quaglieni

Il Pd vada a scuola da Violante e Fassino

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
Ho sempre intrattenuto buoni rapporti con Luciano Violante e Piero Fassino e debbo dire che in tante occasioni ho condiviso ed apprezzato le loro posizioni. Anche oggi non posso non apprezzarli rispetto ad una classe politica inetta, incolta, demagogica e velleitaria al seguito di Landini. Luciano Violante ha assunto una posizione di ferma e inequivocabile condanna di Askatasuna e le prodezze manifestate nell’aggredire la “Stampa”. Altro che le mezze verità di molte donne piddine che sono in realtà  profondamente antisemite ed assai sprovvedute perché imbevute di propaganda alla maniera del piccolo Fornaro divenuto uno storico attendibile. Violante ha dichiarato : “Pro Pal senza freni. Siamo all’eversione, ora misure forti. L’antisemitismo è dentro la storia dell’Europa. Quella minaccia contro i giornalisti echeggia slogan simili pronunciati dai terroristi. Chi ha ucciso Carlo Casalegno e Walter  Tobagi ha messo in pratica proprio quella minaccia. L’unica cosa da non fare è trattare la vicenda come se fosse una ragazzata”. Ecco il politico di razza di sempre, non confrontabile con i nani odierni. Violante aveva ragione anche con Sogno che tentò, sia pure in modo ridicolo, il golpe bianco come lui stesso dichiarò  prima di morire. Ma c’è anche Piero Fassino, ex ministro e ultimo segretario del PDS, che esce dal silenzio e va in Israele in commissione parlamentare per ristabilire i rapporti amichevoli tra Italia e Israele perché  i governi vanno e vengono, gli Stati restano”.
Per Fassino Israele è “una società aperta, una società libera, una società democratica, una società che anche su questi due anni e sulle prospettive ha una dialettica democratica per chi propone certe soluzioni e chi ne propone altre“. Anche qui si nota la statura politica e la cultura di Fassino maturata in lunghi anni di impegno internazionale. Gli alleati dei cinque stelle hanno attinto da questi ultimi il manicheismo settario che li contraddistingue.  Stare contro Israele in modo preconcetto, accusandola di genocidio è una falsità che solo gli attivisti sempliciotti o i faziosi possono condividere. In passato gli attivisti si limitavano ad usare il pennello per attaccare i manifesti, oggi pretendono persino di dettare la linea.

Meglio Bernardini de Pace che Boldrini

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
La violenza contro le donne va condannata nella maniera più ferma e senza giustificazionismi  di sorta. Le donne restano il sesso debole, secondo un’antica espressione che pensavamo superata in nome di una parità sia pure faticosamente raggiunta. Oggi tuttavia nel rapporto uomo-donna, esse non sono solo la parte debole. A volte sono la parte forte anche nel momento di un divorzio. Lo sostiene una paladina delle donne come l’avvocato Anna Maria Bernardini de Pace che della battaglia contro la   violenza sulle donne è un presidio attivo e giuridicamente straordinario e insuperabile. Ieri mattina ho partecipato come socio all’assemblea dell’associazione “Marco Pannella“, un altro grande presidio di libertà in una società dove ogni forma di violenza e di odio, in primis quello antisemita, minacciano la libertà di pensare e di vivere. L’aggressione al giornale “La Stampa“ rivela un impazzimento collettivo molto preoccupante. Nel mio intervento di ieri ho affermato che la legge contro la violenza alle donne nel punto relativo al consenso “libero e attuale”  dell’atto sessuale va chiarito e precisato giuridicamente. Così come è formulato adesso, è fonte di condanne aprioristiche ingiuste.  Non si può andare a letto con il telefonino o con un contratto da aggiornare magari in itinere. Si tratta di un qualcosa di grottesco e persino ridicolo. Ricorda un’espressione odiosa di tempi lontani: le marchette, il gettone che le prostitute ricevevano ad attestare le loro prestazioni: il sesso contabilizzato che ne distrugge il valore vitale. E’ strano che se ne siano accorti solo  i leghisti, anche se la presenza di una giurista come Giulia Bongiorno fa la differenza. L’onere della prova di innocenza è giuridicamente inconsistente perché il principio giuridico è esattamente all’opposto. L’onere della prova spetta alla parte che fa valere un diritto in giudizio e non viceversa. Immemori delle improvvise  denunce, vecchie di anni, che hanno riempito le pagine dei giornali dedicate a registi, attori ed attrici, coloro che hanno perseguito una legge con un  voto unanime non hanno considerato che l’unanimita’ su un tema così delicato sacrifica la complessità dei problemi, semplificando in modo draconiano la realtà. Ho detto con una battuta un po’ semplicistica , ma vera,  che a dettar legge è l’on. Boldrini, eroina di un manicheismo spesso settario e sempre ideologico. A me piacerebbe leggere un testo proposto dall’avvocato Bernardini de Pace che ha accumulato un’esperienza unica nel corso di una lunga  carriera in rapporto costante con le donne. Inoltre la violenza nei rapporti non credo sia limitata solo al rapporto eterosessuale, come dimostrano le cronache. La verità è che l’amore è anche passione e seduzione e gelosia, tre sentimenti che nessun leguleio potrà facilmente regolamentare con certezza assoluta. Il problema si può tentare di risolverlo con l’educazione, ma non con quella degli improvvisati cultori di discipline che non conoscono: sociologi, psicologi, tuttologi, apprendisti stregoni. L’Eros resta un aspetto vitale carico di misteri, di piaceri e di sofferenze che ciascun essere umano deve affrontare o rinunciare a vivere. Sotto le coperte non valgono leggi , dicevano i vecchi liberali, contro i moralisti bacchettoni. Ho un’età tale da  poterne parlarne con il distacco che viene dalla pace dei sensi e dall’esperienza di vita. Certe Erinni non possono stravolgere la vita umana. Ripeto, tuteliamo le donne con leggi severe, ma esse debbono essere chiare e giuste. Direi umane. Io sono convinto che Marco Pannella avrebbe condiviso questo discorso, anche se non è mia intenzione “usarne“ il nome che resta legato ad un contesto storico diverso da un oggi in cui prevale la deriva irrazionalistica degli estremisti. Ma certo Marco Pannella è stato anche un maestro libertario di vita.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: A Lucca con il “Pannunzio” –  Il Procuratore Generale Maddalena e l’avvocato Bernardini de Pace – Terenzio Magliano – Lettere

A Lucca con il “Pannunzio”
A Lucca si è tenuto nel fine settimana un Convegno del Centro “Pannunzio” organizzato da Carla Sodini per conto della locale sezione della città d’origine  di Mario Pannunzio. Ho avuto modo di apprezzare l’amministrazione comunale di Lucca finalmente in mano ad Amministratori all’altezza della storia lucchese. I giornali “La Nazione“ e il “Tirreno“ hanno dato ampio spazio alle due giornate di studio. Il tema del convegno ha riguardato il giornalismo e la satira nella storia della Repubblica. Dopo la dittatura fascista che aveva mal tollerato persino la satira apolitica, vietando totalmente quella politica, la Repubblica e la Costituzione avevano aperto la vita italiana ad un giornalismo autenticamente libero garantito dall’articolo 21 della Costituzione, mai citato a senso unico, come accade oggi.
Mario Pannunzio
Di conseguenza la satira ebbe modo di manifestarsi liberamente. Nel convegno si è parlato di Longanesi, Pannunzio, Guareschi, Maccari e tanti altri. Non è stata una scelta ideologica trascurare la satira dell’area  politica comunista, perché la seriosita’ bacchettona dei comunisti e di Togliatti ha impedito a sinistra una benché minima  capacità di non prendersi solo e sempre sul serio. La sinistra rinnegò Galantara,  Scalarini e  l’anticlericalismo in nome dell’articolo 7 della Costituzione che recepì il Concordato fascista del 1929. Guareschi scolpì nei suoi disegni l’obbedienza cieca  e persino demenziale dei comunisti con una ironia irresistibile di cui erano privi i trinariciuti e in parte i cattolici del bigottismo clericale. Anche il mondo clericale infatti  non seppe uscire dal grigiore delle sacrestie  e delle censure nel mondo dello spettacolo, della Tv e dei giornali. Solo i laici liberali e la destra ebbero la capacità di caricaturizzare sè stessi.
Oggi noi leggiamo la storia del secolo scorso attraverso le caricature più che attraverso i tomi di una pseudo – storia marxista dei vari Candeloro e Tranfaglia. Ho voluto che il Convegno fosse dedicato al ricordo di Giorgio Forattini, maestro di satira e di giornalismo senza pari. Se, quando lo invitai, le condizioni di salute glielo avessero concesso, avrebbe sicuramente partecipato al Convegno di Lucca. Poi il destino, purtroppo, ha deciso per lui.A noi resta il dovere del suo  ricordo.
.
Il Procuratore Generale Maddalena e l’avvocato Bernardini de Pace
Sono da sempre un ammiratore del Procuratore Generale Marcello Maddalena che  conosco fin da quando frequentai il grande grecista Antonio Maddalena che invitai a ricordare Vincenzo Ciaffi dopo il rifiuto un po’  meschino di Italo Lana che non seppe andare oltre la morte con il distacco e la generosità del maestro. Con Marcello Maddalena ho avuto tante occasioni di incontro: dal ricordo dell’avvocato Claudio Dal Piaz , a un dibattito, suo ospite nell’Aula Magna del Tribunale, sul terrorismo in Germania e in Italia.
Poi ci ha legato il libro di Valdo Fusi “ Fiori rossi al Martinetto “ di cui il Procuratore generale ha scritto una lucida prefazione. In luglio abbiamo ricordato insieme Valdo Fusi nella Sala Rossa del Consiglio Comunale di Torino. Lunedì sera ho cenato con l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace. Una conversazione amabile, come fossimo stati vecchi amici. Il vecchio amico avv. Rossotto le  aveva parlato forse troppo bene di me. Ad un certo punto, parlammo inevitabilmente di magistrati. Quando io citai Maddalena, la Bernardini si lasciò andare ad un elogio illimitato: un mito. Anche per questo comune sentire il nostro rapporto nato una sera è destinato a proseguire. La comune stima per Maddalena è la credenziale di un idem sentire con indipendenza ed equilibrio in un mondo infettato dal settarismo e dall’odio.
.
Terenzio Magliano
Mi è tornato alla mente il senatore Terenzio Magliano, socialdemocratico che nel 1975 fu l’unico in consiglio comunale a votare contro la proposta di Novelli e dei comunisti di bloccare i lavori della Metropolitana  che stavano iniziando  sotto la guida di un grande tecnico come il prof. Vittorino Zignoli che fu anche assessore liberale , ma fu soprattutto un tecnico di fama internazionale.
Fu il solo Magliano a saper vedere lontano, tutelando un progetto che rimase bloccato per dieci anni  di giunte rosse e anche oggi è rimasto bloccato perché una sola linea è del tutto insufficiente.
Poi Magliano fu un politico molto clientelare e spregiudicato che ebbe in gioventù precedenti fascisti che la sinistra non gli perdono’ perché socialista anticomunista. Quel suo voto di cinquant’anni fa va ricordato e rivalutato. Non era solo un cacciatore di voti e di cariche. Era impossibile intrattenere con lui rapporti di amicizia – posso confermarlo per esperienza personale –  perché era troppo cinico e spregiudicato. Ma il merito acquisito nel difendere la Metro gli va riconosciuto. Neanche la Dc capì il gravissimo errore di Novelli che lo definiva sprezzantemente l’onorevole ”mariuolo“.
.
LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
.
Gli ordini cavallereschi nella Repubblica italiana
Un mio vicino di casa che non è neppure ragioniere (perché non ha finito gli studi) ha festeggiato con annunci e feste la nomina a cavaliere di un ordine cavalleresco sabaudo, senza neppure precisarlo. Gli ho fatto amichevolmente presente che forse tale titolo cavalleresco era illegale, ma lui mi ha trattato in malo modo, dicendomi di occuparmi dei c …. miei e mi ha revocato in modo brusco e assai poco… cavalleresco  l’invito ad un brindisi condominiale. Lei che è uno studioso di storia e di diritto cosa ne pensa? Non mi firmo per disteso  per non guastare definitivamente il rapporto con il neo cavaliere vicino di casa che è diventato irriconoscibile. Oggi è un ridicolo personaggio da operetta.  U. T.
.
Cerco di essere sintetico, riportando fonti documentate senza dare giudizi personali che sarebbero favorevoli ad una rilettura della storia meno manichea: oggi le onorificenze non riconosciute dallo Stato italiano sono illecite e fregiarsene costituisce un reato sia che si precisi l’ordine , sia che- cosa ancora più grave – non si indichi l’ordine di appartenenza , creando confusioni con l’OMRI. In particolare è ancora più  grave se pubblici dipendenti e componenti delle Forze Armate si fregino di titoli non consentiti. Anche chi ricopre cariche pubbliche deve stare attento a certe nomine che magari accetta senza pensarci .Riferendoci all’Ordine Mauriziano in particolare, esso è stato trasformato in ente ospedaliero  dall’art . 14 della norma transitoria e finale della nostra Costituzione (che prevede anche  il non riconoscimento dei titoli nobiliari). È una norma mai abrogata. Detta norma, secondo insigni giuristi consultati dal senatore Dario Cravero, ex presidente dell’Ordine Mauriziano,  impedisce implicitamente  altri utilizzi del nome in Italia, anche se l’ente ospedaliero è stato sciolto  per il deficit accumulato e sopravvive  solo una fondazione Mauriziana con compiti amministrativi sulla parte residua  delle proprietà dell’ Ordine originario. E‘  soprattuto  la legge 3 marzo 1951 n. 178 che regola l’uso delle onorificenze e che vieta l’uso di quelle non riconosciute . Parlare di ordini dinastici è un escamotage che la legge non prevede e non consente.
I cittadini italiani, ai sensi dell ‘articolo 7 della citata  legge, “non possono usare ed esibire onorificenze loro conferite da ordini non nazionali (gli ordini sabaudi hanno sede a Ginevra, malgrado l’abrogazione dell’esilio) senza aver avuto preventiva autorizzazione con Decreto del Presidente della Repubblica.  Nel caso specifico sarebbe quasi un ossimoro un ordine sabaudo autorizzato dal Quirinale e quindi il richiesto riconoscimento risulta impossibile. Chi viola la legge è sottoposto ad ammende fino 2.500.000 lire. Anche l’Ordine della Santissima Annunziata e’ soppresso  a termini di legge e quindi non è un ordine dinastico per la legge italiana. C’è una circolare del ministero degli esteri del 2005 che ribadisce i divieti. C’è da aggiungere che anche il Duca Aimone di Savoia – Aosta si ritiene Gran maestro degli stessi Ordini e capo della Casa. Non sono stato in grado di verificare se anche lui conferisca  onorificenze in Italia. Forse il rigore della legge del 1951 che portò nei decreti di nomina di Umberto II da Cascais a riportare a stampa che “in Italia vigono precise norme che vietano  di fregiarsi di onorificenze non riconosciute dallo Stato“, potrebbe essere mitigato. Ma forse, secondo altri, è giusto così perché il “todos caballeros“ è un aspetto di scarsa serietà tutta italiana. Solo l’onestà assoluta del re Umberto portava a precisare nei diplomi da lui  firmati quella frase che di fatto rendeva nulla la nomina almeno  in Italia. Adesso quella frase è scomparsa non si sa bene perché. Oggi ci sono migliaia di cavalieri, commendatori, dame   ed altro che partecipano a cene e galà di beneficenza, ma anche a cerimonie inequivocabilmente politiche. Ci sono sacerdoti che si dichiarano cappellani, per non parlare della guardie d’onore al Pantheon che intervengono in tutta Italia (e non solo al Pantheon) e che, secondo una circolare, hanno persino  dei loro “comandanti”, forse parola dal sen fuggita. Un‘associazione per il culto delle tombe del Pantheon di Roma o una associazione paramilitare, come alcuni vorrebbero o sognerebbero? Il ministero della Difesa dovrebbe effettuare più stringenti controlli per le Guardie che secondo alcuni sono un ibrido vagante ai limiti della legge. Mi limito a riportare giudizi, sempre pronto ad accogliere valutazioni diverse come è nel mio stile. Molti degli insigniti di ordini non riconosciuti non distinguono neppure le differenze . A loro basta avere la rosetta e versare un obolo annuale che giustifica l’appartenenza.  Ovviamente meriterebbero un’analisi a sé gli Ordini dinastici borbonici in cui hanno un ruolo due donne: Maria Carolina & Maria Chiara de Bourbon. Si tratta di cinque ordini tre dei quali vengono conferiti anche oggi. In base a che criteri giuridici? La cosa non è affatto chiara. La legge andrebbe rispettata da tutti, vanesi,  furbi e profittatori, ingenui e cortigiani,  onesti  e gentiluomini,  senza eccezioni per nessuno. Questo è lo spirito della Repubblica che non riconosce privilegi a nessun cittadino. Ho conosciuto in passato un impiegato  torinesissimo della Fiat  innamorato dei Savoia che aveva scritto sul biglietto Barone, se non ricordo male, di Castellammare di Stabia o comune limitrofo Conobbi anche un monarchico sabaudista  fiorentino a capo di una “legione azzurra”, che venne nominato conte da un Gran Duca di Toscana. In realtà ce n’è davvero per tutti i gusti . La norma 14^ della Costituzione è finale, ma non è affatto transitoria. Va ricordato che vige sempre anche oggi.
.
Umberto al Principe di Piemonte di Viareggio
Ricordo la Sua proposta di porre nell’ hotel Principe di Piemonte di Viareggio un ritratto del principe Umberto di Savoia a cui era dedicato,ma vedo che nulla è accaduto .Mi sembrerebbe doveroso. Lei e’ rimasto uno dei pochi difensori della storia.  Carlo Ceruli
Feci la proposta che cadde nel vuoto assoluto. Non c’era in me nessun intento nostalgico ,anche se Umberto II lo frequentai più volte ,ebbi con lui uno scambio epistolare anche attraverso il ministro Lucifero.Quando mi sposai, Umberto  mi invio’ un suo dono di nozze .C’era , essendo stato cliente più volte dell’ hotel , la  sola  e ben viva consapevolezza di uno iato  tra le origini dell’ albergo e il suo presente del tutto sradicato dal suo passato che anche oggi ne giustifica il presente .Avevo proposto non solo una fotografia ,ma anche un breve testo che ricordi in modo “asettico” l’ultimo Re perché davvero con Umberto II è finita ,in modo moralmente altissimo ,la storia della Monarchia in Italia .Il suo esilio, per evitare una nuova guerra civile ,è storicamente riconosciuto da tutti o quasi gli storici
.
Il caso Garlasco
Il caso Garlasco continua a dominare l’attenzione morbosa del pubblico dei delitti che c’e’ sempre stato. Pensiamo al caso Montesi che solo Pannunzio rifiutò di cavalcare contro il Dc Piccioni  che ebbe la carriera politica distrutta, malgrado l’assoluzione del figlio Piero. Mi sembra che sul caso Garlasco stiano esagerando.   Gabriella Filippini  Rossi
Concordo, anche se credo che la ricerca della verità almeno processuale sia una priorità anche molto  difficile da raggiungere dopo sentenze contrastanti e molti pasticci accomulatisi nelle  diverse indagini. Ma credo vada posto anche un altro problema: il costo che si sta dilatando a dismisura. Pongo il problema che alle persone di buon senso viene spontaneo. Quanto ci costa e ci è costato il caso Garlasco? Scrissi la scorsa estate che ero contro a chi voleva non riaprire il caso con argomenti poco credibili. Ma ogni caso non può neppure andare all’ infinito. La  povera Chiara Poggi ha tra l’altro anche il diritto al silenzio e non deve essere usata per diatribe che nulla hanno a che fare con la giustizia.

Papa Leone va in moschea, ma non a Santa Sofia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Una piccola, ma significativa novità nel viaggio a Istanbul di Papa Leone: ha visitato la moschea blu, il massimo monumento religioso ottomano, ma non è entrato in Santa Sofia, attigua alla moschea, a sua volta diventata moschea dopo la caduta dell’impero bizantino. I suoi predecessori erano entrati anche in Santa Sofia. Papa Leone non ha pregato nella moschea blu, ma l’ha visitata, guidato dal gran mufti’. Non è andato a Santa Sofia, tornata mosche nel 2020 per volontà del dittatore turco, dopo che era stata trasformata laicamente in museo. L’integralismo musulmano della Turchia ha azzerato la Turchia laica imposta dalla grandiosa rivoluzione di Ataturk, creatore di un paese moderno sulle ceneri dell’impero ottomano dopo la sconfitta della I Guerra mondiale.
Papa Leone e’ sicuramente un dottor sottile rispetto a Papa Francesco che,  pur gesuita, puntava prevalentemente a stabilire un “volemose bene” con tutti. Papa Leone dopo Istanbul ha ricordato il Concilio di Nicea che fece chiarezza sui temi della fede. Un Concilio dimenticato perché l’unico concilio oggi ricordato è solo e soltanto il Vaticano II.
Questo è l’aspetto più importante del viaggio pontificio che riscopre un concilio fondamentale nella storia della Chiesa cattolica.  Il non essere entrato in Santa Sofia che fu chiesa bizantina e oggi e’ tornata moschea per volontà di un dittatore, e’ un altro titolo di merito del Papa che non ama l’ipocrisia. Un agostiniano non poteva che comportarsi così. Può sembrare un Papa un po’ spaesato e persino un po’ spento, ma si tratta di un’apparenza legata al fatto che è uomo di studio e di cultura ed ha ancora qualche difficoltà nell’uso della lingua italiana.

(Foto La Voce e il Tempo)

Susa si mobilita per contestare il libro di Culicchia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.

La presentazione a Susa del libro sul giovane missino Ramelli massacrato di botte che gli hanno procurato la morte, ha suscitato polemiche aspre e presidi antifascisti che hanno portato la polizia a presidiare, a sua volta, la biblioteca di Susa. Forse è stato un misto di antifascismo e di No Tav a creare la miscela della intolleranza. Culicchia non è certo un autore con simpatie fasciste; ha scritto anche  l’esaltazione del cugino brigatista rosso  Walter Alasia pluriomicida. Adesso racconta la storia Ramelli vittima della furia degli anni di piombo e dell’odio politico, quando si riteneva che uccidere un fascista non fosse reato. Non so se Culicchia abbia saputo storicizzare quell’evento drammatico, ma non credo che il suo libro sia meramente apologetico. La mobilitazione a Susa appare del tutto immotivata. Forse Culicchia non doveva farsi presentare dall’assessore della destra radicale Marrone, ma scegliere uno storico o almeno un giornalista con cui interloquire.  Che la presentazione si sia svolta perché la polizia lo ha consentito, è un fatto che induce alla tristezza perché il clima politico  sta precipitando nell’estremismo illiberale che non ammette il pluralismo delle idee. In realtà la mancanza di pluralismo, specie su fatti legati al passato, fa pensare al fascismo, non all’antifascismo. La figura di Ramelli va rispettata da tutti perché è stato vittima della violenza. Chi la pensa in modo diverso, recupera visioni politiche nefaste che speravamo fossero solo il ricordo di un passato da guerra civile che faticosamente venne superato.

Quaglieni: “Anni luce distante dall’imam, ma non basta un’interrogazione per cacciarlo”

/

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
Che basti un’interrogazione parlamentare a per cacciare l’Imam di via Saluzzo a Torino dove abita da vent’anni, mi sembra sbagliato e intempestivo.
Che l’Iman abbia fatto in piazza una dichiarazione sbagliata e condannabile sul 7 ottobre non è sufficiente per costringerlo ad andarsene. In fondo è un reato di opinione espresso da tanti ProPal. Sono anni luce distante da chi in coro ha difeso l’Imam perché ne condivide le idee. Io mi tengo lontano dagli ambienti musulmani perché ritengo l’Islam in generale  spesso incompatibile con la nostra democrazia e ho dei forti dubbi sull’esistenza di un Islam moderato. Basti pensare al rapporto e alla violenza sulle donne. Ho scritto tra i primi sul pericolo che la vicenda di Gaza potesse generare un nuovo terrorismo in Europa perché Hamas è terrorismo e non potrà mai cambiare e arrendersi alla sconfitta. Il ministero dell’Interno deve agire, applicando le norme senza soggiacere ad un’interrogazione che ha una finalità evidentemente  propagandistica. Concordo sul fatto che il ministero dovrebbe dare esecuzione reale a tante espulsioni rimaste sulla carta.
L’Italia non può essere a priori  inclusiva ed accogliente per tutti, ma i reati di opinione detti su una piazza,  senza ricorso a nessuna violenza, non possono essere perseguiti secondo queste modalità. Considerare una colpa fare proselitismo ed essere un riferimento della proprietà comunità stravolge tutto e rivela intolleranze preoccupanti  vanno denunciate. Più calma e più decisione meditata  si impongono. Gli isterismi verbali di chi riduce tutto a propaganda, sono incompatibili con la democrazia liberale. Essi ci riconducono a Orban, modello di una democrazia limitata, sicuramente illiberale.

Il libro di Oliva tra brigantaggio e guerra civile

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
Pier Franco Quaglieni

Secondo lo storico Gianni Oliva, che è uno dei pochi studiosi non a priori  ideologicamente schierati , le rivolte e la repressione nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia rappresentarono la prima guerra civile italiana. Non so se la tesi sia totalmente condivisibile perché chi scrive resta fermo al magistero di Rosario Romeo che ebbe una visione diversa del problema del brigantaggio, del latifondo e della stessa questione meridionale -a partire dall’ episodio di Bronte  -perché vide nel Risorgimento e nell’ Unità d’Italia la prospettiva reale  di un riscatto  delle plebi meridionali. Anche Giajme  Pintor,  che si era occupato del socialismo risorgimentale di Carlo Pisacane, riconobbe nel Risorgimento l’unico episodio della nostra storia politica  capace di restituire all’ Europa “un popolo di levantini e di africani“.

Oliva sceglie una sua strada , facendo una ricerca non preconcetta. Tralascia giustamente anche il lavoro realizzato da Alessandro Barbero che entrò in dialogo polemico con Pino Aprile,  capofila del violento ed esasperato  revisionismo filo borbonico che demonizza il Risorgimento. Oliva analizza una situazione che rischiò di mettere in crisi lo Stato unitario a pochi anni dalla sua fondazione: da una parte i ribelli che si oppongono con la violenza più brutale ed efferata  alle nuove istituzioni, dall’altra lo Stato che risponde con rastrellamenti, incendi di villaggi e fucilazioni sommarie.
Gianni Oliva
Oliva analizza le cause sociali del brigantaggio, riconoscendo però  che a volte si trattò di bande criminali che si ammantavano di pretesti politici. Riconosce anche che agenti borbonici, papalini e reazionari locali non esitarono  a fomentare il caos per destabilizzare lo Stato appena costituito. In effetti, come scrisse Narciso Nada, lo Stato dovette difendersi e le ragioni immediate della forza dovettero necessariamente prevalere sulle valutazioni sociali. La classe dirigente liberale, di fronte anche al pericolo di  possibili interventi stranieri, dovette reagire. Imputare ad essa una rozza insensibilità sociale come fa  Federico Fornaro, scrivendo anche del libro di Oliva, senza recensirlo, significa rimasticare la vulgata gramsciana senza neppure considerare  Rosario Romeo che dimostrò con rigore  storiografico la valenza ideologica e  non documentata della critica gramsciana. La stessa legge Pica contro il brigantaggio promulgata dal re Vittorio Emanuele a Ferragosto sta a dimostrare l’emergenza drammatica i cui si era caduti. Fare gli Italiani, come diceva d’Azeglio, richiedeva tempi lunghi specie al Sud, difendere l’Italia imponeva tempi rapidi e il ricorso all’ Esercito .Non ci furono altre strade percorribili. Se non si fosse difesa l’esistenza dello Stato, non sarebbero stati possibili nè scuole ne’ ospedali, come mi disse una volta Rosario Romeo. Questa risulta essere la verità storica che nell’ultimo periodo della sua vita riconosceva anche Umberto Levra che si era liberato dagli ideologismi della giovinezza . La visione moderata di Nada andrebbe totalmente ricuperata perché essa rappresentò una lettura del Risorgimento che impedì a molti di noi di lasciarsi abbindolare dalle sirene del manicheismo ideologico. Il libro di Oliva si discosta dalle vulgate e contribuisce a dare un giudizio complessivo su quella che rappresentò la prima guerra civile italiana. Forse una guerra un po’ Ibrida, si direbbe adesso, non  una guerra di classe come il buon Fornaro sembra sottintendere. Ovviamente non prendo neppure in considerazione le menzogne filoborboniche riemerse di recente che non hanno nessun valore storico.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

/

SOMMARIO: A riguardo dei Consiglieri – Firpo repubblichino? – Il teorico dello studio di gruppo – Auricolare all’esame – Lettere

A riguardo dei Consiglieri
Io non mi sono molto stupito del discorso in libertà del Consigliere del Quirinale oggetto di tante polemiche. Parecchi anni fa, quando era presidente Giorgio Napolitano con cui ebbi rapporti cordiali, mi imbattei in un suo consigliere addetto alle visite del Quirinale. Questo signore non ebbe dubbi a dire a me, persona quasi a lui  estranea, che il governo Berlusconi era intollerabile (uso un aggettivo diverso perché si rivolse a me con un termine napoletano ancora più pesante). Mi stupii, ma non più di tanto.
Conobbi anche un consigliere che partecipava senza problemi a manifestazioni monarchiche con discorsi che travalicavano il protocollo. Alcuni la definirebbero libertà di pensiero, altri la definirebbero come una inopportunità  o  addirittura un atteggiamento incompatibile con il ruolo ricoperto. Tendo  più a condannare il consigliere che parlava non a cena, ma ai raduni monarchici, non nascondendo la veste istituzionale allora ricoperta.
.
Firpo repubblichino?
Luigi Firpo, il grande studioso di Campanella, è stato umanamente demolito dai due figli  in un libro  pubblicato da  Aragno, oggi introvabile. I gemelli Firpo ipotizzano senza prove che il loro padre, imboscato a Moncalieri durante la seconda guerra mondiale, malgrado il suo conclamato fascismo che giunse all’antisemitismo come Giorgio Bocca, tra il ‘43 e il  ‘45, si fosse, almeno per un certo periodo, arruolato nella Rsi.
Adesso leggo in una celebrazione del professore che omette anche gli scritti fascisti e lo considera un “allievo ideale” di Luigi Einaudi, che nel 1944 ebbe una corrispondenza con un collega per la pubblicazione della futura rivista sul pensiero politico. Così cadrebbe la tesi secondo cui Firpo fosse riparato in clandestinità non certo per fare il partigiano, ma vivere tranquillo la sua vita. Resta in piedi l’ipotesi della Rsi, ma finora le prove non sono arrivate.
.
Il teorico dello studio di gruppo
Francesco de Bartolomeis, pedagogista celebratissimo è considerato un venerato maestro morto a 105 anni. Si era laureato a Firenze nel 1930 con Ernesto Codignola, allora seguace di Gentile, salvo poi redimersi attraverso il marxismo dopo l’omicidio del maestro. De Bartolomeis approfittò invece dell’aiuto di Benedetto Croce per pubblicare il primo libro e godette anche dell’appoggio di Adriano Olivetti che spesso incappò in collaboratori inaffidabili. Il professore diventato torinese ebbe il suo momento di celebrità con l’invenzione a scuola del lavoro di gruppo.
Sull’onda di questa idea rinacque  a nuova vita il Movimento di cooperazione educativa, composto da ideologici astratti e anche un po’ fanatici. Nacque così l’antipedagogia che ebbe un rapporto fecondo con la contestazione studentesca e il PCI. Lo studio è un fatto individuale, quasi mai di gruppo. Il confronto con altri è utile dopo aver studiato seriamente e aver seguito attentamente le lezioni. Pensare che dei ragazzi possano mettersi a studiare in gruppo è nella migliore delle ipotesi una utopia. Il gruppo determina quasi immediata divagazione. E’ questa l’esperienza dei docenti che furono costretti a rinunciare alla lezione frontale per assecondare le balzane idee dell’antipedagogia che provocò danni devastanti alla scuola. Oggi l’ anti – pedagogista è dimenticato , ma non escluderei che qualche orfano delle sue idee viva ancora sotto le ceneri del disastro della scuola italiana .
.
Auricolare all’esame
Uno studente iraniano del Politecnico  di Torino è  stato sanzionato perché si è servito di un auricolare nascosto per affrontare l’esame, ricevendo suggerimenti. Il TAR ha annullato le sanzioni per insufficienza di motivazioni. Lo studente colto sul fatto che aveva riconosciuto la grave scorrettezza commessa, viene salvato dal TAR.
Sembra una cosa priva di senso, ma sicuramente il Tar avrà agito nel senso migliore, specie nei confronti dello studente. L’effetto sugli altri studenti è facilmente immaginabile.  Viene inoltre intaccato il prestigio del Politecnico che non può tollerare studenti di quel tipo.
,
LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
.
La fine del partito di Cavour
Ho letto il Suo articolo sul prelievo forzoso fatto agli Italiani nel 1992 dal presidente, assai poco Amato. Ho appreso con sorpresa che i liberali al governo, in primis il ministro Costa, non ebbero nulla da obiettare su un  vero e proprio attentato al risparmio e al diritto  perché fatto con decreto retroattivo. Lo stesso  partito liberale di Altissimo tacque. In passato votai Costa, se avessi saputo non lo avrei mai  fatto.    Giulia Desole
Il PLI incominciò a morire prima ancora che per Tangentopoli per quel decreto illiberale che mise le mani nelle tasche degli italiani. Una vergogna per i liberali e anche per i repubblicani che sembravano aver imboccato una via liberale, anche se  il figlio di La Malfa aveva tenuto a sottolineare la differenza tra liberali e repubblicani. Il tradimento degli elettori liberali ebbe effetti devastanti su un partito già ridotto ai minimi termini . Una fine ingloriosa del partito che fu di Cavour, di Giolitti, di Soleri, di Croce, di Einaudi e di Pannunzio.
.
Giunte rosse
Ho letto che in Comune si terrà un convegno sulle giunte rosse nate nel 1975 con Novelli. Non è un convegno storico, ma meramente celebrativo dei pochi reduci, neppure i più qualificati, delle giunte di sinistra. Mi appare scandaloso che i vicesindaci socialisti Scicolone e Biffi Gentile non compaiano tra i relatori. Dopo 50 anni si fa la storia e non si celebrano i vari Marzano.
Tina Delmastro
Se avessi tempo andrei a sentire il convegno degli ex consiglieri che può contare solo sui reduci del 1975. Concordo con Lei che un po’ più di storicizzazione ci vorrebbe. Perché non invitare a parlare i consiglieri di opposizione ancora viventi? Forse l’allora  liberale Bastianini oggi esalterebbe Novelli e la sua giunta.
.
I cortigiani
L’ultimo numero del giornale “Il tricolore” riporta un articolo curioso per un giornale monarchico dedicato ai cortigiani con apprezzamenti molto duri, penso in seguito al ciclone Emanuele Filiberto che specie su Facebook ha fatto lanciare una campagna legittimista molto aspra estranea allo stile che fu di Umberto II. Secondo detta campagna la monarchia fu il capro espiatorio della storia e non ebbe responsabilità nell’avvento del fascismo, nelle leggi razziali, nella guerra perduta. Una visione antistorica che non ha fondamento . Tale scelta dipenderebbe dai nuovi cortigiani scelti dal Principe. Io, di sentimenti monarchici liberali e democratici anche per ragioni di famiglia, sono rimasto esterrefatto.  Giuseppe Vittorio Giacchino
Non saprei dirle qualcosa di documentato  su questi temi di cui non mi sono occupato e da cui mi tengo lontano . Il principe che rivendica il trono, ha fatto delle scelte che sembrano trovare consensi nel mondo legittimista italiano almeno sui social dove tutto viene estremizzato e semplificato. Vedremo cosa succederà in futuro.

L’esempio detestabile di Amato, il dottor Sottile, ritorna?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
Nei giorni in cui l’estrema sinistra resuscita patrimoniali e salassi fiscali di ogni tipo, è utile non dimenticare il precedente di Giuliano Amato che, nominato presidente del Consiglio da Scalfaro nel 1992, l’ 11 luglio varò, all’insaputa del governatore della banca d’Italia Ciampi e in parte persino dal Consiglio dei ministri, un decreto – legge nel quale retroattivamente il 9 luglio, nottetempo, sanciva il prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i depositi bancari degli Italiani. Fu un episodio che suscitò proteste, ma non tali da far vacillare Amato al governo. Protestò Ciampi , ma i due ministri Raffaele Costa e Gianfranco Ciaurro  e i tre sottosegretari liberali  nel governo non aprirono bocca e neppure il PLI  che incominciò a spegnersi perché aveva tradito in modo clamoroso la sua storica funzione di difesa  del risparmio come aveva indicato Einaudi. Capii da quel silenzio che non c’erano più  i liberali, ma sedicenti sostenitori di un  equivoco lib – lab, nel quale il lab aveva preso il sopravvento. Ma in effetti i liberali restarono in silenzio perché temevano di essere allontanati dal governo. Forse il presidente  Amato- ad essere generosi – volle superare il fiscalismo della destra storica, ma non è  certo passato alla storia come il nuovo Quintino Sella, ma semmai come l’esponente di un radicalismo socialista e giacobino. Non a caso la sua provenienza era quella del PSIUP di Vecchietti e Basso, i cosiddetti carristi. Scelse un momento già di vacanza, un fine settimana in cui tanti italiani erano al mare. Chi scrive nei giorni precedenti ebbe  versata sul conto  corrente la somma di Btp appena scaduti e che pensavo di rinnovare il lunedì successivo. Fu un  errore che mi provocò un  danno notevole. La retroattività in una norma fiscale in particolare rivelava un che di truffaldino e aumentò la totale sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato  in piena Tangentopoli. Rivelò una visione machiavellica, non certo machiavelliana, della politica di Amato  che Forattini rappresentò bene, definendola una “rapina storica” su Panorama. Amato era un topolino  che veniva rappresentato con la maschera del “ladro” dall’umorista più serio di tutti i politici messi insieme. Amato fece dell’altro: aumentò l’età pensionabile e impose una patrimoniale sulle imprese, introdusse i ticket sanitari e la tassa sul medico di famiglia e un’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutat . Solo il prelievo sui conti correnti e l’imposta straordinaria  sulle imprese fruttò 11.500 miliardi. Non va dimenticato che con il governo Amato venne approvato il piano di privatizzazione di Iri, Enel ed Eni motivo di grandi svendite non solo per far cassa, ma anche per fare gli interessi di alcuni personaggi della casta. Amato fu poi il presidente del Consiglio di una finanziaria  da 93 mila miliardi di lire. Molti di questi provvedimenti non ebbero effetti positivi  sull’economia italiana. E’ mai possibile che una pagina nefasta di storia sia stata dimenticata e sia permesso a Landini – uno con il diploma della scuola  media inferiore rispetto al professorone Amato – di evocare scenari così nefasti senza che nessuno smascheri il demagogismo piazzaiolo del capo della GGIL? Amato lo conobbi nell’82 a Torino quando voleva convincere Mario Soldati che sarebbe stato eletto senatore. Era una bugia, ma fui soltanto  io a dire a Mario la verità. Amato fu risentito della mia sincerità. Lo ritrovai  tanti anni dopo in un convegno a Roma come moderatore, ma non potei prescindere  nel mio intimo dal ricordo dello scippo subito nel 1992. Parlammo e discutemmo amabilmente per quasi due ore, ma quell’episodio resta in me come esempio di una politica che non esito a definire laida perché fatta da uomini non sprovveduti come il Landini di oggi.

Le sorelle Kessler e il suicidio

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

.
Il caso delle sorelle Kessler costringe tutti, senza eccezioni, al rispetto e al riserbo anche se l’idea del lutto di fronte ad suicidio programmato e assistito appare fuori posto. Due persone di spettacolo che durante la loro carriera erano rimaste sempre abbastanza riservate, hanno deciso di chiudere con il botto finale. In certe decisioni gioca sicuramente il declino, l’oblio e la solitudine.
Gli articoli che ho letto ,volti ad esaltare – pur tra tanti se preliminari – la fine delle due sorelle come una conquista civile in Italia impossibile, non mi hanno convinto. La decisione di due donne molto anziane non può essere discussa, ma neppure strumentalizzata e citata come esempio. Gli esempi da citare – se ci sono – sono altri. In passato il suicidio veniva indicato come atto estremo  di amore per la libertà e della Patria da Catone l’Uticense a Jacopo Ortis. Oggi il suicidio è non solo rifiuto del dolore fisico, ma persino paura della vita. Ricordo che ci fu un giudice torinese, Giuseppe Manfredini, che si suicidò nel 1956  nel dubbio di aver  commesso un errore giudiziario. Il suo fu un vero dramma che suscitò  molto clamore, ma oggi è un caso del tutto dimenticato di fronte alla sicumera di certi personaggi sulla cresta dell’onda.  Mi sono venuti in mente casi molto diversi e lontani da quello delle sue ballerine. Il nichilismo relativista ha demolito valori ritenuti irrinunciabili e  persino la Chiesa cattolica appare oggi più possibilista su certi temi. Lo slogan infelice usato in Toscana che ha approvato una legge sul fine vita, appare tremendo nel suo cinismo : ”Liberi subito fino alla fine“. A parte ovviamente l’assurdo di una legge regionale che spezzetta l’Italia anche sulla morte. Ho letto il libro sul fine vita  di un mio vecchio amico studioso di filosofia che adesso si atteggia a filosofo e debbo dire con sincerità che i suoi sofismi non mi hanno convinto. A  me resta ben presente il valore della vita e il dramma della morte attraverso il suicidio. Sono  concetti distanti e distinti. Posso umanamente  capire, ma non condividere, l’idea di porre fine alla propria esistenza di fronte a dolori intollerabili, ma  non riuscirò mai a vedere nel suicidio un valore positivo , anche prescindendo dalla fede religiosa. Che un piccolo cantante dica che dalle due sorelle ”si impara a vivere“ mi sembra quasi un’affermazione oscena.