante sincerità  che occorrerebbero due magistrati vittime per riscattare la categoria.
La politica settaria  ha portato a smarrire per strada la terzietà, l’indipendenza , la riservatezza dei giudici tanto amata da Calamandrei, sempre citato a senso unico. C’è un Pm che ha dichiarato  nei giorni scorsi ai giornali  che lui ha il “dovere “ di parlare in Tv e altrove, magari anche in piazza, confondendo il diritto con il dovere  che, invocato a sproposito, è un’offesa per la grande maggioranza dei magistrati silenti che lavorano seriamente senza aspirare alla notorietà.  Ne ho conosciuto tanti, ne cito uno per tutti, quel Bruno Caccia ammazzato sotto casa che tirò sempre dritto per la sua strada, rifiutando perfino l’idea di scioperare che riteneva estranea allo stile di un magistrato. Il volto di Caccia era sconosciuto ai più mentre ci sono magistrati che anelano alle foto e alle interviste. Il delitto di Garlasco è in alcuni casi l’occasione non tanto per dare sfogo alla morbosità del popolino, ma alle sparate politiche più incredibili e faziose. Il diritto di cronaca non va mai confuso con la fuga di notizie: i giornalisti che ho citato si sono addirittura vantati di “aver messo  le mani nelle carte“ , fatto indebito in termini assoluti perché la segretezza degli atti giudiziari va sempre rispettata specie nella fase istruttoria. I processi indiziari sono molto delicati e andrebbe sempre ribadito che un indizio non è una prova e che i teoremi giudiziari sono l’esatto opposto della giustizia  che si fonda sui fatti. Nel dubbio deve valere l’antica massima latina  “pro reo”. Davvero questo Paese è molto mal messo se dà  voce e credibilità a certe persone che  non sanno nulla del Diritto che forse inconsciamente calpestano con disinvoltura, senza tenere conto che dietro ad ogni delitto ci sono vittime da rispettare e imputati che vanno considerati innocenti fino al terzo grado di giudizio. Anche l’uso e l’abuso del carcere preventivo adoperato durante Tangentopoli per far parlare gli accusati, è  una forma di barbarie da condannare.  Ascoltando l’altra sera certi discorsi che rivelano una certa oscenità anche morale, ho pensato al mio amico Vittorio Chiusano che sperava , sia pure tra qualche dubbio – il dubbio dei liberali – che la Legge Vassalli avrebbe cambiato le cose. Purtroppo  non è  stato così e la musica  non cambierà mai fino a che il Parlamento non vari una vera riforma della Giustizia.
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Ius Scholae e altro 
All’indomani di un referendum in cui gli Italiani con il non voto e con il voto (ambedue strumenti ammessi dalla Costituzione che ha fissato un quorum di votanti per ritenere valido un referendum) hanno bocciato in modo massiccio l’abbassamento da 10 a 5 anni  il periodo  per l’acquisizione della cittadinanza italiana appare quasi  una boutade estiva quella dello Ius Scholae. L’acquisizione della cittadinanza attraverso la frequenza di una scuola italiana potrebbe anche essere una strada percorribile, ma oggi l’attuale opposizione è arroccata su posizioni iper-  permissive in materia di immigrazione che non consentono compromessi.
E’ chiaro che c’è gente in Italia che vuole i voti degli immigrati per ottenere una maggioranza che non ha mai realmente avuto. L’uso strumentale degli immigrati, non la loro integrazione è l’intento che muove una certa parte politica che osò far eleggere un deputato nero che ha intrallazzato in modo indecente  sulla immigrazione. Certo i diritti degli immigrati vanno riconosciuti, ma quello di voto è un’altra cosa. Io lo toglierei, come ho scritto più volte, a gran parte degli Italiani all’estero che non pagano tasse in Italia e sono ormai lontani sotto ogni punto di vista con la madre patria. Non è giusto che decidano sul futuro di un Paese che non conoscono. La stessa materia delle due cittadinanze andrebbe rivista in modo restrittivo perché il diritto di voto è una cosa seria per chi crede davvero nella democrazia partecipata.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Per Fusi sala pienissima, ma troppi assenti ingiustificati
Nella sala rossa del consiglio Comunale ho avuto il privilegio di ascoltare la sua  straordinaria orazione e quella del procuratore generale Marcello Maddalena, ma  ho avuto anche il dolore di vedere l’assenza di tutte le associazioni partigiane, dei Granatieri di Sardegna, dell’Ordine Mauriziano di cui Fusi fu presidente,  dell’Istoreto e del liceo d’Azeglio, ormai in mano a giovani turchi incredibili. Cosa ne pensa?  G. Ramella Figlio di un partigiano
Cosa vuole che ne pensi? L’andazzo dell’ oblio e degli studiati silenzi è ormai predominante. Ringrazio la presidente del Consiglio Comunale Grippo per aver voluto la commemorazione che ha presieduto fino alla fine, malgrado non stesse bene. E ringrazio gli ex consiglieri comunali presenti che sono davvero emeriti. Un solo consigliere in carica ha partecipato, l’ing. Ferrante  De Benedictis. C’è stata anche una fugace apparizione di Viale, ma poi ha capito che il tema Fusi non era per lui ed è uscito. Così si è perso del mio discorso l’incontro tra Fusi e Pannella nel 1974 al centro Pannunzio. A me è bastata la presenza di Giovanni Quaglia ex presidente della Crt ed esponente di spicco del mondo cattolico, per sentirmi  onorato e contento. Molti politici quel giovedì erano al funerale dell’ex direttore di Torino 2006 e hanno messo in secondo piano Fusi.
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(Nella foto di copertina la Sala Rossa in occasione della celebrazione in onore di Valdo Fusi, sopra e sotto altre immagini dell’evento)
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Scena muta agli orali
I casi dei quattro studenti promossi alla Maturità, malgrado la “scena muta” agli orali sono scandalosi, come vergognosi sono i giornalisti che esaltano questa nuova forma di contestazione a costo zero . E ovviamente anche la commissione che promuove senza che tutte le prove siano state affrontate, merita un biasimo sociale  evidente.
Cosa ne pensa? Loretta Galli
Penso che la Maturità vada ripensata, specie se consideriamo che già durante l’ultimo anno scolastico ci sono studenti che superano la prova di accesso a corsi universitari, di fatto vanificando le successive prove dell’Esame di Stato. Quest’ultimo è diventato un proforma con crediti per gli ultimi tre anni di frequenza scolastica, i due scritti e gli orali. Facendo la somma, si ha il voto finale, come fossimo ad un concorso di bellezza o al premio Strega. Così i due che si sono sottratti all’orale, sapendo i punteggi di ammissione e degli scritti,  hanno fatto i loro conti e hanno pensato che, avendo raggiunto la sufficienza, potevano sottrarsi alla prova orale che invece  è quella decisiva per valutare la maturità di un allievo. È infatti  nel dialogo collegiale con la commissione che si può verificare la maturità di un giovane. Le prove scritte potrebbero anche essere state copiate o non essere del tutto frutto dell’impegno dello studente. La possibilità di “contestare” la prova orale, sottraendosi all’orale in una scuola seria non può essere ammessa.  Se si contesta il sistema dei voti non si capisce perché non vengano contestati i voti dei due scritti che non sempre sono corretti in modo collegiale perché, ad esempio, una versione dal greco non può essere corretta collegialmente da una commissione in cui sono presenti persino gli insegnanti di ginnastica. Solo commissioni conformiste e pavide reagiscono alla contestazione, promuovendo oves et boves. La maturità così raggiunta è un foglio di carta e nulla di più. La valutazione complessiva dell’allievo non c’è più. È un calcolo di punteggi che può essere affidato ad una calcolatrice più che ad una commissione d’esame. Urgono provvedimenti volti ad abolire l’esame farsa o a ristabilire regole certe che giustifichino un esame vero.
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Libri e cioccolato
Al posto della libreria Luxemburg, erede della storica libreria Casanova, il proprietario dei muri Angelo Pezzana, già’ deputato radicale e fondatore del Fuori, ha pensato bene di affittare i locali a Venchi, cioccolato e gelati. Un pugno in un occhio in una piazza storica come la piazza Carignano. E nessuno dice nulla, ovviamente. Salvatore Alinovi
Se hanno ottenuto  le  licenze, c’è poco da discutere. La libreria fondata da Pezzana ha dovuto sloggiare in altri locali perché Pezzana l’aveva legittimamente venduta,  tenendosi i locali: era ormai più che ottantenne e con problemi di salute. Che una libreria diventi un negozio di cioccolato può dar fastidio, ma questo appartiene al degrado progressivo dell’immagine  della Città. Uno come Valdo Fusi non sarebbe stato zitto.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Pier Giorgio Frassati, un santo borghese – Premi e “amichettismo”- Giovanna Cattaneo Incisa della Rocchetta – Lettere

Pier Giorgio Frassati, un santo borghese
Cent’anni fa moriva Pier Giorgio Frassati (nella foto di copertina) che verrà proclamato santo in settembre dal Papa. Una figura straordinaria che, appartenendo ad una ricca ed importante famiglia piemontese, seppe farsi carico di una testimonianza cristiana autentica, fondata sull’altruismo e la  dedizione ai disagiati. Ho conosciuto la sorella Luciana Gavronska  che dedicò anni della sua vita per far conoscere il fratello morto. Spesso mi parlò di lui. Mario Soldati diede un contributo non indifferente alla causa della sua beatificazione durata troppo a lungo: i tempi del santo subito verranno tanti decenni dopo. Per Frassati fu applicata la regola dei piccoli passi. A sbloccare lo stallo fu il Papa polacco.
Jas Gavronski che  ha scritto mirabilmente dello zio, mi parlò di questo credente con i fatti e non con le parole, nato in una famiglia  in cui la religione cattolica non era certo così sentita. Il senatore Frassati, padrone de “La stampa” che  era  considerato un  miscredente se non un  framassone, fu molto impressionato dalla lezione umana e religiosa  del figlio.  Pier Giorgio fu confuso erroneamente da tanti   con i “santi sociali”  torinesi come don Bosco e il Cottolengo. La sua storia fu totalmente diversa come è facile da cogliere pensando alle opere dei due santi torinesi considerati sociali.
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Premi e “amichettismo”
Mario Pannunzio fu un critico severo dei premi letterari, compreso lo “Strega” che venne attribuito al suo amico Ennio Flaiano. Per dirla con una parola attuale molto in voga i premi si reggono sull’amichettismo e sui baratti tra case editrici . Anche sui legami politici perché certi partiti si sono infilati anche nei premi letterari. Ho assistito alla parte finale del premio 2025 naturalmente  su Rai 3 e più volte sono stato tentato di spegnere il televisore.
Più che un premio letterario sembrava quasi un comizio a molte voci, ma con temi sempre uguali, come un ossessionato antisemitismo filo palestinese. Mi era capitato in altri tempi di seguire più da vicino il premio che porta il nome del  liquore Strega, oggi quasi dimenticato. Io ho una bottiglia in casa di “Strega” e ogni volta che cerco di rifilarlo ai miei ospiti ne ottengo un rifiuto. Forse è il premio a danneggiare il buon nome del liquore. Avevo avuto anche modo di poter avere un assaggio del premio in un bellissimo paese del ponente ligure. Peccato che anche lì l’incaricata della piccola kermesse non fosse all’altezza, anche se possiede un altissimo tasso di faziosità.  Era facile con Franceschini , oggi con Giuli (che non è certo una cima) è meno facile il trionfalismo nei confronti di un premio nato da una mediocre scrittrice e dai suoi amici della domenica. Se la Bellonci si fosse dedicata alle scampagnate, forse sarebbe stato meglio.
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Giovanna Cattaneo Incisa della Rocchetta
La Marchesa – per matrimonio – Incisa della Rocchetta – che nascose il titolo nobiliare da quando entrò in politica con il PRI ,ha avuto il riconoscimento di un ricordo cittadino. Se non fosse stato per il caldo, sarei anche intervenuto: era un’amica. Il lavoro fatto per la Gam e per palazzo Madama è stato egregio, anche se non era laureata in storia dell’arte ed era una semplice appassionata.
Torino le deve essere grata. Ma come sindaco non è stata certo significativa. Venne eletta dopo la precipitosa fuga di Zanone che così diede il via al suicidio del PLI  e dovette lasciare il posto dopo pochi mesi al commissario Malpica, uomo di Scalfaro, considerato in tempi successivi responsabile di malefatte  certo non a lui attribuibili. Nei pochi mesi di governo si limitò a galleggiare. Le ambizioni dei vari Marzano e altri consiglieri e assessori non le consentirono di toccare palla.
La maggioranza si sfaldò e si tornò a nuove elezioni con un nuovo sistema elettorale che prevedeva l’elezione diretta dei sindaci. Venne eletto per dieci anni Valentino Castellani, il migliore sindaco dopo Peyron. Incisa fu rieletta  consigliera insieme a Marino e Lodi, per Marzano fu una debacle che decretò la sua fine politica, anche se poi, passando al pds, tornò  in Sala Rossa. Anche Dondona, liberale, non venne rieletto, ma tornò in Comune con Forza Italia. Forse sarebbe stata anche una brava sindaca, sia pure senza esperienza. A sostenerla fu Giorgio La Malfa paracadutato a Torino da suo padre Ugo: Donat Cattin lo definì Gesù Bambino. Anche lui come Zanone distrusse un partito, il PRI che Silvano Alessio aveva costruito. L’unica donna politica del PRI in Piemonte e non solo è stata Bianca Vetrino, sindaco di Pino torinese, consigliere regionale di tre legislature, assessore alla Sanità e Vice Presidente della Giunta Regionale. Un partito serio avrebbe dovuto portarla in Parlamento. Susanna Agnelli non aveva nulla di repubblicano se non un certo snobismo . Ma Bianca come Viglione ha sempre preferito impegnarsi in Piemonte anche come presidente del Traforo del Monte Bianco.
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LETTERE
scrivere a quaglieni @gmail.com
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Il capitano Medaglia d’oro Franco Balbis
Ho molto apprezzato a suo tempo che Lei e il gen.  Franco Odello abbiate ricordato ad Alassio con la presenza del sindaco Melgrati il capitano Medaglia d’oro Franco Balbis caduto al Martinetto sotto il fuoco dei fascisti nel 1944. Partecipai alla cerimonia più di dieci anni fa quando si scoprì la lapide per Balbis voluta da Lei e da Lelio Speranza nell’istituto salesiano dove Balbis era stato allievo. Sono passato ieri a lasciare un fiore in ricordo di un vero patriota dimenticato forse anche perché valoroso combattente ad El Alamein. Assistei però anche  ad un episodio indegno che guastò in modo irrimediabile la bella  cerimonia perché l’alfiere  della FIVL, presente alla manifestazione,  aggredi’ con male parole e con  il ricorso alla violenza fisica il comandante partigiano Lelio Speranza vice presidente nazionale della FIVL , vicino ai 90 anni. Uno dei presenti in modo incredibile disse che tra gentiluomini queste cose non si fanno ,ma l’unico gentiluomo era Speranza. Fu un episodio vergognoso a cui assistette il direttore dell’istituto salesiano e credo anche Lei ed altri. Lei si ricorda del fatto ?  G. B. Sbarbaro
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Mi ricordo del fatto increscioso a cui credo abbia anche assistito il sindaco di Alassio Canepa e altri invitati.  So anche i motivi dell’aggressione, ma evito di ricordarli. Non erano certo nobili.  L’alfiere  era un contadino un po’ troppo rustico e ruspante che non fece mai la Resistenza. Alla sua morte venne esaltato per cose che non ha mai fatto e forse non sarebbe mai stato in grado di fare. Pace all’anima sua. Certo rovinò con la sua irruenza la manifestazione per Balbis che lui sì, diede la vita per un’Italia libera. Un episodio triste  da dimenticare. L’alfiere in questione in effetti era di fatto un simpatizzante dell’ ANPI, come mi capitò di constatare nel corso di  una penosa riunione anch’essa da rimuovere a cui partecipai e in cui Speranza venne attaccato violentemente dall’ alfiere.
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L’equilibrio dei poteri
La frequenza con cui  i TAR, la Cassazione e la Consulta intervengono sull’operato del governo e delle Regioni fa pensare che i diversi  poteri dello Stato non rispettino gli equilibri stabiliti dalla Costituzione. Forse è solo un’impressione o il legislatore odierno non riesce più  a legiferare con la dovuta chiarezza e correttezza costituzionale. Lei cosa ne pensa?    Gina Resto
In poche righe è impossibile rispondere. E’ difficile non pensare che in alcuni casi ci siano pregiudizi politici piuttosto evidenti. Va altrettanto riconosciuto che non sempre il legislatore si rivela all’altezza  del suo compito. Manca in molti ministri, sottosegretari e parlamentari una cultura giuridica e questo appare altrettanto evidente. C’è gente neppure laureata al governo. Il tema nel suo insieme è  un argomento troppo incandescente per… affrontarlo con questo caldo. Rinviamo il discorso a settembre, così  avremo modo di riflettere su un punto molto delicato della nostra vita democratica.

La scuola Holden e l’oro che luccica

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Adesso capisco dopo le polemiche innescate da una ex allieva della Scuola Holden di cui è fondatore e preside Alessandro  Baricco, cosa significhi la competitività esasperata che si genera in quella scuola tra allievi aspiranti scrittori. Avevo avuto occasione di conoscerne uno che ebbi l’ingenuità di invitare a cena dopo un incontro con due amici colleghi di due importanti università italiane. Il ragazzo stette in silenzio tutta la sera, ma poi riportò i discorsi che udì a docenti nemici dei due, aggiungendo pettegolezzi suoi. Ne nacque un piccolo caso diplomatico che mi premurai di risolvere rapidamente. Quando chiesi ragione di un comportamento sleale al giovane cresciuto alla Holden egli mi disse che “oggi per sopravvivere si fa così, senza andare tanto per il sottile”. Io ingenuamente pensavo di aver fatto una cortesia ad invitare a cena con due maestri un giovane. In effetti sbagliavo perché l’ex allievo di Baricco voleva trarre un vantaggio anche da un invito a cena. Un diabolico piccolo Machiavelli in sedicesimo che allontanai dai miei rapporti. Questo episodio dimenticato mi è tornato alla mente, leggendo dell’ambientino della scuola che rilascia diplomi senza valore legale (in effetti una convenzione con il ministero la ottenne e forse essa andrebbe quanto meno rivista) con delle rette di 20mila euro.
Sono sempre stato convinto che non si possa insegnare la creatività artistica dello scrittore e in ogni caso, leggendo i nomi dei docenti, ritengo assai improbabile che il miracolo di scoprire un nuovo scrittore possa essere compiuto da una scuola che potrebbe rischiare di illudere gli ingenui ed attrarre gli ambiziosi.
Tra il resto, ho scoperto che l’autore del testo scolastico di storia che fa politica spicciola, ha anche lui frequentato la scuola Holden e certo non ha appreso la storiografia in quelle aule. Forse l’ex allieva arrabbiata per aver buttato tempo e denaro, non ha la lucidità per apprezzare la scuola frequentata. C’è anche chi dopo averla frequentata  ha fatto carriera negli uffici stampa e nella politica. Forse la scuola Holden è davvero una stella del firmamento torinese come vorrebbero farci credere. E‘ certamente un bastione di quel deprecabile sistema Torino che neppure i grillini hanno saputo o voluto  intaccare: anzi, alcuni si sono omologati  senza problemi. C’è chi ha scritto che “la scuola Holden  è una macchina commerciale che crea un ecosistema di promesse ed illusioni“. Sicuramente la studentessa che denuncia nell’anonimato sui social, può aver esagerato o addirittura può aver diffamato. Ma il polverone che ha sollevato la sua denuncia deve far riflettere sul fatto che non è sempre oro ciò che luccica.