Cattolici, nessuno ne ha l’esclusiva politica
LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
E ci risiamo. Mino Martinazzoli li chiamava negli anni ‘90 i “cattolici professionisti”. Anni prima,
negli ‘80, Carlo Donat-Cattin ancora più sarcasticamente li bollava come “sepolcri imbiancati”. In
entrambi i casi parliamo di esponenti che, periodicamente, si sentono i depositari esclusivi della
presenza degli stessi cattolici nella vita democratica del nostro paese. Si tratta di personaggi che,
in virtù di una presunta coerenza e di una ineffabile capacità politica, si sentono gli interpreti più
accreditati e quasi esclusivi nel farsi carico di tutto ciò ciò attiene alla cultura, alla tradizione, ai
valori, alle domande e alle istanze che provengono dal vasto, articolato e composito mondo
cattolico italiano. Una sorta, cioè, di “cattolici doc”. Ovvero cattolici di denominazione di origine
controllata e forse anche garantita, come avviene per i migliori prodotti della natura.
Ora, credo sia giunto il momento di ribadire con forza e convinzione la necessità e l’importanza di
riavere una presenza politica autorevole e qualificata nella vita pubblica italiana. Come, d’altro
canto, si rende sempre più necessario riscoprire una cultura politica che in questi ultimi tempi si è
pericolosamente inabissata. Ma il tutto, però, non può non tenere conto di due elementi di fondo
a cui non si può rinunciare se si vuole essere credibili e anche coerenti con la storia del
cattolicesimo politico italiano nella sua declinazione democratica, popolare e sociale.
In primo luogo va riconosciuto sino in fondo, e senza alcun equivoco o tentennamento, il
pluralismo politico ed elettorale dei cattolici Italiani. Non esiste un tribunale della coerenza dei
cattolici in politica. Questa vecchia ed atavica tentazione “catto comunista” di sentirsi i migliori e,
di conseguenza, gli interpreti più coerenti e più credibili nel tradurre la cultura dei cattolici nella
cittadella politica italiana va archiviata definitivamente ed irreversibilmente. E questo non solo
perchè si tratta di una minoranza settaria, faziosa e culturalmente altezzosa ed arrogante che non
rappresenta affatto la stragrande maggioranza dei cattolici italiani. Ma per la semplice ragione che
proprio questa deriva è all’origine dalla crisi della presenza di questa cultura nella vita politica
contemporanea.
In secondo luogo nessun leader – o statista – democratico cristiano, o popolare o cattolico sociale
del passato ha mai pensato di rappresentare le istanze esclusive dei cattolici in politica. E questo
non solo perchè la laicità dell’azione politica è un caposaldo essenziale di una democrazia matura
ed adulta, ma per la semplice ragione che è persin ridicolo intestarsi questa qualifica. Lo era già ai
tempi della cosiddetta unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiana. Anche se, come tutti
sappiamo, l’unità politica dei cattolici non è mai esistita perchè non è mai stata un dogma ma
sempre e solo una scelta politica concreta e coerente con la stagione storica in cui si viveva.
Ecco perchè è ridicola, per non dire grottesca, la tentazione dei soliti noti che periodicamente
fanno capolino nella politica italiana a nome e per conto dei cattolici italiani. Più che ascoltati
vanno semplicemente compatiti.
L’impegno per i problemi della Comunità che è l’oggetto della attività politica e’ il più nobile tra gli impegni proprio perché ha come obiettivo l’interesse generale di una Comunità o di un Paese, mettendo in second’ordine i problemi della propria famiglia. Ecco perché Paolo VI il Papa che lanciò la sua preghiera a Dio affinché salvasse Aldo Moro, il Cardinale che fu vicino alla presenza dei cattolici negli anni della Resistenza e della ricostruzione , diceva che la politica e il più alto gesto di carità , una frase impegnativa che ha resistito nonostante tanti scandali.
Riforma della Giustizia: pro e contro
PERCHÉ DICO NO
Di Enzo Grassano *
No alla separazione delle carriere: il PM deve restare libero
La proposta di separare le carriere tra magistrati giudicanti e pubblici ministeri è pericolosa per la giustizia e per la democrazia. Oggi il pubblico ministero è un magistrato indipendente, libero di indagare ovunque ci siano ipotesi di reato, senza pressioni politiche. Separare le carriere significa avvicinare il PM al potere esecutivo, trasformandolo in un “avvocato dell’accusa”, indebolendo la sua autonomia.
La Costituzione italiana garantisce l’unità della magistratura proprio per assicurare un sistema giudiziario libero e imparziale. Modificare questo equilibrio, come propone il referendum confermativo, rischia di compromettere la libertà delle indagini e la giustizia per tutti.
Per questo diciamo con forza: no alla separazione delle carriere, no al referendum. Il PM deve restare libero.
* Già membro del Partito Democratico
PERCHÉ DICO SI’
Di Nicola Carlone *
Mentre il Parlamento affronta una delle riforme costituzionali più rilevanti degli ultimi decenni, quella dell’ordinamento giudiziario, non mancano le polemiche, spesso strumentali. Alcuni settori della sinistra, infatti, si sono lanciati in accuse pretestuose, parlando di sottomissione della magistratura al potere esecutivo e di un presunto attacco allo Stato di diritto. Scene da commedia, più che da confronto parlamentare.
La verità, tuttavia, è sotto gli occhi di chiunque voglia leggere il testo della riforma: O si preferisce non
affrontarne il merito per meri calcoli politici, oppure vi è chi difende uno status quo che da tempo mostra crepe evidenti.
Ed è legittimo porsi una domanda: queste resistenze derivano forse dalla volontà di tutelare interessi consolidati all’interno della magistratura, che la Costituzione, peraltro, vieta di organizzare in correnti politiche?
Al contrario di quanto sostenuto da alcuni, la riforma non introduce alcuna subordinazione della magistratura al Governo. Al contrario, interviene per rafforzarne l’autonomia concreta, rimuovendo quei meccanismi di cooptazione interna e spartizione delle nomine che hanno indebolito la fiducia dei cittadini nella giustizia.
I contenuti tecnici della riforma (fonte Adnkronos)
Il testo della riforma costituzionale interviene su punti cruciali dell’ordinamento giudiziario, introducendo due principi fondamentali:
La separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti;
La creazione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura, ciascuno autonomo, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica.
La composizione di tali Consigli è costruita su criteri di trasparenza e imparzialità:
Un terzo dei componenti sarà estratto a sorte da un elenco di professori ordinari di materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di attività, selezionati dal Parlamento in seduta comune;
I restanti due terzi saranno estratti a sorte tra i magistrati delle rispettive categorie (giudicanti o requirenti), in modo da impedire concentrazioni di potere e logiche correntizie.
Ciascun Consiglio eleggerà il proprio vicepresidente, sempre tra i componenti non togati. I mandati avranno durata quadriennale e non saranno rinnovabili. Durante l’incarico, i membri non potranno esercitare attività professionali né ricoprire cariche politiche.
Tra le altre novità, si prevede l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare, competente per i procedimenti a carico dei magistrati. Sarà composta da 15 membri con composizione mista, anche in questo caso scelta in parte per sorteggio e in parte per nomina, sempre tra soggetti dotati di qualificazione giuridica elevata.
Questa riforma non è una provocazione né un’azione punitiva nei confronti della magistratura, ma una risposta concreta a criticità note e denunciate da tempo. Le degenerazioni correntizie emerse clamorosamente nel caso Palamara sono solo l’ultima evidenza di un sistema autoreferenziale, che rischia di trasformare l’autonomia della magistratura in una forma di irresponsabilità.
La separazione delle carriere garantirà una equidistanza tra il giudice e l’accusa \ difesa. Questo eviterà che i rapporti lavorativi e personali nati in un ambiente di lavoro unitario, possano compromettere il corso di un processo.
Vale la pena ricordare che alcune delle soluzioni oggi proposte, proprio come la distinzione delle carriere furono già suggerite da Giovanni Falcone, il quale metteva in guardia dai pericoli di una magistratura chiusa, poco trasparente e refrattaria a ogni forma di controllo.
La previsione di un organo disciplinare realmente indipendente, in grado di giudicare anche gli errori gravi dei magistrati, risponde a un’esigenza profonda di giustizia ed equità. Troppe volte nel passato abbiamo assistito a sentenze sbagliate, carcerazioni ingiuste, vite spezzate da decisioni affrettate e mai rimesse in discussione. Una giurisdizione che non risponde dei propri errori mina la fiducia stessa nelle istituzioni.
È giunto il momento di valutare questa riforma per ciò che realmente è: un passo avanti verso una giustizia più imparziale, più responsabile e più vicina ai cittadini. Le polemiche ideologiche e gli allarmismi infondati servono solo a difendere un sistema bloccato, dove il potere si conserva nel silenzio e nell’opacità.
L’appello che rivolgo è semplice: non fermatevi ai titoli o agli slogan. Leggete i testi, informatevi, giudicate nel merito. Solo così potremo davvero contribuire a costruire uno Stato più giusto, dove l’equilibrio tra i poteri sia garantito non solo a parole, ma nei fatti.
Riformare la giustizia non è un atto di ostilità, ma un atto di responsabilità. Verso i cittadini, verso le vittime di errori giudiziari, e verso quei principi di legalità e trasparenza che devono rimanere il fondamento della nostra democrazia.
«Il processo accusatorio presuppone che accusa e giudice non siano in alcun modo assimilabili. Occorre avere il coraggio di riconoscere che le due funzioni sono e devono essere distinte, e che questa distinzione deve riflettersi anche sul piano ordinamentale»
(Giovanni Falcone, dichiarazioni del 1991 – tratte da “Cose di Cosa Nostra”, conversazioni con Marcelle Padovani)
* Coordinatore del circolo Fratelli d’Italia Rivoli
“Come consigliere regionale e cittadino piemontese, sono molto soddisfatto per l’obiettivo conseguito a Genova dal Comitato d’Indirizzo della Zona Logistica Semplificata ” Porto e Retro Porto di Genova ” al quale partecipa la Regione Piemonte. Con la deliberazione di 12 nuovi Comuni piemontesi nella Zona Logistica Semplificata del sistema retroportuale del Nord-Ovest, si compie un passo significativo nel consolidamento del sistema logistico e industriale piemontese”. È il commento di Luigi Genesio Icardi, Presidente della Commissione Sanità del Consiglio Regionale alla notizia dell’annessione di ulteriori 12 comuni, oltre a quelli deliberati nel 2021 dalla precedente Giunta.
I nuovi Comuni piemontesi annessi sono: Asti, Basaluzzo (AL), Borghetto Borbera (AL), Casale Monferrato (AL), Castelletto Monferrato (AL), Castelnuovo Scrivia (AL), Mondovì (CN), Pozzolo Formigaro (AL), Serravalle Scrivia (AL), Silvano d’Orba (AL), Tortona (AL) e Villanova d’Asti (AT), a cui si aggiungono gli interporti di SITO (Orbassano – TO) e CIM (Novara).
” E’ un traguardo importante per il Piemonte che lo pone all’interno di uno degli strumenti strategici più rilevanti per lo sviluppo delle attività produttive del Nord-Ovest. Iter autorizzativi semplificati e Sportelli Unici per le Attività Produttive, dedicati agli investitori sono i primi obiettivi da realizzare nei comuni annessi già a fine anno. Gli Sportelli Unici
gestiscono, infatti, in forma semplificata le autorizzazioni legate a insediamenti produttivi e attività logistiche al fine di consentire alle imprese interessate di insediarsi con un percorso agevolato, che dimezza le tempistiche burocratiche e rende più attrattivo il nostro territorio per nuovi investimenti, soprattutto in ambito logistico e industriale.
“Il Piemonte si conferma quale hub logistico europeo di significativa centralita’- conclude Icardi- anche grazie ai collegamenti con la rete transeuropea dei trasporti, il Terzo Valico dei Giovi e la futura Torino-Lione. La Regione intende creare condizioni favorevoli alla crescita sostenibile, all’attrazione di capitali e allo sviluppo occupazionale nei territori coinvolti, attraverso un modello amministrativo snello e competitivo su scala internazionale “.
Valle (Pd): “Centri antiviolenza a rischio chiusura”
“Ho interrogato l’Assessore regionale competente per sapere quali iniziative intenda intraprendere la Regione Piemonte per affrontare la problematica sollevata in merito ai requisiti minimi dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio, soprattutto considerato che, a partire dal mese di settembre, un numero non indifferente di strutture piemontesi potrebbero essere costrette a fermare totalmente l’attività” spiega il Consigliere regionale del Partito Democratico Daniele Valle.
“L’imminente scadenza di settembre 2025 rischia, infatti, di portare a una necessaria riorganizzazione di cooperative ed enti, con potenziali conseguenze economiche e la possibile chiusura di Case Rifugio e Centri Antiviolenza, lasciando un vuoto di competenze e know-how difficilmente colmabile. Per far fronte a questo rischio diverse regioni italiane, tra cui la Lombardia e l’Emilia Romagna, hanno già avviato tavoli di confronto e percorsi condivisi con gli enti del Terzo Settore per affrontare e governare la transizione verso l’adeguamento dei requisiti richiesti dalla norma nazionale, cercando soluzioni che non penalizzino la rete di supporto esistente e consolidata” aggiunge Valle.
“Dalla risposta dell’Assessore si evince una posizione “ponziopilatesca” e di preoccupante attesa di eventi che dovrebbero cadere dall’alto, dal momento che si limita a riferire che “il Dipartimento istituzionalmente competente ha ipotizzato la modifica e integrazione di alcuni articoli al fine di introdurre modalità di salvaguardia della prosecuzione dell’operatività dei soggetti che attualmente già operano in qualità di titolari dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio esistenti”. Quindi, mentre Lombardia e Emilia Romagna si stanno adoperando, in tutti i modi possibili, per trovare una soluzione che superi il problema o per posticipare l’entrata in vigore con un periodo transitorio, il Piemonte resta a guardare, attende e spera che il problema venga risolto da altri. Non preoccupa la Giunta il fatto che a settembre, improvvisamente, la metà degli enti che gestiscono Case Rifugio e Centri Antiviolenza rischia di non poterlo più fare? Quale sarà il destino delle donne ospitate? Andranno per strada? Mi sarei aspettato dalla Giunta un maggiore impegno e un piano alternativo perché non possiamo permetterci di sospendere un servizio che tutela persone tanto fragili e vulnerabili” conclude Valle.
Cs
Gronda sulla collina, Ravinale AVS: “un controsenso”
“Il progetto politico del Centro, da solo o in un’alleanza, ha un ruolo e una funzione solo se è
politicamente protagonista. Se, invece, si riduce ad essere una ‘tenda’, come pensa e spera l’ex
comunista Bettini o un semplice orpello da esibire, è destinato ad essere del tutto irrilevante e
marginale. Il compito e il ruolo dei cattolici popolari e dei cattolici sociali è, oggi, proprio quello di
rafforzare ‘la politica di centro’ da un lato e di far sì che quel progetto sia nuovamente
determinante all’interno delle coalizioni o in un percorso autonomo. Il Centro, nel nostro paese,
non appartiene alla cultura della ‘tenda’ o del rifugio. Non a caso chi lo sostiene arriva, e del tutto
legittimamente, dalla tradizione comunista e di sinistra”.
On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’.
Roma 22 7 2025
Una politica trasparente
E ora che farà il Pd? Soprattutto il Pd torinese ed il sindaco di Torino Lo Russo?
Sia ben chiaro, sino a prova contraria si è innocenti fino al terzo grado. Un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio non vogliono dire automaticamente una condanna. Ma indubbiamente la chiusura delle indagini preliminari per Mauro Laus, l’assessore Mimmo Carretta e il Presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo peserà come un macigno sulla politica torinese.
I tre esponenti politici hanno in comune l’iscrizione al Pd, addirittura Carretta è stato segretario provinciale.
La coop Rear è appena uscita da una ispezione straordinaria del Ministero del Lavoro. Una sorta di controllo sulla attività sociale economica della coop. Risultato finale: azzeramento degli organi di vigilanza, nominati nuovi sindaci e rinnovo del cda.
Solo il vecchio presidente confermato.
Praticamente il Ministero ha “elegantemente commissariato” la coop che ha lavori in tutta Italia, anche a Roma. Un conto è l’iter civile ed un conto quello penale.
Praticamente, se ho capito bene, nell’iter di carattere civile c’è stato un rinvio a settembre. Per la procura di Torino una bocciatura. Personalmente credo difficile dimostrare in dibattimento la colpevolezza ma non sono avvocato o magistrato e dunque, su questo punto mi taccio.
Rimane un problema: che rapporto ci deve essere tra chi fa politica, economia, affari? Ovviamente il pezzo da novanta è Mauro Laus.
È stato deputato e senatore e per tre legislature consigliere regionale. Si fece anche una commissione regionale per stabilire se era incompatibile essere consigliere Regionale e Presidente di coop. Secondo la commissione era compatibile e Laus continuò la sua attività sia economica sia politica. Ed ora? Appunto questo è il punto. Personalmente auguro davvero per tutti gli inquisiti una piena assoluzione. Ma ad onor di logica o fai politica o fai altro. Del resto non a caso furono i socialisti nel volere uno stipendio per i Parlamentari o consiglieri comunali etc. Inoltre più incarichi possono talvolta confliggere tra di loro vanificando l’impegno politico e sociale. La questione non è solo politica ma anche di comportamenti politici. Dunque, se volete, una questione di Etica. Ricapitolando: vedremo gli sviluppi della vicenda giudiziaria auspicando che vengano chiarite tutte le posizioni e che vi sia un responsabile atteggiamento della politica prima, durante e dopo.
PATRIZIO TOSETTO