In un libro di Marco Travaglini le storie e le avventure velate d’ironia di una comunità fatta di “personaggi austeri, militanti severi”
Il 21 gennaio del 1921, cento anni fa, veniva fondato a Livorno il Partito Comunista Italiano. Una storia politica che terminò trent’anni fa, il 3 febbraio 1991 quando, durante il suo XX° Congresso, la maggioranza dei delegati approvò la svolta della Bolognina voluta da Achille Occhetto e diede vita al Partito Democratico della Sinistra mentre la minoranza dissenziente scelse di costituire il partito della Rifondazione Comunista. Per tutto il 2021 sono previste moltissime iniziative legate all’evento con convegni, celebrazioni, giornate di studio mentre moltissimi libri sono già disponibili in libreria e altri ne usciranno. Eventi e ricerche dove la vicenda dei comunisti italiani verrà analizzata, studiata e riproposta sotto varie angolature perché, in fondo, si tratta di una storia collettiva che per sette decenni nell’arco del ‘900 ha coinciso e si è sovrapposta a quella della nazione. La lotta antifascista, la Resistenza, la Costituzione repubblicana, la costruzione della democrazia, le tante battaglie sociali e civili, una fitta rete di “buon governo cittadino” in tantissime amministrazioni comunali e regionali restano a testimonianza di quanto i comunisti siano stati “dentro” la storia di questo Paese e l’abbiano influenzata.
Tra i tanti libri e le varie testimonianze una è particolarmente originale e s’intitola “ Voi personaggi austeri, militanti severi..”, parafrasando il testo dell’Avvelenata, una delle più note canzoni di Francesco Guccini. L’autore del libro, edito dalla torinese Impremix Visual Grafika, è Marco Travaglini, un ex dirigente della sinistra piemontese. Nei ventisei racconti che riempiono le 128 pagine del libro ( l’ex ministro Livia Turca ne ha curato la prefazione) lo scrittore-giornalista – torinese d’adozione, nato a Baveno sulle rive del lago Maggiore – racconta le “storie di compagni che sapevano ridere anche di se stessi”. Dare conto di questa straordinaria e articolata vicenda umana, fatta di gesti generosi e impegno civile, così come di ipocrisie e di errori storici, momenti drammatici e un enorme sforzo pedagogico di massa non è un compito facile, soprattutto se si sceglie di raccontare episodi che si propongono di strappare un sorriso. Storie, tra l’altro, che hanno come sfondo fatti reali. In alcuni casi vissuti in prima persona dall’autore che è stato l’ultimo segretario provinciale del PCI della Federazione di Verbania (realtà della quale è stato praticamente coetaneo avendo entrambi visto la luce nell’autunno del 1957) e, come tale, ha potuto viverne da protagonista una fase importante della storia e le successive evoluzioni. Quasi tutti i racconti si svolgono in Piemonte, tra l’Ossola, le terre delle risaie e il biellese, le terre dei due laghi – Maggiore e d’Orta – con qualche puntata nella lomellina pavese e sulla sponda “ magra” del Verbano, in Lombardia. Dalle lotte operaie dell’acciaieria Cobianchi alle cene elettorali a base di polenta e coniglio in Valle Strona, dalle avventure di un comunista omegnese nella “bassa” vercellese a caccia dei voti dei monarchici al tempo della “legge truffa” alla strana bandiera che sventolò sulle Settimane musicali di Stresa, queste storie – ricche di situazioni grottesche generate perlopiù da malintesi- strappano sorrisi nel dar conto di una importante e per certi versi non comune vicenda umana. “Nei racconti cito vicende più o meno note, utilizzando solo una parte di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria”, dice l’autore. “Naturalmente, come insegnava Piero Chiara, quel che mancava a raggiungere l’effetto narrativo l’ho aggiunto. Del resto, nessuna realtà è buona per sé”. Apparentemente fatti “tutti d’un pezzo”, i protagonisti di questi racconti dimostrano – il più delle volte loro malgrado, inconsapevolmente – di non esser privi d’ironia.
Sorridono, ammiccando a malintesi e disavventure di questo o quell’altro loro “compagno”. Sono vicende, in gran parte tramandatesi oralmente e arricchitesi con il trascorrere del tempo fino a diventare sempre più grottesche e ironiche, “allungandosi” e ingigantendosi un po’ come i pesci nei racconti dei pescatori. Storie romanzate ma sempre con un fondo di verità (con le opportune modifiche a nomi e cognomi) a riprova dell’umanità di quelle donne e quegli uomini che all’ombra della stessa bandiera hanno contribuito a fare la storia di un partito che è stato tanta parte della realtà politica e della società italiana. Livia Turco, già ministro e autorevole esponente di quello che un tempo fu il Pci di Berlinguer, oggi Presidente della fondazione “Nilde Iotti”, nella sua prefazione ha scritto: “il bel libro di Marco Travaglini ci consente di fare un tuffo in una storia bellissima,di incontrare la comunità dei comunisti italiani. Per raccontarla sceglie il modo più autentico ed efficace. Racconta le persone in carne ed ossa, i loro contesti di vita, la loro quotidiana normalità. Questa umanità generosa avrebbe dovuto molto di più entrare nella narrazione e nella rappresentazione dell’Italia. Sono convinta che l’idea e la pratica della politica raccontata in queste pagine sia non solo moderna, ma necessaria. In questa nostra società, in questo nostro tempo, ciò che alimenta le passioni tristi è la solitudine, la fragilità delle relazioni umane. C’è bisogno di comunità e di compagnia”.
Tutti i principali protagonisti di quelle vicende, ambientate negli anni dal primo dopoguerra agli anni ’80, hanno fatto parte di quel PCI voluto da Togliatti nel 1944 come un “partito nuovo” con l’obiettivo di trasformare l’ossatura clandestina e resistenziale dell’organizzazione comunista in un partito di governo, progressista e democratico. Una lunga storia testimoniata da documenti, congressi, atti parlamentari, campagne elettorali, libri – a partire dagli straordinari “Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci – fino a quaderni della propaganda con i quali il partito organizzava la sua presenza nei territori e tra la gente. Travaglini sorride e ricorda la “Guida al segretario di cellula”, uno dei manuali per la propaganda capillare che riportavano, in copertina, le citazioni di Togliatti per definire la linea. Ne legge un brano: “..il Partito si sviluppa e si rafforza quando sa lavorare non soltanto per chiusi interessi di organizzazione e di gruppo, ma per gli interessi di tutto il popolo e di tutta la nazione”. I suoi anni sono stati però gli anni di Berlinguer, del colpo di stato in Cile e del compromesso storico, del rinnovamento culturale e politico del Pci a partire dalla “questione morale” (l’eccesso di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti), della capacità de gli ultimi tempi della segreteria berlingueriana di immaginare una strategia fondata su una nuova lettura della società italiana.
Si coglie, tra le righe dei racconti, una lieve nota malinconica e qualche rimpianto non solo per gli anni più belli della gioventù. “ E’ vero. Per certi versi mi manca quel partito”, dice il giornalista e scrittore, ormai lontano dalla politica attiva. “Non era per nulla esente da difetti, anche seri; era certamente imperfetto ma al tempo stesso autentico, popolare, molto più vicino alle necessità delle persone di quanto non sia la politica oggi. Continuerà a mancarmi e sono certo che questo sentimento è comune a molti pur avendo coscienza che ciò che è stato fa parte della storia e va considerato con rispetto, senza indulgere in nostalgie”.
B.C.