Per anni, la sinistra italiana ha campato di rendita, alimentando l’illusione di essere moralmente superiore, culturalmente più raffinata, e sempre dalla parte giusta della storia. Eppure, ogni volta che è chiamata a governare, lascia dietro di sé macerie: promesse disattese, riforme mai realizzate, e una retorica stanca buona solo per le interviste e i convegni. Si riempiono la bocca di parole come “inclusione”, “giustizia sociale”, “diritti”, ma poi nei fatti difendono solo le élite urbane, le burocrazie intoccabili e un sistema mediatico compiacente. Parlano di lavoratori, ma ignorano gli operai. Parlano di GIOVANI ma si appoggiano a dirigenti ancorati agli anni ’90. Parlano di ambiente, ma fanno compromessi con le grandi lobby energetiche. E ogni volta che falliscono — perché falliscono, sistematicamente — la colpa è degli altri: della destra, del populismo, dei social network, della disinformazione. Mai una vera autocritica, mai l’ammissione che forse, solo forse, anche a sinistra qualcuno ha vissuto troppo di privilegi, di slogan e di rendite di posizione. Il Paese reale chiede concretezza, sicurezza, sviluppo. Ma la sinistra, chiusa nelle ZTL del pensiero, risponde con slogan scollegati dalla vita quotidiana. Non è progresso questo: è narcisismo politico. E l’Italia non se lo può più permettere.
Sono salvi gli oltre mille pozzi per uso agricolo del Piemonte realizzati prima del 1996. Un emendamento alla legge 22 del 1996, proposto dal consigliere di Fratelli d’ItaIia Claudio Sacchetto e scritto assieme all’assessore all’Agricoltura e Cibo, Turismo, Sport e Post-olimpico, Caccia e Pesca, Parchi della Regione Piemonte Paolo Bongioanni, li mette definitivamente al riparo dall’obbligo di mantenere separati i prelievi da falda di superficie da quelli da falda profonda, stabilito da quella norma.
Soddisfazione per la svolta dall’assessore Bongioanni: «Quella legge fu pensata ormai trent’anni fa nel contesto dell’epoca e soprattutto per i pozzi a uso industriale e civile, che vengono sfruttati 365 giorni l’anno, mentre quelli per uso irriguo agricolo vengono utilizzati al massimo per un paio di mesi. In tutti questi anni si è andati avanti a proroghe, l’ultima delle quali è scaduta a fine 2024. L’obbligo di ricondizionamento espone tante aziende, anche a conduzione familiare, a spese dell’ordine di decine di migliaia di euro. Per questo abbiamo recepito le richieste venute dal mondo agricolo e posto fine a questa situazione, consentendo alle nostre preziose risorse idriche un utilizzo razionale e normato una volta per tutte».
Identico apprezzamento per il risultato dal consigliere FdI Claudio Sacchetto, presidente della Commissione Agricoltura del Consiglio regionale, che ha inserito l’emendamento nel quadro della Legge di riordino approvata dall’Aula giovedì 26 giugno: «Abbiamo corretto, nel totale rispetto delle norme ambientali, una legge superata e inadeguata. I nostri pozzi agricoli funzionano benissimo: come ben sanno i nostri agricoltori, la falda profonda da cui proviene l’acqua potabile è in pressione, l’acqua tende a salire e il rischio di contatto per percolatura dalla falda di superficie è minimo. Questa norma mette fine alle continue proroghe ed entra immediatamente in vigore senza necessità di ulteriori delibere o altri provvedimenti attuativi».
cs
LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
Guido Bodrato, l’indimenticabile “maestro” del cattolicesimo democratico, nonchè leader e
statista della Democrazia Cristiana, amava ripetere – soprattutto negli ultimi anni della sua vita –
che “il progetto politico è credibile se si può collocare nel tempo in cui si vive”. Una riflessione
che risentiva dell’antica lezione morotea ma che, soprattutto, era fortemente ancorata alla
categoria del realismo che, nella politica come nella vita, non può mai essere un optional. E
Bodrato, forte della sua cultura politica ma soprattutto interprete di un sano realismo, sapeva
bene che “anche il miglior progetto politico” – sono ancora parole sue – “non ha alcuna possibilità
di incidere nella storia politica del momento se è disancorato dalla realtà”.
Ecco, con la consueta lucidità che lo ha sempre caratterizzato in tutta la sua lunga militanza
politica e culturale, Bodrato non ridimensionava affatto l’impegno di tutti quegli amici che
coltivavano l’obiettivo di “ricostruire” la Dc o il Ppi o la Margherita o, comunque sia, un progetto
politico popolare e di ispirazione cristiana. Anzi, intravedeva in questi sforzi molteplici e
disinteressati la scintilla a cui attingere per rinverdire e rinnovare la presenza politica di una cultura
che era stata decisiva e determinante per la crescita della nostra democrazia, per il rafforzamento
delle nostre istituzioni democratiche e per la credibilità di un’azione di governo. Ma, al contempo,
non si stancava di denunciare l’impotenza e la sterilità dei progetti e delle iniziative che,
puntualmente, si scioglievano come neve al sole perchè sbattevano contro gli scogli della realtà
politica del momento. E questa, del resto, era l’unica e vera ragione politica che spiegava il
sostanziale fallimento di tutti quei tentativi che sono stati messi in campo in questi ultimi anni e
che poi, con una precisione quasi scientifica, sono stati sacrificati sull’altare del realismo politico.
Una lezione e un monito, quelli di Guido Bodrato, che conservano una straordinaria modernità ed
attualità anche nell’attuale contesto politico. Anche perché quasi ogni settimana assistiamo ad
innumerevoli tentativi di ricostruire un pezzo dell’esperienza e della storia della Democrazia
Cristiana ma che poi, per svariate ragioni, non reggono di fronte alla complessità e al
cambiamento della società italiana. Questo non significa affatto prendere atto della inattualità di
una cultura politica che era, e resta, fortemente contemporanea anche nell’attuale cittadella
politica italiana. Ma, molto più semplicemente, rendersi conto quando un progetto organizzativo,
e quindi politico, ha le carte in regola per poter continuare a navigare in mare aperto. Anche
perchè, concludeva sempre lo statista democristiano piemontese, “quando un progetto politico
ed organizzativo fallisce ripetutamente si corre il rischio di trasmettere un messaggio di debolezza
della cultura che lo ispira”.
Ecco perchè, a scanso di equivoci e senza alcuna polemica preconcetta, occorre semplicemente
rendersi conto che anche la miglior fonte culturale deve fare i conti con le coordinate concrete che
regolano la politica in un determinato periodo storico. Non comprenderlo, o fingere di non capirlo,
si contribuisce purtroppo, e anche involontariamente, a rendere del tutto marginale ed irrilevante
quella stessa cultura politica. Cioè la tradizione, il pensiero, la cultura e anche lo stile del
cattolicesimo politico italiano, seppur nelle sue multiformi espressioni e diversità. Che, detto tra di
noi, è l’ultima cosa che possiamo fare, o pensare, nell’attuale stagione politica italiana.
Interessante confronto stamane a Torino sull‘appello ai privati a investire di più a Torino e su Torino che il Cardinale Repole ha rivolto durante la omelia di S. Giovanni e che ha suscitato una accesa discussione nel mondo finanziario torinese. La Messa di S.Giovanni e’ la occasione nella quale il Vescovo della Città fa il punto anche sulle condizioni di vita. Se nel 2012 l’Arcivescovo Nosiglia disse che la Città era divisa in due , la metà della Città che sta bene e la metà della Città che sta male , il nuovo Arcivescovo Repole in una delle sue prime omelie parlò del lavoro povero che viene offerto oggi a molti giovani o ai cinquantenni messi in mobilità. Posti di lavoro a tempo determinato e stipendi che non superano i mille euro oltre all’aumento dei cassaintegrati. Martedì scorso il Cardinale è stato preciso nell’ individuare la necessità di aumentare gli investimenti privati a Torino con l’obiettivo di rilanciare la crescita economica torinese che da oltre vent’anni è inferiore a quella delle altre Città per creare nuove opportunità di lavoro. Un po’ come fece il vecchio Senatore Agnelli che insieme agli altri industriali torinesi costruì negli anni trenta la Autostrada Torino Milano , una infrastruttura che ha aiutato molto lo sviluppo così come successivamente la autostrada Torino Savona e il terminal portuale di Genova Voltri.
Il dibattito indetto da Mino GIACHINO E coordinato da Marco BARDESONO, vice direttore di Torino Cronaca ha visto gli interventi di Giorgio MERLO e Mauro CARMAGNOLA, segretario provinciale della nuova DC. Unanime l’apprezzamento nei confronti del coraggioso intervento del Cardinale Repole.
L’emendamento del Presidente Cirio alla Legge di Riordino è un doveroso passo avanti nella tutela della legalità
Ieri in Consiglio regionale il Presidente Alberto Cirio ha presentato un emendamento alla Legge di Riordino che estende le garanzie e gli strumenti finanziari del Fondo delle vittime dell’usura anche ai testimoni di giustizia. Il Presidente si è anche impegnato ad ampliare la dotazione del Fondo per fare fronte alle necessità derivanti dall’approvazione dell’emendamento.
“L’emendamento presentato dal Presidente Cirio e approvato dall’Assemblea di Palazzo Lascaris – commentano i consiglieri Silvio Magliano, Sergio Bartoli, Mario Salvatore Castello, Elena Rocchi e Daniele Sobrero del Gruppo Lista Civica Cirio Presidente Piemonte Moderato e Liberale – è un significativo passo avanti nella tutela della legalità, ma anche nella cultura della legalità: costruire un sistema che faccia sentire al sicuro e sostenute le persone che scelgono la via scomoda della testimonianza e della responsabilità incoraggia tutti a non tirarsi indietro. Ringraziamo il Presidente Cirio per aver preso spunto dal Convegno ‘Un Piemonte libero dalle mafie’ dello scorso marzo: è importante che quanto emerge da iniziative di questo genere trovi poi applicazione pratica e stimoli l’impegno delle Istituzioni”.
Gruppo Lista Civica Cirio Presidente Piemonte Moderato e Liberale
“Una scelta di civiltà per i piemontesi che risiedono lontani dai servizi”
Approvati gli emendamenti alla Legge di Riordino presentati da Sergio Bartoli (Lista Civica Cirio Presidente Piemonte Moderato e Liberale) che permettono l’allestimento di camere ardenti nelle RSA del territorio, previo accordo con il direttore della struttura, nel caso anche di decesso in casa, se non è possibile comporre la salma sul luogo dove è avvenuto il trapasso e qualora non esistano alternative facilmente raggiungibili, come per esempio le case del commiato. In pratica, l’emendamento supera il divieto dello spostamento delle spoglie con la cassa aperta.
“Grazie all’approvazione di questi emendamenti – spiega Sergio Bartoli -, interveniamo su un punto significativo per gli Enti Locali di regioni montane o comunque lontane dai centri più grandi e con maggiori servizi. Diamo la facoltà alle famiglie di allestire la camera ardente per il famigliare defunto nella casa di riposo in cui è stato ospitato o, nel caso in cui il decesso sia avvenuto in casa, di trasferire la salma in una RSA, previa disponibilità di locali adeguati e con l’autorizzazione del direttore. E’ una scelta di civiltà per tutti i residenti di comuni dai quali non è agevole raggiungere case del commiato o strutture funerarie attrezzate”.
Conclude Bartoli: “Tutti gli emendamenti che ho presentato e che sono stati approvati sono a costo zero, rispondono a esigenze concrete dei territori e promuovono il dialogo tra le istituzioni”.
Per garantire continuità nell’affido
Una proposta concreta per semplificare la vita dei cittadini e rispondere a un’esigenza sempre più diffusa: la consigliera regionale Paola Antonetto, eletta nelle fila di Fratelli d’Italia, ha presentato un emendamento alla legge regionale sulla polizia mortuaria che consente il subentro nell’affido delle urne cinerarie in caso di decesso o impedimento dell’affidatario originario.
L’emendamento, presentato nell’ambito della discussione sulla “Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale 2025”, permette che l’urna possa essere affidata a un coniuge, un convivente o un familiare entro il primo grado (anche collaterale), previa comunicazione al Comune, evitando così situazioni di incertezza o disagio.
“La normativa attuale non prevede la possibilità di un passaggio formale dell’affido – spiega la consigliera Antonetto – e questo può generare difficoltà nelle famiglie, soprattutto in un contesto in cui la cremazione è sempre più diffusa. Con questo emendamento si garantisce continuità, rispetto per la volontà del defunto e si riconosce anche il valore affettivo e familiare di chi subentra”.
In assenza di soggetti idonei o disponibili, l’urna verrà destinata alla tumulazione in cimitero, nel rispetto della legge e delle eventuali volontà del defunto.
Il provvedimento, che non comporta spese per la Regione, ha l’obiettivo di semplificare e aggiornare la normativa a fronte dei cambiamenti nella struttura familiare e nelle pratiche funerarie.
Dieci anni senza Gianni Alasia, il partigiano Astro
Il primo luglio di dieci anni fa, dopo una lunga malattia, moriva all’età di 88 anni Gianni Alasia. Partigiano, sindacalista, dirigente politico, consigliere e assessore in Regione, deputato e saggista, Alasia è stato uno dei protagonisti dell’antifascismo e del sindacalismo torinese e piemontese nel dopoguerra. Nato a Torino il 7 febbraio del 1927, attraversò da protagonista tutte le concitate fasi della storia del secolo scorso. Durante la Resistenza partecipò giovanissimo, col nome di battaglia Astro, alla lotta partigiana nella III° Brigata della Divisione Bruno Buozzi inquadrata nelle Brigate Matteotti. Dopo aver partecipato agli scontri per la liberazione di Torino, decise di aderire al PSI, militando nella minoranza di quel partito. Nel 1950 sposò la compagna della sua vita, Pierina Baima. Licenziato dalla Savigliano nel 1951, si dedicò a tempo pieno alla politica, entrando nella federazione socialista e, quindi, nel comitato centrale. I primi incarichi istituzionali lo videro eletto nel 1956 consigliere provinciale e nel 1960 consigliere comunale a Torino. Un ruolo che, nel maggio del 2015, qualche mese prima di morire, gli valse l’assegnazione da parte della Città di Torino del Sigillo civico, la più alta onorificenza dell’amministrazione, “per il lungo e fattivo impegno politico e democratico svolto dai consiglieri comunali che hanno partecipato alla Resistenza contro il nazifascismo”. Nel 1959 Gianni Alasia era stato eletto segretario della Camera del Lavoro di Torino, carica che ricoprì per quindici anni, fino al 1974. Come ricordava Sergio Dalmasso nell’importante lavoro dedicato alla figura di Alasia (Quaderno n.53 del CIPEC) erano gli anni della CGIL di Sergio Garavini, Emilio Pugno, Angelo Dina, Ivan Oddone, Bruno Fernex, gli anni duri dei licenziamenti politici e dei reparti confino alla FIAT, della sconfitta nel 1955 e della successiva riscossa, “della contrattazione articolata, del riproporsi della strategia consiliare, della autonomia sindacale, delle assemblee operaie e del rapporto con il movimento studentesco, del rifiuto di monetizzare il rischio (la salute non si vende), delle lotte contro Tambroni, di piazza Statuto, di corso Traiano, del rapporto tra offensiva in fabbrica e rivendicazioni nella società (casa, scuola, servizi sociali, trasporti..)”. Anni tanto difficili quanto fecondi dove vi fu una maturazione complessiva del mondo del lavoro. In seguito alla scissione del partito socialista Gianni Alasia fu tra i fondatori del Psiup con Lucio Libertini, Vittorio Foa e Tullio Vecchietti. Nel 1972, sciolto il partito socialista di unità proletaria, il segretario della Camera del Lavoro torinese entrò nel Pci, all’interno del quale ricoprì numerosi incarichi istituzionali a livello piemontese (consigliere regionale a Palazzo Lascaris dal 1975 al 1983, assessore al lavoro, industria e artigianato della Regione Piemonte in piazza Castello dal 1976 all’80) e nazionale (venne eletto nel 1983 alla Camera dei Deputati nelle liste del Pci nel corso della IX legislatura ). Gli anni del suo impegno in assessorato coincise con un periodo di fortissima difficoltà del sistema industriale piemontese che investì interi settori produttivi dalla siderurgia al cartario, dall’auto e dall’indotto alla chimica. Più di 800 stabilimenti in crisi, un numero di ore di cassa integrazione che toccò le punte più alte del dopoguerra. Solo nel 1976 i fallimenti aumentarono del 18% rispetto l’anno precedente. Gianni Alasia si rimboccò le maniche, tentò il recupero produttivo della Venchi Unica (duemila operaie senza lavoro e diciassette offerte di gruppi finanziari per acquistarla). Una vicenda difficile, complessa sulla quale scrisse un libro. Come assessore appose la firma su circa cento accordi. Così ricordava quegli anni Enrica Valfrè, ex segretaria generale della CGIL torinese: “Alasia convocava le parti lavorando quasi in simbiosi nella gestione quotidiana dei problemi con i sindacati (con Lattes, Avonto e altri), tenendo i rapporti con il governo di Roma, cercando imprenditori disponibili a rilevare le fabbriche in crisi; si “sfinì” con i pochi strumenti regionali a disposizione”. Sul piano normativo fece approvare una legge di sostegno all’artigianato e, terminata l’esperienza nella giunta piemontese, anche nel successivo impegno parlamentare non rinunciò a dare voce al mondo del lavoro. Nel 1991 il XX° congresso del Pci, dopo la svolta della Bolognina, segnò lo scioglimento di quel partito e Alasia fu tra i fondatori con Armando Cossutta, Sergio Garavini e Lucio Libertini del Movimento per la Rifondazione Comunista (del quale sarà proprio lui il coordinatore unico per Torino) da cui nacque nel 1992 il Prc. Nel 1995 accettò la candidatura alla Presidenza della Regione Piemonte per Rifondazione comunista, ottenendo il 9,3% dei voti. La costante che ha accompagnato tutta la sua vita, segnando il suo profilo sociale e civile, è sempre stata la battaglia per il lavoro, la sua dignità e valorizzazione, accanto alle lotte per l’ambiente e la pace. In una intervista, ricordando i tempi della sua gioventù e il clima che si respirava a quel tempo tra i lavoratori, disse: “La natura solidaristica che c’era un tempo era palpabile; vivevi sul ballatoio, nella stessa casa, sugli stessi piani, in fabbrica. Ricordo sempre la frase: noi è di più che non io”. Gianni Alasia scrisse anche molti libri. Il primo, uscì nel 1984, col titolo Socialisti, centro sinistra, lotte operaie nei documenti torinesi inediti degli anni 50-60 e l’ultimo, nel 2008, Nelle verdi vallate dei tassi: la libertà!. Un libro anomalo, quest’ultimo: una favola sulla Resistenza dal sapore tragicomico che trae chiaramente ispirazione da Esopo e Fedro ma anche da La Fontaine e Orwell. Sullo sfondo dei boschi del Vergante si muovono un gruppo di animali provenienti da esperienze diverse ma tutti uniti nella lotta per la libertà. Quegli animali per Gianni Alasia rappresentarono l’allegoria, il simbolo di una battaglia che travalicava quel preciso periodo storico, superando lo spazio temporale per collocarsi in tutte le epoche e in tutti i momenti nei quali un popolo, in qualsiasi parte del mondo, si batterà per riaffermare dignità e identità. Gianni Alasia teneva molto a quest’ultimo racconto, dedicato alla sua compagna, quasi rappresentasse una sorta di testamento, un congedo anticipato dalla vita e dagli uomini, affidandovi un messaggio da non disperdere. “Molte di quelle speranze sono state deluse”, scriveva. “Ma non c’è da perdersi d’animo. In fondo i tassi ci sono ancora. E la Resistenza non è mai finita”. Gianni Alasia nella valle dell’Erno, in quel territorio che dalle pendici del Mottarone scende fino alle rive del lago Maggiore, ci è tornato per sempre. Riposa a fianco di sua moglie, l’amata Pierina, originaria di quei luoghi, nel piccolo e silenzioso cimitero che guarda dall’alto il lago da Comnago, minuscola frazione di Lesa sulle pendici meridionali del colle della Motta Rossa. Oltre ai suoi insegnamenti di coerenza e di passione civile ha lasciato a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare il loro cammino con il suo, questo libro originale e prezioso.
Marco Travaglini