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Veronesi, l’odore del sole e l’estate che sta finendo

“C’era un odore, in quelle estati, che non ho mai più trovato altrove. L’odore così com’era non lo ricordo, ovviamente, e tuttavia accompagna la memoria di ogni singolo momento vissuto in quelle estati, io e mia sorella quell’odore lo abbiamo chiamato l’odore del sole”. Questo pezzo non è una recensione ma un consiglio di lettura all’insegna della nostalgia delle estati che furono e che non sono più. Quelle trascorse sulla stessa spiaggia e nello stesso mare, quelle che per noi torinesi iniziavano con la chiusura della Fiat e finivano con la riapertura dei cancelli a Mirafiori. Il libro da leggere in questo epilogo estivo è «Settembre nero» di Sandro Veronesi (La nave di Teseo). Non perché l’ultimo romanzo del due volte Premio Strega non sia adatto a tutte le stagioni ma perché nel raccontare l’estate deldodicenne Gigio Bellandi, Veronesi descrive le atmosfere, i colori, i suoni e gli odori che hanno segnato le estati di noi boomers.

Siamo nel 1972: la famiglia di Gigio lascia Vinci per trasferirsi a Fiumetto, in Versilia. Gigio è un ragazzino “che non sa ancora niente di niente”, vive in un mondo minuscolo, intento a coltivare passioni adolescenziali come ciclismo, automobilismo, calcio e scacchi. A vegliare sulla serenità sua e della sorellina Gilda, sono il padre avvocato penalista, uomo di luminosa superficialità”, e l’affascinante madre irlandese. Gigio trascorre le sue giornate allo stabilimento balneare “Bagno Stella”, immerso nell’odore del sole. Un odore onnipresente e pervasivo, artificiale, chimico. Odore di plastica, di gomma, di nylon, di sapone e di shampoo. Odore di crema solare.

Per Gigio Bellandi l’estate del 1972 segna la scoperta della musica, del fumetto adulto (Linus, L’Eternauta) e del desiderio per Astel Raimondi, la ragazzina dalle treccine “nere come onice nera”. Mentre alle Olimpiadi di Monaco si consuma il massacro commesso dai terroristi palestinesi di Settembre Nero, anche nella vita di Gigio si abbatte una tragedia: la confessione del padre del tradimento con la vicina d’ombrellone (e madre di Astel) manda in frantumi la famiglia. Un romanzo di formazione, certo, un romanzo sul potere evocativo delle parole e su quello seduttivo e salvifico della lingua, ma soprattutto un racconto capace di restituirci una precisa fotografia di un’epoca perduta, quella delle estati italiane dagli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta, quando i consolidati copioni delle nostre abitudini vacanziereverranno rivoluzionate dai low cost e dalla globalizzazione. L’estate del ’72 di Gigio Bellandi era identica a quella di Jerry Calà e Marina Suma in quel “Sapore di mare” uscito nella sale nel 1983 ma che i Vanzina ambientarono nella Forte dei Marmi di vent’anni prima, immortalando nello stesso tempo una stagione passata e una contemporanea. Identica all’estate che stava finendo cantata dai Righeira nel 1985. Identica alle mie estati degli anni Ottanta. Trascorse prima sotto l’ombrellone di mia madre (sempre lo stesso ombrellone nella stessa fila della stessa spiaggia, con immancabile raccomandazione al bagnino di riservarla per l’anno dopo), leggendo “L’Uomo Ragno” e gli altri fumetti super-eroistici pubblicati in Italia dalla Corno; quindi con quelli della “compagnia”, il gruppo di amici ed amiche che si ritrovavano anno dopo anno con appuntamento fisso allo stesso posto e alla stessa ora per lo struscio serale sul lungomare. Per poi sciogliersiquando in “spiaggia di ombrelloni non ce ne sono più (cit. Righeira) e l’odore del sole si trasformava solo in un ricordo.

L’ultimo romanzo di Cesare Pavese

Il 27 agosto del 1950, Cesare Pavese si toglieva la vita nella stanza 346 dell’hotel Roma in piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione di Porta Nuova a Torino. Il suo ultimo romanzo La luna e i falò, uno dei capolavori della letteratura del ‘900 e libro di formazione per intere generazioni, rappresentò per più versi il viaggio dello scrittore alla ricerca di se stesso e delle proprie origini. Fu il suo testamento letterario, composto in meno di due mesi, tra il 18 settembre e il 9 novembre del 1949, e dato alle stampe nell’aprile del 1950. Pavese scrisse in proposito: “È il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo – forse sempre – non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dèì”. E non solo gli dei, se Pavese scelse di terminare la propria esistenza “nella stanza d’un albergo nei pressi della stazione; volendo morire nella città che gli apparteneva come un forestiero”, come scrisse Natalia Ginzburg. Sul comodino della stanza era posata una copia dei Dialoghi con Leucò su cui lo scrittore aveva lasciato una raccomandazione: “Non fate troppi pettegolezzi”.
Un epitaffio che invitava il mondo a rispettare la sua scelta di andarsene prematuramente e di farlo in silenzio, in punta dei piedi, con quel riserbo tutto piemontese che ha sempre contraddistinto la sua vita. Settantaquattro anni dopo la sua scomparsa i messaggi e i valori che le pagine dei romanzi e dei racconti di Pavese ci trasmettono continuano a essere attuali nella loro straordinaria semplicità e immediatezza, a partire da quello del profondo legame con la terra dove si nasce, quel legame che non si spezza mai e che ciascuno di noi porta dentro di sé perché “avere un paese vuol dire non essere soli sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Perché avere un paese, avere delle radici, un luogo al quale aggrappare i propri pensieri, nel quale rifugiarsi anche nei momenti più difficili come quello che abbiamo vissuto, come quello che stiamo vivendo, significa sapere di appartenere a una comunità con la quale potremo continuare a lottare. Cesare Pavese ha amato molto il Piemonte, le Langhe, le grosse colline nelle quali ambientò i suoi romanzi più belli, trasportando il lettore tra borghi e vigneti, falò e sentieri, tra la sua gente. La lapide posta sulla tomba che custodisce i resti mortali del poeta, trasferiti dal cimitero monumentale di Torino al camposanto di Santo Stefano Belbo nel settembre del 2002, riporta queste parole “Ho dato poesia agli uomini”, una frase struggente che testimonia la forza e l’immortalità dell’arte.

Marco Travaglini

Tsukiko la figlia della luna

Libri

UN VIAGGIO REALE IN QUELLO CHE CREDIAMO IRREALE

 

Giappone, tempi moderni. Poco più che ragazzina, Tsukiko, riceve la devastante notizia della morte dei genitori in un incidente d’auto. Ѐ un colpo terribile alla sua percezione del mondo, rispetto a una vita improvvisamente divenuta banale e vuota di qualunque significato.

A metà fra la sua volontà e la sorte, la vecchia Hana le offre da leggere un libro di insegnamenti spirituali, che però Tsukiko rigetta perché troppo distanti dai suoi stati d’animo straziati dal dolore della perdita. È una battaglia che la spinge a scaraventare il libro sulla parete della sua stanza e a dire a stessa che dovrà trovare da sola le risposte, partendo per un viaggio avventuroso verso la vetta del monte Fuji che le dicono contenga tutte le risposte, incontrando gli Elementi della natura e i loro Spiriti Custodi.

Attraversando Terra, Acqua, Fuoco e Aria giungerà anche a conoscere l’Etere, il quinto elemento.

Ma il suo vero obiettivo resta il Maestro che vive nel monte.

 

L’AUTRICE

Torinese di origine, Monica Felletti è nata il 9 settembre 1977

Dal 2000 vive e lavora a Roma

Da sempre appassionata di spiritismo e parapsicologia, ha investito tutti i suoi sforzi in una ricerca della vera comprensione di ciò che ci sembra inspiegabile.

Negli anni ha fatto parte di alcuni cerchi medianici di alto profilo, sperimentando direttamente le più diffuse tecniche di contatto con l’Aldilà.

E’ intervenuta, attraverso interviste, su canali YouTube dedicati al tema riscuotendo apprezzabile successo. Dopo la pubblicazione de “L’altro lato delle cose” con Serarcangeli editore e la collaborazione ad alcuni testi inerenti spiritismo e medianità, è qui alla sua prima pubblicazione indipendente.

 

La triste e sfortunata vita di Emilio Salgari

L’incontro con Emilio Salgari, il papà di Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e del Corsaro Nero avvenne tanto tempo fa. E fu un amore improvviso, intenso. I primo due libri furono “I misteri della Jungla Nera” e “Le Tigri di Mompracem”, nelle edizioni che la torinese Viglongo pubblicò negli anni ’60.

 

Vennero letteralmente divorati. Toccò poi all’intero ciclo dei pirati della Malesia e a quelli dei pirati delle Antille, dei Corsari delle Bermude e delle avventure nel Far West. Mi recavo in corriera da Baveno a Intra, da una sponda all’altra del golfo Borromeo del lago Maggiore, dove – alla fornitissima libreria “Alberti” – era possibile acquistare i romanzi usciti dalla sua inesauribile e fantasiosa penna. Salgari, nato a Verona nell’agosto del 1862, esordì come scrittore di racconti d’appendice che uscivano su giornali  a episodi di poche pagine, pubblicati in genere la domenica ma, nonostante un certo successo,visse un’inquieta e tribolata esistenza. A sedici anni si iscrisse all’Istituto nautico di Venezia, senza però terminare gli studi.

 

Tornato a  Verona intraprese l’attività di giornalista, dimostrando una notevole capacità d’immaginazione. Infatti, più che viaggiare per mari e terre lontane, fece viaggiare al sua sconfinata fantasia, documentandosi puntigliosamente su paesi, usi e costumi. Scrisse moltissimo, più di 80 romanzi e circa 150 racconti, spesso pubblicati prima a puntate su riviste e poi in volume. I suoi personaggi sono diventati leggendari: Sandokan, Lady Marianna Guillon ovvero la Perla di Labuan, Yanez de Gomera, Tremal-Naik, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, Testa di Pietra e molti altri. Nel 1900, dopo aver soggiornato alcuni anni nel Canavese ( tra Ivrea, Cuorgnè e Alpette) e poi a Genova, si trasferì definitivamente a Torino dove cambiò spesso alloggio, abitando nelle vie Morosini e  Superga, in piazza San Martino ( l’attuale piazza XVIII Dicembre, davanti a Porta Susa, nello stesso palazzo all’angolo nord dove De Amicis scrisse il libro “Cuore“), in via Guastalla e infine in Corso Casale dove, al civico 205 una targa commemorativa ricorda quella che è stata l’ultima dimora del più grande scrittore italiano di romanzi d’avventura. Schiacciato dai debiti contratti per pagare le cure della moglie, affetta da una terribile malattia mentale, con quattro figli a carico, si tolse la vita con un rasoio nei boschi della collina torinese.

 

Era il 25 aprile 1911. Ai suoi editori dell’epoca, che stentavano a pagargli i diritti, lasciò questo biglietto: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna“. Ai quattro figli scrisse: “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di lire 600… Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre“. I suoi funerali passarono quasi inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l’imminente festa del 50° Anniversario dell’Unità d’Italia. La sua salma fu successivamente traslata nel famedio del cimitero monumentale di Verona. Un tragico e amaro epilogo per l’uomo che, grazie alle sue avventure, fece sognare tante generazioni di ragazzi.

Marco Travaglini

Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento

Il libro di Daniela Prandi dedicato allo stile, alla personalità e all’autostima

I vestiti parlano. Raccontano di noi, della nostra personalità, dei nostri stati d’animo. Ogni giorno davanti ad un armadio decidiamo come presentarci al mondo, ma non è una semplice scelta, si entra, infatti, in una sfera che coinvolge diversi temi oggetto di ricerca e approfondimento nell’ambito umano. La psicologia dell’abbigliamento, nella fattispecie, è la disciplina che esplora il legame tra ciò che indossiamo e come ci sentiamo, ci percepiamo e veniamo identificati dagli altri.

Ce ne parla nel suo libro, Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento, molto interessante e concreto, Daniela Prandi che ha fatto della sua passione per la psicologia e per gli abiti un percorso lavorativo combinato, che mira a far lavorare in modo sinergico il dentro e il fuori, l’identità e l’immagine. Questo volume, organizzato tra teoria e pratica, vuole essere uno stimolo a vestirsi con la consapevolezza dei messaggi e dei poteri che l’abbigliamento possiede, ma anche una raccolta di riflessioni utili a conoscere e riconoscere la propria personalità.

La Prandi racconta “prima di avviare questa attività lavoravo nell’orientamento professionale e nella formazione e dopo 20 anni ho deciso di passare dai file ai fili, dai monitor agli specchi. Questo passaggio è avvenuto gradualmente inserendo il tema della vestemica all’interno di diversi corsi e attraverso la creazione di un progetto, portato avanti con Sabina Rosso, che si chiamava Habitus da leader, il cui focus era quello di vestire la propria leadership. In quel periodo, inoltre, mi occupavo anche di coaching e collaboravo con uno studio dove potevo coordinare le mie attività; desideravo, tuttavia, un posto tutto mio e quindi mi sono detta perché’ non aprire un negozio? Una soluzione dove prodotto e servizio si fondono per lavorare sullo stile? È nato così PersonAtelier la cui vision è quella di poter vedere più persone sempre piu’ soddisfatte ed orgogliose di chi sono e come sono, dentro e fuori”.

Vèstiti è il prodotto, tradotto in un manuale, di anni dedicati alla consulenza di stile, alla offerta di vestiti ed accessori, di gesti dedicati al potenziamento dell’autostima. Nello scritto troviamo i significati terminologici di moda e abbigliamento in relazione alla psicologia, ci si pone quesiti e si restituiscono le relative risposte sul linguaggio degli abiti, sull’identità, l’immagine e lo stile.

Il libro di Daniela Prandi, dunque, non è semplicemente un libro sulla moda, sugli outfit giusti o di tendenza è uno stimolo alla conoscenza di sé attraverso ciò che vestiamo e indossiamo, perché gli abiti e gli accessori sono la nostra seconda pelle, l’estensione del nostro se’, una maniera di comunicare a chi ci circonda la nostra identita’.

www.personatelier.com

Maria La Barbera

Estate in giallo con Bardonoir

Torna anche quest’anno a Bardonecchia il Festival Bardonoir, giunto alla terza edizione. Attesi autori nazionali ed anche, per la prima volta da oltralpe. Tra loro Gabriella Genisi, creatrice di Lolita Lobosco e la francese Michele Pedinielli, tradotta di recente in Italia

Il Premio Agatha 2025, organizzato dalla rivista Agatha in collaborazione con Golem Edizioni, sarà assegnato alle autrici dei tre migliori racconti noir, ambientati in terre di montagna o di frontiera.

 

Bardonoir arriva alla sua terza edizione e si può dire che il Festival noir di Bardonecchia sia ormai una rassegna consolidata. Nato come evento locale, sta assumendo rilevanza al di fuori della Val Susa e del Piemonte, anche grazie al coinvolgimento di scrittori di livello nazionale.

Quest’anno Bardonoir, diretto come sempre da Giorgio Ballario, nell’ambito della rassegna Scena 1312, organizzata dal Comune di Bardonecchia, si svolgerà da venerdì 22 a domenica 24 agosto e sarà ospitato al Palazzo delle Feste.

Il programma è particolarmente fitto e offrirà a cittadini e villeggianti un panorama coinvolgente della narrativa gialla e poliziesca italiana, anche se il debutto, venerdì alle ore 18, vedrà salire sul palco una scrittrice d’Oltralpe, la francese Michèle Pedinielli, noirista di Nizza che di recente è stata tradotta anche nel nostro Paese. Dopo di lei, alle 19, sarà la volta di Orso Tosco, autore ligure con le Langhe nel cuore che lo scorso anno si è aggiudicato niente meno che il Premio Scerbanenco, il più importante riconoscimento italiano.

 

Sabato 23 alle ore 12 si partirà con un aperitivo in compagnia di Massimo Tallone, autore torinese che a Bardonecchia è di casa, che presenterà la sua ultima opera inserita nella nuova collana noir nazionale di Capricorno Edizioni. Alle 15 un’importante novità per Bardonoir: il festival è stato infatti scelto per ospitare la cerimonia del Premio Agatha 2025, il primo concorso organizzato dall’omonima rivista e da Golem Edizioni dedicato a racconti noir scritti da donne, con ambientazione di montagna o nelle terre di frontiera. A seguire l’incontro con Giulio Leoni, uno dei migliori autori italiani di giallo storico. Infine, due nomi di assoluto rilievo sulla scena nazionale: alle 17 Gabriella Genisi, creatrice della serie di Lolita Lobosco, diventata celebre anche in televisione; e alle 18,30 un omaggio alla Roma in giallo di François Morlupi. Seguiranno in serata le tradizionali letture teatrali ad alta tensione nel Borgo Vecchio a cura dell’Accademia dei Folli.

 

Domenica 24 alle 11,30 aperitivo in biblioteca con il gruppo Torinoir, che ritorna dopo alcuni anni di silenzio con un’antologia noir sul Teatro Regio di Torino; alle 15 tavola rotonda sul noir al femminile con autrici ed editrici (Luisa Ferrero, Francesca Mogavero, Valentina Castellan e Mara Barbara Rosso). Infine, alle 16, a chiudere il festival sarà un’altra autrice molto nota e apprezzata dal pubblico, Alice Basso, che parlerà della sua nuova serie di “cosy crime”.

 

Quaglieni a Bardonecchia presenta “Il liberale Pannunzio. Tutto l’oro del mondo?”

Giovedì 14 agosto alle ore 17,30 nel Palazzo delle Feste di Bardonecchia (piazza Valle Stretta, 1), con il patrocinio del Comune di Bardonecchia, lo storico prof.  Pier Franco Quaglieni, in dialogo con il dr. Alberto Fava, presenterà il libro da lui curato “Il liberale Pannunzio. Tutto l’oro del Mondo?”, Pedrini Editore. Nel volume, oltre ad alcuni testi “canonici”per conoscere Mario Pannunzio (Lucca, 1910 – Roma, 1968), giornalista e scrittore, fondatore e direttore de “Il Mondo”, sono riportate oltre 60 testimonianze che costituiscono una preziosa novità. A volte anche solo in una battuta fulminante, quasi un tweet ante litteram, viene condensato un ricordo su Pannunzio ed “Il Mondo”del tutto inedito.
In  appendice è pubblicato per la prima volta il carteggio intercorso fra Benedetto Croce e Mario Pannunzio.
Al libro è stato assegnato recentemente il Premio “Cavour – Risorgimento” perché, si legge fra l’altro nella motivazione, “consente una lettura di Pannunzio  nuova, collocandolo nel suo rapporto con il liberalismo di Tocqueville e di Croce (…) tenendo viva anche la lezione pannunziana del Risorgimento (…)”.
Ingresso libero.

Filomena Nitti sfiorò il Nobel ma finì nell’oblio

IN UN LIBRO LA STORIA

Genio incompreso, donna ignorata per scarsa fiducia nel suo lavoro, o per una diffusa misoginia? Sono alcuni degli interrogativi sorti intorno alla figura della scienziata lucana Filomena Nitti, figlia dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti, moglie di Daniel Bovet, Nobel per la medicina 1957, del quale fu indispensabile collaboratrice. Eppure lei dal Nobel rimase esclusa. Cosa la penalizzò?

La giornalista e scrittrice Carola Vai (nella foto), nel libro “Filomena Nitti e il Nobel negato” Rubbettino editore, realizzato con il contributo della nipote Maria Luisa Nitti, cerca di dare qualche risposta. Il volume, 200 pagine, 16 euro, in vendita nelle librerie, sul sito on line di Rubbettino e sui vari siti dedicati ai libri, narra per la prima volta l’intera vita della ricercatrice coetanea di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina 1986, della quale Carola Vai ha scritto quella che è ancora l’unica biografia completa sulla scienziata torinese: “Rita Levi-Montalcini una donna libera”, sempre per Rubbettino. Filomena e Rita, caparbie, ambiziose, instancabili, diversissime, incrociarono spesso le loro vite in pubblico e in privato, senza mai diventare amiche. Ma mentre Rita non si sposò, Filomena ebbe due matrimoni e tre figli. Con il secondo marito, Daniel Bovet, come lei biochimico, collaborò tutta la vita al punto da firmare tutti i lavori con i rispettivi nomi e cognomi. Eppure lui ottenne il Nobel, invece lei venne ignorata.

Filomena, nata il 10 gennaio 1909 a Napoli, ultima dei cinque figli di Francesco Saverio Nitti, meridionalista, ministro sotto il governo Giolitti e poi Presidente del Consiglio nel 1919-1920, e di Antonia Persico, figlia del giurista Federico, trascorse un’infanzia tranquilla con la sorella, Maria Luigia e tre fratelli, Vincenzo, Giuseppe e Federico tra Napoli dove viveva con i nonni, e Roma dove abitavano più stabilmente i genitori, con il quale si ricongiungeva soprattutto durante le lunghe vacanze estive nella casa di Acquafredda, in Basilicata. Anni felici. Fino quando la famiglia Nitti venne presa di mira, prima lentamente, poi in modo sempre più violento dagli attacchi delle squadre fasciste. Il liberale Francesco Saverio Nitti inizialmente sottovalutò gli eventi. Ma dopo l’assalto alla sua residenza romana con la distruzione di ogni cosa scelse, nel giugno 1924 di rifugiarsi all’estero con tutta la famiglia, escluse le sue due sorelle rimaste vedove, che con l’anziana madre, decisero di restare in Italia. Prima tappa in Svizzera, a Zurigo, dove la vita si rivelò presto troppo costosa. Così, dopo un anno e molte ricerche, venne deciso il trasferimento a Parigi. Seguirono vari traslochi finché la scelta definitiva cadde su un alloggio in rue Vavin 26, dietro Montparnasse, vicino ai giardini del Lussemburgo, al costo dell’affitto annuale di ottomila franchi. Qui i Nitti abitarono per quasi 20 anni, fino al ritorno in Italia. Nitti si tuffò nel lavoro di giornalista, scrittore, conferenziere guadagnando il denaro necessario per tutta la famiglia. Intanto Filomena, imparato il francese, si ambientò presto a Parigi, e finito il liceo, si laureò specializzandosi in chimica biologica. Contemporaneamente per guadagnare qualcosa accettò di fare alcune ricerche nelle biblioteche parigine. In questo periodo, lasciato il giovanissimo fidanzatino Giorgio Amendola rimasto in Italia, conobbe e si innamorò, ricambiata, di un giornalista polacco, Stephan Freund o Priacel. Francesco Saverio Nitti e la moglie contrastarono subito il legame dei due giovani convinti fosse un errore. Ma Filomena educata fin da bambina a diventare una donna indipendente attraverso lo studio e il lavoro, a vent’anni sfidò il volere della famiglia. Sposò Stephan; con lui ebbe due figli, poi lo seguì a Mosca quando decise di raggiungere la Russia. Nel Paese governato da Stalin la giovane Filomena lasciata spesso sola affrontò difficoltà di vario genere mai del tutto chiarite. Capì presto di aver sbagliato. Con coraggio lasciò Stephan, e con i due bambini tornò a casa dei genitori, a Parigi, ottenne il divorzio, riprese gli studi fino diventare una scienziata. Non aveva ancora trent’anni. Attraverso una borsa di studio entrò nel prestigioso Istituto Pasteur di Parigi dove già lavorava il fratello Federico Nitti, ricercatore scientifico, insieme al collega e amico Daniel Bovet, svizzero emigrato in Francia per motivi professionali. L’incontro tra Filomena e Bovet sfociò presto in un grande amore fatto di tante promesse e pure una stretta collaborazione scientifica. La coppia si sposò ed ebbe un figlio, il primo per Bovet, il terzo per Filomena. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, difficoltà di vario genere, l’arresto del padre Francesco Saverio Nitti da parte dei tedeschi e la sua lunga prigionia, complicarono, ma mai frenarono l’impegno scientifico, famigliare, materno di Filomena. A fine guerra i due coniugi lasciarono la Francia e si stabilirono a Roma, assunti dall’Istituto Superiore di Sanità, impegnati nello stesso laboratorio e nelle medesime ricerche al punto da firmare tutti i lavori con i nomi e cognomi di entrambi. Seguirono anni di enorme impegno e grandi successi. I due chimici nel settore scientifico divennero due star. I loro nomi finirono sulle più famose riviste scientifiche nazionali e straniere. Innamorati, sposati da quasi vent’anni, Filomena e Daniel vivevano tra scienza, famiglia, figli, viaggi. Nel mondo della scienza tutti, o quasi, sapevano che la coppia portava avanti ogni ricerca insieme. Fino all’ottobre 1957. In una tranquilla mattina autunnale, una telefonata proveniente dal Karolinska Institut svedese annunciò il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia a Daniel Bovet. A lui soltanto. Nemmeno un cenno a Filomena Nitti, sua insostituibile collaboratrice. Perché? Carola Vai nel volume “Filomena Nitti e il Nobel negato” nel narrare la sua storia tenta qualche risposta per togliere la scienziata dalla quasi invisibilità benché per anni impegnata professionalmente a fianco del collega-marito.

La vittoria del Nobel da parte di Bovet sconvolse i tempi di tutta la famiglia e solo dopo un periodo di caotica organizzazione, l’abilità di Filomena consentì il ripristino dei ritmi quotidiani. Bovet venne invitato dalle università e organizzazioni scientifiche di tutti i continenti. Con lui quasi sempre anche Filomena, nel ruolo di moglie, raramente in quello di scienziata.

Nonostante l’umiliazione Filomena mantenne ovunque il sorriso, rimanendo quasi sempre in silenzio durante le molte interviste a Bovet. Tuttavia in un incontro con dei giornalisti nel 1985 ammise con una certa ironia: “avendo sposato un genio, naturalmente ho fatto quello che fanno le donne, ho fatto tutto quello che serviva a lui per alleviargli la vita, Ma l’ho fatto con piacere”.

Dopo gli anni del successo, arrivarono gli anni della sofferenza. I Settanta furono contraddistinti prima dalla morte in un incidente stradale di Gian Paolo Nitti, il figlio maggiore di Filomena, e qualche tempo dopo dalla morte del secondo figlio, Francesco, per soffocamento durante un pasto. Seguì l’inizio della malattia con alti e bassi di Daniel Bovet che morì l’8 aprile 1992. Filomena affrontò il dolore raccogliendo tutte le testimonianze scientifiche che inviò all’Istituto Pasteur. Nel passato aveva già raccolto tutti i documenti del padre, Francesco Saverio Nitti, e della famiglia, consegnando il materiale alla Fondazione Einaudi a Torino. Lei che mai si era sentita solo una donna di scienza e anche senza praticare la politica attiva, mai se n’era distaccata del tutto, alla morte di Bovet ebbe l’impressione di non avere più nulla da dire.

Tanto più che l’Inail, l’Istituto fondato dal padre e dal quale lei e Daniel avevano affittato la casa romana di piazza Navona, consegnò alla ottantacinquenne Filomena lo sfratto. Davanti ad un presente doloroso, ed un futuro grigio, Filomena forse travolta da una forte depressione decise di andarsene.

Carola Vai nel libro ripercorre il cammino di una donna dalla volontà di acciaio, con un’esistenza influenzata da eventi storici come la realtà di milioni di persone. Una storia terminata bruscamente il 7 ottobre 1994 a Roma. Trent’anni dopo, nel 2024, il suo nome e cognome, Filomena Nitti, sono stati aggiunti nell’aula dell’Istituto Superiore di Sanità per decenni intitolata solo a Daniel Bovet. Un riconoscimento ufficiale ad una donna trascurata per decenni.

Il Libro del Mese. La Scelta dei Lettori

 

Il libro più discusso nel gruppo Un Libro Tira L’Altro Ovvero Il Passaparola Dei Libri nel mese di luglio è stato

Strani Disegni di Uketsu, un noir che parla il linguaggio del web, scritto da un misterioso streamer giapponese.

Letture per il mese di agosto, scelte dalla nostra redazione tra titoli e autori meno consueti.

E’ già uscito in Italia per Tunuè Un Anno Per Amarti, romanzo grafico di Gene Luen Yang e LeUyen Pham, vincitore alla recente edizione degli Eisner Award. Un libro che mette insieme il Capodanno lunare e San Valentino, due feste che spesso si sovrappongono, e usa questa coincidenza per parlare di amore, famiglia e delle difficoltà di chi cresce tra più culture.

 

L’Argine di Irene Solà (Mondadori), in libreria dal 26 agosto. Ada torna al suo villaggio dopo un soggiorno di tre anni a Londra, con l’intenzione di recuperare quel piccolo universo da cui era partita. Un romanzo composto dalla somma di piccole narrazioni che compongono il mosaico di un universo intimo e condiviso.

 

Infine, consigliamo ai nostri lettori di recuperare quanto più possibile i volumi editi da Logos Edizioni: la casa editrice specializzata in romanzi grafici di autori contemporanei italiani e internazionali ha annunciato l’imminente chiusura e non è probabile che il suo intero catalogo venga recuperato a breve.

 

Consigli per gli acquisti

 

Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione.

Siamo felici di segnalare il ritorno in libreria di Marina Manco che con Le Voci della Città (Bookabook 2025) dà finalmente un seguito all’apprezzato Alleria.

 

Chiara Albertini L’Amore Non Ascolta Il Tempo (Pontevecchio, 2025). Un romanzo che racconta la storia di due fratelli rimasti orfani di madre durante l’infanzia…Tra echi letterari musicali.

 

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste agli scrittori del momento: questo mese abbiamo scambiato due chiacchiere con Stefania Galardini, esordiente di Alba (Phasar, 2025) una particolare autobiografia spirituale che è anche un percorso di conoscenza e affermazione di se’; Sara Bruni che nel 2025 ha pubblicato L’Idea Di Te (Auto-pubblicazione, 2025), un romanzo, delicato ma potente, che offre una chiave per mettere in guardia chiunque dal pericolo di una relazione tossica.

 

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it