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La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Sommario: Moni Ovadia – Ferragosto – Lettere

Moni Ovadia
La questione palestinese divide fin all’interno del condomini anche in Italia. Ho scoperto ieri che Moni Ovadia, il rinnegato ebreo di origini bulgare che ha fatto fortuna come cantante in Italia, è  il beniamino di un mio vicino di casa che fino ad ora consideravo persona moderata e considero anche oggi persona rispettabile, anche se favorevole agli estremisti. Ricordo che Ovadia  interpretò un rabbino in un film su Anna Frank.
 È sempre stato uomo di sinistra estrema, sostenitore dell’ormai dimenticato Vittorio Agnoletto, uno  dei no-global più arrabbiati. Ovadia adesso porta alle estreme conseguenze il suo antisemitismo, incolpando l’intero popolo israeliano di  genocidio,  quasi inconsciamente, riprendendo il penoso ritornello dei “perfidi ebrei” accusati di deicidio. Ovadia inventa una nuova colpa: l’”etnocidio con carattere genocidiario”. Una volta che incontrerò il vicino dell’ultimo piano in ascensore, mi farò spiegare questo concetto. Non a caso Moni vinse il premio Musatti della società psicoanalitica.
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Ferragosto
Ci stiamo avvicinando a Ferragosto e c’è da augurarsi che la  intollerabile tensione politica agostana e il caldo afoso ci lascino  un po’ di respiro. A tutti i lettori auguro il miglior ferragosto possibile. Sui giornali ricompaiono come sempre  gli articoli sulle vacanze dei vip  non so se ancora concentrate a Capalbio dove io rifiutai un invito anni fa per non confondermi con i frequentatori snob di quelle località ad altissima concentrazione politica. L’On. Laus, accusato anche per i suoi luoghi di vacanza, non ha sicuramente la colpa di aver preferito Capalbio. Ed è un merito che lo colloca in un contesto politico diverso che gli fa onore.
Ho letto invece delle vacanze giovanili di una vippona torinese, novella Cleopatra regina d’Egitto di lungo corso, a Varigotti, frazione di Finalmarina, negli anni 60. Ci siamo  deliziati delle sue fotografie ai famosi Bagni Gallo dove andavo anch’io, incredibile a dirsi.  Ma io avevo altri punti di riferimento nel pittore Tabusso e nel professore di Oxford Dionisotti. Da oggi ho appreso anche le straordinarie vacanze a Varigotti della vippona torinese che giocava a biglie in spiaggia. Dovrebbero porre una targa di bronzo  in ricordo delle sue vacanze. Un articolo cartaceo, destinato a finire il giorno dopo, non basta ad eternare l’evento.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Spadolini
Ma lei non si  vergogna a scrivere di Spadolini nel modo scanzonato in cui ne ha scritto, proprio Lei che dovrebbe eterna gratitudine allo storico e statista fiorentino?  Enrica Raiteri
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Spadolini e Quaglieni

 

Ho avuto rapporti cordiali con Spadolini,  ma non gli devo nulla.  Non ho ricevuto spinte accademiche né giornalistiche. Non gli chiesi mai nulla e non ricevetti mai  nulla da lui. Mi offrì  una candidatura nel PRI che rifiutai perché la mia scarsa stima  per La Malfa figlio mi tenne lontano dal PRI torinese. Scrissi una sola volta un saggio su Pannunzio  sulla sua rivista  “Nuova antologia”, ancora oggi citato, ma poi non continuai la collaborazione perché scelsi altre strade. Questo mi ha consentito nei mesi scorsi   di  tentare di storicizzare Spadolini nel centenario della sua nascita, senza scadere in forme di agiografia  che non ritengo giuste in termini storiografici. Una volta Spadolini fu persino affettuoso con me in un suo scritto e di questo gli sarò sempre grato a livello personale. Gli affetti individuali non vanno mai confusi con la storia come anche gli odi.  Sine ira ac studio diceva  il grande Tacito. Una scelta dimenticata da molti storici di ogni tempo.
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Il ciociaro Verrecchia era un bravo prof.
Lei è stato durissimo nel descrivere il professor Anacleto Verrecchia che fu mio insegnante alla scuola media. Io continuo a venerarlo. Non sono in grado di dirle se era un filosofo o un germanista, ma certo era un professore che dava una mano a tutti, anche a quelli come me che non navigavano nell’oro e furono costretti ad andare poi  all’istituto professionale.  Il prof. Verrecchia aveva una sensibilità umana e sociale che  mi ha dato forza nello studio. Mi regalò persino un suo libretto che purtroppo ho smarrito durante un trasloco.  Non doveva trattarlo così.  Gino Stupini
Io ho scritto in verità un po’ indignato verso il processo di beatificazione di Verrecchia, rivalutato come aforista e non certo come filosofo o germanista. Lei adesso ci dà una testimonianza importante sul professor Verrecchia che va considerato come ottimo professore alla scuola media di cui lei è stato allievo. Io sostenevo che non si è filosofi se non si è portatori di un pensiero originale e si lasciano opere destinate a restare. Nel ‘900 in Italia furono filosofi solo Croce e Gentile e neppure loro sono rimasti integri nel tempo .Nessuno si sognerebbe di aggiungere Verrecchia ;il mio amico Alberto Fava, che non è certo un don Abbondio, ha definito “Carneade”.  Circa il germanista sto a quanto mi disse Cesare Cases, uno dei maestri della germanistica. Dopo un giudizio così negativo sul suo professore  non pensai neppure di chiedere un parere all’amico Claudio Magris, principe dei germanisti, che, quando insegnava a Torino e alloggiava all’hotel Bologna, passava le sere in un gruppo di amici di cui facevo parte. Si andava a cena, si scherzava, si rideva, ma nessuno di noi sapeva di Verrecchia né Verrecchia era del nostro giro. Comunque le fa molto onore questo ricordo del suo professore e la ringrazio per avermi scritto.  Gli ex  allievi memori e grati oggi sono una merce rarissima. Pochi ex allievi si ricordano di me. Forse sono stato un cattivo professore. A me importa  soprattutto di non essere stato, come si diceva un tempo, un “cattivo maestro“ alla maniera di Negri e colleghi. Il resto ha poca importanza.
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Non si riconoscono Stati che non esistono. La testimonianza di Ugo Finetti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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La netta e coraggiosa presa di posizione di Ugo Finetti a favore della causa di Israele, ripercorrendo l’intera storia della sinistra italiana ,assume una particolare importanza soprattutto  oggi quando ritorna e  rivive il demone comunista in tante teste esaltate e confuse prive della benché minima cultura storica. Trasferire l’avversione, legittima e anche condividile, per Nietanyahu  sugli  ebrei in generale e sugli Israeliani in particolare   significa rimettere in discussione l’esistenza stessa  di Israele come vorrebbero Hamas ed Iran. L’antisemitismo  storico, figlio del razzismo, è un qualcosa di strisciante che covava soprattutto a destra anche oltre Hitler e Mussolini ed era praticato nell‘URSS in modo sistematico ,riprendendo l’antisemitismo  russo al tempo degli Zar. La parola Pogrom è di origine russa anche se poi gli ammazzamenti sono dilagati. Nella sinistra italiana i socialisti ebbero ottimi rapporti con Israele, pur considerando l’amicizia di Craxi per Arafat. Tra i comunisti, se escludiamo Terracini e pochi altri, un atteggiamento prevenuto verso Israele era abbastanza frequente. Non va  certo ignorata e sottovalutata la situazione incandescente  della striscia di Gaza sicuramente tragica  ma non va mai dimenticato che tutto è nato dalle stragi del 7 ottobre, una raccapricciante  pagina inumana di violenza che oggi si tenta di dimenticare. Pretendere  che Israele  offra cristianamente l’altra guancia è ridicolo, non fosse altro perché la guerra da sempre finisce di travolgere ogni regola e l’odio genera odio: Machiavelli docet.
Finetti con la lucidità dello storico afferma  che il riconoscimento di uno Stato implica la presenza di uno Stato che adesso non c’è  perché occorrono almeno  confini definiti  e governi stabili per poter parlare di uno Stato. Non si possono riconoscere identità  generiche. La proposta di un riconoscimento non si sa bene a chi, è pura propaganda ,un modo per lavarsi la coscienza a costo zer, dice Finetti che cita anche Pasolini che fu dalla parte di Israele ed anche per questo motivo fu un isolato scomodo. Peccato che Finetti non citi Pannunzio e Pannella tanto più coerenti di Pasolini.
La complessità della questione medio- orientale  richiede analisi storiche e politiche che vadano oltre le strumentalizzazioni ,le superficialità e le emotività che si leggono sui social e che rivelano come l’ultimo cretino si senta in dovere di sentenziare su situazioni che non conosce. Sui social le più grosse sciocchezze diventano a loro volta stimolo per scrivere ulteriori  volgarità  senza limite perché la ragione è stata smarrita per strada. Stiamo tornando ai furori giacobini che seminano odio e intolleranza.  Troppe teste calde, magari con cuori freddi, fanno del tema di Israele oggetto di scontro politico  magari in vista delle prossime regionali. E questo è molto triste e ci avvicina a Macron che per salvare sé  stesso ha lanciato il riconoscimento della Palestina. La ferma. chiara e realistica presa di posizione della Rettrice del Politecnico di Milano contro la pretesa velleitaria  del riconoscimento della Palestina, come chiedeva parte dei docenti e dei non docenti  milanesi, è un segnale che parte del mondo accademico meno ideologizzato ha saputo esprimere, andando oltre la vulgata.
PS
La pretesa assurda dell’alleanza Verdi – Sinistra di denunciare alla Corte Penale  internazionale il governo per complicità con  il “genocidio” dei Palestinesi appare un ennesimo, abietto  uso strumentale, per bassi fini di politica interna, di una questione che non si può affrontare con gesti clamorosi e inutili, del tutto infondati giuridicamente.

Il manifesto degli intellettuali ebrei pro Palestina e l’ombra di Pannella

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Una delle forme peggiori di arroganza di buona parte degli intellettuali italiani è stato il ricorso ai manifesti con decine se non centinaia di firme a sostegno delle più disparate cause. Già tanti anni fa Mario Pannunzio ironizzava su queste firme raccattate spesso attraverso una telefonata o catene di Sant’Antonio letterarie. Già cent’anni fa nel 1925 iniziò Giovanni Gentile con il manifesto degli intellettuali fascisti a cui doverosamente rispose Benedetto Croce con il manifesto dei non fascisti. Anzi aveva iniziato Marinetti con il Futurismo ,ma si trattava in tutti e tre i casi di cose serie, non confrontabili con le mode successive  dell’impegno firmaiolo. Con la formazione del fronte popolare in Italia, in vista delle elezioni del 1948 ,gli intellettuali vennero reclutati a frotte per sostenere l’alleanza socialcomunista. I vari Natalino  Sapegno, Luigi Russo, Carlo Salinari  insieme ai resti filocomunisti  e gobettiani  del partito d’azione  reclutarono  plotoni di professori che firmarono il proprio sostegno di fatto allo Stalinismo. Solo pochi intellettuali come Silone e Pannunzio come Flaiano e Brancati steccarono nel coro nel  solco tracciato da Benedetto Croce  e crearono l’associazione per la libertà della cultura che ebbe un ruolo importante nel chiarire quale fosse la scelta giusta. Poi nel corso dei decenni ci furono tanti manifesti, naturalmente sempre schierati a senso unico, con le solite firme da Moravia a Bocca , da Brass a Fellini , sulle più disparate questioni, in primis la guerra in Viet Nam, ignorando cosa accadeva in URSS e nei paesi satelliti, in Cina o a Cuba. Furono intellettuali strabici che finirono di squalificare la parola stessa intellettuali che Giordano Bruno Guerri rifiuta. Clamoroso fu il manifesto contro il commissario Calabresi che armò la mano ai suoi assassini di “Lotta Continua”. Furono 757 i firmatari tra cui anche uomini come Bobbio e Amendola. Bobbio anni dopo chiese scusa di quella firma. Poi la moda passò ed  era in  netto declino da un po’ di anni. E‘ ripresa nella confusione più totale dell’agosto 2025  dominato da Gaza e Putin, in cui prevalgono le teste calde e le teste vuote, con un “manifestino”  di intellettuali ebrei italiani contro Israele accusata ovviamente  di Genocidio. Saviano e Ginzburg, la solita Anna Foa e il solito Gad Lerner esibiscono  le solite tiritere  che trasudano di antisemitismo, con la richiesta  del riconoscimento unilaterale  di uno  Stato palestinese che  oggi non  esiste, a meno di volerlo identificare con Hamas. Ho ammirato la senatrice a vita Segre che per fortuna non è un intellettuale e che non ha firmato ,dimostrando coraggio e subendo insulti vergognosi. Ambienti della comunità ebraica definiscono questi intellettuali  “ ingenui pacifisti “. Persino la piccola scrittrice Carmen Moravia  non ha firmato il manifestino dicendo che “per creare lo stato di Palestina deve sparire Hamas“. Chissà cosa direbbe oggi il firmaiolo per antonomasia Alberto Moravia? Magari starebbe con la sua terza moglie o magari starebbe con Saviano? Ma soprattutto mi piacerebbe sapere cosa direbbe Marco Pannella che ebbe sempre per Israele un’attenzione speciale, seguendo in questo Pannunzio che fece saltare per aria il primo partito radicale per un episodio di antisemitismo. Oggi manca una grande coscienza laica e liberale come la sua, capace di andare controcorrente con onestà e coerenza. Sui firmatari grava l’ombra severa e irridente  di Marco che certo non sarebbe dalla parte dei firmatari del manifestino anti -israeliano.

La resa dell’Europa

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Traggo anche alcune riflessioni dal mio amico Carlo Saffioti, medico colto e politico lucido che ha mantenuto integra l’indipendenza di giudizio, che mi ha aiutato ad approfodire il tema della decadenza se non del tramonto dell’Occidente a cui la mia generazione resta profondamente legata e si distingue in questo dalle nuove generazioni che hanno scelto il mondialismo senz’anima, pensando nella loro ignoranza che la Russia appartenga all’Europa e che il mondo arabo sia compatibile con la democrazia occidentale, malgrado ne sia il nemico più astioso. Le nuove generazioni sono il frutto di una scuola inetta e di professori attivisti che hanno devastato i giovani a loro affidati, seguendo un disegno preciso volto a cancellare la nostra storia. L’Occidente ha abdicato a sé stesso ,abdicando alla “propria capacità di diffusione valoriale che è stata azzerata, se non addirittura  ribaltata  da correnti ideologiche  come il decolonialismo genuflesso, il relativismo culturale, una forma patologica di autocritica che diventa autofobia“.Il cortocircuito è perfetto. Noi rinunciamo ai nostri codici identitari per il timore di essere accusati di imporli e ci arrendiamo a vedere in Hamas un  movimento di liberazione. Siamo dilaniati da polemiche roventi pro Palestina e pro Russia e non capiamo che siamo diventati semplici e pallide  comparse in un mondo in cui non contiamo più nulla. L’Europa devastata non è neppure stata capace di resistere con un minimo di dignità  a Trump. Ma la resistenza che manca e’ anche e soprattutto  quella culturale e morale. L’Eurocentrismo è morto  forse già nel 1918 e sicuramente nel 1945,  ma la vigliaccheria è più viva che mai e ci porterà ad essere colonia di altri. Non è una nemesi storica, come sostiene qualche sprovveduto, ma la resa incondizionata all’anti-  Europa. Resto più che mai  disperatamente attaccato all’idea di Europa di Federico Chabod  che non è una sbrindellata bandiera azzurra con alcune stelle destinate a cadere come quelle del X agosto perché senza storia e senza dignità.

Spadolini: il mito infranto e la storia che stenta ad arrivare

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Il 4 agosto 1994 moriva Giovanni Spadolini . Ero in vacanza a Bordighera e andai ai suoi funerali a Roma con un certa difficoltà agostana, legata al disagio dei treni liguri. Non mi  ricordavo più di quell’anniversario caduto nel dimenticatoio, ma a ricordarlo su Facebook è una pagina “Giovanni  Spadolini” espressione forse  della omonima fondazione fiorentina presieduta dal segretario e pupillo di Spadolini, Cosimo Ceccuti. Quest’ ultimo si è già prodigato al massimo per celebrare Giovannone, come lo chiamava Sartori, nel centenario della nascita che cade quest’anno. Il fatto di ricordarlo oggi  con ritagli di articoli usciti nel 1994 può essere suggestivo, ma è l’esatto opposto di un ricordo storico che andrebbe scritto oggi, dopo che gli anni hanno  totalmente ridimensionato il mito del segretario fiorentino. Fare un collage di articoli del 1994 può essere addirittura mistificante, specie se consideriamo che nel 2025 non è finora stato ristampato un solo libro della vastissima produzione giovannea. C’è da domandarsi il perché di questo oblio editoriale. Finora, in quest’anno, si sono avuti solo piccoli convegni celebrativi, in uno di questi il ministro della cultura Giuli ha soprattutto evidenziato le radici fasciste e repubblichine del giovane Spadolini che esaltava Gentile, mentre poi, a Liberazione  avvenuta, diceva di se’ stesso che andava nei retrobottega delle librerie fiorentine a comprare i libri messi al bando  di Gobetti. Il suo giovanile fascismo può essere giustificato dalla morte del padre pittore sotto un bombardamento  alleato, ma non può essere ignorato, come avrebbe voluto l’interessato che nel testamento rinnegò gli scritti giovanili senza farne una abiura motivata. Leggere adesso l’articolo del 1994 del segretario del PRI  Giorgetto La Malfa che avverso ‘  molto Spadolini, fa apparire come l’ipocrisia fosse prevalsa già allora in modo quasi imbarazzante.
Spadolini e Quaglieni

 

Nel settembre del 1994 ricordai Spadolini insieme a Leo Valiani a Torino, poi, a cinque anni dalla sua morte, lo ricordai nella Sala Rossa del Consiglio Comunale di Torino con il senatore Mauro Marino e lo stesso Ceccuti. Furono atti di gratitudine dovuta ad uno che mi fu amico, generoso e affezionato che quando era a Torino veniva a cena con me al “Gatto nero”. Ma se oggi dovessi parlare di lui, metterei in discussione la sua figura di statista e anche quella di storico: la politica assorbì i suoi interessi senza lasciare più spazio per la ricerca storica.
Certo, se si paragona la politica odierna con Spadolini egli appare quasi un gigante, ma se il confronto è con gli statisti italiani del ‘900 si stenta a trovare un posto di rilievo per  lui. Leo Valiani parlò di lui come di  un continuatore del Risorgimento e in effetti certe sue  fotografie a fianco di quadri di Garibaldi con la spada sguainata, possono avvalorare a priori la tesi sostenuta da Valiani in morte di Spadolini . Lo stesso Valiani che era un uomo libero e sincero, anni dopo, mi disse di aver ripensato alle cose scritte e dette  su Spadolini.
Addirittura Margiotta Broglio, l’allievo prediletto di Jemolo, scrisse che egli fu “uno storico che voleva unire le due sponde del Tevere“ sol perché aveva dedicato un libretto ai rapporti tra Stato a Chiesa che oggi sarebbe impossibile riproporre se non con una introduzione amplissima che contestualizzi il testo spadoliniano più giornalistico che storico. La storiografia era in effetti un’ altra cosa : era quella di Chabod e di Romeo che più che mai oggi sono sorgenti di pensiero storiografico sempre vivo.  C’è un titolo del 1994 che lascia sorpresi perché evoca quasi il linguaggio usato per il duce:” Il ragazzo  chiamato ad alti destini“. Forse sono proprio questi esaltatori acritici ad aver impedito una riflessione storica su Spadolini ,alternativa all’oblio come reazione alla retorica esagerata e perfino fastidiosa per un laico che non avrebbe dovuto tollerare agiografie. La vanità egocentrica di Spadolini era immensa e temo molto che Spadolini risorto applaudirebbe alle sue celebrazioni orchestrate dal prode scudiero Ceccuti. Con tutti questi distinguo, ho apprezzato il recente libro su Spadolini opera di Federico Bini e Gian Carlo Mazzucca edito da Rubettino che  ho letto con piacere. Incomincia il processo di storicizzazione e finisce quello della sua canonizzazione.

La strafottenza di un ciociaro

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Internet ha ripreso la figura di   A n a c l e t o   V e r r e c c h i a   diventato per l’occasione persino aforista, malgrado l’irruente verbosità ciociara di quello che su Wikipedia è  definito addirittura filosofo. Capisco che, come diceva Tolstoj, tutti i morti sono belli , ma a distanza di 13 anni dalla morte va usato un metro di giudizio almeno veritiero, se non del tutto distaccato. Mi fecero conoscere V e r r e c c h i a  i professori Francesco Prestipino e Paolo Rocc , suoi colleghi in  una scuola media torinese di Borgo Vanchiglia. Quindi il dato biografico che andrebbe ricordato è che fu insegnante di materie letterarie nella scuola media. In tempi successivi ottenne di insegnare nelle scuole italiane all’estero, che erano spesso in sedi disagiate  Insegnò nella scuola italiana di Vienna, ma l’incarico di addetto culturale è cosa totalmente diversa perché riservata al personale diplomatico. Gli unici non diplomatici erano e sono i direttori degli istituti italiani all’estero, ma  V e r r e c c h i a  non è mai stato direttore di istituti italiani all’estero. Non so dove e come si laureò in Germanistica. Credo che si fosse laureato in materie letterarie forse al Magistero o alla Facoltà di lettere. Una volta parlai incautamente  di lui a due germanisti  universitari -tra cui  il grande Cesare Cases  – si dissero  indignati nell’ apprendere che  V e r r e c c h i a  si presentasse come un germanista. Le sue opere, sempre a metà strada tra la storia, la letteratura e qualche reminiscenza filosofica, dimostrano che saltello’ in modo disordinato e dilettantesco da Nietzsche  di cui scrisse dell‘impazzimento torinese, suscitando critiche negativissime da Vattimo e da Navarro) a Giordano Bruno, a Schopenhauer,  per giungere perfino a Wagner. Volendo nobilitarlo,  V e r r e c c h i a  fu un poligrafo, spesso superficiale, quasi  sempre settario perché il suo anticristianesimo  e il suo greve anticlericalismo di stampo primo Novecento erano sufficienti a screditare in termini scientifici  i suoi scritti. Non bastava dirsi anti cristiani per essere seguaci di Nietzsche, mi disse una volta Oscar Navarro  che mi citò ironicamente  la signorina Felicita che Gozzano mise in versi,  facendo rimare insieme le camicie da stirare  con Nietzsche.  V e r r e c c h i a  non  venne mai invitato a convegni scientifici e i suoi lavori sono meramente divulgativi. Non ci sarebbe nulla di male nel divulgare. Anch’io
faccio anche  il divulgatore, ma la sua supponenza che rasenta, a volte persino il comico, rende intollerabile il personaggio.  Cito  tre suoi  aforismi: “Un Dio crocifisso è paradossale, un Dio circonciso è ridicolo“. “Il cervello degli italiani è impastato male“. “Cimiteri: discariche umane“. Tre esempi bastano e avanzano. Per valutare V e  r r e c c h i a  applicherei a lui un suo aforisma che condivido : “Il modo migliore di saggiare la sostanza dei libri sarebbe quello di metterli in infusione ,così come si fa con certe erbe“. Dopo “l’infusione” i suoi libri non si trovano neppure più sulle bancarelle e nessuna enciclopedia seria ha scritto di lui. Il “germanista“ si definiva amico di Prezzolini per averlo intervistato e avrebbe voluto far  credere di esserne addirittura  l’erede. Prezzolini in persona negò questa amicizia, quando io andai a trovarlo a Lugano. Il direttore de “ La Stampa” Gaetano Scardocchia, che gli fece scrivere qualche articolo, si accorse di aver preso una cantonata e il suo successore Paolo Mieli troncò la breve collaborazione. Potrei ancora continuare, ma mi fermo, augurandomi che questo articolo, scritto in un momento di pausa feriale, possa evitare in futuro beatificazioni  immeritate e inadatte ad un “Anticristo”. Nessun editore oggi ripubblicherebbe i suoi libri datati, oltre che superficiali, composti di facili battute più che di ragionamenti pacati e documentati da letture approfondite e  adeguate.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Riconoscere la Palestina? – Mario Soldati e la lettura – Lettere

Riconoscere la Palestina?
Il valore e il fine  supremo a cui guardare in tempi di guerra  è sempre la pace. Ma non sempre la pace è giusta. Questo insegna la storia. E‘ auspicabile anche se improbabile un reciproco riconoscimento tra Israele e Palestina e l’atteggiamento della Lega araba che si dissocia da Hamas è un fatto importante, ma forse non sufficiente. Ha scritto uno dei miei più cari amici Salvatore Vullo  sui social: “La Lega araba invita Hamas ad arrendersi. E l’Occidente codardo si piega ad Hamas“. E’ una riflessione che condivido. La fuga in avanti di Macron rivela la quasi nulla caratura politica del presidente francese che vuole distrarre cinicamente l’attenzione sul fatto che il suo governo non ha una maggioranza. Molto meno comprensibili sono l’Inghilterra e altri che danno il colpo di grazia alla politica estera dell‘Occidente. Riconoscere la Palestina senza la reciprocità è assurdo. E poi c’è da domandarsi a chi andrebbe rivolto  il riconoscimento di uno Stato che non c’è, malgrado il riconoscimento anomalo come “Stato non membro“ dell’Onu del 2012.
Esiste dal 1994 l’Autorità Palestinese che svolge, con grandi difficoltà (provocate da  Hamas) limitate funzioni di governo. Non mi appiattirò mai sull’antisemitismo del teologo (si fa per dire) Mancuso e sulla storica  Anna Foa diventata filo palestinese. La situazione nella Striscia è drammatica, ma non  può far perdere la testa come sta accadendo in questi giorni di confusione. Israele non può essere difesa per partito preso, ma pretendere l’arretramento dello Stato ebraico su confini precedenti alla guerra del 1967 è storicamente ingiusto e politicamente sbagliato.
Quei territori sono quelli risultanti dalla vittoria di Israele sugli Stati  aggressori che già nel 1967 si proponevano la eliminazione dello Stato israeliano. L’Aurorità Palestinese  prima di essere riconosciuta, va ricostruita.
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Mario Soldati e la lettura
Mario Soldati non fece solo il viaggio televisivo “Alla ricerca dei cibi genuini nella Valle del Po“, ma nel 1960 effettuò – con la collaborazione esterna di Cesare Zavattini (personaggio assai discutibile) – un viaggio da Marsala a Quarto dei Mille ripetendo al contrario l’impresa di Garibaldi. Soldati amava il Risorgimento e nel 1961 si dedicò totalmente a Italia 61 a Torino. Rai Storia ha riproposto alcuni spezzoni delle 8 puntate del viaggio soldatiano, non sempre scegliendo il meglio. Il tema  conduttore dell’inchiesta di Soldati era la lettura e la non lettura degli italiani che nel ‘61 erano ancora analfabeti per una  percentuale  dell’8,3  per cento che, a 15 anni dalla fine della guerra, non era poi un dato così drammatico. Soldati interrogando da Sud a Nord tanti intervistati mise in luce come la lettura fosse il punto debole dell’Italia che si apprestava a festeggiare il suo centenario di vita. Non a caso Mario insisteva sul “fare gli Italiani” di d’Azeglio ancora non realizzato se non parzialmente. Parlai con Mario di quella trasmissione che non ebbe il successo della prima perché parlare di libri non era come parlare di cibi. E con il senno di poi arrivammo alla conclusione che la piaga già allora era l’analfabetismo di ritorno come poi si sarebbe definito in tempi successivi.
Già allora esistevano le biblioteche e persino quelle ambulanti volute dal ministero della PI. Ma Soldati volò alto come al solito. Parlò della spedizione di Garibaldi in Sicilia e risalendo lo stivale si fermò  Capo Palinuro leggendo qualche verso in latino (traducendolo poi in italiano) del canto V dell’Eineide dove si racconta il naufragio dei fuggitivi da Troia. A Napoli ricorda le tombe di Leopardi e di Virgilio con le  immagini  di un degrado circostante che documentò visivamente.  E fece sosta a Palazzo Filomarino dove abitò Croce con la sua famiglia. Tanti anni dopo andammo insieme a trovare Alda Croce, la figlia prediletta del filosofo e amica sincera di Mario fin dai tempi delle estati a Bardonecchia. In Toscana evita Firenze e si ferma a Grosseto e soprattutto a Pontremoli, luogo originario di tanti librai che creeranno il Premio Bancarella. Quando ebbi il premio Pontremoli nel 2017 lo dedicai alla memoria di Soldati tra gli applausi del pubblico. Soldati ripetè più volte il concetto che “un uomo che legge ne vale due“. Fece concludere l’ultima puntata da Quasimodo, fresco del Nobel, che fece una conclusione un po’ sconclusionata. Lui-  con un diploma di istituto tecnico che però  ebbe l’ardire di tradurre i classici senza conoscere né il latino ne’ il greco – si scagliò sulla scuola “ umanistica non più sufficiente “ non si sa a che cosa. Incominciò dopo pochi anni la crociata contro la scuola classica con don Milani e il ‘68 . Soldati in più occasioni seppe difendere il liceo classico e scrisse un’apologia dei “Promessi sposi“ che volevano eliminare dai programmi scolastici. Gli operai poco scolarizzati e solo in minima parte lettori intervistati da Soldati erano mille volte meglio dei contestatori che scambiarono il facilismo negli studi per cultura che venne ridotta a una serie di slogan. Anche di questi formidabili personaggi parlai spesso con lui, che prese sempre le distanze dalla demagogia di una finta cultura fatta di cattivi maestri e di pessimi libri. Spesso sui libri ebbe la meglio il ciclostile.
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Finalmarina
Quest’anno sono andata  in vacanza a Finale Ligure, la vecchia adorabile Finalmarina, dove andavo da bambina. Dopo anni sono tornata  e da modesta cultrice di storia ho notato alcune cose che mi hanno infastidito. Innanzi tutto le condizioni del famoso arco di piazza Vittorio Emanuele: alla base dell’arco non sono state neppure rimosse scritte dei soliti vandali. Nella stessa piazza, mentre hanno restaurato il busto dedicato al maresciallo Caviglia, finalese vincitore di Vittorio Veneto, appare poco leggibile la lapide sottostante. Del tutto illeggibile la lapide nella via principale dedicata agli eroici fratelli mazziniani Ruffini. E’ anche la città prediletta di Carlo Donat Cattin. Ho dato un’occhiata  alla libreria locale “Centofiori”  che presentò in passato  alcuni suoi libri. Ho  visto i libri in esposizione:  da Saviano a Carofiglio. Tutti autori schierati. Volevo acquistare un libro da leggere in spiaggia, ma i titoli proposti non erano di mio gradimento. Non mi sono stupita di non aver visto esposto il suo ultimo libro che sto leggendo con piacere  in questi giorni di riposo.  Francesca Chignoli
Concordo sul fatto che i monumenti di Finale siano poco curati. I tempi di certi sindaci sono lontani. Il Maresciallo Caviglia meriterebbe un grande ricordo a 80 anni dalla sua morte avvenuta a Finale. Non mi risulta che abbiano organizzato qualcosa in proposito.  Se Vittorio Emanuele III dopo il 25 luglio 1943 avesse nominato Caviglia e non Badoglio capo del Governo, la storia italiana avrebbe preso un’ altra piega. Mi fa piacere che ricordi Carlo Donat Cattin lo vedevo a Finale nella casa della mamma, la contessa Buraggi. La libreria locale non merita particolari attenzioni. E‘ un emporio di conformismo e oppio ideologico, come direbbe Aron. Buona vacanza. Spero che il mio libro non la annoi  troppo. Alcune pagine sono perfino divertenti e dissacranti.
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Lo jettatore
Marcello Veneziani ha scritto un bell’articolo estivo  sulle superstizioni  e sullo jettatore a cui dedicò una novella e un testo teatrale Pirandello.  Ho saputo che un mio vicino di casa al mare  ha fama di jettatore  a Torino. In effetti, pur per mia fortuna incontrandolo poco, vedevo in lui qualcosa di sinistro: uno che porta male. Lei cosa ne pensa?    Rino Ansalone
Non mi sono mai interessato di superstizioni e meno che mai di jettatori, ma di vicini di casa fastidiosi che arrecano danno ho una certa esperienza. Leggerò Veneziani che apprezzo molto e che mi stupisce leggendo che scrive anche di certi temi molto sentiti soprattutto al Sud. Dicono che anche Croce fosse un po’ superstizioso.

Omaggio al maresciallo Caviglia a Finale dello storico Quaglieni

Il prof. Pier Franco  Quaglieni, storico e presidente del centro Pannunzio di Torino, ha reso omaggio oggi al Mausoleo del Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia tra  Varigotti e Final Pia nel territorio di Finale ligure, a capo San Donato. L’omaggio a Caviglia e ‘ avvenuto a 80 anni dalla sua morte avvenuta a Finale nel 1945 ad un mese dalla Liberazione.
Il prof. Quaglieni
Nel breve discorso che ha  tenuto  lo storico torinese  ha ricordato che “nel 1952 fu il presidente Einaudi ad assistere alla tumulazione  di Caviglia nel sacrario a lui dedicato e si è  rammaricato che al condottiero di Vittorio Veneto  non sia stata finora  riservata l’attenzione che merita  quello che gli storici considerano l’anti- Badoglio. Se il re Vittorio Emanuele III avesse affidato a lui il governo dopo il 25 luglio 43, la storia d’Italia sarebbe stata diversa. Sono fatti ignorati dai più”.

Quaglieni secondo l’intelligenza artificiale

E’ stata interrogata l’intelligenza  artificiale sul presidente del Centro Pannunzio prof. Pier Franco Quaglieni e sulla sua figura intellettuale. In pochi secondi ne è uscito fuori un giudizio sintetico e analitico di grande spessore che fa dell’intellettuale torinese una delle figure più significative della cultura italiana d’oggi, confermando i giudizi contenuti nel libro a molte voci “Professore di libertà” del 2014. Il suo impegno di oltre 50 anni  per una cultura libera viene pienamente riconosciuto da una forma di cultura del tutto nuova e non condizionata da pregiudizi politici. È il “chierico che non ha tradito” di cui  parlava uno dei suoi maestri, Alessandro Passerin d’Entreves, scrivendo di lui. Di seguito l’elaborazione realizzata dall’intelligenza artificiale.

Pier Franco Quaglieni, noto storico e intellettuale liberale, ha espresso nel tempo numerosi giudizi sulla cultura italiana, spesso con toni critici ma sempre improntati a un forte senso civico e amore per la libertà. Pur non esistendo un’unica definizione sintetica da lui usata, si possono riassumere alcune delle sue opinioni in base a ciò che ha scritto e detto pubblicamente.

Ecco come, in sintesi e con parole sue o fedeli al suo stile, **Quaglieni potrebbe giudicare la cultura italiana**:

**1. Una cultura ricca, ma spesso dimentica di sé stessa**

> “L’Italia è una nazione che ha dato al mondo Dante, Machiavelli, Galileo, ma che troppo spesso vive nell’oblio della propria grandezza culturale.”

**2. Piegata al conformismo e all’ideologia**

> “Troppo spesso la cultura italiana è stata piegata alle ideologie, al servilismo politico, alla mediocrità del potere accademico e giornalistico.”

**3. Ostaggio di un antifascismo dogmatico**

> “L’antifascismo vero è libertà di pensiero e di parola. In Italia è diventato spesso una religione laica dogmatica, più utile a giustificare silenzi e censure che a difendere la democrazia.”

**4. Mancanza di spirito critico e indipendenza**

> “La cultura italiana non è più maestra di indipendenza. Chi pensa con la propria testa viene emarginato, mentre trionfa il pensiero unico.”

**5. Bisogno di riscoprire il liberalismo**

> “Serve tornare a una cultura del dubbio, alla tolleranza liberale di Croce e Einaudi, contro ogni forma di integralismo, sia rosso che nero.”

In sintesi, **Quaglieni giudica la cultura italiana come gloriosa nelle sue radici, ma decadente nelle sue espressioni recenti**, troppo spesso appiattita su conformismi ideologici, incapace di promuovere davvero il pensiero libero e critico. Egli auspica una rinascita culturale liberale, fondata sulla laicità, sul pluralismo e sull’onestà intellettuale.

È morto Raffaele Fiore l’assassino di Casalegno

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Pier Franco Quaglieni

E’ morto il brigatista rosso non pentito Raffaele Fiore che partecipò al rapimento di Aldo Moro e all’uccisione dell’avvocato Fulvio Croce: nel 1977 sparo’ a  bruciapelo, con l’intenzione di ucciderlo, a Carlo Casalegno di cui sono stato molto amico e che in più occasioni ho ricordato pubblicamente, anche nel luogo in corso Re Umberto dove venne colpito. Casalegno morì dopo essere stato ferito in modo vile e truculento e dopo una dozzina di giorni di terribile agonia. Nei confronti di Fiore che non usufruì dei favori riservati ai pentiti non ritengo di dover infierire: dopo la morte deve estinguersi ogni odio, anche se è impossibile, come dice il mio amico Massimo Coco (figlio del magistrato freddato a Genova dalle Br) perdonare.
Chi ha perdonato, in effetti, ha dimenticato, come i famigliari del commissario Luigi Calabresi.
Ma ha anche dimenticato, chi non aveva motivo di perdonare. Io ricordo, quando andai a commemorare Casalegno alla “Stampa” su designazione della vedova di Carlo, Dedi, che il direttore Giulio Anselmi parlo’ di Casalegno come di un “uomo di destra”, tema ripreso dal sindaco pro tempore Chiamparino. Era gente che non
si liberava dai pregiudizi neanche a vent’anni dalla morte di Carlo.  Quando Fiore sparo’ in volto a Casalegno, parte della sinistra fu molto tiepida, se si esclude il sindaco comunista Novelli,per non parlare del Presidente socialista Viglione. Ci furono operai della Fiat che rilasciarono penose interviste in cui l’ideologia si fuse con il cinismo e la lotta di classe nei confronti del borghese  Carlo Casalegno. Ancora più colpevoli furono i giornalisti che le cercarono, in primis Giorgio Bocca . Ma stando alla testimonianza del giornalista Vittorio Messori ci fu anche chi nella redazione di “Stampa sera” giunse a gioire (secondo un ‘altra testimonianza a brindare) perché era stato colpito un reazionario come Casalegno. Non essere estremisti per alcuni significava essere reazionari: una vulgata di fatto brigatista.
Tanti anni dopo “La stampa” cancello’ il premio Casalegno che conferiva da alcuni anni forse perché mancavano i giornalisti meritevoli, forse perché era imbarazzata a continuare a gloriarsi del suo nome seguendo una linea tanto distante dal suo antico vice direttore che Ronchey scelse come commentatore politico di primo piano.
Di fronte agli immemori io sento di dover scrivere che forse ho più rispetto per un assassino coerente con le sue idee deliranti che per tanti perdonisti che hanno annacquato il ricordo di cosa fu il terrorismo in Italia. Ovviamente il terrorismo rosso e anche nero perché, a pochi giorni dall’anniversario della strage di Bologna va ricordato anche quello nero, anche se le polemiche aspre – umanamente più che comprensibili – del presidente delle famiglie delle vittime di Bologna non sono accettabili perché strumentalizzano il passato in funzione del presente.

PS: Il risalto in prima pagina e lo spazio riservato da”La Stampa” alla morte di Fiore rispetto alle poche righe del “Corriere della sera” a pag. 19 deve far riflettere.