politica

Piano socio-sanitario regionale in commissione

Il nuovo Piano socio-sanitario regionale 2025-2030 arriva all’esame in quarta Commissione, presieduta da Luigi Icardi. Continua così l’iter del provvedimento, che ha già sommato quindici sedute dedicate e sette tappe di consultazione sui territori, da cui sono arrivate 155 memorie di enti, associazioni e operatori. Il Piano ha ottenuto anche parere favorevole a maggioranza da parte del Consiglio delle Autonomie locali (Cal).

L’assessore alla Sanità Federico Riboldi ha spiegato che il testo, inizialmente concepito come documento illustrativo, è stato trasformato in un vero articolato legislativo, conservando i contenuti ma rivedendo completamente la forma. Si tratta di un Piano programmatico che sostituisce quello datato 1995 e orienterà la sanità piemontese dei prossimi vent’anni; saranno poi decreti attuativi e provvedimenti successivi a definire nel dettaglio gli interventi, con il contributo della Commissione.

Da parte della Giunta sono stati presentati poco più di centottanta emendamenti, firmati da Riboldi e dall’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone, molti dei quali accolgono le richieste arrivate dagli stakeholders.

Il consigliere Daniele Valle ha sollecitato un confronto più approfondito sui contenuti, non solo sugli aspetti formali.

Nel merito, Riboldi ha spiegato di puntare a spostare l’asse della sanità dall’ospedale al territorio, rafforzando prevenzione, assistenza domiciliare e servizi di prossimità. Il Piano introduce anche nuove figure professionali per rispondere ai bisogni di una popolazione più anziana e colpita da malattie croniche. L’obiettivo, come spiegato, è rendere l’accesso alle cure più semplice, ridurre le liste d’attesa e limitare le rinunce dovute ai costi o ai tempi troppo lunghi. Una riforma che, nelle intenzioni dell’assessore, vuole avvicinare la sanità piemontese ai cittadini e costruire un sistema più moderno, capillare e sostenibile.

Lo stesso Valle ha ribadito che il Piano deve diventare un progetto vero, solido e trasparente. A suo giudizio il Piemonte merita una strategia sanitaria all’altezza delle sfide che lo attendono. Ha inoltre segnalato che il testo attuale lascia poco spazio di intervento al Consiglio e, sul piano politico, presenta ancora vuoti significativi. Per questo ha auspicato il massimo livello di condivisione prima dell’approvazione.

Ufficio Stampa CRP

Giuseppe Botta, protagonista della buona politica

Il ricordo dell’onorevole Giuseppe Botta, uno dei grandi protagonisti della vita politica torinese, nelle parole del figlio Franco Maria, a diciassette anni dalla scomparsa

Nel 2008  veniva a mancare uno dei grandi protagonisti della politica piemontese e non solo, l’onorevole Giuseppe Botta. Fu rappresentante della Democrazia Cristiana a partire dagli anni Sessanta. Ebbe come maestro l’onorevole Giuseppe Bovetti, che fu anche uno dei Padri Costituenti.

Quali erano i valori incarnati dalla Democrazia Cristiana di quei tempi, trasmessi dagli stessi Padri Costituenti?

“Il primo e più importante dei valori era incarnato dalla libertà  e “Libertas” era proprio la scritta che compariva nel simbolo dello Scudo crociato della DC. Fondamentali erano gli ideali della democrazia e dell’ispirazione cristiana da cui derivarono e discesero le azioni concrete nei provvedimenti legislativi economici”.

 

La politica, allora, non era improvvisazione, ma richiedeva una preparazione anche teorica, affiancata da una autentica fedepolitica. Secondo Lei che cosa si è incrinato, dopo la fine della Prima Repubblica, tale da aver provocato una graduale perdita dei veri valori ideologici della politica e della sua pratica?

“Secondo me si era già incrinato il rapporto di fiducia tra cittadini e politica alla fine della cosiddetta Prima Repubblica. Nel momento in cui è crollato il muro di Berlino è venuta meno anche in Italia la contrapposizione storica tra la DC con gli alleati laici e socialisti e il vecchio partito Comunista italiano. In estrema sintesi entrò in crisi il sistema politico italiano, così come si era configurato dal dopoguerra fino ad allora. Era presente una ricerca di aria nuova. Ricordiamo, a questo proposito, i referendum di Mario Segni. Furono anni di profonda crisi che si conclusero con l’inchiesta di Tangentopoli, che provocò l’azzeramento di un’intera classe politica ad eccezione di quella comunista. Diventerebbe impossibile ricordarne tutti i passaggi, ma furono commesse vere e proprie ingiustizie da clima di caccia alle streghe, che si instaurò dal 1992 e per diversi anni seguire. Era forse inevitabile che si giungesse ad un punto di svolta, ad un passaggio alla Seconda Repubblica che, però, non è stato adeguatamente accompagnato da vere riforme costituzionali. Mi sento di dire che oggi viviamo una decadenza di valori senza precedenti. La politica nazionale è guidata da personaggi improvvisati, spesso senza cultura e competenza”.

L’onorevole Giuseppe Botta seguì un ‘cursus honorum’, per utilizzare il termine latino, che lo portò da incarichi cittadini a importanti ruoli governativi. In che modo rappresentò l’espressione del rigore e dei valori sabaudi e democristiani in una Roma ben diversa da quella di oggi?

‘Mio padre aveva il passo dell’alpino e la costanza del maratoneta che si allena ogni giorno. Aveva anche una straordinaria capacità lavorativa e un impegno eccezionale. Certo la sua fu una vera e propria “gavetta” sia all’interno della Democrazia  Cristiana sianelle Istituzioni. A Roma sapeva, forte dell’esperienza maturata, quali fossero i “tasti” da toccare e quali no. Gli obiettivi che si prefiggeva erano soprattutto inerenti le infrastrutture torinesi e piemontesi. Come assessore provinciale alla Viabilità con il presidente avvocato Gianni Oberto, realizzò moltissime strade nella provincia di Torino e promosse opere strategiche quali la Tangenziale di Torino a tre corsie oltre opere altrettanto importantiquali il Traforo Internazionale del Frejus.  A livello nazionale promosse leggi ancora oggi rimaste in vigore. Aveva a cuore l’Arma dei Carabinieri  e nel 1985 fu approvata, per sua iniziativa,la legge per la costruzione di nuove caserme dei Carabinieri sull’intero territorio nazionale con uno stanziamento finanziario straordinario di 1500 miliardi di vecchie lire. Per questa ragione fu insignito dai Carabinieri dell’onorificenza di “Carabiniere d’Onore” e questa legge è ricordata come la legge Botta. Nel settore della casa un’altra legge fu approvata nel ’92, nota come la legge Botta -Ferrarini. Ma a Torino, e in generale in Piemonte,curava con la massima attenzione le esigenze  dei cittadini e delle amministrazioni locali. Sembrava non stancarsi mai”.

 

A Torino fu assessore alla Viabilità, oggi incarico spesso ricoperto senza una preparazione adeguata; a Roma fu parlamentare per sette legislature consecutive e per undici anni Presidente della Commissione Lavori Pubblici alla Camera, occupandosi anche di un’opera fondamentale quale fu la costruzione dell’autostrada delTraforo del Frejus e in seguito dell’autostrada Torino Bardonecchia.

“La politica ai tempi di mio papà era spesso fatta di ascolto. E questo costituiva il suo credo, la sua pratica quotidiana. Era una politica che non passava attraverso Internet o il web, ma attraverso l’ascolto continuo dei bisogni delle persone e dei cittadini. Una politica fatta sul campo, attenta soprattutto alle necessità dei più deboli. E nemmeno – come ricordava spesso lui stesso –  avvertiva la necessità di andare in televisione. La sua era una politica di attenzione al prossimo, e le sue elezioni in Parlamento erano la conseguenza del suo agire quotidiano”.

 

Quale insegnamento potrebbe trarre la politica attuale dal Suo esempio?

“Per rispondere alla sua domanda dico soltanto che il suo esempio di lavoro, come quello tantissimi  altri parlamentari, può  insegnare qualcosa a chi avesse l’umiltà di studiare e prepararsi. Oggi può capitare di trovare seduto sui banchi di Montecitorio chi, fino al giorno prima, non conosceva neppure l’indirizzo e cosa fosse il Parlamento”.

 

Era anche molto legato al Collegio degli Artigianelli, che si richiamava ai valori di Don Murialdo?

“Era legatissimo al Collegio Artigianelli che formava tanti giovani ai mestieri. Amava ricordare un detto del Santo Leonardo Murialdo: ”Fate lo straordinario nell’ordinario”. Mio padre aveva modificato questo detto in “Facciamo l’ordinario. È già un fatto straordinario!”.

Per un giovane che volesse fare politica seriamente (e oggi è  fatto raro constatare che la politica faccia l’ordinario) quale potrebbe essere l’attualità del prezioso esempio dell’onorevole Botta?

“In generale credo sia importante, al di là della figura di mio padre,avere appunto l’umiltà di ascoltare e di lavorare sodo”.

 

Il suo essere democristiano non prescindeva, però, dal rispetto per la laicità e per gli orientamenti politici avversi. Questo potrebbe essere di monito, nella società contemporanea, dove i singoli individui sono spesso sempre più intransigenti nei confronti delle ideologie e opinioni contrarie alle proprie?

“Affermava spesso che i comunisti non erano i nemici, ma avversari politici e che, una volta terminata una discussione, ci si stringeva la mano. Mi piacerebbe che potesse venir recuperato quello spirito”.

Mara Martellotta 

Violenza e politica e l’eterna zona grigia

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

Niente da fare. È un copione che si ripete quasi meccanicamente. Ed è un film che, puntualmente
e quasi meccanicamente, si recita quasi sempre nel campo della sinistra. Seppur nelle sue
diverse e multiformi espressioni. Certo, la destra non ne è affatto esente. Come dimostra la sua
stessa esperienza storica. Ma è indubbio che è proprio sul versante della sinistra – e ieri come
oggi il film, seppur mutatis mutandis, si ripete in modo quasi identico – che le contraddizioni
esplodono soprattutto quando si entra in una stagione dove la partecipazione popolare e una
rinnovata presenza politica dell’estrema sinistra aumenta creando, di conseguenza, enormi
problemi all’intera galassia di questo campo politico, culturale e sociale.

Ora, e per fermarsi agli ultimi accadimenti, è appena sufficiente elencare in filigrana alcuni termini
e citare alcune persone per rendersi conto che l’antica e mai indomita “zona grigia” continua ad
essere un tassello importante, nonchè imbarazzante, nel dibattito politico italiano. E, nello
specifico, della dialettica all’interno dell’attuale sinistra l’italiana. Da Francesca Albanese ai Pro
Propal; dal ruolo dei ‘centri sociali’ alla conclusione violenta degli ormai innumerevoli cortei di
protesta organizzati o dalla Cgil o dai sindacati di base o da gruppi e movimenti comunque
collocati nell’estrema sinistra; dal giudizio sull’avversario politico – che è quasi sempre un nemico
da abbattere definitivamente ed irreversibilmente – al rapporto concreto con i movimenti e le
proteste violente che si scatenano in molti gangli della società.

Ecco, è proprio all’interno di questi meandri che emerge quella “zona grigia” difficilmente
decifrabile da parte della politica ufficiale e degli stessi organi di informazione. Una “zona grigia”
che negli anni drammatici che vanno dalla fine dei ‘60 alla metà degli anni ‘80, ruotava attorno ad
alcuni celebri e famosi slogan: dai “compagni che sbagliano” al tragico “nè con lo Stato e nè con
le Br”. Archiviata, per fortuna, quella infausta e delirante stagione storica, si tratta di capire oggi
dove si manifesta quella “zona grigia” e con quali contenuti. È persin troppo facile ricordare alcuni
slogan contemporanei: “no alla violenza, però”; “sì alla libertà di stampa e di opinione, ma”; “sì
alla legalità, però”. Insomma, una gamma di affermazioni – le citazioni sono infinite – che sono
sempre tese a comprendere, se non addirittura a condividere, alcuni comportamenti che
oggettivamente sconfinano nella violenza o in atti teppisti o addirittura squadristi come è
concretamente capitato nei giorni scorsi alla redazione della Stampa di Torino.

Per queste ragioni, semplici ma oggettive, si tratta oggi di scegliere da che parte si vuole stare.
Perchè, e paradossalmente e memori anche dell’esperienza del passato, c’è sempre un bivio di
fronte a cui ci troviamo. E cioè, o si sta in modo netto, chiaro ed inequivoco dalla parte della
democrazia, della legalità, del rispetto dell’avversario e nel pieno rispetto dei principi e dei valori
contemplati nella Costituzione oppure, e al contrario, finiamo – magari anche inconsapevolmente –
per rialimentare se non addirittura consolidare quella “zona grigia” che era, e resta,
drammaticamente alternativa rispetto alle ragioni basilari della democrazia e della libertà. E la
sinistra italiana -soprattutto i suoi capi – seppur molto plurale e articolata al suo interno, ha oggi il
dovere morale e politico di dire una parola chiara e netta al riguardo. Soprattutto nel rapporto con
tutto ciò che si colloca nella sua parte più radicale, estremista, ideologica e movimentista.

Rifondazione: sit in “contro la censura di guerra”

 PARTECIPERÀ IL PROFESSOR ANGELO D’ORSI
“Nel mese di novembre è stata impedita una conferenza del Professor Angelo d’Orsi, contro la russofobia, al Polo del 900.
Nei giorni scorsi è stata impedita la conferenza dei professori Alessandro Barbero e Angelo d’Orsi su “La democrazia in tempo di guerra” che si sarebbe dovuta tenere al Teatro Grande Valdocco.
Questo livello di censura fa invidia a quello del regime fascista e non si era mai visto nella Repubblica nata dalla resistenza, nella città di Gramsci e di Gobetti.

Questa censura imbavaglia gli intellettuali per impedire che la maggioranza della popolazione italiana, che è contro la guerra e contro il riarmo, possa fermare le sciagurate scelte politiche dei Crosetto e delle Von der Leyen. Questi stanno distruggendo lo stato sociale per aumentare le spese militari e ci vogliono portare in guerra contro la Russia, calpestando la volontà di pace del popolo italiano.

Contro questa situazione dobbiamo far sentire la nostra voce.
Invitiamo tutti e tutte a partecipare
Martedì 9 dicembre alle ore 18, in Piazza Palazzo di città,
ad un sit in contro la censura di guerra e contro l’aumento delle spese militari”.


Paolo Ferrero, segretario provinciale di Rifondazione Comunista di Torino 
 

La legge sull’antisemitismo e il libero pensiero

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non ho mai apprezzato la sagacia politica dell’ on. Del Rio a cui si deve la fine delle Province. Ho letto il suo disegno di legge sull’antisemitismo che poteva essere scritto meglio, ma del Rio ha da sempre dei limiti oggettivi insuperabili e non si può pretendere da lui molto di più.  In linea di massima sono contro ogni legge che limiti il libero pensiero. Non ero favorevole alla Legge Mancino e ho delle perplessità sul ddl Del Rio.  Ma le reazioni ostili che ho letto, mi portano a ritenere non priva di fondamento l’idea di chiarire il tema dell’antisemitismo che è dilagato in modo maldestro come un torrente in piena. Tutti gli incolti, i fessi, i fanatici si sono scoperti non solo contro Israele, ma antisemiti. Riuscire a definire cosa si possa intendere per antisemitismo e soprattutto per genocidio credo possa essere utile a chiarire le idee. Ma la storia si decide scrivendo libri e facendo ricerche, non scrivendo leggi e soprattutto evitando di mettere le basi per un ricorso ai tribunali, come avvenne per il negazionismo.
Se leggo le reazioni piuttosto isteriche della signora Albanese, mi viene voglia di sostenere Del Rio, ma credo che il problema dell’antisemitismo latente e poi divampato in modo devastante nella sinistra italiana, sia in primis un problema culturale. La strumentalizzazione di certi temi è tutta politica e rivela una profonda ignoranza di parte della classe politica italiana che ha rinunciato a studiare e si limita alla polemica sterile e dozzinale dei dibattiti televisivi. I militanti e gli attivisti da parte loro si limitano a ripetere slogans privi di significato storico, ma ridondanti di violenza non solo verbale.

Salute, Ricca (Lega): “Scorporo del Sant’Anna riduce i costi e migliora i servizi”

 “La sinistra chiude ospedali, noi li rendiamo più efficienti”

Torino, 4 Dic – “Respingiamo le preoccupazioni sollevate dai banchi della sinistra sul futuro accorpamento dell’ospedale Sant’anna e del Regina Margherita. Abbiamo ricevuto un mandato preciso dai cittadini che per il Piemonte chiedevano una salute più vicina alle loro esigenze e il lavoro fatto in questo anno dall’Assessore Riboldi, dal Presidente di commissione Icardi e dalla maggioranza risponde esclusivamente a questa logica. I presidi manterranno la loro piena operatività, col pregio di ridurre i costi e migliorare l’efficienza complessiva del sistema sanitario. Non stiamo togliendo niente a nessuno; al contrario, stiamo mettendo al centro donne e bambini candidando inoltre l’azienda ospedaliera a Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico… dunque non proprio una scalata verso il basso! I colleghi della sinistra chiudono gli ospedali, noi continuiamo a lavorare per l’efficienza della sanità piemontese”. Così Fabrizio Ricca, capogruppo Lega in Piemonte.

Sant’Anna, Nallo (Italia Viva): “Sullo scorporo solo propaganda”

“L’Assessore ignora università e cittadini”

– Torino 04 dicembre 2025 – “Questi giorni hanno svelato la realtà: la maggioranza prosegue con lo scorporo del P.O. Sant’Anna da Città della Salute senza una visione e senza chiarezza su costi, organizzazione o ricadute sui pazienti, che rischiano di doversi spostare tra poli diversi per ottenere le cure oggi erogate in un unico percorso”. Così la Consigliera Regionale Vittoria Nallo (Stati Uniti d’Europa per il Piemonte), intervenendo in dichiarazione di voto sullo scorporo del Sant’Anna dalla Città della Salute e l’accorpamento al Regina Margherita. “L’aspetto più grave? L’esclusione dell’Università di Torino, attore imprescindibile nella formazione, nella ricerca e nella qualità dell’assistenza. Una riforma che stravolge l’assetto degli ospedali senza coinvolgere chi forma i medici è una riforma sbagliata. La “rivoluzione tranquilla” di Riboldi – prosegue Nallo – funziona sui social e agli eventi di Fratelli d’Italia, ma non per i cittadini piemontesi, che nel frattempo rinunciano alle cure e affrontano liste d’attesa insostenibili. Qui non c’è alcun progetto di rilancio della sanità piemontese: c’è un’operazione di potere e propaganda, mentre la sanità resta in crisi.”

Cristina Zaccanti, PdF: “Ora la Regione punti al Reddito di Maternitá”

“Non è la prima volta che in qualità di Coordinatore regionale del Popolo della Famiglia esprimo apprezzamento per l’operato dell’amministrazione regionale e, in particolare, dell’assessore regionale alle Politiche Sociali, Maurizio Marrone – dichiara Cristina Zaccanti – Ovviamente apprezziamo l’assegnazione di maggiori investimenti al fondo “Vita Nascente” per finanziare nuovi ambiti e nuove attività, stanziamento che l’opposizione denuncia come “regalo” ai pro life e un attacco alla 194. Magari lo fosse! Il Popolo della Famiglia, a differenza di tutte le forze politiche al governo, contesta infatti una legge che comunque legittima un omicidio.

Apprezziamo ovviamente il sostegno ai parti in anonimato come l’incentivo al lavoro di squadra delle istituzioni pubbliche di assistenza con il volontariato privato di aiuto alla vita.

Noi auspichiamo però un salto di qualità ulteriore: le risorse regionali finanzino quella che sarebbe davvero una soluzione rivoluzionaria. Mi riferisco alla versione regionale del Reddito di Maternità (RdM), proposta di legge di iniziativa popolare, lanciata nel 2018: 1000 € al mese alla mamma che decidesse di occuparsi in esclusiva della cura del proprio bambino per i primi 8 anni di vita. Rinnovabile al secondo e terzo figlio successivi, per diventare vitalizio al quarto figlio o qualora il bambino fosse disabile.

Questa misura incentiverebbe le nascite determinando un cambio di mentalità, l’apertura alla vita contro il suicidio di una civiltà, la primavera contro l’inverno demografico.

Consideriamo Vita Nascente e l’assessore Marrone apripista coraggiosi e intelligenti. Con l’attuazione di un RdM regionale davvero il Piemonte potrebbe diventare un modello di ispirazione anche per altre Regioni, e non solo quelle governate dal centrodestra.

Cristina Zaccanti