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Luca Beatrice, il coraggio della cultura libera

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Il cuore di Luca Beatrice ha ceduto alla fatica di vivere e lavorare in una Torino nella quale la feroce egemonia gramsciana rende tutto difficile a chi non si piega. Luca  fu critico d’arte di rilievo nazionale e internazionale  come lo fu Philippe Daverio che voglio accomunare a lui in questo ricordo e che come lui fu un uomo libero. A Torino essere uomini liberi è arduo. Luca ci ha indicato con l’esempio la strada da percorrere, anche se lui generosamente  disse una volta che ero stato io  in primis a praticarla tanti anni fa. Quando fu presidente del circolo dei lettori io ricordo le tensioni che ebbe con la direttora del tempo. Lui sempre pluralista, lei spesso vittima di una politica che la portò alle massime cariche politiche. Ricordo come impose al Circolo un adeguato ricordo di Enzo Tortora con il procuratore Saluzzo e la sen. Scopelliti. Ci fu anche un messaggio di Napolitano. Fu un presidente del Circolo che garantì l’agibilità politica per tutti senza preconcetti ideologici. Mi spiace di non averlo frequentato abbastanza. Ora sento un grande vuoto in una cultura torinese livida, avida, servile. E’ il vuoto incolmabile lasciato da Luca.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Il Piemonte contro la violenza – Solidarietà ad una docente perseguitata – Il Latino è un’altra cosa – Lettere

Il Piemonte contro la violenza
L’iniziativa-incontro  del presidente del Consiglio regionale del Piemonte  Davide Nicco di martedì 21 gennaio dedicata alla  necessità di ribadire in  modo inequivocabile ed assoluto che il confronto politico non deve mai degenerare in violenza, è molto importante perché segna  uno spartiacque tra chi strizza l’occhio agli estremisti che devastano le nostre città e ricorrono alla violenza contro le forze dell’ordine e chi condanna senza ambiguità l’’uso della violenza.
E’ bene ribadirlo anche rivolti al passato, partendo da Marx che riteneva la violenza il forcipe della storia, per giungere a Marinetti che inneggiava alla violenza, sia pure in focosi discorsi che rimanevano tali. Come “reduce”   in Spe di scelte e battaglie  democratiche e liberali contro il ‘68 e le violenze che degenerarono  nel terrorismo armato, esprimo una profonda adesione all’iniziativa del Presidente Nicco. Vedo in lui lo spirito che fu  di un mio grande amico, il presidente Aldo Viglione, capace di rappresentare l’intero Piemonte, come forse nessun altro presidente del Consiglio Regionale.
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Solidarietà ad una docente perseguitata
La docente della scuola elementare “Sinigaglia” di Torino Laura Prunotto è stata assolta dal tribunale di Torino  in cui era stata trascinata dalle accuse veementi, piene di odio,  lanciate contro di lei  da alcuni genitori di suoi alunni. E’ storia che si è trascinata per 10 anni. La docente venne sospesa dall’insegnamento in base ad accuse (maltrattamenti aggravati) che oggi si rivelano una vera e propria diffamazione in quanto il Tribunale ha stabilito che “il fatto non sussiste”. Sono i risultati di una scuola nella quale l’autorità del docente è stata calpestata per dare spazio solo a discenti e genitori che pretendono di condizionare anche le autorità scolastiche.
Il direttore scolastico regionale in carica è stato invece molto  chiaro e ha detto che chi è assolto ha il diritto di tornare ad insegnare. I genitori che si erano accaniti contro la docente fanno indebita pressione sulla Procura perché  si appelli contro la sentenza. E’ una storia vergognosa di persecuzione di cui su questa rubrica mi ero già occupato fin dagli inizi di questa vicenda,  che segna la fine della Scuola di Stato divenuta una scuola privata al servizio dei genitori. I casi di docenti e di capi di istituto fatti oggetto di vere campagne  diffamatorie sono numerosi e sono una delle cause per cui nella scuola l’insegnamento  è condizionato dall’indice di popolarità da raggiungere, a prescindere dalle competenze didattiche  degli insegnanti. La caccia ai docenti all’apparenza  più fragili è stata condotta anche da alcuni presidi che colpiscono un docente per “educarne”  cento e far vedere il loro potere. La scuola galleggia in queste acque putride da troppi decenni. La dignità dei docenti non viene difesa neppure dai sindacati confederali della scuola. Essere sottoposti ad un processo (da cui la docente in questione è uscita a testa alta) per il fatto di incappare in alunni e genitori che vorrebbero una scuola a misura dei propri comodi, appare davvero una cosa incredibile che va denunciata con fermezza. Il bullismo ha le sue radici lontane in questi soprusi contro i docenti  fin dalla scuola elementare. Chi indennizzerà la docente Prunotto del danno, delle sofferenze, delle umiliazioni subite ? E chi le ha rubato dieci anni della sua vita pagherà qualcosa per la cattiveria dimostrata?
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Il Latino è un’altra cosa
Che rientrino nella scuola media il Latino, la storia e la geografia e anche lo studio della civiltà occidentale e della Bibbia non deve creare scandalo, anzi può anche allietare uomini di solida cultura come il maestro Massimo Coco. Il problema è più complesso. Come rientrano? Mi riferisco  in particolare al Latino. Un po’ di Latinetto opzionale non serve a nulla Con Luciano Perelli constatammo  che nella media non era  più insegnato da docenti all’altezza. Gli studi classici sono cosa seria e richiedono tempo e impegno.
Andrebbero ripristinati anche al liceo classico dove sono scaduti. Nei licei scientifici si studiano pochissimo o vengono aboliti senza problemi. Non entro nel merito delle altre materie che ci porterebbero troppo lontani. Obietto con Gianni Oliva che studiare la Bibbia in una scuola laica può suscitare delle  perplessità anche perché i docenti non si improvvisano. La scuola avrebbe necessità di una riforma vera, ma la destra delle tre I ha solo pasticciato con le sue ministre, come sta facendo l’attuale. Sono  improvvisatori senza competenze specifiche. Prima madamine, adesso un giurista.  La sinistra anch’essa ha pasticciato nella scuola, pur offrendo persone più qualificate. Bisogna definire un asse culturale che non si riesce a fissare. Piccoli ritocchi servono a poco. Una  spruzzata di latinetto opzionale rischia di diventare il “latinorum” di don Abbondio. Non basta. Ci sono laureati in lettere che non hanno studiato il latino: sono ragionieri, geometri, periti. Codignola fece il disastro di aprire gli accessi universitari. I valori della cultura classica snobbati, anzi cancellati, sono molto importanti, ma vanno trattati con cura. Un ministro  salviniano non può farlo, al di là della sua volontà. Con Gentile, si è visto, hanno qualche difficoltà a rapportarsi e quindi è meglio lasciar perdere.
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Craxi 25 anni dopo
A 25 anni dalla morte di Craxi escono altri libri che non danno contributi significativi alla lettura di un vero statista che ha saputo governare il Paese con competenza ed efficacia . Le accuse contro di lui legate a Tangentopoli non dovrebbero oscurare i suoi meriti.  Dante Giulio
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Craxi  va considerato in termini storici andando oltre il “codardo” oltraggio, seguito al “servo encomio” dei cortigiani. Lo dissi ad un anno dalla morte quando lo ricordai a Torino con Stefania Craxi, Giorgio Cavallo, Maria Magnani Noya, andando contro il clima da caccia alle streghe instaurato da Borrelli e Di Pietro. Craxi ha rappresentato una linea di continuità con il socialismo di Turati, di Matteotti, di Saragat e dell’ultimo Nenni. Un socialismo non succubo del Pci che sembrava essere scomparso negli anni di piombo, del compromesso storico, del brigatismo. Mario  Soldati era un ammiratore sincero e disinteressato di Craxi. Mi portò a conoscerlo e debbo dire che rimasi colpito dalla sua forte personalità.
Bobbio lo detestava, ma io finii di condividere la scelta di Soldati. Quando Craxi venne eletto, alcuni socialisti filo comunisti dissero con sarcasmo che era nata la socialdemocraxia. Seppi poi con certezza che questi personaggini erano dei comunisti infiltrati nei ranghi del PSI con lo scopo di  sabotare il partito socialista. E tanti sbandamenti del PSI e dello stesso Nenni si possono comprendere solo vedendo il ruolo che ebbero le quinte colonne. Una di esse mi disse di odiare Craxi più dei fascisti. A riprova finì per militare in Rifondazione comunista. Craxi fu capace di guidare il partito socialista verso l’autonomia dal PCI e dal marxismo. Dietro di lui ci furono due martiri come Matteotti e Rosselli. E’ un qualcosa che non va dimenticato. Craxi aveva dei grandi ideali per cui ha combattuto. Semmai, furono molti i socialisti inadeguati e anche disonesti attratti dal potere. Questa è la discriminante storica che va fatta. Craxi fu un politico che aveva letto Machiavelli ma aveva anche letto Tocqueville. Queste letture fanno la differenza rispetto a certa sinistra odierna che continua ad essere geneticamente anticraxiana.
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Mussolini
Egregio professore, più’ volte Lei ha espresso le Sue riserve ai libri di Scurati su Mussolini, definendoli non storici. Adesso vedo con piacere che dopo i film anche Cazzullo e Travaglio criticano Scurati.   Renzo Struzzi
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Le critiche sono di tipo diverso e mi preoccuperebbe essere sulla loro linea. Ma e’ fuor di dubbio che manca la storicità. Lo dice molto bene Giordano Bruno Guerri. Scurati è un piccolo scrittore che ha tratto notorietà, successo, soldi e premio Strega da Mussolini. Dovrebbe essergli grato…

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Bulli, delinquenti, autonomi a Torino – Il sindaco Lorusso e l’insicurezza  urbana – Daniele Sacco e il “Cambio” – Lettere

Bulli, delinquenti, autonomi a Torino
Il bullo e delinquente che getto’ dai Murazzi una bicicletta elettrica che colpì un giovane universitario, oggi paraplegico e che ha avuto la vita rovinata, ha avuto una sentenza di cinque anni inferiore (perché scelse il rito abbreviato) della ragazza che fu presente al fattaccio dei Murazzi, ma non vi partecipò. 16 anni sono molti per un concorso morale non facilmente dimostrabile. C’è da domandarsi perché la ragazza non prese le distanze dai suoi amici, ma il mondo del bullismo ha regole mafiose.
C’è da dire, pur senza aver letto le carte e pur condannando l’ omertà  della ragazza, summum ius, summa iniuria.
Soprattutto, rifiuto l’idea delle sentenze esemplari:  esse contengono in sé elementi illiberali che non potrò mai condividere.
In concomitanza con la sentenza  ci sono state le violenze di autonomi e studenti che hanno imbrattato Torino, danneggiato vetrine, ferito due poliziotti e un carabiniere.  Momenti di violenza  urbana, si dice oggi, che il prefetto vede legati anche alla criminalità. Un commento a se’ meriterebbe il solito sociologo (come aveva ragione Croce a tenere in nessun conto i sociologi) che giustifica la violenza dei “fragili”, incitando ad un dialogo con loro. Ma le sue parole sono talmente fuori da ogni logica che discuterle sarebbe uno sforzo inutile. Vanno citate  per documentare ancora una volta a che punto giungano certi intellettuali come nel 1968 e nel 1977, per non ricordare i complici di Lotta Continua e delle Br.  Nel caso dei violenti e nostalgici degli anni di piombo non ci possono essere indulgenze. Lo Stato deve tutelare i veri fragili che sono i cittadini. Ma, in ogni caso,  senza sentenze esemplari che sminuiscono il valore della nostra democrazia

Il sindaco Lorusso e l’insicurezza  urbana
In un ‘intervista al “Corriere della Sera”, il sindaco di Torino ha dichiarato che “l’illegalità colpisce soprattutto i fragili” Ed ancora “la sinistra non può aver paura di parlare di sicurezza” , riecheggiando l’ex sindaco Veltroni, oggi editorialista del “Corriere”, che considera un errore pensare alla sicurezza non  come una priorità sottovalutata dalla sinistra.
Ha anche ragione il sindaco di Torino nel dire che l’insicurezza non è solo problema di ordine pubblico, ma certi giustificazionismi  da tardo positivismo sociale di Verdi e Sinistra italiana sono superficiali e falsi. Lo Stato deve essere presente nelle periferie come nelle Ztl.
Ma in certe zone il degrado e il permissivismo hanno raggiunto dei livelli tali che neppure i Carabinieri sono sufficienti: gli spacciatori – ricorda il sindaco di Torino – si spostano dai luoghi presidiati di trecento metri e riprendono il loro mercato.  Sono problemi che vanno risolti , altrimenti  continueremo a baloccarci con la insicurezza percepita, mentre l’obiettivo è neutralizzare quella reale. Anche in una dichiarazione dell’on. Laus ci sono spunti di riflessione che meritano di essere considerati. Vorrei aggiungere che gli spacciatori che si arricchiscono, vanno perseguiti nel modo più duro, direi manu militari. Per loro nessuna comprensione diventa accettabile.
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Daniele Sacco e il “ Cambio”
Dicono che il conte di Cavour, che pranzava al “Cambio”,  si senta più solo dal 1 gennaio quando il cav. Daniele Sacco ha lasciato dopo 42 anni la direzione del ristorante, che con lui si era aperta alle novità, rimanendo una valida tutela della tradizione dell’unico locale storico di Torino, fondato  nel 1757.  Nella sua storia più recente Sacco ha attinto all’esempio del proprietario e direttore il comm.  Parandero, che tenne mirabilmente il locale per lunghi decenni persino durante la guerra. I locali del “Cambio” appartengono oggi all’erede di Parandero che è molto orgogliosa di suo padre. Ricordo i pranzi con la mia famiglia : mio padre era di casa anche per motivi di lavoro.
Ma non posso dimenticare che Arrigo Olivetti volle fondare al Cambio il Centro “Pannunzio” e Soldati  nel 1982 fondò  nella sala “Risorgimento” il Premio “Pannunzio”. E nelle sere d’estate, come scrisse Valdo Fusi, cenare nel  dehors a contatto visivo con palazzo Carignano suscita delle emozioni proustiane. Il “Cambio” ha avuto visitatori e clienti illustri a livello internazionale. Sacco con diplomazia e caparbietà tutta piemontese ha tenuto alto il nome di uno dei luoghi mitici di Torino. Lo ha fatto con il passo di corsa del bersagliere perché questi 42 anni sono passati in fretta Ricordo il primo  Premio “Pannunzio” del 1982 con il presidente del Consiglio Spadolini, che smaniava perché Galante Garrone ricordasse nella sua laudatio che lui a 25 anni era già professore, mentre Sacco da una parte e chi scrive dall’altra cercavamo di far funzionare le cose.
In un  elegante libro al quale io stesso ho collaborato, uscito  per i 200 anni del locale, Chiamparino ha banalizzato il ristorante, mettendo insieme agnolotti e Risorgimento. Fu una delle tante volte che non mi sentii rappresentato dal sindaco. Sacco dopo oltre quarant’anni è  rimasto giovane: ad un certo punto della storia del ristorante ha dovuto affrontare momenti difficili che ha fatto superare con la sua autorevolezza da tutti riconosciuta. Cosa farà  il diversamente giovane Sacco dopo la pensione ? Non è facile pensarlo anziano seduto su una panchina a svernare in riviera.
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Follie metropolitane
A Chieri l’abbonamento alla sosta delle auto in centro è aumentato da 80 a 400 euro. Una follia. Il centro di Chieri verrà ucciso da una giunta di demagoghi e incompetenti. Cosa ne pensa? Barbara Enrico

Mi sembra un provvedimento privo di buon senso. Chieri non vuole essere da meno di Moncalieri che ha chiuso il centro storico, facendone un deserto.  Basta a volte un sindaco o un assessore verde per provocare guasti terribili che distruggono  il tessuto urbano di una città. A Torino via Roma tutta pedonale provocherà dei contraccolpi che solo i ciechi non possono prevedere.

Daniele Sacco e il “Cambio”

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni 
Pier Franco Quaglieni

Dicono che il conte di Cavour, che pranzava al “Cambio”,  si senta più solo dal 1 gennaio quando il cav. Daniele Sacco ha lasciato dopo 42 anni la direzione del ristorante, che con lui si era aperta alle novità, rimanendo una valida tutela della tradizione dell’unico locale storico di Torino, fondato  nel 1757.  Nella sua storia più recente Sacco ha attinto all’esempio del proprietario e direttore il comm.  Parandero, che tenne mirabilmente il locale per lunghi decenni persino durante la guerra. I locali del “Cambio” appartengono oggi all’erede di Parandero che è molto orgogliosa di suo padre. Ricordo i pranzi con la mia famiglia : mio padre era di casa anche per motivi di lavoro.

Ma non posso dimenticare che Arrigo Olivetti volle fondare al Cambio il Centro “Pannunzio” e Soldati  nel 1982 fondò  nella sala “Risorgimento” il Premio “Pannunzio”. E nelle sere d’estate, come scrisse Valdo Fusi, cenare nel  dehors a contatto visivo con palazzo Carignano suscita delle emozioni proustiane. Il “Cambio” ha avuto visitatori e clienti illustri a livello internazionale. Sacco con diplomazia e caparbietà tutta piemontese ha tenuto alto il nome di uno dei luoghi mitici di Torino. Lo ha fatto con il passo di corsa del bersagliere perché questi 42 anni sono passati in fretta Ricordo il primo  Premio “Pannunzio” del 1982 con il presidente del Consiglio Spadolini, che smaniava perché Galante Garrone ricordasse nella sua laudatio che lui a 25 anni era già professore, mentre Sacco da una parte e chi scrive dall’altra cercavamo di far funzionare le cose. In un  elegante libro al quale io stesso ho collaborato, uscito  per i 200 anni del locale, Chiamparino ha banalizzato il ristorante, mettendo insieme agnolotti e Risorgimento. Fu una delle tante volte che non mi sentii rappresentato dal sindaco.
Sacco dopo oltre quarant’anni è  rimasto giovane: ad un certo punto della storia del ristorante ha dovuto affrontare momenti difficili che ha fatto superare con la sua autorevolezza da tutti riconosciuta. Cosa farà  il diversamente giovane Sacco dopo la pensione ? Non è facile pensarlo anziano seduto su una panchina a svernare in riviera.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Paolo Vitelli un grande italiano – “Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo” – Lettere

Paolo Vitelli un grande italiano
Parlare di Paolo Vitelli come di un grande torinese ci impedisce di cogliere la portata internazionale dell’industriale più importante al mondo nel campo della nautica da diporto, messa su, si può dire, partendo dal nulla ad Avigliana. L’Azimut venne da lui fondata quando era ancora studente e già al liceo dimostrava spirito d’impresa, vendendo sci e cravatte agli amici. In qualche armadio ho ancora qualche sua cravatta vendutami in piazza Carignano dove posteggiava la macchina con il baule diventato una vetrina. Apparteneva ad una famiglia di ricchi imprenditori. Il padre era a capo della “Venchi” e poi di un’azienda tessile; fu presidente della Camera di Commercio di Torino da cui l’arroganza ignorante di un ministro socialdemocratico avrebbe voluto estrometterlo per piazzare un modesto personaggino senza titoli.
L’avv. Vitelli, assistito dall’avv. Bachi altro grande gentiluomo di quegli anni straordinari di Torino, ricorse al TAR e riebbe il suo posto. In quell’epoca i piccoli politicanti erano banditi. Paolo Vitelli si era formato in quell’ambiente torinese della Facoltà di Economia ,del miracolo economico, del lavorare con onestà, della serietà assoluta ereditata dal vecchio Piemonte. Egli ha portato nel mondo quello stile Torino ed il marchio del Made in Italy che ha reso grande un Paese manifatturiero totalmente privo di una politica industriale. Vitelli ha fatto di più, ha preservato la sua azienda dalle ondate demagogiche sindacali, anzi la ha ampliata, accorpando il prestigioso marchio in crisi di Benetti. Non hai mai pensato di vendere agli stranieri – i suoi maggiori clienti – l’azienda , come tanti imprenditori italiani hanno fatto. E non si è mai lasciato invischiare nel piccolo cabotaggio della torinesità  come tanti destinati a galleggiare nella mediocrità metropolitana. Lui  che in cuor suo, penso, non tenesse in grande considerazione la politica perchè era un uomo del progettare e del fare, accettò anche di candidarsi in Parlamento, riuscendo eletto senza bisogno di particolari appoggi perché il suo nome era una garanzia assoluta. Dopo due anni tornò ad occuparsi delle aziende deluso da un mondo politico parolaio e inconsistente. Lo stesso Monti non era certo un nuovo Einaudi. Se penso come e dove è finita la più grande fabbrica torinese, ho ancora di più l’idea che Paolo sia stato un fuoriclasse. Ha avuto una figlia che ha portato ai vertici aziendali quasi fosse presago di  dover preparare  con adeguato anticipo un ricambio. E così è stato. Torino dovrà rendere omaggio ad uno dei suoi cittadini migliori tra i due secoli, magari ricacciando nell’oblio quelli che, portati avanti  da meriti inesistenti, oggi continuano a detenere posizioni che non hanno mai meritato.
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“Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo”
Il 3 gennaio 1925, cent’anni fa, ci fu un discorso di Mussolini alla Camera che segnò il superamento della crisi provocata dal delitto Matteotti e l’inizio della dittatura fascista paradossalmente annunciata con  un discorso in Parlamento. Quel discorso merita di essere letto per capire compiutamente cosa sia stato il fascismo anche nelle sue ambiguità che gli consentirono di avere appoggi impensabili. La vicenda del delitto Matteotti fu affrontata dal fronte, quasi subito diviso, degli antifascisti in modo superficiale e contraddittorio.
L’ Aventino fu un grave errore che consentì al duce di riorganizzarsi.  E’ sbagliato concentrare tutta l’attenzione sul discorso del 3 gennaio perché andrebbe indagato senza indulgenze l’Aventino che fu  anche una fuga rispetto all’impegno di opporsi al fascismo. Filippo Turati scrisse anni dopo :”Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo”. E’ una confessione dell’impotenza dell’opposizione e degli errori commessi vedendo nel fascismo un qualcosa che non corrispondeva alla realtà. Liberali, socialisti, comunisti, popolari non furono in grado di capire la realtà e di porre fine alla loro litigiosità. Mussolini prima e dopo il delitto Matteotti trovò antifascisti pronti allo scontro di piazza, ma incapaci di agire politicamente in modo lucido. Anche delle vecchie volpi della politica come Giolitti stentarono a capire cosa fosse il fascismo. Sarà il 1925 /26 ad aprire loro gli occhi.
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Codice Salvini
Il nuovo Codice della strada firmato Salvini suscita molte perplessità. Esso tra l’altro azzera la privacy del conducente. Che le Forze dell’Ordine possano accedere al cellulare e leggere i numeri di telefono chiamati e soprattutto i messaggi appare illegittimo. Cosa ne pensa? Io sono contraria.  Enrica Cais
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Le cose targate Salvini peccano quasi sempre di eccessi,  a partire dall’esibizione a suo tempo di rosari e crocifissi fuori luogo, tanto per citare un solo esempio. Anche il Codice risente di un protagonismo legislativo fuori luogo, ad esempio, in materia di etilometro. E’ giusto combattere gli abusi, appare sacrosanto garantire al massimo una guida sicura a tutela di sé stessi e degli altri utenti della strada, ma il controllo dei cellulari come lei indica mi sembra una violazione della privacy evidente. Il testo di un messaggio è ad ogni effetto  una forma di comunicazione epistolare tutelata dall’ articolo 15 della Costituzione che parla di inviolabilità che può essere limitata  solo da un provvedimento motivato dell’ Autorità giudiziaria. Ancora una volta l’abc del liberalismo appare del tutto sconosciuto. I messaggi non servono solo a scambiarsi auguri ed amenità varie. Sono un mezzo di comunicazione che a volte sostituisce il telefono.
Ciò detto va anche riconosciuto che l’uso del cellulare in auto sia diventato un comportamento non tollerabile perché causa di incidenti. L’esistenza del viva voce dovrebbe essere il modo corretto di usare  il cellulare in auto, evitando assolutamente  di digitare messaggi e numeri telefonici.
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L’assessore Sestero
Ho visto  ben due intere pagine de “La Stampa “ dedicate ad un ex assessore comunale di Torino, irriducibile comunista. Mi è sembrato un  esagerato culto della personalità che i vecchi comunisti rimasti tali- malgrado l’apparente ravvedimento- hanno dedicato alla loro compagna mancata. Il segno di un ritorno al passato. Neppure a Carpanini hanno dedicato questo spazio.   Ettore Bietti  
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Credo che si possa e si debba ricordare la prof. Maria Grazia Sestero che ha saputo mantenere una coerenza assoluta fino alla fine. Comunista era e comunista è rimasta. L’ho conosciuta in più occasioni e quasi mai ho potuto consentire con lei. A chi muore va sempre portato il massimo rispetto, anche se sinceramente non credo molto  alla  statura politica di chi non ha voluto comprendere che il comunismo è stato una delle più grandi tragedie dell’umanità. Posso giustificare un operaio poco scolarizzato, ma non chi ha diretto anche un liceo. Maurizio Ferrara, direttore de “L’ Unità” vissuto anche a Mosca disse che non leggeva certi libri perché altrimenti avrebbe dovuto cambiare la sua vita. L’assessore e anche parlamentare Sestero non credo che si sia posta questi problemi perché le sue convinzioni erano talmente radicate da non avere mai un dubbio ideologico. Tanti che oggi dimenticano il loro granitico passato comunista dovrebbero imparare dalla sua onestà.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: La guerra e l’apocalisse – Il Sindaco Lo Russo sta prendendo il toro per le corna – L’Anno Santo e le ragioni della fede – Lettere

La guerra e l’apocalisse 
L’informazione televisiva ci invade inevitabilmente di immagini di guerra, di distruzione e di morte. Non è possibile rimanere indifferenti di fronte a tanta carneficina. Io non sono mai stato pacifista  e non violento a prescindere, perché chi studia la storia sa bene che la violenza e la guerra appartengono alla vita dell’uomo fin dai tempi più antichi. La violenza stessa non si combatte di per sé con la non violenza, a parte l’interpretazione rivoluzionaria di Marx che vede nella violenza il forcipe della storia. L’antiviolenza è una scelta nobilissima di vita personale , ma non vale per i popoli che a volte sono costretti a ricorrere alle armi per difendere se’ stessi. Il ripudio della guerra richiamato all’articolo 11 nella nostra Costituzione tiene conto del ricorso obbligato alla guerra in certe condizioni. Pur ammirando le anime candide, ho studiato troppo Machiavelli per non capire che il mondo non si governa con i “pater noster”.
Ma oggi i pericoli che corre l’umanità portano a schierarsi convintamente per la pace, direi disperatamente per  la pace, sia perché si è raggiunto il livello della più brutale bestialità sia perché il pericolo del ricorso al nucleare si avvicina sempre di più.
Nei fatti siamo già arrivati a praticare l’infame idea che la guerra sta all’uomo come la maternità alla donna. In una civiltà come quella romana, fondata sulla guerra di conquista, vi fu il poeta Tibullo che si domandava chi, malvagio e feroce,  inventò per primo  le orrende spade. La sua voce elegiaca fu trascurata a favore delle arti marziali e del culto della romanità. Ma ad aggravare in modo orrendo la situazione di oggi è lo sviluppo della scienza e della tecnica che ha aumentato in maniera agghiacciante i morti nelle guerre, in primis le vittime civili. Con due guerre mondiali nel secolo scorso, sembrava che avessimo capito la durissima lezione della storia che già Hegel definì un immenso “mattatoio” dell’umanità. Oggi non è possibile rimanere insensibili alle parole del Papa che incessantemente ci richiama tutti alla ragione laica, neppure a quella religiosa. Il 2025 che sta arrivando deve vedere un ripensamento collettivo che vada oltre le sterili e violente manifestazioni di piazza che si rivelano inutili. Diversamente, stiamo correndo verso una catastrofe senza ritorno. Oggi i toni apocalittici sono gli unici che  ci portano a cogliere con realismo un mondo sull’orlo del baratro. Il grande storico della guerra civile americana  Raimondo Luraghi, di fronte agli orrori ottocenteschi che anticiparono quelli della Grande  Guerra, usò il richiamo all’Apocalisse.  Basta riempire i nostri arsenali di armi come vorrebbero anche certi ministri che si esaltano ad indossare un giaccone militare a Natale.
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Il Sindaco Lo Russo sta prendendo il toro per le corna
L’opposizione alla maggioranza al Sindaco di Torino Lo Russo sembra non esserci più. A parte “Torino bellissima” e il suo fondatore  che non ha quasi mai  fatto sentire la sua voce, sembra non esistere una opposizione nel suo complesso che esprima una qualche strategia. Forse è colpa dei giornali che trascurano ed ignorano, preferendo dedicare ampi  articoli al nuovo “matrimonio” molto chic  dell’assessore Foglietta  o forse è doveroso cogliere una immagine  (che si sta consolidando) del Sindaco Lo Russo che lo rende in sintonia con la città, malgrado alcuni assessori piuttosto carenti. Balza evidente infatti  un  forte impegno del Sindaco a rilanciare una città che rischia la marginalizzazione per le note vicende di “Stellantis” e non solo.
Stefano Lo Russo, sindaco di Torino

Si coglie nel silenzio di tanti la volontà del Sindaco che non si arrende alle difficoltà. Stiamo vivendo una crisi che è peggiore di quella del 1864, provocata dal trasferimento della capitale a Firenze. Gli sciocchi che dalle Olimpiadi in poi hanno pensato ad una città turistica al posto di quella industriale sono ormai al capolinea perché si è dimostrata un’utopia velleitaria puntare tutto sulle mummie egizie. Il sindaco Lo Russo sta prendendo il toro per le corna, cercando di rimettere in moto una città in affanno come non mai. Lo Russo si sta rivelando l’uomo giusto al posto giusto anche perché privo di quell’ideologismo  intellettualistico che ha rovinato Torino. I tempi di Appendino sono davvero lontani e credo che si possa dar fiducia ad un sindaco pragmatico che è l’ultima ancora di salvezza.

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L’Anno Santo e le ragioni della fede
I giornali enfatizzano compiaciuti l’arrivo di milioni di turisti  e pellegrini a Roma per l’Anno Santo. Oltre al significato religioso dell’evento, trascurato da molti, c’è chi ne sottolinea soprattutto  la portata politica e c’è anche chi calcola la ricaduta economica non solo su Roma dove sarà difficile trovare una stanza d’albergo disponibile.
L’Anno  Santo farà aumentare i prezzi e renderà Roma invivibile. Sono tutte osservazioni fondate, ma non è facile leggere un commento sulla dimensione religiosa e spirituale dell’Anno  Santo. Lo scandalo delle indulgenze che diede l’occasione a Martin Lutero per dar vita alla Riforma protestante, sembra ancora pesare, magari inconsapevolmente. Un Papato quasi totalmente impegnato sul terreno politico porta  oggi quasi a dimenticare l’aspetto preminente. Sia pure per nobili ragioni la Chiesa è più che mai legata alle vicende mondane. Può sembrare assurdo che appaia così un pontificato che rigetta l’aspetto esteriore della magnificenza del romano pontefice, ridotto su una carrozzella come tanti anziani non più autosufficienti. Il mondo attuale non induce alla spiritualità: dove ben poche cose vengono ancora considerate peccato è difficile concentrarsi sulle indulgenze che permetterebbero di liberarsi pienamente dalle conseguenze  del peccato. Può sembrare un’osservazione peregrina, mentre essa ci porta  a capire la vita di tanti  che non ritrovano più nel Cristianesimo una ragione di fede convinta.
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Il parco del Valentino 
Voglio dirle che mi sono commossa a vedere una parte del Valentino, quella tra corso Vittorio e corso Massimo che sta  riprendendo vita. Era diventato un angolo di Torino invivibile legato alla mia infanzia. Era un angolo di Torino pieno di bambini che giocavano spensierati. Anch’io lo frequentavo con mia zia e mia cugina. Riuscirà la Città  a rendere di nuovo vivibile il Valentino? Io lo spero tanto.
Barbara Valentini
Anch’io venivo accompagnato quasi tutti i giorni  dalla primavera all’autunno al Valentino  dove c’era anche la Fontana luminosa che diede il nome ad un ristorante famoso che era anche gelateria (il celebre Varesio). Era il segno di una Torino che non c’è più. Non illudiamoci. Io avevo una bicicletta Gerbi  talmente luccicante  che sembrava d’argento. E concordo con lei quando si riferisce ai bambini: parafraserei il Pascoli, dicendo che erano prati “fioriti di occhi di bambini”.
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Bergami, il gobettiano coerente
Il Prof. Giancarlo Bergami era uno studioso di Gobetti che fu molto stimato da Bobbio. Perché nessuno ha scritto di lui nel momento della sua morte?  È stato sbianchettato dalla  solita vulgata? Dava ombra a Polito  al centro Gobetti ? Cosi si disse.   Ennio Repetto
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Io non appartengo al giro dei gobettiani e non so dirle quasi nulla. Bergami era uno studioso di discreto livello, non credo abbia fatto una carriera universitaria. Sicuramente meritava un ricordo. Forse la morte nei giorni di Natale ha impedito una adeguata attenzione.Era  stato  in verità già dimenticato da anni. Per alcuni  forse non era abbastanza “fazioso”.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO:  Club o dopo lavoro? –  Dal sacrario del Martinetto a Torino che attende la salvezza dalle mummie – Lettere

Club o dopo lavoro?
La crisi dei club in passato più esclusivi ed elitari, sta  diventando sempre più evidente. Mancano i soci e i club si fondono insieme per mantenere un numero minimo di adepti. Agli incontri associativi si presentano persone in maglione, senza cravatta e immancabili scarpe da ginnastica. Ma il massimo del decadimento non era ancora accaduto: la preghiera del socio con una serie di rancide banalità ad imitazione della preghiera dell’alpino che rende lecita una domanda: la laicità dove è andata a finire?
Io entrai in uno di quei club con un preciso cerimoniale e indossando lo smoking come tutti i soci. Ci consideravano degli  snob o persino  degli affiliati alla massoneria, diceria  quest’ultima, che mi dava molto fastidio. Oggi  a volte sembra di essere in un dopo lavoro. Ci sono segni  di una decadenza senza fine  anche per l’età veneranda di molti soci e per parecchi parvenus passati bruscamente dal circolo parrocchiale di quartiere  ad ambienti non adatti e a loro   in passato giustamente preclusi. L’associazionismo  è finito e forse non potrà mai più resuscitare? Oggi la crisi sembra un tramonto senza speranze future di rinascita. Forse Internet ha distrutto un certo associazionismo che aveva un senso quando raccoglieva persone di un livello sociale e culturale omogeneo.
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Dal sacrario del Martinetto a Torino che attende la salvezza dalle mummie
Il Martinetto è un luogo reso sacro dal sangue versato dai patrioti del comitato militare del Gen. Perotti e del Capitano Balbis. Fa bene il Comune a rendere quel luogo più agibile e sicuro. La cerimonia ad 80 Anni dalla fucilazione nell’aprile scorso fu un po’ penosa. In effetti andrebbero rivisti tutti i monumenti cittadini  oggi in mano ad un assessore titolare di molte  deleghe  a cui non sa adempiere con la necessaria competenza: sempre inerzia, ritardi e polemiche se c’è lui di mezzo. Più luce, dice una consigliera dell’estrema sinistra, ai monumenti della Resistenza, quasi ci fosse una scala di priorità politica e storica anche nei monumenti.
C’è chi a destra  propone di illuminare il monumento a Vittorio Emanuele II e al Conte Verde, trovando ostilità e disinteresse.
Illuminare tutti i monumenti renderebbe Torino meno provinciale e più vicina a Parigi che nessuno accosta più a Torino. Anche Parigi è decaduta, ma parlare oggi di Torino come di  piccola Parigi appare ridicolo. E ’una città sporca, disordinata, con strade con scarsa  o nulla manutenzione dove i lampioni anche del centro non vengono mai puliti e dove molti  negozi importanti del centro hanno abbassato le serrande. Per gli acquisti natalizi sono  andato a Milano  e da Peck ho comprato le vivande per pranzo di Natale. Torino è  diventata una città  marginale priva di attrattive e  piena di accattoni e immigrati nullafacenti di cui in verità è ricca anche Milano. Cuneo è molto meglio. Lo dicono in molti: la qualità della vita non è confrontabile. Mancano, è  vero, le mummie egizie da cui Torino attende la salvezza, ma esse  non sono vitali neppure per il turismo torinese come molti pensano. Auguro a tutti i lettori buon Natale, ma quello di quest’anno, grazie anche  ad E l k a n n,   è uno dei più spenti e tristi degli ultimi decenni. Un Natale senza luci  perché quelle cosiddette d’artista sono ormai vetusta archeologia del secolo scorso che non merita nessuna  attenzione. Sono luci  che intristiscono le feste e rivelano un’arte banale se non insignificante:  solo  i suoi costi troppo alti la rendono “preziosa”.
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Milei liberista
Ho seguito un po’ il presidente  argentino della motosega Milei . Mi sembra un utile esempio ad un’Italia spendacciona in crisi. Un esempio liberale utile anche per noi.   Gianni Cuminetti
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Milei va contestualizzato in un ambito argentino in cui il Peronismo non è mai morto. Privatizzare, tagliare le spese (ma solo quelle inutili), rimettere in moto l’economia appare un ottimo progetto. I primi successi non devono  però illudere perché il disastro argentino è peggio di quello Italiano. Io non condivido l’anarco-liberismo perché lo Stato liberale è il perno su cui ruota una civiltà prospera e ordinata.  La parola anarchia mi fa ribollire di rabbia in tutte le versioni.
Ma non disprezzo Milei il quale  può sembrare un po’ troppo draconiano e semplicista. Ma la mala spesa italica induce anche  a chiedere di usare tante motoseghe. La vicenda dell’aumento scandaloso e immotivato  dello stipendio dei ministri non deputati a cui volevano regalare l’indennità parlamentare per eguagliarli con i parlamentari è  indicativa della malafede arrogante e anche dell’ignoranza ingorda di certi personaggi che andrebbero – nella visione di un buongoverno einaudiano- sicuramente   segati, anche se la piccola motosega argentina non basterebbe!

Il pane a scuola

IL COMMENTO 

di Pier Franco Quaglieni

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La preside del liceo “Regina Margherita”  sta dimostrando una fermezza e un equilibrio nel governo della  sua scuola che mi ricorda i tempi del preside Roberto Berardi, futuro ispettore centrale del ministero della PI, un esempio unico e forse dimenticato.   Colgo l’occasione per aggiungere che Berardi andrebbe ricordato al “Regina”. Il Liceo  ha avuto  anche nella sua lunga  storia come preside il prof. Alonge che consentì  agli allievi di dar sfogo alla loro creatività, lo dico con ironia, che portò alla devastazione dei locali  con dei costi altissimi di ripristino, sicuramente non pagati dai genitori. Pagine belle e brutte di ogni scuola degli ultimi decenni del secolo scorso. Adesso la preside è oggetto di critica perché i genitori pretendono che i loro figli nel giorno del ritorno pomeridiano a scuola possano mangiare in istituto. Gli studenti e ovviamente le studentesse – guai a non citarli ambedue, magari con tanto di * come fanno al “Cavour” e persino il rettore non più molto magnifico dell’Università -hanno pranzato in aula senza porsi il problema  dello smaltimento dei rifiuti. La preside ha rimesso il problema del pasto al Consiglio di istituto che deciderà. Essa  vive concretamente la scuola e si rende conto del problema del personale e del fatto che la presenza di studenti fuori dall’orario di lezione  evidenzia responsabilità da parte della scuola.
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Questo episodio di cronaca mi  porta a raccontare una “soluzione” al problema quando ero giovanissimo professore incaricato  in un liceo il  cui preside, per ottenere il massimo consenso dagli allievi, non solo consentì i pasti agli studenti a scuola, ma obbligò  i docenti a turno a pasteggiare con gli studenti al fine di “socializzare”, portandosi da casa il “barachin”, come gli operai della Fiat quando non c’erano ancora le mense. Usò proprio la parola socializzare, il pover’uomo. Fior di professori si piegarono all’ordine  del capo di Istituto e arrivarono a scuola con il quartino di vino. Fui io solo  a rifiutarmi categoricamente per 4 anni di pranzare a scuola, sostenendo il diritto di pranzare dove ritenessi e soprattutto che tra i doveri del docente non c’era quello di assistere ai pasti degli allievi, socializzando. Per obbedire chiesi un ordine scritto (che  in realtà non arrivò mai), dichiarando che lo avrei impugnato nelle sedi competenti, come feci quando venne imposta la bollatrice contro la quale avviai in solitaria una battaglia che vinsi e che  portò alla sua rimozione, essendo l’unico strumento  legale di accertamento della presenza di un docente il registro di classe. La bollatrice serviva per bidelli e impiegati, forse per il dirigente scolastico, ma non i docenti.
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Piccole battaglie a tutela della dignità professionale dei professori che i sindacati confederali consentirono, se non favorirono, di  poter calpestare. La Cgil propose follemente le 36 ore impiegatizie per i docenti che svolgono un mestiere atipico e non comparabile con quello del personale non docente. Da quanto leggo la preside del Liceo “Regina Margherita” ha la schiena diritta e sa vedere nella scuola un luogo in cui si spezza soprattutto, se non esclusivamente, il pane della cultura.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com
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(foto di copertina: Facebook)

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: “Benito” di Guerri – Il soldato Balbis , un vero patriota – “Copie d’autore”, una mostra molto speciale – Lettere

“Benito” di Guerri
Il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri, “Benito, storia di un italiano” sta avendo grande successo. Guerri è uno storico a 24 carati che ha indagato a lungo il fascismo e alcuni gerarchi come Bottai  e Ciano con quel distacco critico che esige la storia. Nel mare magnum degli ideologi preconcetti e dei tuttologi antifascisti, Guerri rappresenta un’altera pars senza la quale la storia diventa  misera propaganda politica alla maniera di Scurati. Guerri ha realizzato un libro fatto anche di fotografie che consentono di  cogliere il contesto nel quale Mussolini seppe muoversi, ottenendo il consenso soprattutto delle masse e del mondo intellettuale, mentre la borghesia fu più impermeabile alle sue seduzioni. Il “figlio del fabbro” fu il primo richiamo alla sua persona fin da quando era un leader socialista rivoluzionario di fronte a cui il capo della Cgil attuale  Landini è un semplice imitatore.
Guerri parla anche di una definizione di sé stesso da parte di Mussolini di un certo fascino intellettuale che lo allontana dall’uomo del manganello e dell’olio di ricino. Amava usare lo pseudonimo “l’uomo che cerca” che indica, come bene colse De Felice, che il potere non gli aveva dato alla testa. Gli italiani, secondo Guerri, più che fascisti divennero mussoliniani. La biografia aiuta a capire il perché si fosse via via determinato il culto del duce. Per capire la differenza tra la storia di Guerri e la “vulgata” basterebbe ricordare che lo storico del Medio Evo tuttologo Barbero citò la frase volgare con cui gli operai torinesi definivano Mussolini: “Monsu’ Cerutti, cul ch’a lu fica ‘n cul a tuti”, che coglie solo una parte di dissenzienti che senza pagare dazio si divertivano alle spalle del duce, andando poi regolarmente alle adunate in camicia nera. Guerri racconta  che i figli della lupa segnarono un futuro sinistro: come Romolo uccise il fratello Remo, così quelli che furono figli della lupa si scannarono in una sanguinosa guerra civile tra il ‘43 ed il ‘45. Abituati ai vari libri, figli monotoni di un pregiudiziale antifascismo, apprezziamo il tentativo che Guerri fa di capire prima di giudicare. E’ il discorso di Bloch. E il testo fotografico diventa di fondamentale importanza per capire una storia complessa come quella di oltre un ventennio in cui non ci possono essere solo ombre. La fotografia ci aiuta a capire come in parte Mussolini finì per ipnotizzare parte degli italiani. E a capire oltre le visioni settarie.
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Il soldato Balbis , un vero patriota
Alassio ha ricordato il capitano Franco Balbis, fucilato al Martinetto 80 anni fa , membro del Comitato militare del CLN piemontese comandato dal Generale Perotti,  anche lui condannato a morte nel 1944.
Balbis aveva combattuto eroicamente ad El Alamein e per fedeltà al giuramento al Re, come il generale Perotti, aveva offerto la sua esperienza militare alla Resistenza che senza l’apporto di militari come lui avrebbe fatto ben poco.
Gli smargiassi dell’antifascismo parolaio hanno avuto grandi celebrazioni torinesi, Balbis nulla. Perchè? Ad Alassio è stata celebrata una Messa in suffragio suo  e  dei suoi commilitoni caduti in Africa che Balbis chiese di celebrare ogni anno nella sua lettera di addio ai genitori.
Dieci anni fa fui io a ricordare Balbis nella basilica torinese di Maria Ausiliatrice. Ieri è stato ricordato nella chiesa salesiana dell’istituto Don Bosco di Alassio che lo vide allievo in liceo.
Un allievo davvero fuori ordinanza che forse i dirigenti dell’Istituto alassino oggi  non considerano abbastanza. Sta a ricordare Balbis ad Alassio una grande piastrella che onora un eroico soldato e un cristiano autentico fedele e coerente fino alla fine.
Ieri abbiamo onorato i soldati caduti ad El Alamein, come voleva lui prima di morire.Valdo Fusi in “Fiori Rossi al Martinetto “ ha scritto in modo mirabile  dell’epopea di “Francis”.
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“Copie d’autore”, una mostra molto speciale

Il fascino dell’arte abbraccia la nostra vita da sempre e la potenza della bellezza arriva nel profondo dell’anima ,diceva Thomas Mann. Davanti ad un’opera pittorica spesso possiamo ritrovarci, sentire, condividere sentimenti profondi. I grandi classici suscitano sempre forti emozioni: meraviglia e calore. Poterli ammirare è un dono che facciamo a noi stessi.  Risvegliare il  brivido emotivo, ammirando opere  di grandi pittori del passato è lo scopo di questa bella esposizione unica nel suo genere che viene allestita a Torino, ad ARTE, da Marco Giordano, pittore e musicista, nel suo atelier in corso Francia 169.

Si tratta di “COPIE D’AUTORE”: vengono proposte in copia opere di grandi maestri come Vincent Van Gogh, Modigliani, Jean Baptiste Corot, Michelangelo Merisi “Caravaggio”, ed altri. Le opere selezionate, ad olio, sono un percorso di studio, dedizione, amore e tecnica realizzate da diversi autori di alto livello formativo. Se non si può arrivare all’intoccabile opera dei grandissimi maestri, ci sono le copie d’autore. VENERDI’ 20 DICEMBRE ore 17- 21 potremo ammirare in anteprima la mostra che rimarrà aperta fino al 27 febbraio 2025, martedì, giovedì, venerdì, sabato e domenica ore 17-21. Marco Giordano è ‘ un artista di grande valore e di grandi meriti con un curriculum esemplare . che merita l’attenzione dovuta ad un uomo libero che vive per l’arte, senza arzigogoli politici, facendone la passione della sua vita.

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Ricordare Tortora!
La proposta di legge che intende riconoscere una giornata alle vittime della mala giustizia che hanno pagato con il carcere dei vistosi errori giudiziari. Una  di queste vittime è  stato Enzo Tortora. Ebbene l’associazione dei magistrati si dice contraria alla giornata perché indurrebbe “sfiducia” verso l’operato dei giudici. In più la data dell’arresto di Tortora , il 17 giugno, è considerata improponibile per lo stesso motivo del discredito. Il Pd si asterrà sulla proposta, dimostrando una concezione giacobina della giustizia. Siamo in un regime!  Susanna Tirozzi
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E’ vergognosa l’opposizione dell’associazione magistrati che dovrebbe tacere perché quei fatti di mala giustizia gettano di per sé discreto sui magistrati come il Caso Palamara,  quello che Cossiga definiva un tonno. Circa l’astensione del Pd va detto che il Partito è  pieno zeppo di magistrati intoccabili e anche faziosi. Ricordare le vittime della mala giustizia e anche i magistrati che non hanno mai pagato per i loro comportamenti, è un dovere civile. Basta alla impunità dei giudici!
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Tolte le sanzioni  ai no vax
L’idea di togliere sanzioni a chi in modo incivile e socialmente pericoloso davanti ad una epidemia si è sottratto al dovere della mascherina e dei vaccini, appare un colpo di spugna che viola le più elementari regole della giustizia. Questo fatto ci fa capire i personaggi che invece di dimostrare disciplina solidale si sono lasciati andare ad un ribellismo
ignobile come i leghisti e fratelli d’Italia.  Jacqueline Lupo
Mascherine coronavirus
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Togliere le sanzioni giustamente comminate a tutela della salute pubblica è un atto di barbarie che disonora chi ha promosso questa operazione davvero ingiusta che offende anche la memoria di chi la combattuto la pandemia e di chi è morto per il covid.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Elkann e la fine della Fiat – La Francia di Macron vicina al tracollo – Lettere

Elkann e la fine della Fiat
Quando conobbi il giovane John Elkann trassi l’ impressione positiva  di un giovane a modo consapevole che lo zio Umberto Agnelli, succeduto a Gianni, era il Capo. In effetti Umberto fu costretto a vivere all’ombra del fratello senza poter svolgere quel ruolo che Gianni non si rivelò all’altezza di affrontare, prigioniero tra Romiti e Ghidella. L’unico vero protagonista della storia della Fiat fu Vittorio Valletta che non viene riconosciuto, se non nella biografia di Piero Bairati.  Adesso, dopo il disastro di Stellantis, dare un giudizio su Elkann e il suo degno amministratore delegato dimissionario – un nuovo genere di “portoghese” abilissimo nel prendere soldi – appare inutile tanto vistoso è il fiasco imprenditoriale. Gli Elkann dovrebbero andarsene dall’Italia e tornare da dove sono arrivati, volendo  noi essere gentili con loro. Il danno prodotto è gigantesco. Ma la debacle rivela anche l’assenza di ogni politica industriale italiana almeno dall’epoca di Prodi e delle privatizzazioni, che hanno distrutto il patrimonio industriale italiano passato in altre mani con tante aziende chiuse o delocalizzate. C’è stato un alto tradimento perpetrato contro l’Italia che è diventata succube ruota di scorta. Di questo disegno si è reso complice anche l’ultimo rampollo Agnelli. Il penultimo, dopo la gestione non felice della Juve, è scomparso. La liquidazione al portoghese Tavares è l’ultimo episodio scandaloso che offende Torino e gli operai che stanno per perdere il lavoro. La politica e soprattutto il sindacato bisbiglia un dissenso indecente forse dovuto a connivenze passate. Guardate la fotografia di Elkann in ultima posizione e ad una certa distanza da Umberto Agnelli. Se fosse rimasto li’ o avessero lasciato Montezemolo, forse non saremmo dove siamo. Espressione drammatica della situazione  odierna sono la lettera di Elkann ai dipendenti  a cui vorrebbe infondere fiducia e speranza e la rivolta parolaia di Landini che fa rigirare nella tomba Luciano Lama. La situazione industriale italiana richiederebbe la mano pesante della Magistratura perché ci sono troppe oscurità.
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La Francia di Macron vicina al tracollo
La lunga storia della repubblica gaullista in Francia è al capolinea  dopo aver garantito molti decenni di stabilità di governi di diverso orientamento, per merito di un sistema elettorale che aveva salvato la Francia anche oltre De Gaulle, l’unico grande statista del 900 francese. Oggi quel sistema retto da un ambizioso e incapace come da noi è stato Renzi, è  alla fine. L’estrema sinistra e l’estrema destra hanno avuto il sopravvento, elidendosi a vicenda. Le ragioni non sono solo riconducibili a Macron, ma ad un mutamento economico e sociale di cui erano segni premonitori allarmanti  i gilet gialli e una immigrazione aggressiva che sta distruggendo la sicurezza delle grandi città. La protesta populista che si manifesta è un grave pericolo per le istituzioni repubblicane. La Le Pen rivela una incapacità politica vistosa che si manifesta anche nel nuovo fronte popolare il peggio della gauche. Sono due elementi segno di un ritorno al passato che sradica la Francia dal contesto europeo, dove Macron ha cercato di esercitare un ruolo egemone senza averne le capacità. Anzi, Macron  è uno dei padri della crisi  della UE. La Francia potrà riprendersi solo liberandosi dalla sua politica personalista, riuscendo a rilanciare un nuovo gaullismo, anche se anche in Francia manca una classe dirigente. Il problema vero dell’Europa è la mancanza di statisti sostituiti da comparse che rivelano tutti i loro limiti. Magari c’è qualche politicante in circolazione definito leader , ma gli uomini e le donne di Stato sia pure potenziali latitano. La prima comparsa è stata Macron che spera di passare alla storia per un discutibile restauro di Notre Dame dove temo si terrà il suo
funerale politico l’8 dicembre.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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I treni in Liguria
Lei che vive in parte in Liguria mi vorrebbe esprimere un giudizio sui trasporti pubblici tra Liguria e Piemonte?  Francesco Casula
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Giudizio pessimo. L’autostrada insufficiente è sempre paralizzata da lavori di manutenzione non fatti da decenni. Quindi le code sono all’ordine del giorno. Per i treni la situazione è ancora peggio soprattutto a Ponente. Cerco di sintetizzare anche dopo aver sentito chi lavora da trent’anni in ferrovia.  Genova e il Levante ligure sono serviti oltre che dal servizio locale / regionale anche da molti treni intercity, che già da soli elevano il servizio ad un buon livello. Ciò non accade nel Ponente dove treni di collegamento diretto con Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma sono praticamente inesistenti. Per questo sarebbe già sufficiente a giudicare il servizio con un voto basso: se aggiungiamo la bassa frequenza e qualità dei treni locali (vere tradotte per immigrati), allora il servizio merita un voto pessimo. Nel Levante nessuna delle 31 fermate è stata mai soppressa dalle Ferrovie e il servizio ha mantenuto quel livello di capillarità necessario per una regione montuosa come la Liguria, difficile per le comunicazioni. A Ponente si evidenzia un’altra situazione: treni veloci quasi inesistenti, il raddoppio della linea appare una scusa per spostare a monte i treni e decimare le stazioni che sono poche e lontane dai centri abitati e hanno provocato una diminuzione di utenti. Il raddoppio in posti come Alassio ed Albenga si rivelerà un disastro. Il nuovo governo non ha mosso un dito. I collegamenti col Piemonte sono pessimi. Io sono almeno vent’anni che non prendo treni, che sono quasi sempre in ritardo.
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Il referendum del 2 giugno 1946 in Tv
Il giornalista Aldo Cazzullo ha dedicato una trasmissione alla data storica del 2 giugno 1946, giorno del referendum. Come monarchico non ancora trentenne protesto per la faziosità di Cazzullo che ha dato spazio solo alla voce repubblicana e ha taciuto l’ipotesi di brogli elettorali e di violenze che ci furono.  Rita Assale
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Non posso giudicare perché non ho seguito la trasmissione e non intendo vederla in differita. Cazzullo ha la tendenza ad un protagonismo che non mi piace. Nelle sue interviste sul
“Corriere” è invece godibilissimo. La lettrice non deve stupirsi per le forti simpatie repubblicane dell’albese Cazzullo che forse giudica i monarchici estinti, mentre in realtà sono vivi ed operanti, malgrado alcuni gruppi siano penosi. Se conoscesse il “Regina Elena”, ad esempio, si ricrederebbe. Da quanto ho colto cercando di documentarmi, ho notato che Cazzullo ha elogiato Umberto II, come fece Mieli. Di più non posso dire. Certo è antimonarchico.
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Segre alla Scala
Ho sentito sul tg Sky che alla prima della Scala  il presidente della Repubblica Mattarella ha delegato a rappresentarlo la senatrice Segre. Mi sembra che il presidente  sia di norma sostituito dal presidente del Senato ai sensi dell’articolo  86 della Costituzione. Cosa ne pensa? Franco Franchini  
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Le funzioni presidenziali sono esercitate dal presidente del Senato  in caso di impedimento del Capo dello Stato. Andare ad assistere alla prima   della Scala  non credo però che sia una funzione istituzionale legata alla carica, anche se io ricordo di aver accompagnato il presidente del Senato  Spadolini che sostituiva il presidente Cossiga assente alla prima del Regio. La Russa non va proprio giù. Ma anche la Segre ai contestatori non piace perché filo israeliana o almeno non antisemita. Nel casino di stasera a Milano c’era un pessimo clima che mi ricorda il ‘68.  E questo mi preoccupa molto.