“C’era un odore, in quelle estati, che non ho mai più trovato altrove. L’odore così com’era non lo ricordo, ovviamente, e tuttavia accompagna la memoria di ogni singolo momento vissuto in quelle estati, io e mia sorella quell’odore lo abbiamo chiamato l’odore del sole”. Questo pezzo non è una recensione ma un consiglio di lettura all’insegna della nostalgia delle estati che furono e che non sono più. Quelle trascorse sulla stessa spiaggia e nello stesso mare, quelle che per noi torinesi iniziavano con la chiusura della Fiat e finivano con la riapertura dei cancelli a Mirafiori. Il libro da leggere in questo epilogo estivo è «Settembre nero» di Sandro Veronesi (La nave di Teseo). Non perché l’ultimo romanzo del due volte Premio Strega non sia adatto a tutte le stagioni ma perché nel raccontare l’estate deldodicenne Gigio Bellandi, Veronesi descrive le atmosfere, i colori, i suoni e gli odori che hanno segnato le estati di noi boomers.
Siamo nel 1972: la famiglia di Gigio lascia Vinci per trasferirsi a Fiumetto, in Versilia. Gigio è un ragazzino “che non sa ancora niente di niente”, vive in un mondo minuscolo, intento a coltivare passioni adolescenziali come ciclismo, automobilismo, calcio e scacchi. A vegliare sulla serenità sua e della sorellina Gilda, sono il padre avvocato penalista, uomo di “luminosa superficialità”, e l’affascinante madre irlandese. Gigio trascorre le sue giornate allo stabilimento balneare “Bagno Stella”, immerso nell’odore del sole. Un odore onnipresente e pervasivo, artificiale, chimico. Odore di plastica, di gomma, di nylon, di sapone e di shampoo. Odore di crema solare.
Per Gigio Bellandi l’estate del 1972 segna la scoperta della musica, del fumetto adulto (Linus, L’Eternauta) e del desiderio per Astel Raimondi, la ragazzina dalle treccine “nere come onice nera”. Mentre alle Olimpiadi di Monaco si consuma il massacro commesso dai terroristi palestinesi di Settembre Nero, anche nella vita di Gigio si abbatte una tragedia: la confessione del padre del tradimento con la vicina d’ombrellone (e madre di Astel) manda in frantumi la famiglia. Un romanzo di formazione, certo, un romanzo sul potere evocativo delle parole e su quello seduttivo e salvifico della lingua, ma soprattutto un racconto capace di restituirci una precisa fotografia di un’epoca perduta, quella delle estati italiane dagli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta, quando i consolidati copioni delle nostre abitudini vacanziereverranno rivoluzionate dai low cost e dalla globalizzazione. L’estate del ’72 di Gigio Bellandi era identica a quella di Jerry Calà e Marina Suma in quel “Sapore di mare” uscito nella sale nel 1983 ma che i Vanzina ambientarono nella Forte dei Marmi di vent’anni prima, immortalando nello stesso tempo una stagione passata e una contemporanea. Identica all’estate che stava finendo cantata dai Righeira nel 1985. Identica alle mie estati degli anni Ottanta. Trascorse prima sotto l’ombrellone di mia madre (sempre lo stesso ombrellone nella stessa fila della stessa spiaggia, con immancabile raccomandazione al bagnino di riservarla per l’anno dopo), leggendo “L’Uomo Ragno” e gli altri fumetti super-eroistici pubblicati in Italia dalla Corno; quindi con quelli della “compagnia”, il gruppo di amici ed amiche che si ritrovavano anno dopo anno con appuntamento fisso allo stesso posto e alla stessa ora per lo struscio serale sul lungomare. Per poi sciogliersiquando in “spiaggia di ombrelloni non ce ne sono più” (cit. Righeira) e l’odore del sole si trasformava solo in un ricordo.