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Maria Avino traduttrice di Khaled Khalifa vince il Premio Lattes

Prima edizione dedicata alla narrativa in lingua araba tradotta in italiano

18 luglio 2020.Maria Avino è la vincitrice della prima edizione del Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione, per la sua traduzione di Morire è un mestiere difficile (Bompiani, 2019) del siriano Khaled Khalifa. Il Premio è promosso dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con l’Associazione Arti Contemporanee Castello di Perno.

La giuria specialistica premia all’unanimità Maria Avino in una rosa di cinque finaliste in gara per la prima edizione del Premio, dedicata alla narrativa in lingua araba tradotta in italiano. Le altre quattro finaliste erano: Samuela Pagani, traduttrice di Corriere di notte della libanese Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019); Nadia Rocchetti, traduttrice di Viaggio contro il tempo della libanese Emily Nasrallah (Jouvence, 2018); Monica Ruocco, traduttrice di Il suonatore di nuvole dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017); Barbara Teresi, traduttrice di Una piccola morte del saudita Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019).

«La decisione – spiegano Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. GiolfoClaudia Maria Tresso  della Giuria specialistica –  ha tenuto conto del contributo che non solo con questo lavoro, ma anche con quelli realizzati in oltre vent’anni di attività, la traduttrice ha recato alla diffusione della letteratura araba contemporanea in Italia: un contributo che si avvale ora di un’opera, come questa di Khaled Khalifa, di indubbio interesse nella situazione attuale di un mar Mediterraneo attraversato da profughi e migranti. La complessa situazione della Siria in cui il romanzo si colloca, e a cui gran parte del pubblico italiano è poco avvezzo, non ha impedito alla traduttrice di realizzare una versione stilisticamente matura – non solo scorrevole, ma anche elegante, non solo fruibile, ma anche avvolgente – del testo di partenza. Pur mantenendo una fedele aderenza all’originale, ella ha saputo rispettarne il registro senza appesantirlo con apparati critici e inserendo con moderazione le parole in lingua originale.»

La cerimonia di premiazione si è svolta sabato 18 luglio 2020 nel giardino del Castello di Perno (Cn) nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. In questa occasione l’orientalista Fabrizio Pennacchietti ha tenuto la lectio magistralis L’arabo letterario moderno può dirsi una lingua “europea”?. L’appuntamento è stato condotto dalla giornalista e saggista Paola Caridi, studiosa di Medio Oriente e Nord Africa, e ha visto la partecipazione dei giurati del Premio: Anna Battaglia, Melita Cataldi, Mario MarchettiAntonietta Pastore, lo stesso Fabrizio Pennacchietti, (membri della Giuria stabile che ha scelto la rosa elle cinque traduttrici finaliste) e Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. Giolfo e Claudia Maria Tresso (membri della Giuria specialistica, che ha decretato la vincitrice).

Con il Premio Mario Lattes per la Traduzione la Fondazione Bottari Lattes pone l’attenzione sul fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e sull’impareggiabile contributo della traduzione nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo. Con questa iniziativa la Fondazione intende promuovere la conoscenza di culture e autori meno noti al pubblico italiano e incoraggiare la traduzione in italiano delle loro opere letterarie più significative per qualità letteraria e profondità di contenuti, riflessioni, testimonianza. Il tutto nella piena consapevolezza che la traduzione non si risolve in una semplice trasposizione di parole da una lingua all’altra e nello spostamento di un segno linguistico da un codice all’altro, ma è una disciplina che sa trasferire pensieri e concezioni tra culture diverse, con le quali il traduttore instaura un profondo legame.

Il Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione è dedicato alla figura di un editore, pittore e scrittore che seppe confrontarsi con intellettuali di fama internazionale. È realizzato dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con l’Associazione Arti Contemporanee Castello di Perno e il Comune di Monforte d’Alba, con il contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba, con il patrocinio di MibactRegione PiemonteUnione di Comuni “Colline Di Langa e Del Barolo” e S. Lattes & C. Editori.

 

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Photo Murialdo

Alle ultime battute il “Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione”

Cerimonia finale al Castello di Perno, nelle Langhe. Sabato 18 luglio, Monforte d’Alba (Cuneo)

Il luogo riflette la magica, intatta suggestione delle dolci e generose colline di Langa. Di origine medievale e trasformato fra Sette e Ottocento in dimora residenziale – passata nel ‘95 dall’editore Giulio Einaudi, che ne fece la sede gemella dello “Struzzo” di via Biancamano a Torino, alla famiglia svizzera Menziger e dal 2012 acquisito da Gregorio Gitti, docente universitario politico e noto avvocato bresciano, per farne centro di vinificazione ad altissimo livello ma soprattutto prestigiosa “Casa della Cultura” – sarà il Castello di Perno, nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, ad ospitare sabato prossimo, alle ore 18, la cerimonia di premiazione della prima edizione del “Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione”.

Dedicato, per questa sua prima uscita, alla “Letteratura in lingua araba tradotta in italiano”, il Premio è promosso dalla “Fondazione Bottari Lattes”, presieduta da Caterina Bottari Lattes, con la fattiva collaborazione dell’“Associazione Culturale Castello di Perno”, del Comune di Monforte d’Alba, insieme al contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba e al patrocinio di Mibact, dell’Unione di Comuni “Colline di Langa e del Barolo” e di “S. Lattes & C. Editori”. Cinque le finaliste. Una cinquina “in rosa”. Sabato prossimo si conoscerà il nome di chi fra loro salirà il gradino più alto del podio. A contenderselo: Maria Avino, traduttrice di “Morire è un mestiere difficile” del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); Samuela Pagani, traduttrice di “Corriere di notte” della libanese Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019); Nadia Rocchetti, con il “Viaggio contro il tempo” della libanese Emily Nasrallah (Jouvence, 2018); Monica Ruocco, con “Il suonatore di nuvole” dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017) e Barbara Teresi, con “Una piccola morte” del saudita Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019).
La cerimonia di premiazione (i posti sono al momento esauriti) sarà trasmessa anche in diretta streaming sui canali Facebook e YouTube della Fondazione Bottari Lattes e sarà condotta dalla giornalista e saggista Paola Caridi, studiosa di Medio Oriente e Nord Africa. Vedrà inoltre la partecipazione dei giurati del Premio: Anna Battaglia, Melita Cataldi, Mario Marchetti, Antonietta Pastore, Fabrizio Pennacchietti (membri della Giuria stabile) e Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. Giolfo, Claudia Maria Tresso (membri della Giuria specialistica).
Nell’occasione, l’orientalista  Fabrizio Pennacchietti  terrà anche una lectio magistralis su “L’Arabo letterario moderno può dirsi una lingua ‘europea’?”, per spiegare come “l’Arabo, un tempo lingua letteraria di una cultura a lungo medievale, basata sulla religione, è oggi sempre più integrato nella cultura dominante a livello mondiale”.

g. m.

Per info: tel. 011/19771755 – 0173/789282 o www.fondazionebottarilattes.it / segreteria@fondazionebottarilattes.it

L’isola del libro

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Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Willa  Cather   “Il canto dell’allodola”  -Fazi-  euro  18,50

E’ inedito in Italia questo romanzo scritto dall’americana Willa Cather (1873- 1947) nata in Virginia, poi trasferitasi con la famiglia nel Nebraska, dove visse a stretto contatto con gli immigrati cechi e scandinavi. Fu anche insegnante e giornalista: nel 1906 si trasferì a New York lavorando per il “McClure’s Magazine”e soggiornò a lungo in Francia, ad Avignone. Scrittrice prolifica pubblicò vari romanzi e vinse il Premio Pulitzer nel 1923 con “Uno dei nostri”. In America conobbe grande fama perché seppe dare voce alla gente di frontiera, raccontando il grande Ovest che conosceva bene, perché ci era nata e aveva insegnato a Pittsburg.

“Il canto dell’allodola” è la storia della giovane Thea Kronberg, nata nell’entroterra americano a inizi 900, a Moonstone nel Colorado: piccola cittadina al confine col deserto, popolata da emigrati europei in cerca di nuove opportunità.

La famiglia di Thea è di origini svedesi, figlia di un pastore metodista, quarta di sette fratelli, e la seguiamo a partire dai suoi 11 anni, mentre accudisce il fratellino ultimo nato, ma soprattutto prende lezioni di pianoforte da un maestro tedesco che l’ha particolarmente a cuore.

Thea è intelligente, sensibile e piena di entusiasmo, sa far breccia negli animi di uomini saggi come l’affascinante dottor Archie (incastrato in un matrimonio infelice) o far platonicamente innamorare di sé lo sfortunato macchinista Ray. E’ grazie a loro che spicca il volo verso Chicago, dove alloggerà in vari pensionati, farà lavoretti per mantenersi e prenderà lezioni di musica. Nella grande città ventosa e frenetica scoprirà che il suo vero talento non è per i tasti del pianoforte, ma per il canto.

La sua è la storia di «…una persona fuori dal comune in un mondo molto, molto comune», come intuisce ben presto il dottor Archie che la sprona a volare più alto. La bellissima parabola di come si può nascere da gente rozza e diventare migliore.

Pare che la storia di Thea sia ispirata all’incontro della scrittrice con la cantante Olive Fremstad, soprano e mezzo soprano famoso all’epoca, che cantò anche con Enrico Caruso ( pure lei svedese e nata nel Minnesota).

Willa Cather fu a sua volta un personaggio da romanzo che, secondo i biografi, ebbe un solo grande amore, l’amica  Isabelle McClung alla quale dedicò proprio “Il canto dell’allodola”.

 

 

Sylvia Townsend Warner  “Il cuore vero”   -Adelphi-   euro  18,00

Sylvia Townsend Warner (1893-1978) è stata un’importante scrittrice, nata e sospesa tra 800 e 900: vicina al primo per stile di scrittura, ma proiettata nel secondo per i temi trattati. Fu una donna decisamente anticonformista, femminista, visse 40 anni con la poetessa Valentine Acklad, lottò per i diritti degli omosessuali e combatté in Spagna nella Guerra Civile.

“Il cuore vero” rimanda al poema di Apuleio “Amore e Psiche” e narra la storia della 16enne orfanella Sukey Bond.

Una vicenda tristissima segnata dalla perdita dei genitori a 11 anni, lei primogenita e unica femmina di una nidiata di bambini che il destino sparpaglierà in adozione. Viene separata dai fratellini e mandata in orfanotrofio per 5 anni, poi spedita a servizio in una landa desolata e umida dell’Essex nel 1873.

E’ li che conosce e si innamora –ricambiata- del giovane Eric: biondo, svagato, inoffensivo e tenerissimo. Condividono l’amore per gli animali e la natura, ma lui non è come gli altri. Da tutti è considerato “un idiota”, malato di mente senza speranze di guarigione, reietto che la madre ha allontanato vergognandosene. Quando Eric ha l’ennesima crisi convulsiva lo allontanano da Sukey e sbattono lei in mezzo alla strada.

Ma è innamorata, combattiva e per niente disposta a rinunciare a quel legame. Il romanzo narra le sue peripezie e la sua battaglia per ritrovarlo, incluso un incontro nientemeno che con la Regina Vittoria.

Sono pagine che rimandano ai grandi scrittori vittoriani, come Thomas Hardy e la sua “Tess dei  d’Ubervilles”, ma con una modernità straordinaria. Sukey dovrà lottare contro la cattiveria delle altre servette, ma anche contro persone altolocate che irradiano insensibilità e spietatezza.

Una critica arguta che la Townsend fa delle signore dell’epoca che si ammantavano del buonismo di opere di bene per sentirsi più nobili, ma poi dei bisognosi se ne infischiavano altamente.

Pagine che possiamo decodificare come manifesto femminista, con l’eroina Sukey dal “cuore vero” che non si ferma davanti a nulla pur di trovare il suo Cupido. Un altro personaggio femminile che la Townsend ci ha lasciato dopo “Lolly Willowes” (Adelphi 2016), storia di una donna che diventa strega per sfuggire ai lacci della società degli anni Venti

 

 

Alessandro Robecchi  “I cerchi nell’acqua”  -Sellerio-   euro 15,00

Il protagonista dei romanzi di Robecchi, Carlo Monterossi -autore di televisione spazzatura e col pallino da investigatore casuale-  in questa avventura cede il primo piano ai due poliziotti Tarcisio Ghezzi e Antonio Carella, sullo sfondo di una Milano sotterranea che li vede impegnati in due indagini parallele, scandite in capitoli alterni.

Tarcisio Ghezzi, 60 anni e in odor di pensione dopo 40 anni «di onorato servizio, sposato con Rosa, niente figli, zero carriera, tanti chilometri per poco reddito…» ha in corso una sua battaglia personale e un torto da raddrizzare.

Antonio Carella è il collega più giovane, lavoratore instancabile che non va mai in vacanza oppure usa le ferie(ne ha una tonnellata da smaltire, ma proprio non è capace di fermarsi e riposare) per risolvere vecchi casi. E anche lui ha un fatto privato di cui occuparsi.

Entrambi sono sulle tracce di due ex detenuti. Quello di Ghezzi è il 66enne Pietro Salina, ladro maldestro e sfortunato, fuori dal carcere da qualche anno, che in passato è stato il protagonista del primo caso risolto da Ghezzi.

Invece Carella è alle costole di tal Alessio Vinciguerra, 39enne rammollito e un po’ ingrassato, ora di nuovo libero dopo neanche 5 anni di galera.

Inutile dire che i due poliziotti sono un po’ le pecore nere della questura, due cani sciolti con caratteri ed età diversi; in comune un forte senso di giustizia e l’empatia per le sofferenze altrui. Mentre conducono le loro battaglie private, intanto c’è un caso bollente da risolvere. L’omicidio dell’artigiano e famoso restauratore Crodi, picchiato a morte nel suo magazzino-laboratorio.

Un gran bel rebus che parte senza indizi: nessun segno di scasso né di furto, zero tracce o testimoni. Poi qualcosa si ingarbuglia, una signora della Milano super- bene muove le sue pedine e denuncia che nell’atelier non c’è più il suo preziosissimo orologio di epoca napoleonica, quello che Crodi doveva sistemare per la vendita niente meno che a Sotheby’s per 170.000 euro. Alla denuncia della madama seguirà un coro di altri clienti, in una bagarre anche mediatica che complicherà le cose…..

E il resto a voi scoprirlo tra continui colpi di scena e un filo sottile che segna il confine tra poliziotti e malavitosi, che forse a volte si può travalicare…

Fa tappa a Torino il nuovo “Premio Mario Lattes per la Traduzione”

Alla torinese Libreria “Belgravia” presentazione dei libri e delle finaliste in gara. Giovedì 9 luglio, ore 18

E’ un appuntamento di mezzo. Fra la selezione dei libri in gara, avvenuta nei mesi scorsi, e la cerimonia di premiazione di quello cui andrà la vittoria della prima edizione del “Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione” dedicato quest’anno alla Letteratura in ligua araba tradotta in italiano e che si terrà sabato 18 luglio prossimo, alle ore 18, al Castello di Perno, nel cuore delle Langhe cuneesi.

 

L’appuntamento di mezzo tutto torinese è, invece, per giovedì 9 luglio, alle ore 18,30, negli spazi della Libreria “Belgravia” (via Vicoforte 14/D),  con lo scopo di raccontare ai lettori proprio quei romanzi e quelle cinque finaliste traduttrici in gara, proponendo così un momento di riflessone sulla narrativa araba contemporanea.
L’appuntamento è a ingresso libero fino a esaurimento posti, nel pieno rispetto delle normative di sicurezza per l’emergenza Covid-19. La prenotazione è consigliata: libreria.belgravia@gmail.com.
All’incontro – condotto da Jolanda Guardi, docente di Letteratura Araba all’Ateneo torinese – parteciperanno, insieme a  Caterina Bottari Lattes ( presidente della Fondazione di Monforte d’Alba ) e a Mario Guglielminetti ( direttore marketing della stessa Fondazione ), alcuni membri della Giuria stabile che hanno selezionato i cinque libri finalisti, ovvero Anna Battaglia (docente di Lingua francese all’Università di Torino e traduttrice, tra le diverse opere, di “Oiseaux” di Saint-John Perse), Mario Marchetti (traduttore di lungo corso dal francese e dall’inglese per le case editrici “Einaudi” e “Bollati-Boringhieri”, nonché presidente del “Premio Italo Calvino” e autore di saggi e recensioni) e Antonietta Pastore (scrittrice e traduttrice dal giapponese, cui si deve la traduzione di numerose opere di Haruki Murakami e di autori come Soseki Natsume, Kobo Abe, Yasushi Inoue).
Cinque, si diceva, le traduttrici finaliste (podio tutto in rosa) selezionate dalla Giuria stabile del Premio: Maria Avino, traduttrice di “Morire è un mestiere difficile” del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); Samuela Pagani, traduttrice di “Corriere di notte” della libanese Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019); Nadia Rocchetti, per il “Viaggio contro il tempo” della libanese Emily Nasrallah (Jouvence, 2018); Monica Ruocco, per “Il suonatore di nuvole” dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017) e Barbara Teresi per “Una piccola morte” del saudita  Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019).
“Con questo nuovo Premio, la Fondazione spiega Caterina Bottari Lattes – intende promuovere la conoscenza di culture e autori meno noti al pubblico italiano e incoraggiare la traduzione in italiano delle loro opere letterarie più significative per qualità letteraria e profondità di contenuti, riflessioni, testimonianze. Il tutto nella piena consapevolezza che la traduzione non si risolve in una semplice trasposizione di parole da una lingua all’altra e nello spostamento di un segno linguistico da un codice all’altro, ma è invece una disciplina che sa trasferire pensieri e concezioni tra culture diverse, con le quali il traduttore instaura un profondo legame”.
Realizzato dalla “Fondazione Bottari Lattes”, il “Premio biennale per la Traduzione” è dedicato sempre alla figura di Mario Lattes ( editore, pittore e scrittore scomparso nel 2001, che seppe confrontarsi con intellettuali di fama internazionale ) e vede la fattiva collaborazione dell’“Associazione culturale Castello di Perno”, del Comune di Monforte d’Alba, insieme al contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba e al patrocinio di Mibact, dell’Unione di Comuni “Colline di Langa e del Barolo” e di “S. Lattes & C. Editori”.

Info: tel. 011/19771755 – 0173/789282 – book@fondazionebottarilattes.it, eventi@ fondazionebottarilattes.it –
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g. m.

Nelle foto
– I cinque libri finalisti
– Caterina Bottari Lattes

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Ilaria Bernardini   “Il ritratto”    -Mondadori-   euro 19,00

Valeria Costas è una famosa scrittrice 55enne che per 25 anni è stata l’amante dell’imprenditore di successo Martín Aclà, sposato con la pittrice Isla Lawndale (da tempo non dipinge e non espone) ed hanno tre figli. Dalla radio Valeria apprende che Martín ha avuto un ictus e da quel momento la sua vita vira bruscamente.

E’ semplicemente magnifico questo romanzo della scrittrice milanese 43enne Ilaria Bernardini, che parla di amore, tradimento, rimpianti, fraintendimenti, omissioni, segreti, lutti e ferite inferte dalla vita.

Valeria che è sempre rimasta nell’ombra, ma con Martin ha condiviso viaggi, case e passione e una bella fetta di vita – senza mai chiedere di più perché in fondo così le andava bene così- ora sprofonda nel terrore di non poterlo più rivedere. E cosa s’inventa per avere sue notizie e potergli stare più vicina? Chiede alla moglie di Martin di farle un ritratto da usare per la copertina del suo nuovo libro. Isla accetta, riesuma tele e pennelli, e invita Valeria a posare per lei nella sua casa londinese.

Trama a dir poco geniale e carica di suspense. Inizia così il via vai dell’amante nella casa di Martin, l’incontro con la moglie che sembra non sapere del tradimento del marito, l’approccio con la problematica figlia della coppia, Antonia, che sembra avere più feeling con Valeria che con sua madre Isla, i suoi turbolenti fratelli gemelli.

Situazione ambigua e anche pericolosa perché Valeria più volte, di soppiatto, si infila nella stanza in cui Martin incosciente è tenuto in vita dai macchinari.

Che cosa implica sapere che al piano di sopra l’amore della tua vita sta per morire, entrare in confidenza con sua moglie e i suoi segreti, non poter vivere questa tensione alla luce del sole? L’amante non ha diritti, però è anche la depositaria dei tanti racconti di vita familiare che Martin le ha fatto negli anni. Ma sa davvero chi è Martin e com’è stata la sua vita nella famiglia che non ha voluto lasciare, i tre figli concepiti con la moglie mentre in parallelo vedeva l’amante?

Infiltrandosi nella sua casa e conoscendo la sua famiglia Valeria scopre che in fondo di lui sa ben poco, sembra che di Martin ce ne fossero due, e con lei era un uomo diverso. Sono multiple le domande cardine del romanzo. Chi siamo davvero? Quanto possediamo le persone che amiamo? Quale può essere il collante di un matrimonio? Quanto è sbagliato tradire e cos’è il tradimento? Cosa lega due donne diverse unite dall’amore per lo stesso uomo? E come andrà a finire? Gustatevi il romanzo fino al finale che… forse vi sorprenderà.

 

George Simenon   “Il signor Cardinaud”   – Adelphi-   euro  16,00

George Simenon è stato molto più del padre del commissario Maigret, e grazie all’editore Adelphi scopriamo da anni la sua verve come grande romanziere prolifico, autore di circa 500 romanzi (in parte firmati come Simenon e in parte con pseudonimi). Una produzione sterminata in cui i gialli del suo celebre Jules Maigret sono 76.

Il romanzo “Il signor Cardinaud” è del 1941, e Simenon mette in campo tutta la sua raffinata bravura nell’entrare nel cuore e nell’anima del suo personaggio.

Hubert Cardinaud è un piccolo borghese, impiegato che si da delle arie  perché è il primo  della sua scalcagnata famiglia ad aver fatto un salto di qualità. Una domenica mattina al ritorno dalla messa rientra a casa e anziché trovare come sempre la moglie ad aspettarlo con i due figli si ritrova il vuoto. La sua Marthe che amava da sempre, fin da quando era un ragazzino 15enne, se n’è andata. Ha lasciato la piccola Denise di 8 mesi alla vicina, ha preso tutti i risparmi che erano in casa e ha fatto perdere le sue tracce. Hubert si ritrova con pochi spiccioli in tasca, due bambini  da gestire e una moglie da rincorrere, stanare e riportare all’ovile.

Il romanzo è la cronaca fedele dei suoi pensieri quando scopre che Marthe è scappata con un altro uomo e dei suoi tentativi per barcamenarsi durante la ricerca della moglie. La donna che amava da sempre ha spezzato la solita routine e forse è fuggita perché non si riconosceva più nel ruolo in cui l’aveva incasellata Hubert.

Un caso come tanti nella vita, ma che Simenon racconta scandagliando soprattutto la vita interiore dei suoi protagonisti…..un  romanzo psicologico con finale a sorpresa.

 

Juan Gabriel Vásquez   “Gli informatori”    -Feltrinelli-   euro   18,00

In questo romanzo dello scrittore, nato a Bogotà nel 1973, ci sono la Colombia e una pagina di Storia poco conosciuta durante la 2° Guerra Mondiale. Quella del destino degli immigrati tedeschi che quando il paese sudamericano si schierò contro l’Asse del Male (Germania, Italia e Giappone) creò delle Liste Nere (se venivi iscritto perdevi i diritti civili ed eri isolato in appositi luoghi) in cui finirono imbrigliati anche profughi tedeschi in fuga dalla follia hitleriana e che col nazismo non avevano nulla da spartire.

Su questo sfondo storico l’autore colloca la vicenda dei Santoro –padre e figlio- e un racconto che scruta il potere e i limiti delle parole, il perdono e le colpe dei genitori che ricadono sui figli.

Il padre Gabriel è un avvocato, famoso oratore studioso dei classici, vedovo che si è ritirato in una sorta di eremitaggio. E’ in rotta col mondo ma soprattutto col figlio (anche lui, voce narrante, si chiama Gabriel junior) che ha scritto il libro “Una vita in esilio” protagonista l’ebrea scampata al nazismo Sara Guterman, amica di gioventù del padre. Gabriel senior ha pubblicamente deriso e criticato aspramente l’opera del figlio. Ma cosa ha determinato un simile atteggiamento e quanto è profondo e irrimediabile il solco creatosi tra i due?

Il romanzo inizia con il padre che deve subire un intervento  rischioso e tenta di riallacciare il rapporto con il figlio che non vedeva da anni e da lì in poi è un susseguirsi di sviluppi imprevedibili, tentativi di riavvicinamento, riemergere del passato e morte che ribalta le cose.

 

 

Il giallo dell’estate. “La metà pericolosa” di Silvia Volpi

In  dieci puntate sul sito unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Parte il 5 luglio il giallo dell’estate in dieci puntate sul sito

unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

“La metà pericolosa” di Silvia Volpi è un racconto inedito che accompagnerà i lettori con una storia ambientata a Firenze dove mistero e storie di vita s’intrecciano con un filo d’ironia.

Silvia Volpi è un’autrice toscana che ha esordito nel giallo con “Alzati e corri, direttora” (Mondadori), la prima indagine della giornalista Elsa Guidi e del cronista Tommaso Morotti.

I curatori del sito dedicato ai libri e alle letture “fuori dal coro” – Claudio Cantini e Valentina Leoni – desideravano offrire alla grande comunità creata intorno ai social e al web una storia a puntate da seguire in questi mesi estivi.

L’occasione si è presentata dopo aver conosciuto il libro della Volpi che ha accettato di scrivere un racconto con un inedito caso da risolvere.

L’appuntamento con “La metà pericolosa” è sul sito unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it e sulle pagine e gruppo facebook che portano lo stesso nome: puntata dopo puntata per dieci settimane a partire dal 5 luglio.

Silvia Volpi è giornalista e scrittrice e vive a Pisa. Con il libro “Alzati e corri, direttora” ha ricevuto il premio come migliore esordiente a Giallo d’Amare 2019, e secondo QLibri è tra i migliori dieci esordi del 2019. Lavora al Tirreno come segretaria di redazione, tiene corsi di scrittura, si occupa di public speaking e comunicazione.

Pannunzio e la civiltà liberale, esce il nuovo libro di Quaglieni

MARIO PANNUNZIO LA CIVILTA’ LIBERALE  / Pier Franco Quaglieni aggiunge un altra ‘pietra’ alle rocce decomposte del liberalismo italiano. Lo fa con questo suo ultimo libro Mario Pannunzio, la civiltà liberale (edizioni Golem, Torino), che segue i recenti Mario Soldati, la gioa di vivere (2019), Grand’ItaliaFigure dell’Italia civile (2018). Cosa significhi questa ‘pietra’ lo descrisse bene Leo Valiani – come ricorda Quaglieni – definendo Pannunzio “un liberale” nell’accezione spagnola che la parola ha assunto, come esatto contrario di “servile”.

Scrive Quaglieni: “Il merito di Pannunzio fu essenzialmente quello di stimolare e riunire in modo continuativo il contributo di filosofi, scrittori, politici, artisti, giornalisti e storici, attorno al suo giornale. Fece parlare una lingua nuova in un’Italia ancora provinciale, bigotta, adulatrice dei potenti, attenta alle strizzatine d’occhio, superficiale e goffa”.

Il libro si compone di ben cinque parti. A rendere miliare la ‘pietra’ insieme al saggio di Quaglieni sono gli scritti su Mario Pannunzio che voluto raccogliere e selezionare: di Indro Montanelli, Marco Pannella, Giovanni Spadolini, Marcello Pera, Enzo Bettiza, Pierluigi Battista, Antonio Maccanico, Carlo Laurenzi, Giovanni Russo, Valerio Castronovo, Mario Soldati, Gerardo Nicolosi, Dino Cofrancesco, Valter Vecellio, Carla Sodini, Gianfranco Ravasi, Alberto Ronchey, Franco Libonati, Nicolò Carandini, Arrigo Benedetti, Ugo La Malfa, Vittorio Gorresio, Nina Ruffini, Eugenio Scalfari, Leo Valiani, Domenico Bartoli, Elena Croce, Nicola Matteucci, Maurizio Ferrara, Mirella Serri. E se non una ‘pietra’, come dovremmo definire questo omaggio non celebrativo al fondatore de Il Mondo?

Il libro segue per intero l’esperienza umana, di giornalista, politico, che attraversò la storia d’Italia dal 1910, anno in cui Pannunzio nacque a Lucca, al 10 febbraio 1968 giorno in cui morì stroncato da una fibrosi polmonare a soli 57 anni. Dalla redazione de Il Saggiatore, rivista di cultura non conformista, nei primi anni Trenta, fino a Il Mondo che fondò e rimase in edicola dal 19 febbraio 1949 all’8 marzo 1966, attraversando l’epoca della sua partecipazione al nuovo Partito Liberale nel dopoguerra, direttore di Risorgimento liberale, e poi l’uscita dal partito e la fondazione del Partito Radicale fino a divenire “un condannato alla clandestinità” come scrive Marco Pannella.

Cosa rappresentò Il Mondo, visto da fuori, lo Scrive Pannunzio nel suo commiato dai lettori: “Un giornale liberale, un giornale laico e antifascista, un giornale indipendente, doveva impegnarsi sui problemi della libertà e del costume civile, e non vi è stata questione di educazione del cittadino, di rinsaldamento dello Stato e delle istituzioni parlamentari, di efficienza di governo, di moralità pubblica, di politica interna e internazionale, di economia sociale e di conflitto fra l’interesse privato e quello collettivo, di fronte alla quale il giornale non abbia detto quel che gli è sembrato di dover dire, anche se le sue parole sono apparse spesso verità scomode e qualche volta dure”.

Il pensiero di Pannunzio sull’Italia che stava cambiando (non conosciamo esattamente la data dell’appunto) è contenuto in una citazione (di Henri-Frédéric Amiel) da lui conservata tra le sue carte e rivelata dalla moglie Mary a Quaglieni: “Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà
all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la “disuguaglianza di valore”, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga”.

Non saprei dire se Pier Franco Quaglieni, forse inconsapevolmente nell’esercizio del suo ruolo di storico, uno storico vero perché rigoroso alla ricerca sempre della verità imparziale e documentata, uomo libero che non solo crede ma pratica la libertà, sia consapevole della ‘pietra’ che ha aggiunto, con questo libro, al suo incessante ripristino delle mura portanti del libero pensiero e del liberalismo in Italia. La riflessione mi sovviene appena letto il necrologio de Il Mondo di Nicola Matteucci, uno tra i fondatori de Il Mulino e dell’Istituto Cattaneo, teorico del costituzionalismo liberale, scomparso a Bologna nel 2006.

Scriveva Matteucci: “… oggi più di ieri è necessario un giornale di opposizione liberale e democratica, un giornale di opposizione non al centro sinistra, ma dentro il centro sinistra, capace di rappresentare l’opposizione “ideale” alla pratica “reale” del potere. Insomma: una opposizione interna, ancora disarmata, se non nelle proprie idee. Perché la carenza e il limite dell’attuale centro sinistra non stanno tanto nella sua carica programmatica, o nella sua energia politica, ma nella mancanza, alle sue spalle, di una solida cultura politica e storica che sappia indirizzare, dare un senso e un fine alla pratica di ogni giorno, sia poi questa la politica delle cose o quegli instabili compromessi attraverso i quali, in ogni democrazia, si costituiscono le maggioranze”.

E’ impossibile non cogliere come questa ‘pietra’ posta a mantenere in vita almeno le fondamenta del pensiero liberale, per trasmetterle al divenire, si trasformi in un macigno per le coscienze contemporanee. Uno dei tratti che illustrano la personalità intellettuale di Mario Pannunzio, insieme all’opposizione verso le ideologie e le escatologie, e l’assoluta mancanza di retorica e di vanità dell’uomo, è il coraggio di lasciare le sponde sicure o ritenute morte, per imbarcarsi in nuovi progetti. Non ha timore di rimettersi in gioco, di affrontare le avversità, per rimanere coerente fino in fondo alle proprie idee. Mai per il proprio tornaconto personale, ma seguendo l’insegnamento che nulla è l’essere umano che non sente il dovere di essere utile alla società.

Io penso che uno dei mali che stanno divorando la civiltà in Italia derivi non solo dallo scadimento del ceto sociale storicamente e sociologicamente deputato alla formazione del senso comune, ma anche dall’abbandono di quanti non hanno avuto il coraggio di rimettersi in gioco, come insegna Pannunzio. Nel momento in cui il post-capitalismo ha sfigurato l’essenza stessa del capitalismo smussato dalla democrazia aprendo le porte al sistema globale della finanza, foraggiando di zucchero una razza intellettuale (tale solo per l’esercizio della funzione nell’istruzione pubblica, nella pubblica amministrazione, nell’informazione…) vestita di velina come le vallette televisive, in quel momento storico del nostro Paese chi aveva, e poteva, opporre resistenza si è ritenuto sconfitto ancora prima di impugnare le armi del sapere e della cultura. Su di loro, prima di tutto, pesa questa ‘pietra’: non solo per il passato, ma per il presente.

Nella gara che in passato ha visto molti rivendicare l’eredità di Mario Pannunzio (e chissà che ancora oggi non vi sia qualcuno o qualcuna che pensa di indossarne l’abito senza possederne la stoffa), Pier Franco Quaglieni non ha partecipato: pur essendo tra coloro che con il Centro Pannunzio hanno rappresentato i custodi della memoria, uno dei giovani intellettuali che fondarono il Centro a Torino con l’appoggio determinante di Arrigo Olivetti e Mario Soldati, il sostegno di Giulio De Benedetti e di Alberto Ronchey, e non ultima di Mary Pannunzio alla quale si aggiunse anche il conte Carandini. Tra i primi soci figurano Carlo Casalegno, Alessandro Passerin d’Entrèves, Valdo Fusi, Ugo La Malfa, Alda Croce… Che ne sarebbe oggi del lascito di Pannunzio in Italia se non fosse esistito il Centro Pannunzio, e se a servirlo quotidianamente non ci fosse stato Pier Franco Quaglieni?

Il piacere di questo libro, insieme al suo straordinario spessore culturale, è anche il susseguirsi di note vivissime tutte personali dell’autore, le corrispondenze i ricordi gli incontri, che l’arricchiscono offrendoci, anche sotto questo profilo, lo stile privo di retorica tanto caro a Pannunzio.

Aldo Belli

I libri più letti e commentati a Giugno

Anno Ⅳ n. 6 / Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di giugno.

Com’era prevedibile, la recente scomparsa di Carlos Ruiz Zafòn ha riportato in auge i suoi amatissimi romanzi ambientati a Barcellona, tra i quali spicca L’ombra del vento; segue L’enigma della camera 622, nuovo lavoro di Joel Dicker, che sta già raccogliendo commenti positivi; terzo posto per l’inossidabile Haruki Murakami che fa discutere col suo romanzo più complesso, L’uccello che girava le viti del mondo, di recente riproposto da una felice iniziativa editoriale.

 

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese noi abbiamo discusso di tre romanzi che affrontano il delicato e attuale tema del razzismo: Passaggio in India, di E.M. Foster,  I loro occhi guardavano Dio, di Zora N. Hurston e  Le confessioni di Nat Turner, di William Styron.

 

Per i consigli dei librai, questo mese lasciamo la parola alla Libreria Arcadiadi Pistoia che ci suggerisce: Il cavallino bianco di Elisabeth Goudge. Un fantasy in piena regola per ragazzi e non solo, nel quale una bambina deve affrontare segreti e misteri di un’antichissima villa di famiglia e una maledizione che mette a rischio la vita degli abitanti della valle e quella delle sue magiche creature.

 

Skellig di David Almond. Due bambini che si imbattono in una strana creatura  che vive nel garage di uno dei ragazzi e nel cercare di aiutarlo iniziano un percorso di crescita spirituale

Quando il diavolo ti accarezza di Luca Tarenzi. Un fantasy ambientato a Milano dove si affronteranno angeli e demoni.

 

Se siete amanti dei gialli, abbiamo in serbo una sorpresa: da domenica 5 luglio potrete leggere La Metà Pericolosa, nuovo romanzo di Silvia Volpi che ci terrà compagnia per dieci settimane, in esclusiva sul nostro sito ufficiale!

 

Per questo mese è tutto, ci rileggeremo il mese prossimo!

 

Podio del mese:

L’ombra del Vento, di C. Ruiz Zafòn (Mondadori) – L’enigma della camera 622 (La Nave di Teseo), di J. Dicker –  L’uccello che girava le viti del mondo, di H. Murakami (Einaudi)

 

 

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

L’isola del libro. Speciale Jack London

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Romana Petri  “Figlio del lupo”   -Mondadori-   euro  19,50

Veleggia tra romanzo e biografia lo splendido ritratto che Romana Petri dedica a uno dei massimi scrittori americani, Jack London. Di lui abbiamo amato libri epici come “Il richiamo della foresta” e “Zanna Bianca” ed ora scopriamo gli anfratti della sua anima, gli alti e bassi della sua vita.

Amava definirsi “figlio del lupo” e presentiva di morire giovane perché il fuoco che aveva dentro “..aveva la fame di un lupo”: non si sbagliava, nato nel 1876 morì a soli 40 anni nel 1916. Una vita davvero breve….ma che vita! In continua azione, tra mille mestieri, sempre nel tentativo di tenere insieme realtà e letteratura. Fu strillone, pescatore, cacciatore di foche, assicuratore, contadino, cercatore d’oro nel Klondike, inviato nella guerra russo-giapponese, marinaio… ma soprattutto scrittore.

Una vita segnata dal carattere impetuoso, dall’assenza del padre biologico compensata dall’affetto per il padre adottivo John London; il peso della madre Flora che parlava con gli spiriti dei defunti, mal sopportava le donne a cui si legò e, pur essendo inaffidabile, fu sempre convinta che il figlio fosse un grande scrittore.

London aveva un’energia inesauribile che sciorinò nelle varie avventure intraprese e nei ripetuti tentativi di creare qualcosa di importante che desse una direzione alla sua esistenza. Sospeso tra megalomania e disperazione quando le sue imprese non andavano in porto. Navigatore instancabile sulla barca comprata con il primo anticipo dell’editore; progettista del battello Snark che gli costò una fortuna e si schiantò appena varato; il sogno di navigare intorno al mondo con la seconda moglie Charmain, arenatosi per problemi di salute.

Progetto più ambizioso e dispendioso di tutti, la Tana del lupo: casa intorno alla quale immaginava una mega tenuta agricola in cui trasformarsi in coltivatore e allevatore, che sfumò letteralmente in fumo a causa di un incendio.

E poi le donne che incisero profondamente: a partire dalla giovane piccolo-borghese Mabel che non capì il suo talento e sognava un marito con la paga sicura. Poi l’affascinante ed enigmatica intellettuale russa Anna, che considerava anima gemella. La prima moglie Bessie, sposata con scarsa convinzione, che gli darà due figlie, ma non il tanto atteso erede maschio. Per ultima, l’amica Charmain che si trasformò in amante e poi seconda moglie, che gli starà accanto fino all’ultimo respiro.

Questa è solo la punta dell’iceberg del romanzo di Romana Preti che rende a tutto tondo la personalità complessa di un Jack London, grande bevitore, rincorso da fama ma anche debiti, costruttore e distruttore allo stesso tempo, che alla fine si lasciò andare verso la morte arrendendosi alla malattia e allo sfinimento, al limite del suicidio.

 

Charmain London  “Il libro di Jack London”  -Castelvecchi-  euro  25,00

“Era un incrocio tra un marinaio scandinavo, un dio greco e un buon ragazzone americano” è una delle tante descrizioni dell’affascinante e coinvolgente Jack London, riportate dalla seconda moglie Charmain Kittredge London nel corposo libro dedicato al marito.

Iniziò a scriverlo dopo la sua morte, raccogliendo lettere, carteggi vari, aneddoti, racconti di prima mano di Jack e tanta vita condivisa con lui.

Charmain, nata nel 1871 e morta nel 1955, fu una donna fuori dagli schemi per l’epoca: intraprendente, colta, autrice di due romanzi, “The Log of the Snark” nel 1915 e “Our Haway” nel 1917, oltre a “The book on London” pubblicato nel 1921. Questo volume di oltre 500 pagine è un’ immensa biografia che entra nelle pieghe più intime dell’animo dello scrittore.

Ci sono i racconti della sua infanzia, adolescenza e maturità, le sue avventure tra mare e terra, gli stati d’animo, gli affetti più profondi, le amicizie e i rapporti non sempre facili con gli editori. Charmain è forse la donna che l’ha conosciuto meglio, quella durata più a lungo, in bilico tra aneliti di indipendenza e inscalfibile devozione.

All’inizio furono grandi amici e confidenti. Charmain fu anche amica della prima moglie di Jack, Bessie (l’angelo del focolare che dava stabilità allo scrittore), salvo poi soffiarglielo da sotto il naso con un’intraprendenza e sensualità alle quali lui non seppe dire di no.

Da amante a moglie e confidente, Charmain fu al suo fianco nella buona e nella cattiva sorte, sopportando le fasi altalenanti del genio alle prese con il quotidiano. Fu lui stesso a dirle «Se me ne andassi per primo, mia cara, toccherebbe a te scrivere di me….se oserai essere onesta. Ma incontrerai non poche difficoltà». Ebbene lei le superò scrivendo questa lunga lettera d’amore ed erigendo l’immenso ritratto di un uomo che «…è stato molto più grande di quanto potrebbero farlo apparire molti dei suoi più intimi amici».

 

Tra i famosi libri di Jack London, ne suggerisco almeno due che aiutano a capire meglio la vita e il genio dello scrittore:

 

 

Jack London   “Martin Eden”   -Feltrinelli-  euro 11,00

London iniziò a scrivere questo romanzo autobiografico nel 1907 e lo finì a Tahiti l’anno dopo.

Alter ego dello scrittore è il giovane marinaio di Oakland, Martin Eden, che salva da una rissa al porto il rampollo di una famiglia benestante, Arthur. Per riconoscenza questo lo introduce nel suo mondo aprendogli lo spiraglio ai salotti buoni della middle-class. Martin s’innamora della sorella di Arthur, Ruth Morse, ma soprattutto scopre il prodigio della cultura.

E’ la storia dell’apprendistato del giovane, la scoperta delle meraviglie contenute nei libri. Una folgorazione che porta il protagonista a farsi rapidamente una cultura letteraria e a decidere di voler diventare scrittore. Tale è la sua sete di sapere che ben presto supera la mediocre Ruth, che corrisponde a Mabel Applegarth, fanciulla di cui Jack London si invaghì davvero. Ma più che altro un’infatuazione che, sia nella vita reale che nella finzione del romanzo, scemerà man mano che il giovane si rende conto che la fanciulla aspira più che altro a tarpargli le ali.

Mabel/Ruth è ben lontana dal capire le ambizioni letterarie di Jack/Martin e lo spinge invece verso una vita impiegatizia senza rischi economici e un futuro banale.

Il romanzo ha ispirato anche l’omonimo film del 1919, girato da Pietro Marcello e interpretato da Luca Marinelli, che ha vinto la Coppa Volpi.

 

Jack London  “La crociera dello  Snark”    -Mattioli-  euro 15,00

Qui c’è a profusione l’amore di Jack London per l’avventura e la vita in mare. E’ la cronaca di

un’ incredibile impresa, la navigazione a bordo di una barca a vela nell’Oceano Pacifico, insieme alla moglie Charmain, sulle rotte di Melville e Stevenson.

Partenza nel 1907 dalla baia di San Francisco, direzione le Hawaii; poi rotta verso le Isole Marchesi, Tahiti, Samoa…Un periglioso viaggio che sulla carta avrebbe dovuto approdare fino in India e nel Mediterraneo. Invece si concluse in Australia, a Sydney, nel 1908, interrotto da sventure varie, ma soprattutto dal morbo misterioso che contagiò lo scrittore rendendo necessario il ricovero in ospedale.

Una giornata di festa al Musli

 

Domenica 28 giugno consegna del Premio Andersen 2020, fino a domenica apertura straordinaria del Museo e allestimento di edizioni storiche e letture dedicate alle fiabe di Andersen

 

Domenica 28 giugno il MUSLI – Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia – e la Fondazione Tancredi di Barolo di Torino festeggeranno l’assegnazione del Premio Andersen 2020. Il premio, promosso dalla rivista mensile Andersen, è stato attribuito al Museo e alla Fondazione “Per rappresentare un’eccellenza nazionale nel testimoniare storia e attualità della cultura per l’infanzia: grazie a collezioni importanti e uniche di materiali scolastici, di oggetti ludici e di volumi per bambini e ragazzi e attraverso iniziative e percorsi espositivi puntuali e moderni. Per l’impegno a custodire fondamentali patrimoni del passato valorizzandone sempre il portato per la ricerca presente e la riflessione futura”.

 

La “Giornata di festa al MUSLI” si terrà nel cortile di Palazzo Barolo (Piazza Savoia 6, Torino) e si aprirà alle ore 15.15 con la consegna del Premio Andersen, accompagnata da testimonianze che ne sottolineano il significato e il valore per la Fondazione. Per la Giuria del Premio Andersen saranno presenti Carla Ida Salviati, studiosa di storia dell’editoria e letteratura per l’infanzia; Barbara Schiaffino, direttrice della rivista ANDERSEN; Anselmo Roveda, coordinatore redazionale della rivista ANDERSEN. Interverranno: Pompeo Vagliani, presidente della Fondazione Tancredi di Barolo; Luciano Marocco, vicepresidente dell’Opera Barolo; Barbara Bruschi, Renato Grimaldi e Mariarosa Masoero, Università di Torino; Gianfranco Crupi, Sapienza Università di Roma; Massimo Missiroli, pop-up designer. Sono previsti messaggi di Pino Boero, Università di Genova – Premio Andersen, e di Armando Traverso, conduttore e autore radiotelevisivo di RAI Yoyo, RAI Radio Kids e RAI Scuola.

Saranno inoltre presenti l’Assessore alla Cultura della Città di Torino, Francesca Paola Leon, e la Dirigente dell’Area Cultura-Servizi Biblioteche, Monica Sciajno. La consegna del premio e le testimonianze potranno anche essere seguite in diretta facebook sul profilo del @MUSLI.TORINO.

 

In omaggio al grande scrittore danese, Pompeo Vagliani e Luciana Pasino ricorderanno la storia editoriale delle fiabe di Andersen in Italia. L’incontro si concluderà all’insegna della “musica bambina”, con l’intervento del trio del gruppo Lastanzadigreta con strumenti musicali e suoni insoliti. Questi ultimi interventi saranno replicati alle 16.30 e alle 17.30.

 

Continua intanto, fino a domenica 28 giugno, la settimana di apertura straordinaria del MUSLI con un allestimento di edizioni storiche e letture dedicate alle fiabe di Andersen. La rassegna bibliografica di edizioni italiane ottocentesche, a cui la Fondazione ha già dedicato una mostra nel 2005 in occasione del bicentenario della nascita dell’autore, è stata allestita nella sala del Museo dedicata alla Tipografia Editrice Eredi Botta, che nel 1873 stampò proprio a Palazzo Barolo una rarissima edizione di alcune sue fiabe. Ogni visita guidata si concluderà con la lettura di alcune fiabe di Andersen.