parole rosse

Grande è la confusione sotto il cielo…

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PAROLE ROSSE … E quindi la situazione è eccellente, era la conclusione della massima del “grande timoniere” Mao Tse Tung. La famosa citazione mi è ritornata in mente in questi giorni, sia parlando con alcuni esponenti della sinistra torinese , sia leggendo gli articoli dedicati alla scelta del candidato Sindaco della città di Torino

Purtroppo, a dispetto della citazione, la situazione mi sembra sì ideale ma per una nuova e più bruciante sconfitta. Questa volta avverrebbe, e sarebbe la prima, con la destra. Andando con ordine e provando a districarsi nell’affollata coalizione di centro sinistra, quindici sigle e oltre trenta partecipanti, riunita dal e intorno al PD (Partito Democratico). La partenza dell’operazione riconquista del Palazzo Civico, per le evidenti divisioni e veti contrapposti delle varie componenti dell’azionista di riferimento, della coalizione di centro sinistra, il PD, è avvenuta in ritardo. Deciso, non senza contrasti interni, che la strada era quella delle primarie, la stessa decisione, questa volta con divisioni tra i vari alleati, Radicali, +Europa, Verdi e almeno un candidato a Sindaco del PD a favore e con i restanti contrari o agnostici, è stata recentemente congelata fino a fine dicembre. Questo proprio mentre a Bologna, sempre il PD ed il centro sinistra, hanno definito che la strada per scegliere il successore a Palazzo d’Accursio sono proprio le primarie, pandemia o non pandemia. Spauracchio, credibile o no, condiviso o meno, agitato da molti sotto la Mole per il congelamento prima e l’annullamento poi delle stesse primarie. Discorso diverso quello di Roma dove le implicazioni politiche nazionali fanno pensare ad una scelta politica senza competizione interna per definire il candidato al Campidoglio.

Ma tornando alle vicende torinesi, mi hanno colpite alcune cose, per certi versi incredibili. relative ai nomi circolati finora. La cosa più inverosimile è stato l’appiattirsi sul nome del rettore del Politecnico Guido Saracco. Definito da molti, tra i quali un’autorevole esponente nazionale e parlamentare del PD torinese “ esponente dei poteri forti”. Proposto dalle liste civiche e centriste è diventato subito anche l’alfiere della parte più sinistra della coalizione. Scelta avvenuta senza prima definire un programma e rinunciando a priori a proporre un proprio candidato con un proprio programma. Alla faccia dei grandi temi cari, a parole, alla sinistra nostrana e cioè, periferie, lavoro, giovani, assistenza e così via. Ai più è apparsa subito una scelta dettata da interessi personali di qualche esponente della stessa area e di suoi eventuali, futuri ed ipotetici tornaconti. Una cosa mai vista. La decisione fa il paio con le dichiarazioni di uno dei garanti della lista civica che, invece di appoggiare il rettore Saracco, come scritto prima candidato proposto dalla stessa area e lista civica, ha dichiarato di preferire il capogruppo del PD in “sala rossa” (aula del consiglio comunale di Torino) Stefano Lo Russo. E siamo ancora alle schermaglie. La candidatura del rettore è nel frattempo tramontata, di qualche giorno la sua comunicazione dettata, e gli facciamo sinceri auguri, da motivi personali. Un’ultima cosa sulla proposta di candidatura del rettore, come pensavano di recuperare l’abisso elettorale del centrosinistra nelle periferie con la sua candidatura? Domanda che oramai resterà non solo un mistero ma anche senza risposta. Della sinistra della coalizione ho detto prima e merita di essere ricordato il tentativo, fatto a cavallo della scorsa estate, di mettere insieme buona parte dei partiti movimenti e soggetti della sinistra torinese, fallito per il prevalere di vecchi ed inossidabili personalismi. Rimangono le candidature del PD e di alcuni suoi esponenti. Il primo a lanciare la sua candidatura è stato Enzo Lavolta, attuale vice presidente della “sala rossa” ed ex assessore della giunta Fassino. Ex sindaco che ha dichiarato, tra gli scongiuri dei suoi sostenitori, di appoggiare con una parte dell’ala cattolica del PD il centrista Luca Jahier.

 

A seguirlo subito dopo un altro ex assessore della fulminante, soprattutto per gli elettori del centro sinistra e per i torinesi, giunta Fassino, Stefano Lo Russo, attuale capo gruppo del PD in consiglio comunale. Con grande dispiego di mezzi e di appoggi o “endorsement” che dir si voglia. Questo nonostante le velenose voci che parlano della sua come di un’operazione di puro “posizionamento” con obiettivo reale un posto nel futuro parlamento nazionale. Ancora una volta si è distinta, negativamente, la sinistra, in questo caso quella interna del PD. Alla candidatura di Enzo Lavolta è seguita quella di Gianna Pentenero, ex assessore regionale, prima con Bresso e poi con Chiamparino, con una conferenza stampa dove lanciava oltre alla sua, in alternativa quella dello, e qui le interpretazioni si dividono, lo stesso Saracco o, addirittura, Chiamparino. A ruota. un’altra autorevole esponente della sinistra locale nonché vice presidente del Senato e dirigente nazionale del PD, Anna Rossomando, che, con uno sfortunato tempismo, spezzava più di una lancia in favore del rettore Saracco pochi giorni prima del ritiro dello stesso. Al poker dei principali esponenti dell’ala sinistra del PD torinese mancava Andrea Giorgis, attuale sotto segretario alla giustizia, ex capogruppo in comune e vicinissimo all’ex Sindaco e Presidente della Regione Sergio Chiamparino, che è stata lanciato un paio di giorni fa sui quotidiani torinesi. Subito il “fuoco amico” a bollarlo come candidato della ZTL (zona a traffico limitato) indicando con questo i quartieri centrali e collinari dove il PD fa il pieno dei voti e lo stesso Giorgis è stato eletto. Questo dovrebbe favorire sicuramente il sostegno del consigliere regionale di LUV (Liberi Uguali Verdi) Marco Grimaldi, autorevole rappresentante della sinistra esterna al PD che meglio di tutti rappresenta la sinistra fighetta e della movida e di parte di quell’area di sinistra rimasta orfana del rettore e che ora non sa che pesci prendere. Insieme a quello di Giorgis hanno incominciato a circolare i nomi di Mauro Salizzoni, in realtà il suo già da prima, luminare della medicina e votatissimo consigliere regionale, attuale vice presidente dello stesso consiglio e l’inossidabile, intramontabile, come dicono alcuni suoi detrattori, “buono per tutte le stagioni”, Sergio Chiamparino. L’ex sindaco, dicono i bene informati, nega decisamente. Da questo complicato, confuso e poco entusiasmante quadro emergono alcune considerazioni finali, sulla coalizione di centro sinistra, sulla sinistra del PD e su quella a sinistra dello stesso Partito Democratico. La coalizione appare tanto numerosa quanto velleitaria dove manca una guida chiara, sia politica che programmatica. Ruolo che spetta di diritto al principale partito della coalizione che, bloccato dalle divisioni ed interessi interni, non riesce a svolgere.

 

Fa venire in mente quanto disse un paio di anni fa lo storico e sempre lucido dirigente del PCI (Partito Comunista Italiano), Emanuele Macaluso, “il PD non c’è, ma è tutto quello che c’è”. La sinistra interna del PD esce spappolata, disintegrata con il rischio, grande, che a seconda dell’esito finale potrebbe portare anche a scelte estreme. La stessa candidatura di Andrea Giorgis, che ha il pregio di liberare, in caso di vittoria, un posto in parlamento, nel governo e nella direzione nazionale del PD e che quindi mette d’accordo molti parlamentari uscenti e aspiranti tali, non risolve tutte le divisioni e le fratture che si sono create, Rimane la sinistra fuori dal PD, ridotta oramai a percentuali minime, servirebbe molto tempo e spazio per elencare cause e responsabilità sia nazionali che locali. Il fallimento del progetto nazionale di LeU (Liberi e Uguali) non ha tenuto conto del risultato torinese che pure nel deludente risultato nazionale, a Torino ottenne il massimo dei consensi, non solo in percentuale ma in termini di voti assoluti. Più delle due ultime competizioni politiche, regionali e comunali. Ma se si esclude il tentativo di due esponenti di LeU torinesi tutti gli altri si sono accodati alle scellerate e fallimentari decisioni nazionali. Il risultato, l’anno dopo alle regionali, è stato di dimezzare i voti con LUV ed eleggere un solo consigliere, Grimaldi, con i resti e con uno striminzito e misero 0,15% di margine e pregiudicando così gli eventi futuri, a cominciare dalle elezioni amministrative del 2021. Diversi dei soggetti della variopinta e numerosa coalizione di centro sinistra torinese faranno fatica, qualcuno non ci riuscirà, a presentare la lista alle elezioni. Poi, di quelli che ce la faranno la maggior parte non eleggerà nessuno e farà da portatore di voti o da utili idioti che dir si voglia, al PD ed a chi ce la farà. Si stanno creando le condizioni per la “tempesta perfetta” e far vincere così le elezioni comunali di Torino, per la prima volta come scrivo all’inizio, alla destra. Vale la pena ricordare che, sembra oramai deciso, candida l’imprenditore Paolo Damilano, nominato, giusto per non dimenticare, dalla giunta regionale Chiamparino Presidente del Museo Nazionale del Cinema ed ora diventa l’alfiere della destra. Tutto questo e siamo solo all’inizio.

Per pochi e non per tanti

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido E’ di questi giorni la notizia, accolta positivamente, della decisione del governo di rendere gratuite le terapie di farmaci ormonali per quanti decidono di cambiare sesso.

 

Un provvedimento che si attendeva da anni e che finalmente è arrivato.

 

Dietro la decisione di cambiare sesso ci sono percorsi dolorosi e sofferti con un cammino travagliato che coinvolge non solo i diretti interessati ma spesso anche le famiglie e quanti ne condividono ansie e speranze. Alcuni anni fa ebbi l’occasione, fui contattato da una persona che quel percorso l’aveva intrapreso, di occuparmi della problematica e di venire a conoscenza dei vari aspetti ad essa legati. L’intervento, allora la  maggior parte andavano a Casablanca, era e lo è ancora la parte terminale di un vero calvario. In Italia la materia è regolamentata da una legge, la 164 del 1982, rigida e datata e che ragiona sui due generi quando, per esempio, il divorzio per chi cambia sesso o il doppio libretto universitario per chi lo sta facendo era pura fantascienza.

 

La premessa su questo tema è non solo doverosa ma anche necessaria e serve  a fugare eventuali dubbi e sospetti considerando le critiche ed i distinguo che arrivano dalla parte più retriva della destra italiana per un provvedimento di civiltà. Per chi ha cambiato sesso, nel nostro paese sono circa un centinaio ogni anno, la  terapia farmacologica ormonale è una necessità che non può essere interrotta. Molti per poterla effettuare si affidavano agli acquisti su internet, non sempre sicuri, o si prostituivano per poterli comprare. La notizia ha suscitato anche la reazione, triste, delle “ragazze” della PMA in Piemonte, https://rb.gy/emhbahIl gruppo di donne che oltre un anno fa si erano impegnate e costituite in associazione, impegno che continua, per fare applicare anche in Piemonte il provvedimento del governo nazionale sull’innalzamento a 46 anni e sei cicli per effettuare la PMA (procreazione medicalmente assistita). La giunta regionale del Piemonte, Chiamparino-Saitta, non recepiva la decisione fermandosi a 43 anni. L’azione, alla quale anche il Torinese aveva contribuito insieme a tutti gli organi di informazione e delle testate giornalistiche con in testa il TG3 Piemonte, portò a superare le resistenze della struttura regionale e ad adeguare la nostra regione al resto d’Italia.

 

Dicevo,  tristezza e risentimento,  non contro il provvedimento sulla gratuità dei farmaci ormonali per cambiare sesso, che condividono, ma per il diverso trattamento riservato alle donne che intraprendono il percorso della PMA. Il costo dei farmaci, ormonali e non, e dei controlli necessari, varia a seconda delle situazioni da circa mille a duemila euro. Anche per la PMA siamo di fronte a percorsi che a volte durano anni tra delusioni e sofferenze. Viaggi della speranza da una regione all’altra o in altri paesi europei con le possibilità economiche che fanno la differenza. Anche per realizzare il sogno di avere un figlio la barriera è economica, di “classe”, in Spagna chi ha più possibilità nei paesi dell’est Europa per chi ne ha meno. Allora la domanda e la riflessione vengono spontanee, ancora una volta la sinistra ha un comportamento diverso di fronte a due problematiche che entrano, entrambe, nel vivo delle sensibilità e della vita delle persone. Disponibilità, giusta, nel caso dei farmaci ormonali per cambiare sesso, ancora nulla  per i farmaci, ormonali e non, ed i controlli per la PMA. E’ evidente che le pressioni del mondo LGBT (lesbiche, gay, bisex, transessuali) e più in genere l’attenzione  verso i diritti civili, importantissimi, pesano di più che i grandi diritti sociali, più complessi e, può sembrare incredibile, in questo momento più divisivi. Così per decine di miglia di coppie e famiglie la realizzazione del sogno di avere un figlio è legato alla loro disponibilità economica. Ogni anno in Italia i trattamenti di PMA, ultimo dato ufficiale presentato in Parlamento dal ministero della Salute e riferito al 2017, sono 97.888 su 78.366 coppie con la nascita di 13.973 bambini.

 

Anche sulla PMA come per tutte le altre cose la pandemia del Covid 19 ha lasciato il segno, la stima di blocco dei tre mesi, marzo-maggio scorsi, ha riguardato circa 30-35 mila cicli riproduttivi con una perdita, sempre stimata, di 4.000-4.500 bambini. Così assistiamo al balletto, ipocrita, che va avanti da troppi anni e che coinvolge tutti i governi che si sono succeduti, di dichiarazioni per contrastare il continuo e drammatico calo demografico del nostro paese. L’Italia invecchia sempre più e la questione è diventata un vero e proprio problema sociale con tutte le implicazioni legate al progressivo invecchiamento della popolazione. Ed allora una politica sociale seria verso le giovani coppie, le famiglie, aumenta i contributi, come annunciato recentemente, e non fa pagare farmaci e controlli a chi effettua il percorso della PMA per avere un figlio.    

“Se settemila centocinquanta euro vi sembran pochi…”

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PAROLE ROSSE  di Roberto Placido /…Provate voi a lavorar. Questa, con una piccola licenza, è una delle più belle strofe di una delle più famose canzoni del movimento operaio in lotta per la riduzione del lavoro a otto ore giornaliere. Mi è venuta in mente, in questo caldo e strano agosto, leggendo le notizie e le reazioni alla vicenda dei parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali che hanno fatto richiesta dei contributi per i lavoratori autonomi con Partita Iva.

Questo fatto che ritengo gravissimo ed ignobile ha fatto venire meno la decisione che avevo preso e cioè di non scrivere nel mese di agosto. La richiesta che hanno presentata è stata giudicata da tutti, interessante al proposito il parere contrario e solitario del famoso giuslavorista Giuliano Cazzola https://bit.ly/2DXVO1q , assolutamente legittima, a causa di un provvedimento fatto con i “piedi”. Ma eticamente e politicamente inopportuna ed inaccettabile. Le scuse dell’urgenza sono infantili in quanto ci voleva una mezz’oretta ad inserire altri limiti. Così in attesa dell’elenco dei richiedenti sono incominciate a trapelare le indiscrezioni sui parlamentari e sui consiglieri regionali. Della Lega e del Movimento cinque stelle i parlamentari mentre per quanto riguarda i consiglieri regionali piemontesi, al momento la cosa riguarderebbe due della Lega, Matteo Gagliasso e Claudio Leone, ed uno del Partito Democratico, Diego Sarno di Nichelino, Torino, e da sempre vicino a Libera ed alle altre associazioni ad essa legate. Intanto si incominciano a delineare i diversi comportamenti e reazioni. Assoluto silenzio da parte degli eletti leghisti, d’altronde la Lega è l’unico partito che ha nel suo funzionamento alcuni tratti leninisti e che ha già fatto sapere che i parlamentari saranno espulsi ed i consiglieri regionali – Zaia in Veneto – non saranno ricandidati. Delle scuse incredibili e mortificanti, la classica toppa che è peggio del buco, da parte del consigliere regionale piddino. E’ stata la mia fidanzata che si esercitava nella sua professione di commercialista, pensavo non mi venissero concessi ed una volta ricevuti i contributi ho sottovalutato la cosa, li ho dati in beneficenza senza specificare estremi e beneficiario e dimenticando che la beneficenza la si fa con soldi propri e non con quelli pubblici, per di più ricevuti nei termini che sappiamo. Non che avrebbe cambiato la situazione ma avrebbe dato un minimo di sostanza a delle dichiarazioni offensive dell’intelligenza delle persone.

A queste dichiarazioni è seguito, in puro politichese, un comunicato dei segretari del PD, regionale Paolo Furia, provinciale di Torino Mimmo Carretta e cittadino di Nichelino, Antonio Landolfi, politicamente, se possibile, anche peggio di quello del diretto interessato. Di fronte ad un fatto del genere ci sono due sole strade, non certo l’autosospensione del diretto interessato che formalmente non ha valore: o il consigliere si dimette o il partito di appartenenza lo espelle. Non è questione di giustizialismo o garantismo ma di avere il senso etico della politica. L’impressione che ne viene fuori è di non capire o non voler capire la gravità dell’azione che è stata compiuta. Queste sono le cose che creano un solco sempre maggiore tra i partiti ed i cittadini e che porterà ad un plebiscito, unica incognita nella situazione del paese sarà quanti andranno a votare, ed a dire si al taglio dei parlamentari nel Referendum di settembre. Una riduzione demagogica, populista e che priverà intere regioni di propri rappresentanti in Parlamento. Ma tornando ai comunicati, a dimostrazione di una situazione in divenire e di qualche pressione che arriva dai territori, ventiquattro ore dopo arriva un altro comunicato, sempre del segretario del PD di Nichelino, che smentendo se stesso, insieme a quello di Moncalieri e di altri circoli, chiedono al consigliere Sarno un gesto chiaro ed inequivocabile. Questa vicenda la ritengo più grave di quella di “Rimborsopoli” che vide un centinaio di consiglieri di due legislature, 2005-2014, ricevere l’avviso di garanzia e poi molti di loro, solo due consiglieri non furono sfiorati dalle indagini, rinviati a giudizio e condannati. La legislatura e lo stesso Presidente Roberto Cota furono segnati da quanto successe.

La questione, ricorderete, fu l’utilizzo delle risorse dei gruppi consiliari in modo improprio e per l’acquisto di cose personali. La vicenda attuale è peggiore di “Rimborsopoli”, siamo di fronte a consiglieri regionali, ancora peggio per quanto riguarda i parlamentari, che percependo oltre settemila euro netti al mese, ecco il perché di quanto indicato nel titolo, presentano una domanda per ricevere un contributo di 600 euro al mese destinati a chi era in difficoltà a causa di una vicenda tragica che ha travolto tutto il mondo, il nostro paese e la nostra regione. Il Piemonte ha pagato fino ad ora un prezzo altissimo con migliaia di  morti, un’economia ferita, famiglie in difficoltà e decine di migliaia di posti a rischio. Ecco perché non sono accettabili scuse “pelose”, fantasiose e comunque avvenute dopo essere stati scoperti. Giustificazioni del tipo avrei potuto chiedere un altro contributo e non l’ho fatto da l’idea di chi non ha capito e non vuole capire. Lo stesso, estremo e disperato, tentativo del consigliere regionale del PD di dare vita ad un Comitato che si occupi dei lavoratori in difficoltà per le vicende legate al Covid 19 è surreale. Destinare sei mensilità al costituendo comitato ed invitare altri consiglieri regionali, che non hanno commesso comportamenti ignominiosi a fare lo stesso, ha dell’incredibile e dimenticando sempre che la beneficenza la si fa in silenzio e che quando si siede in un’assemblea legislativa ci si impegna e batte per far varare provvedimenti e leggi che risolvano quei problemi.

Ma la cosa singolare e che mi ha molto sorpreso, è che a presiedere un Comitato che difficilmente realizzerà qualche cosa ed al quale, sono certo, nessun altro consigliere regionale devolverà sei o anche una sola mensilità, si sia prestato una persona che conosco e stimo, l’ex procuratore Giancarlo Caselli. Ammettere una grave azione come quella fatta, odiosa e che ha colpito nel profondo per il modo in cui è avvenuta e per le condizioni di chi l’ha richiesto, dopo essere stati scoperti non è la stessa cosa che farlo prima. Il nostro paese è andato a chiedere solidarietà, contributi, si è ulteriormente indebitato per fare fronte alle necessità reali e non a quelle false di deputati e consiglieri regionali impegnatisi a svolgere il proprio mandato con disciplina ed onore. Di fronte a tutto ciò alle reazioni sdegnate di migliaia e migliaia di persone dalla “galassia”, o come la definisce qualcuno sottovoce la “lobby”, di Libera, Acmos, Benvenuti in Italia nessun comunicato o riflessione su quanto è successo, su come si scelgono i propri rappresentanti o riferimenti. Poteva e può essere l’occasione per riflettere su come assegnare nel modo migliore alloggi e beni confiscati alle mafie, se l’entusiasmo di centinaia di giovani è tutto genuino e spontaneo, come penso lo sia quella della stragrande maggioranza di loro, o se non ci siano anche lì “furbetti in carriera”. Non bastano le figure carismatiche e straordinarie del fondatore o di alcuni sostenitori prestigiosi ed un’azione meritoria a coprire tutto e tutti.

Il partito delle autostrade è vivo e “non” lotta insieme a noi

PAROLE ROSSE di Roberto Placido/ Settimane molto impegnate insieme alla mancanza di ispirazione, la debolezza e spesso l’inconsistenza della sinistra in Italia non aiutano, mi hanno portato a non scrivere nulla. L’approssimarsi delle vacanze estive e soprattutto le vicende delle autostrade italiane mi hanno dato lo spunto per riprendere “Parole Rosse.

Ma veniamo al tema indicato nel titolo, il ritorno in mani pubbliche di una delle tante sfacciate operazioni sui beni comuni avvenute nel nostro paese. Le infrastrutture strategiche non dovrebbero essere mai privatizzate e se proprio si decide di farlo, considerando che i pedaggi sono delle vere e proprie macchine che generano utili, non lo si può fare come avvenne per autostrade. Tanto tempo fa, come nelle favole, erano gli anni ’50 dello scorso secolo, in pieno sviluppo economico l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) costituisce la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A. Inizia così la costruzione di buona parte della rete autostradale italiana, con i conferimenti delle concessioni da parte di ANAS (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), altra azienda pubblica che gestisce tutta la rete delle strade statali, entrata a far parte recentemente delle Ferrovie dello Stato.  Nei decenni successivi cresce si sviluppa, diventerà poi nel 2003Autostrade per l’Italia, acquisisce e costruisce, autostrade in altri paesi, Inghilterra, Stati Uniti, Austria. Nel 1990 lancia ilpagamento automatizzato con il Telepass, novità mondiale, e cosa importante genera utili. Arriviamo così al fatidico 1999 anno nel quale il governo italiano, siamo negli anni in cui la sinistra italiana è in piena sbornia liberista, procede alla privatizzazione della rete autostradale, che inizia con il primo governo Prodi e si conclude con il governo D’Alema, con Ciampi ministro del Tesoro di entrambi gli esecutivi, Draghi direttore generale e Gian Maria Gros-Pietro presidente dell’IRI. Nota a parte gli unici ancora con cariche sono Draghi e Gros-Pietro che oltre alla guida di Intesa San Paolo è Presidente di ASTM (Autostrada Torino Milano) del Gruppo Gavio che ha acquisito in questi giorni le quote della Città di Torino e della Città Metropolita di SITAF (Autostrada e Traforo del Frejus). Nel 2014 l’allora Sindaco di Torino Piero Fassino cedette, non senza polemiche con quanti erano contrari alla cessione e nel caso a farlo con gara pubblica, ad ANAS, sociopubblico di SITAF le stesse quote. La cessione delle quote pubbliche avvenne senza gara per 40 milioni di euro. Ricorso dei privati ed annullamento della cessione. Ora con gara pubblica le stesse quote, Sindaco Appendino, le ha comperate il Gruppo Gavio per 272 milioni.

Ma torniamo al capolavoro di cessione del 1999 dove la famiglia Benetton con la società Schemaventottoacquisì il 30% delle azioni per 2,5 miliardi di euro di cui 1,2miliardi di euro di risorse proprie ed 1,3 miliardi presi in prestito dalle banche. Acquisizione che avvenne con gara pubblica con un solo concorrente. Il 56% delle azioni vennero vendute sul mercato per circa 4.5 miliardi di euro. IRI, lo stato italiano dall’operazione incassò circa 7 miliardi di euro. Le restanti quote in possesso di banche ed assicurazioni. Nel 2003 con una seconda operazione finanziaria ed una nuova società, NewCo28, controllata da Schemaventotto, i Benetton rilevarono mediante un’OPA (Operazione Pubblica di Acquisto) il 54% delle azioni di Autostrade per 6,5 miliardi di euro. In questo modo NewCo28 incorporò Autostrade scaricandole il debito che aveva contratto per finanziare l’operazione. Per i Benetton l’operazione si chiuse a costo zero perché attraverso Schemaventotto tra il 2000 ed il 2009 prelevarono da Autostrade 1,4 miliardi di euro di dividendi tutti generati da utili e collocò sul mercato borsistico un 12% di azioni ricavandone 1,2 miliardi di euro per un totale di 2,6 miliardi pari all’intera operazione rientrando così dei propri soldi e della quota presa in prestito. Le fonti bene informate dicono addirittura che il loro investimento iniziale reale fu di 20 milioni di euro. Ma per questo servirebbe una puntata a parte. Così, in nove anni i Benetton sono rientrati del debito, hanno ripreso i soldi investiti, hanno scaricato i debiti su Autostrade che nonostante il peso ha continuato a generare utili superiori ai dividendi e la loro partecipazione nella società vale una montagna di miliardi. Questo è stato il trasferimento di un monopolio naturale dallo Stato ad un privato. Tutto è entrato in discussione con gli sviluppi più recenti che conosciamo con il crollo del Ponte Morandi, con le decine di vittime le centinaia di sfollati e l’emergenza mobilità per una città, una regione e per l’intero paese. Ma cosa è successo in questi decenni? Nonostante il susseguirsi di maggioranze diverse, di ministri, alcuni dei quali ho avuto l’opportunità di incontrare personalmente, i provvedimenti sono stati tutti sempre sfacciatamente a favore delle concessionarie. Alcuni esempi per rendere l’idea: I lavori della terza corsia della Torino-Milano, in condizioni di traffico limitato e velocità ridotta con code estenuanti, oltre ad una durata esagerata avvennero con il continuo ed inspiegabile aumento delle tariffe. Aumento ingiustificato delle tariffe per praticamente tutte le concessionarie e che avviene ogni anno senza vergogna e senza pudore. Sulla Torino-Milano tutto proseguì nonostante i parametri di sicurezza e di viabilità fossero tali da determinare la revoca della concessione. I guadagni delle concessionarie, alla faccia della libera impresa e del rischio d’impresa, sono garantiti con una percentuale ben superiore ad una normale rendita finanziaria. Asti-Cuneo da terminare? Nessun problema basta concedere, al Gruppo Gavio, una proroga della concessione della Torino-Milano pari al doppio del costo dell’opera. Il costo viene stimato, naturalmente, non da un operatore terzo ma dallo stesso concessionario. La “Gronda di Genova”? Cioè la tangenziale esterna che dovrebbe dcongestionare lo snodo genovese, nessun problema, stesso schema anche con concessionario diverso. Costo 5 miliardi di euro ed Autostrade, i Benetton, chiede la proroga dell’intera rete da loro gestita per un valore di dieci miliardi di euro. E potrei continuare. Poi ci sono i lavori di manutenzione affidati per anni, senza gara a società esterne di proprietà delle stesse concessionarie a costi elevati riducendo gli utili di gestione che rientravano tranquillamente dall’altra parte. Da qui le resistenzedelle società concessionarie alla modifica, della parte che leriguardava, al cambiamento del codice degli appalti. La mancanza di manutenzione vera ai ponti, come si è scoperto poi drammaticamente, viadotti e manto autostradale, con lo scopo principale di aumentare gli utili.Tutto questo senza che l’Autorità dei Trasporti, che tra l’altro a sede a Torino e che nessuno sa cosa faccia, da quando esiste battesse un colpo o del ministero competente. l ministero poi, spopolato dei più capaci per pensionamento o dimissioni per andare a lavorare altrove, più che controllare è diventato il megafono dei concessionari. Si ha l’impressione che, parole di un addetto ai lavori, “cambino solo la carta intestata alle veline dei concessionari stessi”. In questo straordinario modo siamo arrivati ai giorni nostri con l’incredibile ministro Danilo Toninelli (M5S) e la straordinaria ed attuale ministro Paola De Micheli (PD) che è riuscita in quello che sembrava impossibile e cioè far rimpiangere il suo predecessore. Ad un certo punto, nella vicenda Ponte Morandi- concessione Autostrade, sembrava il rappresentante di Autostrade.

La stessa conclusione della vicenda e la prevista uscita dei Benetton, dai più definita equilibrata, è avvenuta a condizioni molto più vantaggiose di quanto gli stessi Benetton fossero disponibili. Complimenti al loro avvocato che si è ampiamento meritato la lauta parcella. Anche in questa vicenda il cosiddetto “partito delle autostrade” ha lavorato attivamente. Partito delle autostrade nazionale e trasversale, va da destra a sinistra, che è molto forte a Torino ed in Piemonte dove ha dato il meglio nella questione tangenziale di Torino. Tangenziale a pagamento, a differenza di quanto avviene a Roma con il GRA (Grande Raccordo Anulare) gratuito come metàdella tangenziale milanese, come altre città italiane. Scade la concessione, dopo che il costo dell’opera con il pedaggio si è ampiamente ripagato, ed invece di liberalizzare il passaggio, risolvendo così i problemi di diversi comuni della cintura, pensano di continuare a fare pagare il pedaggio. Tutto questo, naturalmente, non a vantaggio della collettività ma dei concessionari e di qualche mancia e briciola per loro. Ecco perché il “partito delle autostrade vive e “non” lotta insieme a noi. A Torino o in vacanza, buon mese di agosto e ci si ritrova a settembre.

“Gilè”

PAROLE ROSSE di Roberto Placido / Per molto tempo è stato un capo di abbigliamento maschile molto elegante da mettere sotto la giacca. Tutti ricordiamo vecchie foto di famiglia con nonni e antenati lontani in posa e con in vista il gilè dal quale fuoriusciva l’immancabile catenella, per i più abbienti d’oro, alla quale era collegato il relativo orologio

Molti lo chiamavano, con un termine più nostrano, panciotto, in realtà, consultando la Treccani, deriva dal francese gilet, e questo dallo spagnolo jileco, che a sua volta dal turco yelek. L’abbiamo poi rivisto come indumento quasi fondamentale in tutti i film western anche se il gilè a cui idealmente sono affezionato di più è quello raffigurato nel famoso quadro-icona, di Pellizza da Volpedo, il “Quarto Stato”.

Con il passare del tempo è diventato sempre meno un capo di abbigliamento elegante, per uomo e anche per donna, e sempre più un indumento “casual” per andare in moto, a cavallo o, per rispettare le norme del codice della strada, da tenere in auto ed indossare in caso di sosta d’emergenza o di un incidente. Pensavamo che con l’utilizzo automobilistico o come indumento degli addetti ai lavori autostradali, i famosi “lavori in corso”, avesse esaurito il suo utilizzo ed invece, dimostrando una vitalità e versatilità inaspettata, negli ultimi anni è riapparso  prepotente ed è proprio il caso di dire “tirato per la giacchetta” un po’ di qua ed un po’ di là. Iniziarono, sembra la notte dei tempi ma sono passati solo alcuni anni, le “ronde padane” inventate dall’allora Lega Nord, ricordo al proposito un esilarante video del Trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Poi sono arrivati, travolgenti, i francesi “Gilet Jaunes” (gilet gialli) con la loro carica di protesta ma anche di devastazione. Senza quasi interruzione, arriviamo ai nostrani gilè arancioni. Sul nuovo ed ultimo fenomeno protestatario vale la pena fare un piccolo approfondimento.

Alla testa di essi c’è un personaggio singolare che definire pittoresco è riduttivo e potrebbe rivelarsi, in una fase così difficile per il nostro paese, foriera di seri problemi. Mai sottovalutare o sbeffeggiare l’avversario, anche quello più improbabile e sgangherato. Male fanno tanti più o meno autorevoli commentatori a definirlo, parafrasando un famoso spot pubblicitario di un noto aperitivo il “cretino biondo” oppure accostare la sua divisa d’ordinanza ad una delle fantasmagoriche e variopinte giacche colorate del “celeste” al secolo l’ex e pregiudicato presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Mi riferisco al generale in congedo, pensione, Antonio Pappalardo. Ho specificato in pensione in quanto al nostro neo “masaniello” per non averlo specificato durante una pubblica manifestazione nel 2018 gli è costato un anno di sospensione dal grado di generale dei carabinieri da parte dell’allora ministro della Difesa Elisabetta Trenta (M 5 Stelle). Così avvenne, straordinario paese il nostro, che un ministro che in seguito userà un sontuoso alloggio pubblico senza averne più titolo ad affitto quasi simbolico, sanzionò un generale che non specificava di essere in pensione.

Questa non è l’unica “perla” del nostro generale. Nel 1992 ricevette un avviso di garanzia per avere diffamato il Comandante Generale dei Carabinieri Antonio Viesti e la successiva condanna, poi ridotta e successivamente annullata, gli costò la perdita della nomina a sottosegretario alla Finanze nel Governo Ciampi. Stabilì quasi un record, dal 6 al 24 maggio del 1992, meno del “Re di maggio”. E poi nel 2017 rinvio a giudizio per vilipendio del Capo dello Stato Sergio Mattarella, del quale ne chiedeva l’arresto per alto tradimento. Ed ancora richiesta di arresto dell’intero governo e di tutti i parlamentari. Per ultimo, il 31 maggio 2020, l’accusa di assembramento e mancato utilizzo dei dispositivi sanitari, mascherine, nella famosa manifestazione romana dei gilè arancioni.

Non meno controversa ed ondivaga è stata la carriera politica, iniziata nel 1992 eletto alla Camera dei Deputati con il PSDI (partito socialdemocratico italiano) di Franco Nicolazzi e la breve esperienza di Governo, descritta prima, nell’ultimo governo della Prima Repubblica. Nel 1993 si candida, con un neo movimento, a Sindaco di Pomezia (Roma) ottenendo, non capiterà più, un lusinghiero 13% e l’elezione a consigliere comunale. Inizia una cavalcata tutt’altro che travolgente di candidature tutte segnate da miseri risultati. Lascia il gruppo socialdemocratico alla Camera e passa al Gruppo Misto. Sempre nel 1993 si candida, con Solidarietà Democratica a Sindaco di Roma contro Francesco Rutelli ottenendo lo 0,55% dei voti. Passa con il Patto di Mario Segni dal quale va via perché non ricandidato. Anno nuovo, il 1994, nuova candidatura, alle europee con Alleanza Nazionale e nuova bocciatura.

Il primo decennio del nuovo millennio è contrassegnato dall’ennesimo movimento, Popolari Europei, che si colloca a destra della Casa delle Libertà. Si candida alle comunali di Roma ottenendo uno striminzito 0,15%. Sempre nel 2001 alle elezioni politiche si candida al Senato con Lega Azione Meridionale e poi alle regionali siciliane nella lista Biancofiore di “vasa vasa” (bacia bacia) Salvatore Cuffaro. Nel 2007 un ritorno di fiamma con il PSDI, Direzione Nazionale, ed ennesima candidatura nel MpA (Movimento per l’Autonomia) di Raffaele Lombardo. Tutte candidature fallimentari. L’ultima gli permette però di fare una comparsata di un anno nel C.d.A. (consiglio di amministrazione) dello Stretto di Messina S.p.A.

Arriviamo così a questi ultimi anni ed all’ennesima formazione politica, Movimento Liberazione Italia che fa riferimento al Movimento dei Forconi ed ai Gilet Arancioni nel 2019. Con questi ultimi si presenta alle regionali umbre ottenendo lo 0,13% e l’ennesima sonora bocciatura.

Nota di colore, per chiudere questo lungo elenco, la vena artistica letteraria fatta di romanzi, poesie, saggi, composizioni religiosi e rock. Che dire, un vero circo barnum.

La riflessione conclusiva, nella debolezza dei partiti, dei loro rappresentanti e nell’assenza di programmi e progetti, come possano esistere, prolificare ed essere eletti personaggi del genere. Sempre pronti a cavalcare il malessere, il malumore, la rabbia e la delusione di molti italiani. Per questo, nonostante le sonore e ripetute bocciature, che non vanno sottovalutati e presi sottogamba. Bisogna invece dare risposte durissime a questi elementi e movimenti dichiaratamente populisti se non violenti e sovversivi. Più che la variopinta carriera politica del generale in congedo Antonio Pappalardo mi ha lasciato esterrefatto come abbia potuto realizzare quella militare nell’Arma dei Carabinieri con incarichi importanti e delicati.

Settembre Nero

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Da cinquant’anni evoca e viene usato per indicare situazioni tragiche in ricordo di quanto successe in Giordania nel lontano 1970. E’ quello che succederà dal prossimo 1 settembre alla scuola italiana.

Perché è sempre più chiaro che il prossimo settembre la nostra scuola non riaprirà. La pandemia di Covid 19 ne ha amplificato i problemi, i ritardi e le difficoltà. Molti hanno pensato di potere risolvere tutto con il cosiddetto DAD ( didattica a distanza ). Ma anche con l’insegnamento a distanza si sono evidenziati ed acuiti i problemi delle diverse “Italie”. Banda larga inesistente in molte realtà, impreparazione degli insegnanti e delle scuole e un numero elevato di ragazzi senza PC (computer) o Tablet. Un’indagine effettuata a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio ha evidenziato che, tra i bambini da 6 a 10 anni, il 61% non ha effettuato nemmeno un’ora di didattica online.

Ed ancora, un terzo delle famiglie non possiede un computer e di conseguenza le linee di ADSL sono ancora meno. In questo quadro bisogna poi sottolineare tutte quelle famiglie che hanno due se non tre figli in età scolastica con la necessità di fare lezione alla stessa ora e magari con l’aggiunta di uno dei genitori in tele lavoro da casa ed il computer è solo uno. Questa situazione porta alla mente la famosa “ Lettera ad una Professoressa” di Don Milani “ Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Anche perché a distanza non è scuola, è un surrogato e cioè una …ciofeca. Il digitale e la tecnologia sono un elemento complementare dell’istruzione e non un fondamento. Meno male che , a ricordare questo importante aspetto ci hanno pensato un gruppo di intellettuali, sedici, tra i quali il filosofo Massimo Cacciari, che hanno sottoscritto un documento che chiede e ricorda che il futuro della scuola non è il DAD che, tra l’altro, aumenta le disparità ed elimina la socialità che è uno degli elementi fondamentali dell’istruzione e della formazione dei ragazzi. Insomma la scuola non è più il presidio della Nazione. Funzione prima svolta dall’esercito fino a quando c’è stata la leva obbligatoria. La Nazione è rimasta così senza presidio, sguarnita. In questa fase, può sembrare incredibile, spesso si sono distinti negativamente una parte del corpo docente e soprattutto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Approdata in Parlamento dopo essere stata paracadutata, dal suo capo cordata Luigi Di Maio, da Biella, dove insegnava, a Torino e poi posta, casualmente, alla guida del ministero di Viale Trastevere in seguito alle dimissioni del suo predecessore Lorenzo Fioramonti. Da quel ministero, ritenuto una volta “ di peso” e ad appannaggio della vecchia Democrazia Cristiana, sono passati oltre una trentina di ministri, politici e tecnici di grande prestigio come Aldo Moro, tre futuri Presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e, l’attuale, Sergio Mattarella fino ad uno dei più recenti e prestigiosi, accademico e linguista, Tullio De Mauro.

Anche da questi dati si percepisce la distanza siderale tra quei ministri e quello attuale ed i guai della nostra scuola. Un ministro, Lucia Azzolina, che in più di un’occasione ha dimostrato l’assoluta inadeguatezza ed incapacità. Lo si può chiedere agli assessori regionali all’istruzione, lasciati, nello sconcerto generale, improvvisamente da soli nel bel mezzo di una riunione. La coalizione di governo ed il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dovrebbero porre il problema, urgente, della sua sostituzione. Così sono passati tre mesi senza impostare una strategia complessiva che coinvolgesse le regioni, che hanno la delega sulla materia, i comuni e le città metropolitane che hanno la responsabilità della manutenzione degli edifici delle scuole superiori. Un piano anche ambizioso che sfruttasse l’emergenza per recuperare i tagli e la mancanza di finanziamenti degli ultimi anni. La sbornia aziendalista dell’ultimo decennio ha colpito duramente sia la Sanità, e ce ne siamo drammaticamente accorti in questa circostanza, che l’Istruzione. Un piano che preveda il recupero di edifici scolastici in disuso e da mettere in sicurezza, attrezzature e reti informatiche, ed un numero adeguato di docenti. Proprio sui docenti, in una situazione di emergenza, stiamo assistendo ad un braccio di ferro tra i partiti della maggioranza per l’assunzione di 32.000 docenti e cioè se farlo per titoli, assumendo i precari che già insegnano oppure, come prevede la legge, per concorso. In tutto questo rimane una certezza, a settembre non ci saranno. Così, un governo che ha fatto riaprire e ripartire praticamente tutto, aziende, bar, ristoranti, impianti sportivi, palestre e parrucchieri, che ha dato soldi, in qualche caso a pioggia, dalle Partite Iva ai Tatuatori, non ha riaperto le scuole e gli ha dato le briciole in termini di finanziamento. Dei 55 miliardi stanziati alla scuola , con l’immane lavoro da fare sono stati destinati solo 1,45 miliardi. Cioè molto meno della percentuale che riceve normalmente e che da tutti è ritenuta ampiamente insufficiente. Pochi, non maledetti e che nemmeno riusciranno a spendere entro settembre. Insieme al ministro ha segnato il passo dimostrando insufficienza, ritmi inadeguati ed una generale impreparazione la struttura burocratica del ministero.

Rimasta più con i piedi e la mente al secolo scorso ed alle circolari ministeriali a cui seguivano, immancabilmente, le circolari esplicative che lasciavano il dubbio se inviate perché si rendevano conto di scriverle in maniera incomprensibile e se ritenessero dirigenti e funzionari delle scuole incapaci di capire. Tra dirigenti, , CTS (comitato tecnico scientifico), Consiglio Superiore dell’Istruzione ed una pletora di consulenti hanno prodotto, poco, lentamente e male. Hanno favorito la riluttanza di molti docenti, un’indagine parla del 70% contraria a riprendere l’insegnamento diretto, adducendo l’elevata età media degli insegnanti. Sconsigliando le sessioni d’esame in diretta. Fortunatamente invece si faranno. Mi chiedo ma quei docenti vanno a fare la spesa, affollano le parrucchiere, vanno per negozi o per strada? Perché , rispettando le norme, non possono fare gli esami? Per inciso l’INAIL ( Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha classificato la scuola, insegnanti compresi, a rischio medio-basso. E cosa dire di quegli insegnanti che hanno interrotto velocemente l’aspettativa quando hanno scoperto che le lezioni si svolgevano online?! Così molti precari sono rimasti a casa senza lavoro. Senza dimenticare la levata di scudi per fare tutte le vacanze pasquali quando le scuole erano chiuse da settimane. Al ministro, a tutto il suo ministero, consulenti compresi, gli italiani chiedono e vogliono sapere, ed hanno cominciato a farlo anche con manifestazioni nelle principali città, se dal 1 settembre i bambini delle materne, i ragazzi delle elementari e medie e gli studenti delle superiori avranno un aula sicura ed un insegnante.

Forse qualche bonus in meno e qualche aula ed insegnante in più non guasterebbero. Ritornando sugli esami, poteva essere, quella di fare ritornare le classi quinte delle superiori, un quinto degli studenti, e le classi terze delle medie, un terzo degli studenti, quanto prima a scuola proprio i vista degli esami, un segnale di funzionamento e di preparazione per tutta la scuola e per tutto il paese. Invece con ritardi, scuse e resistenze è andata, purtroppo, come sappiamo. Lo stesso Sindacato deve decidere se difendere, in alcuni casi, rivendicazioni corporative o lanciare ed attuare un’alleanza con gli studenti e con le famiglie che invece rischiano di essere lasciate sole nella gestione dei figli. Una struttura inefficace unita ad un ministro privo di autorevolezza e preoccupata più di fotografarsi e rilanciare commenti con personaggi discutibili e controversi oppure di rispondere, senza capirne il senso vero, ad un Tweet della simpatica e brava Sabina Guzzanti, non possono e non sono in grado di affrontare la sfida ed i problemi che ha davanti la nostra scuola. Sarebbe necessario un grande sforzo, una grande capacità ed intelligenza organizzativa e strategica per recuperare spazi, edifici, insegnanti, per fare partire la scuola in sicurezza, anche in prossimità delle famiglie. Un settore strategico per il presente e per il futuro del nostro paese non può essere abbandonato a se stesso. Non si possono penalizzare intere generazioni. In queste condizioni il primo settembre la scuola, nel senso tradizionale, non riprenderà e sarà una vera tragedia. Ecco il perché di un titolo così evocativo, tragico e funesto.

Vita di Barriera

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PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Nelle ultime settimane diversi articoli ed interventi, l’ultimo sul Corriere Torino di sabato 9 maggio 2020 a firma di Paolo Coccorese, si sono occupati della situazione in Barriera di Milano ed in Borgata Aurora, due dei quartieri più problematici di Torino.

L’intervista del Corriere mi ha fatto ricordare un comizio, si facevano ancora, per le elezioni europee del maggio del 2009, in Piazzetta Cerignola. Prima di iniziare, ero insieme all’allora Sindaco Sergio Chiamparino e mi sembra Sergio Cofferati, alcuni cittadini che mi conoscevano, essendo cresciuto in quel quartiere, con un fare accorato e già allora disilluso mi segnalarono tutti i problemi di convivenza e di abbandono.

Mi pregarono di fare un breve giro con loro, Via Montanaro, Via Sesia e le altre vie intorno al mercato di Piazza Foroni. Ed era chiaro agli occhi di chiunque, tranne di chi non voleva vedere, che non vedeva da anni e che ha continuato a non vedere fino ai giorni nostri. Pipì ed escrementi sulle soglie dei portoni, mini atti vandalici diffusi, una concentrazione di extracomunitari in parte dediti a traffici illeciti, spaccio ed altre cose simili. La sinistra incominciò a pagare elettoralmente quel distacco da quella che era sempre stato una parte molto forte del suo insediamento politico ed elettorale in città. Qualche anno dopo ritorno in Via Montanaro con una cara amica giornalista milanese che doveva fare un servizio per il Foglio, un sabato mattina affollato ed assolato, ci ritroviamo davanti alla sede del Partito Democratico, storica sezione di quel quartiere dal Partito Comunista Italiano fino al PD, e ricordo che ebbi da dire molto bruscamente con alcuni nigeriani che non volevano che fotografassi la “casa dello spaccio”, il retro di un palazzo di ringhiera interamente abitato da extracomunitari. Potei verificare la situazione che, se possibile, era peggiorata e cosi nel tempo quando ci ritornai su invito di alcuni ambulanti. Quando ci fu il tracollo elettorale della sinistra, a favore dei cinque stelle prima e della destra poi, non fui assolutamente sorpreso, anzi! Quei cittadini erano stati fin troppo pazienti e generosi verso la sinistra. La differenza era lampante tra gli anni della mia infanzia e prima adolescenza, fine anni ’60 e ’70, dove ci furono investimenti in case, scuole, servizi, verde pubblico ed i vari piani di recupero delle periferie della fine degli anni ’90 e primo decennio del nuovo millennio. Tra Avventure Urbane, uno dei progetti più fantasiosi, ed investimenti di soldi pubblici fatti di tante parole ed immagine e poca sostanza sui problemi veri. Come mi disse un caro amico e compagno che lì ci vive da sempre, “l’atteggiamento e l’approccio di “questi” è di chi pensa che in Barriera abbiamo l’osso al naso e ci deve spiegare come dobbiamo viverci”.

Ci siamo detti e ricordato che noi eravamo orgogliosi di abitarci. Tornando a quanto è stato scritto in questi giorni la sorpresa di leggere che c’è chi ora, a sinistra, storce il naso con l’atteggiamento classico della sinistra fighetta, di quella “gauche caviar” che tanti danni ha fatto e continua a fare, per la presenza dei blindati di esercito e carabinieri. Certo che non si risolve solo con quelli ma prima bisogna garantire un minimo di legalità. Gli assembramenti prima durante e dopo le limitazioni per il Covid 19 erano e sono principalmente di spacciatori e loro amici. Avere permesso certe concentrazioni senza controllo è una delle principali responsabilità. Non è un problema di ”abitabilità”, gli extracomunitari che si sono inseriti, come i meridionali immigrati allora, hanno un livello di adattamento e sopportazione superiore a chi spesso ne parla e chiedono solo di potere lavorare e vivere in pace tranquillamente nel rispetto delle regole. I primi ad essere danneggiati sono proprio loro. Alla “Barriera” ci sono affezionato e lì c’ho lasciato il cuore da quel lontano 14 luglio 1967 quando arrivai a Torino con la mia famiglia e come tanti altri andammo ad abitare in quel quartiere popolare. Così quando leggo in cronaca dei giardini di Via Padre D’Enza, dove ho frequentato la scuola media, mi scatta un moto di rabbia per l’abbandono in cui da decenni versa la “Barriera”. Senza un piano serio di investimenti in lavoro, servizi, asili e legalità la situazione non potrà che peggiorare. Mi sono soffermato a parlare del passato perché è impossibile parlare del presente in quanto l’attuale amministrazione, dopo avere fatto lì il pieno di voti, semplicemente non ha fatto nulla. Il prossimo anno ci saranno, almeno sono previste, le elezioni amministrative per eleggere il Sindaco e rinnovare il Consiglio Comunale ed i quartieri popolari faranno la differenza e se ne ritornerà a parlare. Urge un piano vero per quei quartieri. Alla sinistra è evidente che non possono bastare centro, collina e crocetta.

Non era una stecca ma nemmeno un filotto

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PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Non ricordo di essere mai ritornato su una “puntata” di Parole Rosse ma questa volta non potevo proprio esimermi. Perché l’avevo promesso a diversi lavoratori del Teatro Regio che non hanno condiviso quanto raccontato in “La stecca” dello scorso 6 aprile. Hanno scritto, sul mio profilo Facebook, alcuni molto gentilmente, avendo un rapporto di stima e cordialità, altri in maniera molto risentita ma comunque civile. Ci ritorno, perché non mi sottraggo mai ad un confronto, per precisare alcune cose e per allargare la questione a tutto il settore della cultura di Torino ed in parte dell’intera regione.

 

Approfondendo l’argomento sono venute fuori cose interessanti, altre curiose ed una sensazione che ho evidenziato in quanto ho già scritto. Andando con ordine, non è vero che i lavoratori hanno rifiutato la cassa integrazione, mi scuso per l’imprecisione, quando l’ho scritto lo erano già. Non lo sapevo né lo sapevano le persone con le quali mi ero confrontato in quanto il provvedimento, le disposizioni lo permettono, è stato retroattivo dal mese di marzo.

Fatta la precisazione vengo agli altri aspetti, più che rifiutare la cassa integrazione, cosa che non è possibile da parte dei lavoratori, dopo ferie ed eventuali permessi, ed in particolare la richiesta, legittima per carità ma che non tiene conto, a mio parere, dei conti del Regio e della situazione straordinaria che stiamo vivendo e cioè di mantenere, nella sostanza, l’intero stipendio attraverso il cosiddetto “smart working”. Richiesta non accolta dal sovrintendente Sebastian Schwarz e che ha fatto risentire alcuni membri delle fondazioni bancarie, ma sulle fondazioni ci torno dopo. Altri enti lirici l’hanno fatto, come La Scala di Milano o come l’ente cagliaritano che si è inventato un corso di inglese, a casa, per gli orchestrali. Capisco che ridurre lo stipendio è sempre un problema e che per alcuni, con impegni, mutui e affitti, rischia di diventare un dramma ma , lo ripeto, non siamo in una situazione normale.

Pretendere o lamentare, in altri settori, che non si può usare la mensa e che bisogna portarsi il mangiare da casa è lo stesso atteggiamento. I lavoratori hanno lottato, per la mensa, per i diritti, per i contratti, per le garanzie ma oggi il problema è difendere il posto di lavoro, superare la drammatica situazione e proporre, con un grande sforzo collettivo, una progettualità e un’innovazione indispensabili alle quali devono dare il contributo anche i lavoratori. In discussione non c’è solo il Regio ma la sopravvivenza dell’intero settore culturale. La stragrande maggioranza delle realtà vive di entrate dagli spettacoli, che al momento si sono azzerate e di, sempre più esigui, contributi pubblici. Un settore esiste se sono presenti dalle più piccole associazioni alle medie fino alle grandi Fondazioni culturali come Regio, Cinema, Stabile. Non può esistere se rimangono in vita solo le più importanti. Allora è necessario uno sforzo collettivo, altri ne hanno già scritto e parlato, di idee, progettualità, capacità di affrontare questa grande e problematica situazione. Bisogna mettere intorno ad un tavolo, evito volutamente i termini Task Force, Cabina di Regia, Comitato di esperti vari, tuti i soggetti, istituzioni, fondazioni, e gli esponenti del mondo della cultura, per affrontare e superare la situazione.

E’ necessaria una grande visione solidaristica che riguardi non solo chi è garantito da un contratto di lavoro con o senza cassa integrazione. Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non uno per uno (cit.). Chiudo, come ho iniziato, con il Teatro Regio. Dopo scambi di commenti, opinioni e lunghe telefonate con alcuni lavoratori ed i loro rappresentanti, i sindacati mi hanno fatto pervenire, li ringrazio, un documento che hanno naturalmente inviato ai vertici della Fondazione Teatro Regio. Documento condivisibile in larghissima parte ma dal quale traspare chiaramente l’assenza di dialogo tra il sovrintendente e le stesse organizzazioni sindacali e questo non va assolutamente bene. Con i lavoratori ci si confronta e ci si scontra ma non si può pensare che gli si comunica solo le intenzioni e decisioni. La situazioni del Regio era già “pandemica” ed atteggiamenti non adeguati alla situazione, da parte di tutti, possono risultare esiziale. Nelle Fondazioni bancarie molti pensano che le risorse vadano destinate per la sanità e per chi fa fatica a sopravvivere e non per quelli che loro considerano “privilegiati”.

Ecco perché bisogna lanciare dei messaggi di chiarezza, comprensione, disponibilità, pur nel sacrificio, atti a superare questo momento. Bisogna aiutare i pochi “amici” veri della cultura presenti nelle Fondazioni bancarie. Così come mi auguro e spero che i vertici del Teatro Regio, a cominciare dal Presidente del Consiglio d’Indirizzo, il Sindaco Chiara Appendino, il Sovrintendente Sebastian Schwarz abbiano presentato alle stesse, al ministero le richieste dei contributi necessari per affrontare i problemi passati e quelli più recenti. Il mondo della Cultura può dimostrare, facendo diventare questo cataclisma un’opportunità, di chiedere non solo contributi, con un atteggiamento, da parte di alcuni, questuante, ma di proporre una grande progettualità innovativa per affrontare le grandi problematiche e cambiamenti che il Covid 19 ha generato. Le associazioni si trovano di fronte al “progetto della vita” nel senso che da esso può dipendere la loro sopravvivenza.

La stecca

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PAROLE ROSSE di Roberto Placido /  Naturalmente non è quella da biliardo, e nemmeno quella che lasciava chi aveva finito il servizio militare, altri tempi, ma quella che prende un’artista durante un’esecuzione. Dispiace che a prenderla, attraverso le sigle sindacali, siano i dipendenti e, sembra, principalmente i maestri, della più grande fabbrica di cultura della città di Torino e della regione Piemonte.

E sì, con i suoi quasi quattrocento dipendenti, oltre trecento a tempo indeterminato, più di cinquanta a tempo determinato e diversi collaboratori, sono numeri da grande azienda. Azienda speciale, culturale, una vera e propria fabbrica di cultura non solo artistica e musicale ma anche di scenografie e di sartoria. Meritorio, come tante altre realtà italiane, il lavoro delle sarte del Regio nel produrre mascherine, il bene di prima necessità di questo sciagurato momento che stiamo vivendo. Dopo la lunga parentesi alla sovrintendenza del Teatro Regio di Torino di Valter Vergnano e la breve, negativa e chiacchierata, di William Graziosi, è arrivato l’ex direttore artistico del teatro An der Wien di Vienna, Sebastian Schwarz. Sicuramente nel bando di selezione non c’era la situazione dei conti del nostro teatro lirico, ne’ di quelli passati e nemmeno di quelli recenti. A complicare la situazione, come si usa dire “piove sul bagnato” il blocco del cartellone e delle attività determinato dal Corona Virus. Così Schwarz, nell’assenza del Presidente del Consiglio d’indirizzo della Fondazione Teatro Regio di Torino, per statuto è il Sindaco della città, -che ancora una volta si segnala nel defilarsi da qualsiasi situazione difficile o impegnativa-, ha incominciato a cercare le risorse per evitare il tracollo, in attesa che si arrivi a sapere, intendo ufficialmente, l’ammontare esatto dei conti del Teatro, quei due milioni e mezzo di euro necessari.

Gli interlocutori naturali ed obbligati le fondazioni bancarie, la vera cassaforte, i veri padroni, e qualcuno ne è anche convinto comportandosi in tal senso, non solo dell’esangue se non moribonda cultura torinese ma anche di molto altro. Difficile districarsi nel contratto delle fondazioni liriche, che a detta dei bene informati è tra i migliori, in senso di garanzie per i lavoratori, del mondo dello spettacolo, e legittimo proporre in alternativa ferie non godute un po’ meno comprensibile proporre la realizzazione di una rassegna estiva in queste condizioni. Mi hanno spiegato anche la differenza tra stipendio base e i vari aspetti accessori del salario legato a spettacoli e rappresentazioni e ad altri aspetti ma onestamente, me ne dispiace, faccio fatica a capirli ed a condividerli. Vuol dire non capire lo stato di salute dell’ente lirico, il discorso sulle responsabilità lungo ed annoso, il momento che stiamo attraversando. In un paese che prova a garantire altri lavoratori, le partite iva, con seicento euro al mese, quelli in “nero”, che non hanno garanzie, con cifre simili, i senza reddito con buoni acquisto e di cittadini ed associazioni che si inventano i “panieri sospesi” per i disperati e si potrebbe continuare. La sinistra, i lavoratori, hanno sempre avuto tra i propri valori la solidarietà, l’attenzione verso gli ultimi ed io, a meno che non mi convincano con argomenti forti, nel rifiuto da parte dei lavoratori del Regio della richiesta di cassa integrazione, in questo momento attesa, sperata da milioni di altri lavoratori precari e non garantiti, non ritrovo più quei valori.

Il senso del momento

PAROLE ROSSE di Roberto Placido   Ha fatto molto parlare, specialmente a sinistra o presunta tale, la somma, dieci milioni di euro, che Silvio Berlusconi e, per fortuna anche altri, ha destinato al sostegno dell’azione delle istituzioni per combattere la pandemia di Corona Virus

L’elenco è lungo e comprende singoli, appunto Silvio Berlusconi, e aziende come Ferrero, dieci milioni, la famiglia Agnelli, altri dieci, la Reale Mutua, cinque milioni, Giovanni Rana, il Gruppo Miroglio con la produzione, donata alla Regione Piemonte di 700.000 mascherine ed è stato, cosa importante, lo stimolo per altre aziende a riprendere la produzione di mascherine chirurgiche quanto mai necessarie in questo momento.

E poi ancora il Gruppo Generali Assicurazioni, con un fondo di 100 milioni di euro, Apple, Pirelli, Snam, Benetton, Moncler, Barilla, UBI Banca, Novartis, Amadori, Unipol, giocatori di calcio e di altri sport, e tanti altri ancora con un elenco che si allunga sempre di più. Le critiche, dico subito che non condivido, specialmente rivolte a Berlusconi, che nonostante i suoi 84 anni ha dimostrato ancora una volta di essere veloce e di cogliere l’attimo essendo stato il primo dell’elenco sopra indicato. Qualche giornale, il Fatto Quotidiano, ha elencato alcune delle “grandi evasioni” o leggi ad personam che hanno favorito lui, le sue aziende o la sua famiglia, confondendo a mio parere, le cose ed i momenti, definendola carità pelosa. Non si tratta di azioni caritatevoli pur nel rispetto del senso cristiano di carità e dell’essere una delle virtù teologali. Non è nemmeno e non potrebbe comunque esserlo un’indulgenza come fece nel lontano 1515 Leone X che, per pagare la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma, decise di venderle in tutta la Germania. In tanti ne approfittarono convinti così di acquistare, dopo la morte, il lasciapassare per il Paradiso. Per i reati, sia quelli fiscali, che quelli penali, servono condoni ed amnistie. Per i secondi se ne sta parlando con sempre maggiore insistenza e quanto prima ci sarà sicuramente. Il nostro paese non è in grado, in questo momento, di gestire troppe emergenze. Tornando al tema, quanto fatto è un’azione di solidarietà in un momento drammatico per l’Italia. La solidarietà, lo sa bene chi è di sinistra, non è solo un sostantivo, ma un impegno etico-sociale in determinati momenti e situazioni. Con dieci milioni non si cancellano le leggi ad personam e tutto il resto per Silvio Berlusconi, non si cancellano le responsabilità per il crollo del ponte Morandi per il Gruppo Benetton e così via. Di queste e di altre vicende se n’è occupata e se ne occuperà la magistratura. Ora è il momento della solidarietà e della coesione a tutti i livelli e non dei distinguo e delle polemiche. In una situazione così drammatica non ce lo possiamo permettere. Arriverà il momento per ragionare sui ritardi del governo, della Protezione Civile, delle Regioni, dei singoli cittadini che non rispettano, sciaguratamente, le disposizioni, che vive lo stare in casa come un sacrificio insopportabile dimostrando la fragilità di milioni di italiani mentre tutto il sistema sanitario, medici, infermieri, paramedici e tanti altri fanno i veri sacrifici. Ogni cosa a suo tempo. Ora è il momento dell’impegno e della solidarietà e ben vengano sottoscrizioni come quella lanciata, oltre quattro milioni di euro, da Chiara Ferragni e da Fedez, o da quotidiani ed emittenti televisive. L’Italia ha bisogno che prevalga la parte migliore, ha bisogno, oltre che di solidarietà, di unità.