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Lo sciopero generale in Italia è un unicum 

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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L’impresa politico – umanitaria della Flotilla si è conclusa senza danni e con una visibilità mediatica senza precedenti. I dimostranti sono stati abili nel catalizzare attorno a sé tanto interesse. Il problema di Gaza ha avuto modo di emergere come mai era accaduto prima. C’è da domandarsi perché la Cgil di Landini abbia seguito pedissequamente i Cobas nella proclamazione dello sciopero generale, diritto costituzionale che va usato con raziocinio, come seppero fare Di Vittorio e Lama e non solo loro. Le esperienze post sessantottine dell’autunno caldo furono un errore del sindacato che si lasciò assorbire irrazionalmente dal clima della contestazione studentesca. Landini che già con i  referendum falliti in modo clamoroso, aveva dimostrato la sua pochezza politica, si è appiattito sui Cobas , un precedente grave che snatura la Cgil e la sua storia. L’estremismo non è mai l’atteggiamento proprio di un grande sindacato europeo. I tempi del primo sciopero generale del 1904 sono lontani e dovrebbero essere motivo di riflessione come anche il “biennio rosso”, che finì di favorire il fascismo, dovrebbe essere un altro motivo di confronto critico. Il realismo di Palmiro Togliatti fu cosa molto diversa. Non voglio utilizzare Togliatti a fini attuali perché sarebbe scorretto ,ma un pensierino su Togliatti andrebbe fatto. Soprattutto c’è da domandarsi perché solo in Italia sia stato proclamato lo sciopero generale. La Flotilla  – dicevano -era un’ impresa internazionale, ma in nessun paese del mondo è accaduto qualcosa di simile. Perché lo sciopero generale solo in Italia? C’è già chi rievoca la maggioranza silenziosa degli anni ‘ 70 e la marcia dei 40mila. Una reazione che va  a cozzare contro la strategia di Landini, protagonista di una stagione politica che può solo favorire la destra che, malgrado i suoi error , può trarre giovamento dall’estremismo velleitario di sinistra. Anzi, uno dei motivi della tenuta elettorale della destra è proprio ascrivibile all’avventurismo politico di Landini. Gaza si difende in altri modi, contribuendo a portare la pace. Lo sciopero generale in Italia non da’ nulla ai Palestinesi. Il movimentismo della ambientalista svedese è cosa inconciliabile con le scelte di un grande sindacato (di massa  si diceva un tempo) in cui purtroppo i pensionati e non gli operai sono la maggioranza. Un sindacato che pensa di destarsi a nuova vita, affidandosi ai giovani delle scuole e dei centri sociali, ha smarrito per strada la sua funzione storica.

Manca Pannella

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Nella baraonda che può travolgerci, in cui la demagogia più imbelle ha avuto  modo di scalmanarsi dappertutto, si sente la mancanza di un vero non- violento liberale come Marco Pannella. Anche Pannella commise come tutti i suoi errori, ma Pannella riuscì a coniugare l’utopia della pace con il realismo della politica. I resti di quelli che furono  la parte deteriore del partito radicale, risalgono le valli che non avevano mai disceso limitandosi ad accodarsi ai funamboli dell’antisemitismo becero e truculento che evoca la Shoah. L’orgogliosa sicurezza non l’hanno mai avuta se non nella ricerca di scranni parlamentari sicuri. Pannella nella crisi mediorientale, lui che voleva Israele nella Eu , avrebbe saputo giocare un ruolo politico di primo piano, concreto e non ideologico. E’ stato l’uomo delle grandi visioni, l’esatto opposto dei nuovi d’annunziani di oggi che si credono eroi. Pannella avrebbe saputo dialogare  con tutti perché di fronte ad una guerra occorrono dei pacificatori, non dei personaggini da operetta.

Il suo passato e il suo coraggio gli avrebbe consentito di fare cose che altri non hanno neppure pensato: andare a Gaza a portare pace e giustizia. Ma Marco non c’è più. Per nostra sfortuna e per disgrazia di un mondo che rischia seriamente la terza guerra mondiale.

Il futuro di Israele: vincere la guerra non basta. Il pericolo di un terrorismo diffuso 

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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I nemici di Israele sono sempre stati molti. E’ un’inimicizia che che va ben oltre l’antisemitismo, se è vero che molti ebrei del passato e del presente sono contro Israele. E’ il caso di ricordare quanto è accaduto il 7 ottobre 2023 perché questo gravissimo episodio di belluina violenza  sembra essersi appannato nella memoria. Anzi, c’è chi tende a giustificare Hamas che trova interlocutori impensati.   Netanyahu  oggi è considerato un genocida e la sua appartenenza alla destra estrema  lo rende odioso ai più. La ritorsione, meglio la guerra senza quartieri che ha condotto contro Hamas, è considerata sproporzionata ai fini, anche se in materia di terrore è difficile, se non impossibile, stabilire dei limiti. Quando esso prevale, i criteri umanitari diventano labili se non inesistenti. La storia è così, sempre. Hegel parlava di essa come di un “mattatoio”. E le vicende antiche e recenti dimostrano che le guerre e in particolare certe guerre sono davvero un mattatoio. Il genocidio è stato uno solo, quello degli ebrei che Bobbio giudicava un unicum.
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La scelta del leader israeliano può oggi portare ad una vittoria militare che crea un deserto di macerie, ma rappresenterà una gravissima sconfitta politica perché il vero politico guarda al domani e agli effetti delle sue azioni. Il leader israeliano ha fallito nel punto più difficile, quello cioè di costruire la pace dopo la guerra. L’odio dei palestinesi sparsi nel mondo sarà inestinguibile e provocherà un terrorismo di dimensioni devastanti, mai vissute in precedenza. Pare comunque  strano che quelli che oggi parlano  di genocidio nei confronti della Palestina, dimentichino di ricordare il massacro con milioni di morti  della Cambogia degli  anni ‘70 del secolo scorso o quello avvenuto in Ruanda nel 1994. Laddove c’è una componente etnica, religiosa  e/o ideologica, la situazione si aggrava e l’ostilità diventa odio. Anche sconfiggere per fame il nemico ha precedenti negli assedi medievali e successivi. Anche la Germania nella prima guerra mondiale fu piegata dal taglio dei rifornimenti anche alimentari. Abbiamo vissuto dal 1945 un lungo tempo di pace. Oggi solo una minoranza esiguissima di vecchi ha vissuto le tragedie della seconda  guerra mondiale, delle città devastate dai bombardamenti e dei civili uccisi. E’ stato detto che la guerra moderna disumanizza l’uomo perché la tecnica rafforza a dismisura gli effetti delle violenze, in passato impensabili. Non è vero se non in parte, perché la ferocia nel perseguire sui i vinti è una costante.  Vae victis disse Brenno ai Romani sconfitti.  Roma rase al suolo Cartagine, ma gli esempi sono molti in ogni epoca. Il genocidio  degli Ebrei avvenne attraverso l’uso delle camere a gas, i crimini di Stalin trovarono nelle deportazioni in Siberia e nel freddo il loro strumento  di morte senza ricorso a tecnologie particolari. I bombardamenti che distrussero intere città  non possono essere dimenticati: Dresda fu distrutta senza necessità belliche, come è facile dimostrare.
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Nacquero  le organizzazioni internazionali dopo la prima e la seconda  Guerra mondiale e se Ginevra fu incapace di prevenire, l’Onu si sta rivelando un carrozzone del terzo mondo che non va oltre delle riunioni rivelatesi inutili anche per i veti che paralizzano ogni decisione . L’aggressione dell ‘ Ucraina è un’altra pagina terribile che vede risorgere l’imperialismo russo più brutale  e trova la NATO e l’Europa inadeguate e in parte responsabili nell ‘aver suscitato – se ce ne fosse stato bisogno – un panslavismo che rappresenta una costante della storia russa , rafforzata dal comunismo sovietico. Il pacifismo è una delle idee più nobili , ma spesso si rivela impotente e perfino controproducente. A mantenere la pace dopo la seconda guerra mondiale e’ stato l’equilibrio del terrore e la paura del nucleare . Le colombe picassiane hanno giustificato gli armamenti sovietici come i partigiani della pace hanno costituito un pericolo per l’ Occidente .  Il pacifismo auspica l’abolizione della guerra ed è fuor di dubbio che esso opponga un rifiuto ai miti nazionalisti che inneggiano alla guerra. Le contese internazionali – ineliminabili nella storia umana – vanno risolte per via diplomatica e non attraverso il ricorso alle armi. C’è anche chi auspica il disarmo e l’abolizione degli eserciti, ma si tratta di proposte che si sono rivelate impraticabili nella realtà . Il disarmo non dovrebbe mai essere unilaterale, ma di tutti: un’ipotesi impossibile. Paradossalmente un certo tipo di pacifismo potrebbe favorire la guerra perché la debolezza degli Stati portano altri Stati ad approfittarsene.
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Il pacifismo non sempre è il mezzo per realizzare il fine della pace.  In ogni caso il pacifismo che ricorre alla violenza appare senza il minimo dubbio una vera e propria assurdità. Se ci fosse più cultura, pagine immortali come quelle di Kant sulla pace perpetua, sarebbero più conosciute. Esse eviterebbero errori evidenti dovuti alla semplificazione manichea della storia. Kant non si avventura nei temi giuridici, ma resta nell’ambito filosofico. Kant è ben consapevole della distinzione tra politica e morale, un discorso non sempre chiaro, mentre da Machiavelli in poi il pensiero filosofico ancorato alla storia capisce che l’essere e il dover essere non coincidono  quasi mai. Gli utopisti che fanno coincidere la politica con la morale provocano danni e generano confusione  senza apportare contributi utili. C’è infine il tema della non -violenza che non va confuso con il pacifismo, come avviene oggi. La non- violenza è un metodo di lotta politica formulato da Gandhi. Non violento fu anche Martin Luther King  e in Italia Aldo Capitini e Marco Pannella. La non-violenza appare oggi  anch’essa una forma di utopia perché la violenza e l’irrazionalismo stanno travolgendo le basi stessa della convivenza civile. Lo storico Luigi Salvatorelli sosteneva l’esigenza di essere razionalisti in un mondo preda dell’irrazionalismo novecentesco.  Oggi torna questa esigenza. Almeno quella della banale razionalità.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: La violenza – Nada – Disertori di guerra e manovre elettorali -Lettere

La violenza
La violenza che ha travolto l’Italia per Gaza, può piacere a molti che vedono in essa l’inizio di quella “rivolta sociale“ che Landini non è riuscito a realizzare, mentre  adesso i sindacalisti di base stanno prendendo il sopravvento. A me liberale questa violenza che vuole bloccare il Paese , non piace affatto. La via della pace non si persegue attraverso la violenza. Vedere gente fanatica che domina le vie, sapere di presidi – pubblici ufficiali – che chiudono le scuole e impediscono agli allievi di scegliere liberamente di non partecipare al corteo mi offende come docente e come cittadino.
Ha un riflesso psicologico anche sulla mia libertà di scrivere. Non vorrei essere inconsciamente preso anch’io da una autocensura che mi è sempre stata estranea. E’ un clima irrespirabile perchè amo sempre esplicitare il mio pensiero. Non parliamo d’altro. Per fortuna che c’è anche chi parla d’altro, pure se attraverso  un   provincialismo volgare che ha “leso“ un partito, diviso su tutto, se non nella caccia allo “sporcaccione“ di turno che viola le regole della buona educazione anche nelle sedute on line dei quartieri. Figurarsi sotto le lenzuola….
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Nada
Narciso Nada avrebbe compiuto 100 anni a settembre. Sono stato il primo a scriverne sul “Corriere“. E‘ stato un grande ricercatore storico con il fiuto di  un cane da tartufi nel trovare documenti. Non ebbe la notorietà che avrebbe meritato. Era umile, mite, non impiccione, come molti colleghi. Faremo in Comune  un suo ricordo.
Walter Maturi in un suo corso cito ‘ “il nostro Nada“ per indicarne il valore giovanile. Lo rividi una volta dopo la morte della moglie più giovane di lui e anche lei docente universitaria. Era sconvolto: un uomo finito che non si lasciò andare. Ancora una lezione come ai tempi dell’ Università. Narciso, non lasceremo che ti condannino all’oblio quelli che appartengono alla cerchia di chi ti rese la vita difficile perché non la pensavi come loro: fondatore nel 1961 del Centro Gobetti con i più noti nomi della cultura, avesti il coraggio di andartene dal circolo oggi diretto da Polito. Un’altra  lezione di indipendenza di un chierico che non tradisce.
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Disertori  di guerra e manovre elettorali
Su questo giornale ho condotto la battaglia contro  la stupida  e ingiusta idea di onorare i disertori di guerra nel 2015 – 2018 per il centenario della   Grande Guerra. Adesso ritorna la stessa polemica a livello regionale in Veneto tra chi vorrebbe – anche con spese non indifferenti per la collettività regionale – restituire l’onore ai disertori di  guerra. La stessa solfa priva di fondamenti storici. Ogni guerra porta con sé mille violenze e oggi ne siamo ancora più consapevoli di ieri.
Le guerre mondiali iniziarono l’età delle stragi. Le anime candide venete che fanno baruffe elettoralistiche  sui disertori della Grande Guerra dovrebbero vergognarsi. Chi diserta è  un traditore, poi, come sempre accade, ci furono errori ed esagerazioni. Ma, per rispettare i Caduti che diedero la vita per l’Italia, c’è solo la strada del silenzio; dopo oltre cent’anni non è possibile che il silenzio solenne che viene suonato nel ricordo dei Caduti il IV novembre.
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Sgarbi
Cosa pensa della vicenda del suo amico  Sgarbi la cui figlia vuole che sia un giudice a nominare un amministratore dei suoi beni. E ‘ davvero una misera fine di un uomo che pensava di essere un nuovo d’Annunzio e dimostra la scarsa moralità della destra .
Rino Gigli
Lasci stare la moralità della destra e lasci stare d’Annunzio che credo lei non  conosca a sufficienza per giudicarlo. Sgarbi di cui non ho condiviso molte scelte, lo rispetto e gli sono solidale perché deve soffrire molto. La mia non è una solidarietà tra uomo e uomo,  ma umana. Ha avuto tre figlie forse per leggerezza, senza davvero essere desideroso di essere padre. Nessuno ha il diritto di esprimere giudizi sulla vita privata, sulla malattia e sui dolori di un uomo che è anche un grande studioso e tale resta, al di là di tutte le malvagità presenti e future. La politica deve stare lontano. Tacere e basta.
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Il salone dell’auto ritorna
Ma è mai possibile il salone dell’Auto sempre nelle stesse piazze auliche, malgrado l’incidente di piazza San Carlo? Cosa fa la Sovrintendenza per tutelare queste piazze? Il Comune pensa solo ad una ricaduta economica del Salone o al suolo pubblico per fare cassa. Teresa Nettinu
Un salone dell’auto a Torino che non è più la città dell’auto e  dopo tutte le recenti vicende anche giudiziarie  della famiglia  Agnelli – Elkann? Una famiglia che non ha più il diritto morale di vivere a Torino.  Un  salone con poco senso purtroppo. Sembra  infatti che sarà  un salone di auto prevalentemente cinesi. L’auto italiana quasi non c’è più. Neppure il Presidente della Repubblica viaggia più su una macchina italiana. Cosa voglia dire un salone a Torino oggi non so dirglielo. Torino ha il museo dell’auto. Chi lo ideò, vide lontano. Circa le piazze non ho idee precise. Certo Cioccolatò o altre feste campagnole in piazza San Carlo erano peggiori del Salone dell‘Auto nella città in cui la Fiat si è suicidata. Questa è diventata una città di camerieri, era una città di operai che producevano, malgrado i sindacati abbiamo fatto di tutto per assecondare il suicidio della Fiat.
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Il contante ti salva
Mi sono trovato con un bancomat che a fine mese aveva raggiunto il Plafond e non ho potuto pagare. Per fortuna avevo del  contante con me. Ho pensato a quei cretini che vogliono abolire il contante. Gente che non sa vivere. Giulio Castellini
Sono d’accordo con Lei. Mio padre che ha girato il mondo, mi diceva sempre di viaggiare con il contante che poteva diventare, nelle emergenze, l’unica ancora di salvezza. Mi raccontò episodi nei quali il contante rese possibile una cosa non praticabile diversamente.  La mia diretta esperienza mi porta a dire che i contanti e anche il dimenticato libretto di assegni sono utili e, a volte, indispensabili. Alcune volte  il bancomat stesso  non funziona. Chi gira solo con il bancomat e vuole comprare il gelato con la moneta elettronica non conosce la vita. E’ un poveretto, assillato da un’ unica  idea: il commerciante deve pagare le tasse. La vita è più complessa ed esige flessibilità.

L’omaggio di Quaglieni a Pertini

Un improvviso e importante accertamento diagnostico ha impedito a Pier Franco Quaglieni, storico e presidente del Centro Pannunzio, di partecipare domani all’inaugurazione del monumento a Sandro Pertini ad Alassio. L’evento, organizzato su invito del Vicesindaco Angelo Galtieri, avrebbe dovuto vederlo in prima linea per ricordare la figura del Presidente.

In un messaggio, Quaglieni ha voluto esprimere il suo profondo legame con Pertini, un uomo politico che ha avuto modo di conoscere personalmente. “Si può pensarla come si vuole, ma Pertini è stato un politico integro e coerente che ha saputo pagare sempre di persona per le sue idee socialiste, ispirate agli ideali di Matteotti e contrarie agli estremismi, i suo nome va storicizzato e liberato da un uso rituale sbagliato e da ostilità preconcetta inversamente proporzionale alla ritualità agiografica ” ha affermato.

Il Presidente della Repubblica, con la sua profonda umanità, riuscì a conquistare l’affetto popolare, diventando, a detta di Quaglieni, un “simbolo dell’Italia civile” tanto cara a Norberto Bobbio. “Può aver commesso errori come tutti i militanti appassionati,” ha aggiunto Quaglieni, ma il suo ruolo nella storia italiana rimane fondamentale.

Il ricordo personale di Quaglieni si tinge di aneddoti, come la visita di Pertini a Torino per il Museo del Risorgimento, che dimostrò un forte legame con figure storiche come Garibaldi e Mazzini, senza disprezzare Cavour e Vittorio Emanuele II. La decisione di Alassio di onorarlo con un monumento, così come quella di Torino di dedicargli l’aeroporto, è vista da Quaglieni come un giusto riconoscimento. Un tributo che, a suo avviso, avrebbe dovuto estendersi anche al ponte di Genova ricostruito.

Infine, Quaglieni ha ricordato con affetto l’amico Alfredo Biondi, che spesso lo omaggiava imitando bonariamente il Presidente, segno di un rispetto e di un’amicizia che andavano oltre le differenze politiche

La violenza non si giustifica mai. In democrazia non può trovare attenuanti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Giustificare la violenza fa tornare indietro l’Italia al biennio rosso e alle violenze fasciste. La violenza è illegittima quando si rispettano le regole della Costituzione che garantiscono i diritti di tutti i cittadini . Protestare in Italia per la Palestina, ricorrendo  alla violenza  è cosa  da rifiutare sempre.   Anche perché si rivela assolutamente inutile per affermare una qualsiasi causa, anche la migliore. Il migliore  dei fini non giustifica il mezzo violento perché ad un certo punto bisogna porsi la domanda non solo per giustificare i fini, ma anche i mezzi. Un tema molto caro a Bobbio,oggi dimenticato da molti. Un giornalista ha semplificato le cose, dicendo che i violenti in piazza sono delinquenti comuni. Questa affermazione depotenzia la denuncia contro l’uso della violenza per fini politici e finisce di ridurre un grave fenomeno politico in una  esibizione di teppismo . Chi ha vissuto Il ‘68 ricorda che il ricorso alla violenza è stato l’anticamera  del terrorismo individuale e di gruppo  . I Centri sociali non sono formati da ragazzi scaprestati, ma da gente che ritiene normale ricorrere alla violenza quasi a livello professionale. Ci sono pagine di Lenin che spiegano i rivoluzionari di mestiere. Bloccare una città, paralizzare  i porti, le stazioni, le autostrade non può essere un fatto normale, perché in democrazia la protesta non può imporre ai cittadini la paralisi della città . La democrazia oppone alla piazza il Parlamento. Chi pretende che tutti “partecipino” allo sciopero, subendo dei limiti inaccettabili alle proprie libertà, allineandosi con gli scioperanti, è un nemico della democrazia. Impedire a chi ha bisogno, ad esempio ,di un soccorso sanitario urgente  di accedervi perché le strade bloccate lo impediscono non può essere giustificato per nessun valido  motivo. E’ la fine della libertà e della civiltà. E’il ritorno all’ homo homini lupus di Hobbes. Ciò che accade a Gaza non può essere combattuto con manifestazioni  violente che danneggiano la vita civile. La violenza di Gaza non si può combattere con la violenza in Italia, danneggiando gravemente i cittadini. Lo sciopero politico è un vecchio arnese del sindacalismo rivoluzionario che sfociò nel fascismo. Questa è la verità che troppi dimenticano. E non si può non considerare che storicamente la violenza genera  sempre altra violenza. La pace non si può imporre con la violenza di piazza. La pace è un valore  in totale contrasto con la violenza. Pannella digiunava per protestare , rischiando la propria vita. Chi incendia e distrugge non produce mai effetti  positivi. Il dissenso va totalmente disgiunto dal ricordo alla violenza. Giustificarla magari anche solo sotto voce appare un gravissimo errore che determina odio incendiario con effetti solo ed esclusivamente negativi. Di fronte alla delinquenza politica, per assurdo, potrei capire, senza  giustificarla, la delinquenza comune, ma  rifiuto una qualsivoglia indulgenza per quella di matrice politica e ideologica perchè essa lede la società nel suo insieme e non dei singoli danneggiati nei loro averi o nella loro incolumità. Stiamo attenti perché ieri siamo entrati in un clima che può uccidere la convivenza civile garantita dalla Costituzione.

In copertina foto archivio

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: XX settembre ed IMI – Un’Italia sempre più  illiberale – Lettere

XX settembre ed IMI
Per avere un ‘idea dello stato confusionale in cui è precipitata  l’Italia è sufficiente leggere sul “ Corriere della sera“, liquidata in poche righe ,la notizia  della istituzione della giornata dell’internato militare fissata il 20 settembre. È  stato un voto unanime del Parlamento ad istituire l’ennesima giornata. Appare un errore marchiano aver  dimenticato l’altro XX settembre, quello del 1870, che ricorda la Breccia di Porta Pia e Roma capitale, per far  coincidere due temi storici nello stesso giorno che non hanno nulla di simile. Anzi l’ultimo cancellerà quello dell’800 così indigesto ai clericali di ogni tempo. Ho scritto molto  ed ho battagliato per anni perché gli Imi, gli internati militari italiani,  avessero il dovuto riconoscimento per decine d’anni  loro negato soprattutto dai comunisti che vedevano nei soldati del Regio Esercito fedeli al giuramento dei “badogliani“, termine coniato da Hitler e dalla Rsi.  Ma dedicare loro una giornata resta anche un  grave errore se si pensa che in questo modo si mette in disparte  dalla giornata della memoria e dallo stesso  25 aprile il ricordo di chi si oppose ai tedeschi e fu loro prigioniero. Solo gente superficiale e digiuna di storia può farsi promotrice una giornata che cancella una data molto importante del Risorgimento e toglie spazio agli IMI nelle suddette date del 27 gennaio e del 25 aprile. Gli Imi furono dimenticati  per decine d’anni dalle feste della Liberazione perché gli Imi portavano le stellette.
Posso testimoniare che certi miei discorsi il 25 aprile diedero fastidio all’ Anpi perché parlai di IMI. Non si riesce a risalire ai deputati proponenti, se non l’ex grillina Castelli ,perché apparve subito un unanimismo sospetto su un terreno  pur ancora altamente  divisivo. Chi non ha colto l’errore di data che oscura il XX settembre risorgimentale  è indiscutibilmente un ignorante. Lo Stato laico fondato sul separatismo cavouriano tra Stato e Chiesa nacque dalla breccia dei bersaglieri a Porta  Pia che segnò  la fine del potere temporale della Chiesa e fu l’atto sul quale poggiò la Legge delle Guarentigie che attuò il “Libera Chiesa in libero Stato“, a sua volta fondato sulle leggi Siccardi che abolirono i privilegi ecclesiastici nel regno di Sardegna nel 1850.  Che oggi l’intero parlamento dimentichi la storia d’Italia riempie di amarezza e  anche di indignazione. L’internato militare Giovannino Guareschi che amava il Risorgimento e si identificava nel vecchio tricolore con lo scudo sabaudo, sarebbe il primo ad indignarsi di una classe politica che legifera senza conoscere la storia.
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Un’Italia sempre più  illiberale
Un paese che sta vivendo certi fatti senza reagire, è  un paese che non merita rispetto e che spiega perché Giuseppe Prezzolini si definisse anti- italiano  e parlasse di “porca Italia”. Un paese in cui i professori universitari vengono aggrediti o addirittura rimossi per le loro idee politiche è un paese sudamericano.
Un paese in cui si vuole imporre a colpi di probiviri codici linguistici politicamente corretti , è un paese che allontana le donne e gli uomini liberi dalla militanza obbediente a gente ossessiva e ossessionata che è profondamente antidemocratica. Uno dei tanti motivi che ha portato a disertare il voto. Un paese in cui, a furor di popolo, si richiede la rimozione di un giudice per una sentenza che viene considerata sbagliata ed è stata  subito appellata ,e ‘ una repubblica delle banane in cui il diritto e le sue regole  più elementari sono alla mercé delle nuove tricoteuses del terzo millennio, del tutto  simili a quelle che si godevano  tra gli schiamazzi il macabro spettacolo della ghigliottina. Questo è diventato un paese illiberale  in cui bisogna  misurare le parole per poi scegliere il silenzio, imposto dalla prudenza che è cosa più grave del conformismo. Le frasi urlate  in certi cortei fanno rabbrividire e sono tutto fuorché pacifiste. Questo andazzo  è qualcosa di molto simile al fascismo con la sola differenza che il manganello non è più quello di legno , ma quello mediatico. Se pensiamo che a Cristina Seymandi c’è chi imputa, con linguaggio irridente,  come una colpa il fatto di aver subito una violenta aggressione registrata in diretta, si ha un esempio del clima irrespirabile. A tutto questo si deve aggiungere un clima che induce le persone sensate  a pensare al pericolo ineludibile di una guerra imminente. Siamo nelle mani di politicanti incapaci ed improvvisati che ci stanno portando alla catastrofe. Non escluderei nessuno perché i grandi e i piccoli della terra stanno facendo a gara nel dare il peggio di sé.
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Lettori e lettrici
Il circolo dei lettori e delle lettrici (nuova dizione in linea con la nuova parità di genere) riprende alla grande con interviste ed  articoli  prettamente politici anche sull’insediamento del ministero della cultura al suo interno. Mi sembra un segnale non da poco del nuovo Min.Cul.Pop. che sta insediandosi anche  nella cultura torinese. Il cugino del brigatista rosso  Culicchia che adesso celebra il  giovane missino ammazzato è la sintesi del nuovo corso. Il Circolo dei lettori fondato da Antonella Parigi e da Gianni Oliva  è diventato il crocevia di evidenti risvolti politici. La cultura come pluralismo è ormai  cosa lontana. La destra si rivela  faziosa come la sinistra. Vilma Giubetti
Culicchia si è appena insediato. Prima di giudicarlo, lasciamolo lavorare. Poi daremo un giudizio. Che qua e là ci sia aria da Min.Cul.Pop. mi pare un ‘osservazione non infondata: è un pericolo grave a cui sarà doveroso opporsi.
I due Franceschi
Ho letto che sia Barbero sia Cazzullo si sono cimentati con due libri su San Francesco. Cosa ne pensa?     Bianca Mastrangeli
Io mi occupo di storia contemporanea e risorgimentale , non ho fatto all’Università neppure un esame di storia medievale. Quindi non ho  la competenza per giudicare. A grandi linee le posso dire che questa volta Barbero ha scritto un libro stando nell’ambito  temporale di sua competenza . Cazzullo è un giornalista di successo  che scrive anche  di storia. Forse ambisce ad essere un nuovo Montanelli. Tutti e due gli autori sono bravi divulgatori e quindi non sono sicuramente libri noiosi. Su San Francesco lessi in passato libri autorevoli e non credo ci siano motivi per una revisione storiografica. Il nome Francesco è tornato di moda per il pontificato di Papa Bergoglio. Ed è sull’onda di Bergoglio che i due libri avranno successo.  Franco Cardini si è cimentato su San Francesco con ottimi risultati. Il pericolo è di cadere consciamente o inconsciamente nelle agiografie, una tentazione sempre in agguato per chi scriva di Santi.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I morti buoni e quelli cattivi – Il caos – L’ incomunicabilità – Lettere

I morti buoni e quelli cattivi
Il prof. Odifreddi è un personaggio molto considerato da certi ambienti per le sue battute fulminanti che rivelano una vis polemica davvero eccezionale in un matematico e uomo di scienza come egli si considera ed è considerato. Con lui ebbi un animato dibattito sulla laicità e il laicismo in relazione a Giordano Bruno. Le sue posizioni rozzamente anticlericali impedirono di proseguire nel confronto di idee che stava finendo  nel battutismo da osteria. In questi giorni è  tornato alla ribalta, parlando dell’uccisione di Charlie Kirk, attivista del partito di Trump.
Infatti ha di fatto giustificato l’uccisione in base alle idee politiche del morto, dicendo cinicamente che “chi semina vento raccoglie tempesta“. Per Odifreddi forse esistono i morti buoni e quelli cattivi e la violenza contro la destra è cosa diversa di quella contro la sinistra. Ecco un modo illiberale di concepire la lotta  politica, giustificando la morte di chi non la pensa come noi. Voltaire diceva che avrebbe lottato fino alla morte per garantire la libertà di esprimere idee contrastanti con le sue. Odifreddi sembrerebbe giustificare chi uccide in base alla diversità di concezione politica. E’ una versione della violenza propria dei  giacobini francesi  e dei rivoluzionari comunisti russi, riproposta nel 2025 . Meriterebbe un Nobel. Magari per la scienza come venne dato quello per la letteratura a Fo, repubblichino della X Mas  di Salò, diventato fiancheggiatore dei terroristi rossi.
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Il caos

Tutte le riflessioni che abbiamo letto o ascoltato nei mesi scorsi sulla situazione internazionale e sulle due guerre che dividono il mondo, si stanno rivelando miopi e parziali. Anche i politici di tutti i colori rivelano la loro inadeguatezza. Siamo tutti dipendenti dal presidente russo e dal premier israeliano che si rivelano del tutto insensibili ad ogni tentativo di mediazione e ad ogni richiamo al buon senso. Vogliono perseguire i loro fini anche a costo di distruggere in modo irreversibile ogni speranza di pace. Israele si sta rivelando responsabile involontario  di un antisemitismo che ha raggiunto livelli mai visti e che può riarmare la mano al terrorismo internazionale. La parola pace appare una parola sconosciuta al premier israeliano che sopravvive al carcere solo facendo sopravvivere la guerra ad oltranza . Putin minaccia quello che resta dell’Europa, consapevole di trovare una Eu ormai sfilacciata, guidata da gente impreparata e incapace. L’Europa vuole riconoscere uno Stato che non esiste, la Palestina, invece di  tentare di assumere decisioni volte a indurre a più miti consigli Putin

 

Non saranno i soldati polacchi schierati al confine  che potranno intimorire lo Zar. In tutto questo quadro di sfacelo appare l’inettitudine di Trump che tace dopo aver detto idiozie  politiche velleitarie per mesi. Trump in poco tempo è riuscito a ridurre la potenza americana e ogni credibilità politica del presidente. Siamo davvero immersi in una condizione che può portare alla terza guerra mondiale e all’uso dell’atomica. Noi cittadini non possiamo far nulla, a parte i fantasiosi  che si sono imbarcati con Greta e potrebbero creare altre tensioni e altri disastri con la scusa di una finalità umanitaria che maschera il vero intento della propaganda politica . I nostri governi europei sono  al limite. Forse solo Italia e Germania hanno mantenuto un briciolo di coerenza . La Francia dopo il velleitarismo internazionale di Macron ha rivelato una situazione disastrosa in tutti i sensi , per non parlare della Spagna.

Esistono solo politicanti , gli statisti appartengono al passato. Questo è il nostro dramma che può diventare il dramma del mondo. Non illudiamoci: stiamo correndo verso il disastro della guerra. Chi conosce la storia sa cosa accadde nel ‘14 e nel ‘39. Allora la situazione era migliore di quella di oggi. Le diplomazie internazionali non esistono e l’unico linguaggio percepito è quello delle armi.

P.S.
Potrebbe sembrare una grave disattenzione non avere nominato l’Ucraina in questa  pur breve  riflessione. In effetti nel mio ragionamento l’Ucraina mi è apparsa irrilevante: un vaso  di coccio tra vasi di metallo , nessuno dei quali pregiato.

L’Ucraina è stata aggredita, su questo non ci può essere discussione, ma le responsabilità ricadono oltre che sull’aggressore Putin anche sulla NATO  e sull’Europa. E ci sono anche responsabilità evidenti  di Zelensky, rivelatosi del tutto inadeguato. Una parte nella vicenda ha avuto anche il presidente democratico  Biden, responsabile di una instabilità mondiale di cui noi vediamo oggi gli esiti estremi.

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L’ incomunicabilità

C’è sempre stata una certa difficoltà a mantenere un rapporto positivo tra vecchi e giovani, tra generazioni passate e presenti. Restano a testimoniare questa difficoltà gli antichi scrittori greci e latini e tanti altri tra cui Goldoni. Oggi questa difficoltà non è solo sostanziata di gusti diversi, modi di vita anche opposti, spiegabili con il mutare della società. Oggi l‘ incomunicabilità è dovuta anche ad ignoranza: i giovani non sanno la storia del passato, la scuola non li prepara e loro non hanno interesse a sapere. Lasciamo immaginare la confusione che regna nei cervelli di chi pensa di vivere in un eterno presente. Neppure la famiglia supplisce in molti casi ai vuoti. E’ naturale quindi che essi siano preda di chiunque sappia facilmente convincerli a passare dalla loro parte.
In questo caso il dogmatismo ne è la naturale conseguenza perché non c’è la possibilità di confrontare idee e tesi diverse. Benedetto Croce diceva che il problema dei giovani è quello di crescere, ma oggi non basta più. Dopo un po’ di anni nel corso dei quali non ho più avuto occasione di parlare con i giovani come facevo quando insegnavo ,ho provato ad avviare una conversazione e ho notato che la difficoltà a capirsi è aumentata. Chissà quanti sono i lettori giovani che mi leggono? E cosa pensano?
Cerco sempre di non dare per scontato nulla, ma temo che forse il dialogo risulterebbe difficile. Non basta a spiegare il fatto che io sia vecchio. Credo che il fatto di uscire da una certa scuola sia determinante. Mi è capitato tante volte di capire come molti argomenti fossero ignorati dai giovani. La preparazione di un liceo è poco più di quella di una scuola media del passato, mi dicono esperti a cui non è possibile non dar credito. Pensiamo cosa accade per un ex alunno di un istituto professionale… Senza un ponte tra generazioni un Paese non puo’ sopravvivere. Faccio un esempi: l’amor di Patria. Per molti giovani è una parolaccia nazionalista, per i loro nonni significa la guerra , per la mia generazione un qualcosa di vecchio e di impolverato. Eppure è un sentimento di cui parlavano già i Greci e i Romani. Se non riusciamo a colmare il fossato che ci divide, a venire meno è il concetto di popolo. Ma queste sono cose che annoiano i giovani che a volte non provano più neanche i legami del sangue. Un mio amico è stato per mesi ricoverato ed ha rischiato la vita: l’unico nipote non è passato neppure una volta in ospedale. Il giovane ha considerato l’episodio la cosa più normale.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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La scuola ha riaperto

Ho letto le cronache dei giornali sull’apertura delle scuole che partono male senza avere gli organici a posto. Ho letto anche alcune dichiarazioni di dirigenti scolastici quanto meno discutibili. Anche sui telefonini vietati c’è stato chi come il d’Azeglio che ha voluto fare di testa sua, ovviamente una testa antifascista.
Cosa ne pensa? Giulia Finetti

 

Innanzi tutto un titolo di un giornale appare davvero incredibile: “ A scuola non si formano soldati “. Rifarsi all’Ottocento appare assurdo ed esprimerlo in un discorso è una ovvietà talmente evidente che stupisce che l’autore di questa pensata stravagante  sia un dirigente ministeriale. A meno che pensi alla guerra futura. Ma c’è un’altra perla: “Fare errori è  necessario per apprendere“. Una vera sciocchezza. Per apprendere non è obbligatorio commettere errori. E’ un giustificazionismo insensato e demagogico perché è da escludere, penso, un riferimento troppo colto  a Popper che vedeva nell’errore un fatto positivo per l’acquisizione della verità. Poi c’è il “d’Azeglio“ che vuole distinguersi  ad ogni costo, non ritirando i cellulari agli studenti, ma facendo appello alla loro responsabilità. Ultimo aspetto  non da poco: aprire l’anno con atti formali di ossequio alla Palestina. Non escluderei che qualche bandiera sia stata issata in classe da qualche professore orfano dell’eterno ‘68 o da qualche allievo/a che ama sfilare ed occupare pro Palestina.

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Cefalonia e Corfù
Ho visto su Rai Storia la trasmissione su Cefalonia e Corfù e l’eccidio dei soldati italiani nel 1943. Curatore era il prof.  Alessandro Barbero che ha introdotto e concluso il documentario. Ho notato che lo storico, turbato in modo evidente anche nel volto e nel linguaggio, ha dato un esempio di come non debba essere lo storico il cui compito non è quello di piangere e indignarsi, ma quello di capire i fatti. Sarebbe comprensibile, ma comunque sbagliato, se Barbero avesse avuto il padre ucciso dai Tedeschi a Cefalonia. Mio nipote che ha assistito con me alla introduzione di Barbero non ha assolutamente capito il tono indignato adoperato. ( …)  A. G. Alberetti ved. Dondo
Ho un po’ tagliato di proposito la Sua lettera perché non voglio avere guai con Barbero. Certo lo storico di Vercelli non è Bloch e neppure Chabod.  E’ un divulgatore televisivo che partecipa emotivamente di quello che dice perché forse il copione lo impone. Lo storico deve invece essere “freddo“ e  distaccato.  Io ho sempre insistito con i miei studenti su questa scelta addirittura preliminare alla  stessa ricerca storica. Ho visto anch’io una parte del documentario che consciamente o inconsciamente smonta la retorica creatasi attorno alla Divisione Acqui e al generale Gandin trucidati dai tedeschi. In effetti Gandin si rivelò tentennante sul  l’arrendersi ai tedeschi o combatterli. Fu un comandante indeciso che addirittura indisse una specie di referendum tra i suoi soldati. Occorre una rilettura critica e non mitizzata di quella storia. E’ vero che furono trucidati o deportati in Germania, ma è difficile sostenere storicamente che a Cefalonia nacque la Resistenza. Chi lo afferma ha un’idea molto approssimativa  dell’idea stessa  di Resistenza.  Rendiamo onore ai soldati caduti, ma essi  caddero trucidati dai tedeschi dopo una battaglia in cui gli Italiani tentarono di tenere testa ai tedeschi. Gli Italiani erano circa 13mila e i tedeschi poco più di 3mila, anche se molto meglio armati . Questo elemento deve far riflettere.  La storia deve prevalere sulle letture partigiane e mitologiche anche a riguardo del dramma di Cefalonia e Corfù, isole cariche di storia italiana per molti secoli, una storia ovviamente  irrisa da Barbero. La Resistenza italiana nacque  già nel 1943 nel Nord Italia con la formazione delle prime bande partigiane comandate da tanti ufficiali dell’Esercito che nel Regno del Sud ebbe nuova vita combattendo nella Guerra di Liberazione. Quello che accadde nelle isole greche va valutato e compreso perché i comandanti rimasero senza ordini. Se Gandin non fu all’altezza, i veri responsabili dello sbandamento  italiano furono Badoglio e Roatta che tra il 25 luglio e l’8 settembre non furono in grado di traghettare l’Italia in modo adeguato. Come ho ricordato recentemente, solo il maresciallo Caviglia sarebbe forse stato in grado di affrontare una situazione gravemente compromessa. Fu già un miracolo mantenere la continuità dello Stato con il trasferimento al Sud che fu precipitoso come una fuga ,ma ebbe delle ragioni motivate che  non consentirono  altre scelte.
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I Comuni e le commemorazioni
Ho letto  che al consiglio comunale di Lodi è stato commemorato Charlie Kirk. Mi sembra incredibile che i consigli comunali perdano tempo per commemorare persone del tutto estranee alla vita e alla storia di Lodi e dei Lodigiani. Arturo Actis Grosso
Non deve stupirsi, stiamo tornando ai tempi in cui i consigli comunali votano mozioni e ordini del giorno pro Palestina e contro Israele, come sul Viet Nam e contro gli USA negli Anni 60. Tutti i consiglieri comunali si sentono deputati come tutti i naviganti di Flotilla si sentano personaggi storici. E‘ il segno dei tempi burrascosi che viviamo. E’ comunque  meglio che i consigli perdano tempo a ricordare e a commemorare piuttosto che ad applaudire  le decisioni del podestà. Poi ci saranno anche le cittadinanze onorarie e tante altre corbellerie. Anzi stanno già arrivando.

Frassati oscurato

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Pier Franco Quaglieni

Sembra quasi incredibile che nella giornata della sua  proclamazione San Pier Giorgio Frassati sia stato oscurato dai giornalisti cartacei e televisivi. Nell’articolo di Giovanna Maria  Fagnani  (che pubblichiamo) appare evidente l’interesse esclusivo  dimostrato per Acutis. Se si guarda il trafiletto nella stessa pagina  dedicato a Frassati con il titolo tra l’altro sbagliato “L’altro beato” si vede a occhio nudo una offensiva e ingiustificata marginalizzazione del tutto insensata. Infatti Frassati venne proclamato beato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II e ieri è stato proclamato santo da Papa Leone XIV. Sul Tg3 il servizio  sulla proclamazione in piazza San Pietro ha avuto un ampio seguito di interviste ai famigliari e amici di Acutis, ignorando totalmente la famiglia Frassati Gawronski.

Se penso all’impegno della sorella di Pier Giorgio, la principessa Luciana Gawronska, posso immaginare cosa potrebbe dire di questo giornalismo, lei figlia del fondatore de “La stampa“ e impegnata a sostegno della causa di beatificazione del fratello. E’ sicuramente facile scrivere di un ragazzo morto  appena 15 anni fa , richiede invece  cultura storica scrivere di Frassati, anche se i libri scritti su di lui sono numerosi ed importanti; molti giornalisti oggi sono pigri e incolti e non sono neppure  in grado di cogliere la grandezza di Frassati.
Persino nella  edizione  di Biella della “Stampa“ (Frassati andava d’estate a Pollone) hanno dato il giusto risalto ad una notizia che i biellesi attendevano da decenni. Non hanno fatto scrivere gli storici e gli amici della famiglia che conoscono l’argomento, ma si sono affidati a cronisti che non hanno saputo o voluto documentarsi almeno intervistando gli studiosi che sanno.
Questo silenzio minimalista attorno a Frassati è un  segno della decadenza dei tempi. Il fatto stesso che di fronte alla presenza del Presidente della Repubblica il Governo si sia fatto rappresentare da un sottosegretario è un altro elemento che induce al pessimismo. Mi è spiaciuto di non aver potuto onorare l’invito ad assistere alla cerimonia in piazza San Pietro, ma  ho cercato di scrivere  più articoli volti a far conoscere la figura poliedrica di Frassati, davvero un esempio importante per i giovani, neppure lontanamente confrontabile con il  nuovo santo quindicenne che  quasi scompare se  pensiamo a San Domenico Savio, allievo di Don Bosco. L’ idea pubblicitaria e quasi blasfema del “Santo subito“ si è dimostrata non priva di mitizzazioni fuori luogo.  La vox populi non coincide automaticamente con la vox Dei.
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P.S .Molto intelligentemente la segretaria del Pd Schlein alla festa torinese  dell’”Unità“ ha ricordato ieri  Pier Giorgio Frassati,dimostrando, in verità, di non conoscerlo o, meglio, di  volerlo arruolare  dalla sua parte, una cosa davvero impossibile, specie se contiamo che morì cent’anni fa. Forse aveva letto l’articolo di “Repubblica” che accostava Frassati a Gobetti che sicuramente oggi sarebbe un militante del Pd.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Finalmente Santo – D’Alema cinese – La cultura tra Liguria e Piemonte – Lettere

Finalmente Santo
Il Papa Leone XIV proclamerà oggi santo Pier Giorgio Frassati (nella foto di copertina),  figlio del senatore giolittiano Alfredo,  forse in odore di massoneria , ma sicuramente laicissimo e quasi incapace di comprendere a pieno la santità di suo figlio che pure viveva nella sua stessa casa di Corso Galileo Ferraris e nella villa materna di Pollone. Ho letto con interesse un bell’articolo dell’amico Bruno Quaranta che, ricordando il giovane Frassati, lo collega idealmente a Gobetti per il comune antifascismo. E’ certo che Sturzo scrisse per Gobetti ed è certo che Frassati sia stato iscritto al partito popolare di Don Sturzo ,ma stento a vedere altre affinità perché Frassati era uomo di fede , portato ad esempio dai suoi professori gesuiti del “Sociale“. E’ una fede totale, direi assoluta come una volta la definì la sorella Luciana che io conobbi e i cui libri tanto hanno aiutato a far conoscere il fratello,  che ebbe una lunga e travagliata causa di beatificazione. Tante volte uno dei miei più cari ed autorevoli amici, Jas Gawronski ,mi ha parlato dello straordinario zio. Si ricordava anche Papa Francesco di Frassati perché suo padre era nell’Azione Cattolica torinese insieme a Pier Giorgio. Non vedo affinità politiche tra i due torinesi e anche affinità intellettuali perché Gobetti, oltre ad essere un agitatore politico (oggi si definirebbe un  attivista), era un uomo di cultura e un editore, mentre Frassati si era iscritto al Politecnico ad ingegneria mineraria per poter aiutare in concreto una delle categorie di operai più disagiata, quella appunto dei minatori.
Difficile appaiare insieme il figlio di un droghiere e il figlio di un grande imprenditore di successo. Appartenevano a due Torino diversissime, se non addirittura antitetiche. Forse l’unica cosa che potrebbe apparentemente accomunarli è l’allontanarsi dal liberalismo paterno del santo per il popolarismo e l’allontanarsi dal liberalismo confuso  per un rapporto sempre più stretto con Gramsci e i comunisti da parte  di Gobetti che fu ferocemente antigiolittiano. Einaudi scrisse che Gobetti faceva l’amore con i comunisti. Ritengo che si possa dire con certezza storica che Frassati non abbia mai avuto ubriacature ideologiche per la rivoluzione bolscevica che Gobetti considerò liberale. Il cristianesimo integrale di Frassati non poteva neppure lontanamente confondere il pensiero sociale della Chiesa con cedimenti verso il comunismo del biennio rosso torinese. Il suo amore cristiano senza confini  era l’esatto opposto dell’odio di classe.  Mi è molto piaciuta la biografia di Frassati pubblicata nel 2025  da  Luca Rolandi  che  va oltre a quella del ciellino don Primo Soldi. Si può dissentire da alcune sue affermazioni ,ma non si può non cogliere  il valore storico innovativo dell’opera.
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D’Alema cinese
Per una volta sono d’accordo con Carlo Calenda che ha definito una “schifezza al livello di Salvini” l’apparizione di D’Alema in piazza Tien Ammen (quella dei massacri di studenti!) insieme al leader cinese, a Putin, Kim Jong Un. L’ex premier italiano ha motivato la sua presenza in Cina come un auspicio di pace.
Conobbi D’Alema quando moderai alla Festa dell’”Avanti !“ un dibattito tra lui e Giuliano Amato. Debbo confessare che sotto sotto parteggiavo per Amato, ma dovetti  constatare che l’abilità dialettica del leader comunista si rivelò molto superiore. Fu poi un deludente segretario di partito e un presidente del Consiglio che preparò la strada per il ritorno di Berlusconi. Poi venne rottamato da Renzi e non riuscì più a rimontare la china del tramonto. Qualche volta se ne esce fuori con dichiarazioni balzane e neppure più il suo vino e le sue scarpe fatte su misura hanno  un grande interesse. Il fatto di essere andato in Cina a perorare la pace, appare davvero come la fine politica  di un uomo anziano che non “va in Cina per affari di famiglia “,come diceva una vecchia canzoncina, ma per motivi internazionali. Incredibile.
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La cultura tra Liguria e Piemonte
 Con un’amministrazione civica come quella di Sanremo che è molto faziosa non solo  nelle sue scelte culturali, la stagione di conferenze del Casinò potrebbe essere una forma di  sicuro bilanciamento, anche se  essa si macchiò dell’infamia  di aver invitato  il “conte“ Licio Gelli, capo della loggia coperta P2, losco affarista e mandante di stragi che hanno  cercato di minare la Repubblica, come quella infame della stazione di Bologna. Il bassissimo livello anche quest’anno degli invitati a parlare  che appaiono inamovibili e sono  frutto di scelte discrezionali molto  superficiali e stantie , minano la credibilità dell’evento sanremese. Una piccola – fisicamente molto esile – professoressa che insegna a Sanremo -anche con la scusa del Premio Strega, di cui si ritiene “esclusivista“ nel Ponente ligure, è un altro protagonista, egocentrica e faziosa, della piazza sanremese dove ha invitato in pompa magna- udite udite!- Scurati. Per non parlare dell’ Istituto internazionale di studi liguri di Bordighera, la nobile e importante creazione di Lamboglia e Costa,  succubo delle scelte sinistre di una sua animatrice. Il Ponente è davvero malmesso, se aggiungiamo che  ad Alassio hanno portato in trionfo il faziosissimo conduttore di “Report “e hanno rimesso in circolazione un vecchio giornalista e piccolo scrittore, quintessenza della bolsa retorica  che De De Felice chiamava  vulgata.
Antica veduta di Genova

 

Quando a Torino ci si lamenta di circoli e circoletti che si sono impossessati del Salone (sedicente) internazionale del Libro, non ci rendiamo conto di cosa succede nella vicina Liguria che non è più  quella di Montale, Sbarbaro, Calvino, Seborga, Betocchi , ma è quella dei nipotini mediocrissimi di Nico Orengo, specializzato nelle acciughe fritte.  Nel Ponente esiste ad Andora un luogo straordinario nello storico Palazzo Tagliaferro  – un vero  Pireo di libere idee -, esistono biblioteche come quella di Laigueglia e fondazioni importanti come la Oddi di Albenga. Ma esse sono l’eccezione che conferma la regola , se per trovare un luogo aperto al dibattito vero  bisogna rivolgersi al parco della clinica San Michele  di Albenga dove un uomo di scienza e cultura promuove “cultura e garantisce salute “ in una forma moderna di “mens sana in corpore sano“ che droghe e psicofarmaci di tanti cosiddetti intellettuali hanno reso una frase latina priva di significato. La cultura da  assessorato ,come definii quella del settario Giorgio  Balmas, primo amministratore comunista – neppure laureato- dedito a partire dal 1975  per un intero decennio   ad egemonizzare la cultura torinese, appiattendola sul gramscismo, in fondo è rimasta un esempio, con la differenza che Balmas, senza studi regolari in campo musicale, come più volte ebbe a sottolineare Massimo Mila,inventò “Settembre musica”, oggi diventato Mito che privilegia Milano e mette in ombra Torino. L’assessora odierna Purchia, che proviene dal San Carlo di Napoli, si è rivelata poco adeguata e fa quasi rimpiangere il limitatissimo Fiorenzo Alfieri molto attivo soprattutto quando era affiancato dal capo gabinetto del Sindaco Cigliuti  che lo corresse più volte. Purchia è una specie di araba fenice introvabile, se non vogliamo ripetere i vetusti versi del Marino. Non usa neppure rispondere alle lettere e non interviene  nelle manifestazioni ufficiali in cui nella Sala Rossa si ricorda Valdo Fusi che forse per lei è un signor nessuno.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Emilio Fede
Mi sembra incredibile lo spazio dedicato ad Emilio Fede in occasione della sua morte. L’uomo e il giornalista non lo meritavano.  Filippo Ferro

Condivido il suo giudizio. Il suo fu un giornalismo caricaturale che adesso viene ricordato con grandi articoli da giornali avversari. Hanno ragione ad elogiarlo perché ha contribuito all’insuccesso di Silvio Berlusconi nel modo peggiore, cioè ostentando un fanatismo settario che finiva nel ridicolo. Fu un intrattenitore televisivo come Funari, quasi mai un giornalista. In Rai ebbe la carriera spianata dal suocero vicepresidente Rai a vita Italo De Feo. Il vizio del giuoco fu un altro dei suoi limiti. Imploriamo anche per lui la pace cristiana, ma la sua figura dimostra che Tolstoj quando sosteneva che tutti i morti sono belli, sbagliava. La sua tragica fine a 94 anni in una Rsu suscita pena , ma non puo’ giustificare gli elogi . Berlusconi subì un grave danno da un palafreniere così  imbarazzante.

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La farsa di Racconigi
Era previsto un piccolo convegno a Racconigi, dove nacque nel 1904, su “Umberto di Savoia luogotenente del Regno”. Dovevano partecipare il principe Emanuele Filiberto e lo storico saluzzese Mola. Sulla locandina è apparso per il principe  l’appellativo di “capo della Casa di Savoia” che ha provocato l’immediata rinuncia dell’ottuagenario Mola che parteggia per gli Aosta. Aveva ragione Lei a dire che si tratta di un’operetta, non certo morale come quelle di Leopardi, ma di  uno spettacolo di vedove allegre e conti di Lussemburgo  in voga nella Belle Epoque. Giulio Quaglia


La notizia non merita attenzione. C’è da stupirsi che il Comune di Racconigi si lasci intrappolare in questioni del tutto irrilevanti.  La nobile figura di Re Umberto II che io ricordai a Racconigi nel 2023, deve restare fuori dalle beghe che definire dinastiche appare fin troppo generoso.

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La ferrovia nel Ponente: no al raddoppio!

I lavori per raddoppiare la ferrovia litoranea nel Ponente sembra che stiano per riprendere perché Salvini ha fatto un’altra scelta sbagliata, in questo caso seguendo i suoi predecessori . Arretrare a monte la ferrovia ,eliminando le attuali stazioni nel centro delle città, è un gravissimo errore che penalizzerà la ferrovia e incentiverà l’auto. So che lei da anni si batte contro il raddoppio fatto a spese degli utenti!  Raffaele Delfino

Concordo con lei: una scelta scellerata che ha danneggiato le località già interessate dal raddoppio. Andare in treno a Sanremo è un problema perché la stazione è totalmente periferica quasi fosse un aeroporto. Il raddoppio tra Finale Ligure e Andora avrà un impatto ancora peggiore. La tratta di 32 chilometri sarà in galleria per 25.  Il risparmio di tempo previsto tra Genova e Ventimiglia è di circa mezz’ora, un vantaggio poco significativo. Ovviamente il percorso in galleria annullerebbe la possibilità di vedere i paesaggi e il mare liguri. Sparirebbero del tutto le stazioni  di Laigueglia, Ceriale e Borgio. Andrebbero molto lontano dal centro quella di Albenga  e le fermate (senza più stazione) di Loano, (a 5 chilometri dal centro !) e Pietra, per non parlare della sotterranea di Alassio
Un’alternativa al progetto fatto proprio da Salvini c’è ed è quella di correggere e modernizzare l’attuale linea togliendo molti passaggi a livello senza stravolgere i territori e i servizi.  Già oggi è ben visibile il calo di utenza nella parte della linea raddoppiata e il disagio che ha provocato. Addirittura il valore degli immobili è stato modificato da un raddoppio che ha favorito le piste ciclabili nate sulla ex ferrovia, ma non ha soddisfatto le esigenze di residenti e turisti. I lavori dovrebbero partire alla fine del 2026. Va tutto rivisto nell’interesse della Liguria e dei cittadini. Il nuovo presidente della Liguria, che non è un politicante ma un uomo del fare, deve intervenire al più presto.