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Abracabook | Book Party, il format nato alla Scuola Holden con Francesca Manfredi

In un’epoca fatta di notifiche, velocità e distrazioni continue, ritagliarsi un’ora di silenzio condiviso per leggere un libro è un gesto che ha qualcosa di poetico. E anche di profondamente politico. È questo lo spirito di Abracabook | Book Party, il format nato alla Scuola Holden, che in questo aprile ha riempito ancora una volta la sala grande del Circolo dei lettori a Torino, in compagnia della scrittrice Francesca Manfredi.

Il concept è semplice quanto potente: ciascunə porta il proprio libro, si siede su un cuscino colorato e legge, in silenzio, per circa un’ora. Poi si chiudono i libri e si apre un momento di dialogo libero e orizzontale, senza palchi, né scalette. Solo parole che nascono dall’ascolto.

Non solo un evento, ma un manifesto culturale

Da Manhattan al cuore delle città italiane

In un tempo che corre veloce, c’è chi sceglie di fermarsi. A Manhattan lo fanno nei Reading Rhythms, leggendo in silenzio tra sconosciuti. A Torino, succede nella sala grande del Circolo dei Lettori, tra cuscini colorati, libri aperti e parole condivise. Qui, grazie ad Abracabook, leggere insieme è diventato un gesto di comunità. E di controcorrenza dolce.

Ma di cosa stiamo parlando esattamente?

Per chi ancora non ne fosse a conoscenza, nel 2012 negli Usa nacquero i Silent Book Club come risposta alla iperconnessione. A Manhattan in particolare, con Reading Rhythms, il format è esploso nel 2023.

In questo ritorno all’essenziale e al piacere della lentezza e confronto letterario con dialogo e pagine da sfogliare, Abracabook ha molte affinità con l’esperienza americana appena citata.

Ma un tocco italiano viene aggiunto: la presenza di autori affermati o emergenti, resa possibile dalla Scuola Holden, storica fucina di narratori fondata da Alessandro Baricco.

Ma cos’è davvero Abracabook?

La nostra redazione, con l’inviata Cristina Taverniti, l’ha domandato direttamente ai suoi organizzatori, in particolare a Lorenzo Carnielo, project manager del progetto e anima dei book party, e a Francesca Manfredi, ospite dell’ultima edizione.

Book Party: quando leggere insieme diventa un atto rivoluzionario

Crediamo che, in un mondo sempre più frenetico e iperconnesso, fermarsi per aprire un libro sia un gesto rivoluzionario. La vera identità di Abracabook — come spesso accade quando c’è di mezzo un’urgenza collettiva — è venuta fuori agendo: abbiamo organizzato il primo book party e poi, un po’ alla volta, abbiamo definito il format. È tra un evento e l’altro, ascoltando, che ci siamo resi conto del cuore della faccenda: quanto sia fondamentale costruire e presidiare spazi offline, lenti, non performativi, dove ritagliarsi del tempo per leggere.”

Non solo lentezza: anche libertà, accessibilità, orizzontalità. “Un altro valore per noi fondamentale è l’assenza di gerarchie intellettuali”, aggiungono. “Senza nulla togliere ai contesti accademici, che in Italia sono forti e necessari, è importante avere spazi più informali dove confrontarsi sulla letteratura. Non a caso siamo tuttə sedutə per terra, su cuscini colorati: partecipanti e ospiti.”

Il legame con gli eventi americani e i tre desideri

Come già introdotto, Abracabook ha molte affinità con esperienze nate negli Stati Uniti negli ultimi anni. In particolare, con i Silent Book Club, nati nel 2012 a San Francisco, e con Reading Rhythms, incontri che ci hanno fatto sognare e desiderare anche oltreoceano.

Sì, quei movimenti sono stati per noi una grande ispirazione”, confermano gli organizzatori. “C’è un bisogno collettivo di spazi come questi, e stanno germogliando in tutto il mondo. Per noi è bellissimo, perché vuol dire che l’intuizione è giusta.”

C’è un tratto comune: la voglia di rallentare, di leggere insieme ma senza vincoli. Tuttavia, Abracabook si distingue per tre desideri unici o meglio tre regole non scritte:

  • Porta il libro che vuoi – dal classico al manga.

  • Nessun esperto in cattedra – l’ospite è una guida, non un professore.

  • Vietato vergognarsi – «Una volta una ragazza ha detto: “Non leggo da anni”. Eravamo tutti lì per lei» ricorda Carnielo.


“Per dirla in breve: ad Abracabook puoi chiacchierare con il tuo scrittore o la tua scrittrice preferitə, trovandolə sedutə sul cuscino davanti al tuo. Come se fossi con un amico al bar.”

Il Circolo dei lettori: cuore culturale a Torino e casa perfetta per Abracabook

Ospitare un evento come Abracabook | Book Party al Circolo dei lettori a Torino non è solo una scelta logistica: è una dichiarazione d’intenti.

Questo luogo, che si affaccia con elegante discrezione da Palazzo Graneri della Roccia, è molto più che uno spazio per la cultura.

È un simbolo della città, uno di quei rari luoghi capaci di far sentire chiunque – lettrici e lettori forti, ma anche semplici curiosi – parte di qualcosa.

Fondato a Torino nel 2006, progetto della Fondazione Circolo dei lettori, il Circolo (che oggi ha sedi anche a Novara e Verbania) è diventato negli anni un punto di riferimento imprescindibile per la vita culturale torinese. Accoglie ogni mese decine e decine di eventi – incontri con autori, festival, gruppi di lettura, cicli tematici, approfondimenti sul romanzo, la non fiction, pensieri sul presente e il mondo di oggi–diventando un rifugio per chi ama le parole ma anche per chi cerca ispirazione, confronto, bellezza.

La sua forza sta nella capacità di aprirsi: non è mai stato un luogo chiuso o elitario, ma una casa condivisa. È amato dai torinesi – e non solo da chi legge molto – proprio perché è accogliente, inclusivo, attraversabile. C’è chi entra per una chiacchiera, chi per un tè, chi per ascoltare, chi per raccontare. È uno spazio vivo, intergenerazionale, che ha saputo conquistarsi un posto speciale nel cuore della città.

Ecco perché l’incontro tra Abracabook e il Circolo è stato così naturale.

Il Book Party nell’era moderna in Italia

Chi partecipa ad Abracabook? Non solo lettori forti.

C’è chiunque. Ci sono lettorə compulsivə, persone che leggono per lavoro, ma anche chi ha ripreso in mano un libro dopo anni. Ci sono studentə, pensionatə, genitori, artistə, lavoratorə. Persone di tutte le età. La cosa più bella è che si crea un clima che permette a chiunque di sentirsi a suo agio. All’ultimo book party una persona ci ha detto ‘sembra di leggere mettendo più a fuoco le cose’. È bellissimo, ed è intergenerazionale.” Ci confermano i membri dell’organizzazione.

Chi partecipa porta con sé un libro, una storia, un punto di vista. C’è chi si porta il libro che sta leggendo, chi deve leggere per lavoro e lo fa con noi. L’autore o l’autrice che modera non ha il ruolo di esperto, ma di guida empatica. Perché di palchi ce ne sono tantissimi, soprattutto nella cultura; di luoghi orizzontali, non performativi, dove esprimersi secondo le proprie possibilità, no. E vanno costruiti.”

Un riferimento viene anche da un video virale in cui il poeta Edoardo Prati difendeva la libertà di leggere Dante “alla TikTok”:

Continuare a credere in una Cultura con la C maiuscola, con qualcuno degno di parlarne e qualcuno no, fa solo male alla cultura stessa. Ecco: noi aggiungiamo che tuttə devono anche avere il diritto di parlarne, di quell’emozione.”

E se dovessimo descrivere Abracabook in breve?

Un movimento culturale di Scuola Holden che crede nel potere rivoluzionario di pochi gesti semplicissimi: fermarsi, aprire un libro, leggerlo e parlarne.”

Ecco cosa è accaduto il 5 aprile a Torino. E cosa accadrà ancora a Torino e in Italia.

CRISTINA TAVERNITI

Donatella Taverna. “Leggende sugli antichi cammini”

Continua il “viaggio” della scrittrice-archeologa torinese alla ricerca delle antiche radici pre-romane del nostro Piemonte

Poche righe “rubate” all’introduzione del libro:“Forse per l’immagine che si pensa – accucciati a un focolare, vestiti di pelle, irsuti – gli uomini della preistoria e della protostoria stanno fermi: è opinione diffusa, ma errata. Erano genti in cammino e di questi cammini – lenti, non di una sola generazione, ma spesso di qualche persona speciale in avanguardia – si vedono ancora tracce”. Tracce che, da anni, ricerca e studia, con passione infinita, Donatella Taverna, scrittrice, giornalista e nota critica d’arte, importanti (e mai, per un attimo, dimenticati) studi di “Archeologia” alle spalle, sotto la guida, nell’Ateneo torinese, di Giorgio Gullini e di Antonio Invernizzi, nonché figlia del celebre scultore – allievo e collaboratore del Bistolfi  – Giovanni Taverna. Il suo è un lento percorrere, fra storie leggende e suggestive ricerche sul campo, strade di un passato ancora in gran parte avvolto nel mistero, se non del tutto obliato, lungo le quali trovare risposte “sotterranee” a realtà che hanno ancora tanto, ma proprio tanto, da raccontare e da svelare a noi “uomini dell’oggi”. Focus incentrato, in particolare, e ancora una volta, sulle antiche radici del nostro Piemonte, è di fresca uscita in libreria, sempre per i tipi della gloriosa “Atene del Canavese” (editrice fondata nel 2010 da Giampaolo Verga a San Giorgio Canavese e così denominata per omaggiare quella che è stata terra natia di tanti celebri intellettuali e uomini di cultura), la sua ultima “fatica” letteraria dal titolo ben esplicito – come da introduzione – di “Leggende sugli antichi cammini”.

Sottolinea Donatella: “Il libro continua la serie dei miei scritti sulle tradizioni popolari piemontesi, riprendendo un discorso che viene da lontano”. E che ha già visto la pubblicazione di svariate opere incentrate sull’argomento. Quattro capitoli, un’ottantina di pagine intense e ricche di avvincenti “leggende – verità” legate fra loro da un unico rigoroso fil rouge“Che – spiega ancora l’autrice – é la trasformazione di un antico sapere atavico attraverso metafore successive, spesso tradotte in temi religiosi, che descrivono esperienze ancestrali remote nel tempo. Nelle narrazioni qualcosa di incontrollabile dall’uomo avrebbe modificato la terra in modi diversi (la pioggia di fuoco, il diluvio, la caduta di grandi meteoriti, il vulcanesimo). Sempre lo si è attribuito alla divinità, alla grande dea madre nera sumerica ‘Tiamat’ fino agli arcangeli, o alla punizione divina contro gli uomini. Questi ultimi, benché in tempi remotissimi e a più riprese, si sono messi in cammino spostandosi, a seconda delle necessità di sopravvivenza, verso Occidente, ed hanno portato con sé la narrazione di eventi terribili, di volta in volta modificata e trasfigurata, ma con un comune denominatore. Quello assunto da una di queste narrazioni in una veste semitica prima e cristiana poi è riflesso in San Michele. Nel suo culto il percorso è più chiaramente identificabile perché cristianizzato”.

E all’Arcangelo Michele, sempre raffigurato e rappresentato in forma di guerriero con la spada sguainata e ricordato per aver difeso la fede in Dio contro le orde di Satana, il libro dedica una particolare attenzione (oltreché l’immagine di copertina in cui l’illustrazione della “Sacra”, pilastro del culto micaelico in Piemonte, viene intelligentemente “frantumata” nelle sue parti più emblematiche e significative dalla pittrice Luisa Porporato) anche perché “accosta esperienze lontane a mondi più vicini, dalla cristianizzazione alla forte presenza bizantina in Piemonte e ad una comunanza culturale della regione più con l’area borgognona e provenzale, che con la cultura del resto d’Italia”. Curiosa, “pazza” (dice Donatella”) “novità” del libro, due sue poesie “che fanno parte di una lunga serie scritta , prima in italiano (i miei primi versi sono stati pubblicati da Teresio Rovere quando avevo otto anni), poi in un ‘mistilinguismo’ che in quanto cresciuta in un contesto di cultura con versanti anche provenzali, trovavo anche interessante tecnicamente e infine in francese”… Au peril de la mer, toi, Saint Michel/garde les ames pieuses chancelantes … E, invece, non novità ma piacevole consuetudine, l’abbinamento delle parole, del racconto a varie illustrazioni a tema, opera di artisti amici: dal “Remember” di Sandro Cherchi, a “La Bella Addormentata” di Pippo Leocata (“immagine della montagna che sorgeva dietro una tenuta dei miei antenati in cui il nome di famiglia, una generazione sì e una no, era proprio ‘Michele’”), fino a “La nuotatrice” di Elisabetta Viarengo Miniottti e a “La Sacra” di Tino Aime.

Donatella mi mostra il suo ultimo libro e già, butta lì qualche idea sul prossimo. “Ora in pentola bolle … una ‘pietra nera’ (!?) che dimostrerà ancora di più come tutte le civiltà, dalla Mesopotamia in qua, abbiano una radice comune, trasformandosi in più aspetti anche antropomorfi … con l’editore abbiamo poi il sogno di un lavoro sull’amore per l’‘Ideale’ (come Dante per Beatrice) ma ancora una volta in una versione che parte, prima di Dante, dal Piemonte”. Suspense! Assolutamente vietato “spoilerare” in anticipo. Restiamo in fiduciosa attesa. Brava, Donatella!

Donatella Taverna“Leggende sugli antichi cammini”, “Atene del Canavese”

Per infowww.atenedelcanavese.it//donatellataverna

Gianni Milani

Nelle foto: Cover “Leggende sugli antichi cammini”; Donatella Taverna; Illustrazioni: Tino Aime “La Sacra” e Pippo Leocata “La Bella Addormentata”

“Non solo emozioni: ti racconto”. Il nuovo libro di Marisa Pratico’

Marisa Pratico’, Dermatologa e gia’ autrice di numerosi articoli ed un libro che illustra protocolli e casi clinici “PRPePRF in Tricologia” ricalca nuovamente la scena editoriale, ma questa volta si racconta attraverso  un romanzo che parla di fede, malattie e guarigione.


Una narrazione che e’ anche una testimonianza della tangibile presenza di Dio incontrata nel sorprendente cammino della vita; storie che si colorano di speranza e che trovano risposte sia nella terapia che nella fede.
“Non solo emozioni: ti racconto” edito da Officina Editoriale Oltrarno.

Clelia Ventimiglia

Il senso del racconto ne “Il seggio del peccato” di Travaglini

 

Di solito, quando scelgo un libro di narrativa, scelgo un romanzo, sono più coinvolta dallo sviluppo della trama ed è più forte lo stimolo a procedere nella lettura, per vedere come va a finire. Ma devo ammettere che, se uno scrittore è bravo, e Marco Travaglini lo è, sa fare di ogni racconto un breve romanzo, strutturando la narrazione. Confesso che a me, che amo scrivere, risulterebbe difficile. Mi chiedo anche, considerando che ogni racconto si conclude con un finale definitivo, che cosa spinge il lettore a passare al secondo racconto, al terzo e così via fino al ventisettesimo, leggendo con curiosità e piacere le 135 pagine del libro. Nella lettura de Il seggio del peccato lo stimolo a procedere permane vivo soprattutto per la scrittura, la ricchezza del linguaggio, il periodare lineare in descrizioni partecipate di luoghi vissuti o anche solo indagati, in cui si ambientano vicende significative, con risvolti spesso comici. E’ una scrittura comunicativa che fa intuire e quasi avvertire la  fatica e gli  umori della terra lavorata, ma anche l’ aria di festa, l’intensità degli aromi di  una cucina antica, l’ombra del bosco, l’odore dell’acqua dei laghi e quello invitante della  frittura di pesce. L’atmosfera ruvida delle osterie, con l’immancabile bicchiere di vino, il gioco delle carte, e l’ansia delle donne, le prime operaie, attente alla spesa nel negozio del paese, dove si segnava sul libretto in attesa di aggiustare i conti con la paga. Era nero il quaderno di Amelia, incanutita precocemente, che “quel pane amaro con la fatica e il sudore come companatico se l’era guadagnato per intero, dal giorno in cui aveva compiuto undici anni, varcando il cancello dello stabilimento”. Lo aggiornava puntualmente con cifre e annotazioni relative agli acquisti, tanto che le operaie che dipendevano da lei, maestra nel cotonificio, pensavano fosse un romanzo che forse avrebbe condiviso con loro. Sono tante e diverse le persone di cui Marco scrive, ricordano un po’ la poliedrica umanità di Piero Chiara, sbirciata da un immaginario buco dal quale scruta quella gente attiva che lotta e tira avanti. Ma c’è, a mio avviso, un collante, quasi un filo invisibile, che accomuna personaggi diversi anche come estrazione sociale, e un po’ fuori dagli schemi ortodossi; nessuno tra loro può considerarsi un vinto nella zuffa della vita, al contrario, in un dopoguerra difficile, si danno da fare, sfruttando le capacità di cui sono dotati, il buon senso della gente comune e, se architettano qualche progetto più ardito che si rivela fallimentare, si giustificano con l’eloquente verità dei luoghi comuni, il pensiero filosofico di quel tempo. Prendiamo ad esempio il signor Anacleto che “abitava a Torino, in pieno centro storico…nel Palazzo Bertalazone di San Fermo, che a suo dire l’aveva affascinato dal primo istante…Quell’ aria di nobiltà un poco demodè era perfetta per un uomo di mezza età che vestiva con eleganza”.

Clara Cipollina

Era un modesto falsario, più che altro dedito alla contraffazione di documenti. Giustificava così la tentazione di esercitarsi in un’attività commerciale che risultò fallimentare: “la truffa è necessaria al buon mercante quanto la lucidatura al vasellame di scarsa qualità” e ancora “un uomo non diventa ricco senza truffare; un cavallo non diventa grasso senza rubare il fieno agli altri”. Persino il maresciallo che compare ne Il seggio del peccato, vista la sua posizione critica fece finta di non sentire e di non vedere, sposando la filosofia del vivi e lascia vivere, “che in un piccolo paese toglieva di dosso un sacco di problemi”. A quest’umanità sognare era permesso, senza volare troppo in alto. Si può coltivare anche nella vecchiaia la passione del ballo ed accettare di essere applauditi come Fred e Ginger di periferia, con l’impaccio dell’età, basta sostituire, tacchi e decolté con delle Superga impreziosite da lustrini, del resto “che cos’è la bellezza se non una delicata espressione del meglio che possa inquadrare uno sguardo, della leggera ebbrezza che regala un gesto di così rara raffinatezza come può esserlo un volteggio, un casquè. Un passo doppio perfettamente eseguito..”. E c’è chi un sogno lo realizza, senza che l’abbia coltivato, come Quinto Paravia che, scelto a fare la comparsa nel film La banca di Monate, scopre Piero Chiara e se ne innamora. Lui, cameriere di sala in un albergo di Orta, dopo un provvisorio e movimentato ingresso nel mondo dello spettacolo, si convinse di aver recitato come un vero attore, grazie al gridare di un suo amico, ignaro di trovarsi in un set cinematografico, allestito un po’alla chetichella nella piazza di Omegna.Vide Quinto con la pistola in mano e costernato lo richiamò a gran voce “Quinto ti se diventà matt, molla l’arma cristianit…se rivan i carabinieri i te sbatan in galera”. In tanti altri racconti la comicità nasce dall’ambiguità di una situazione , o di una frase, o più semplicemente dal doppio significato di una parola, e il riso nel lettore scaturisce spontaneo, perché l’autore è bravo nel sorprenderlo, cambiando lo stile della narrazione. Anche in racconti che iniziano con la descrizione di fatti storici importanti e ben documentati, come quello che ha per titolo Il sigaro del signor Brusa, la conclusione può essere imprevedibilmente costituita da un episodio comico che induce chi legge a domandarsi se quel cognome era il segno di un destino. Quando, però, la macrostoria impatta drasticamente con la vita di piccoli paesi di montagna, un po’ isolati, chi vi abita vive anni difficili. Come Alvaro, contadino povero del Canavese che sfugge al piombo austriaco, viene ferito ma riesce a tornare alla sua terra, alternando rare tradotte a marce estenuanti, e vi trova rovine e miseria, i suoi sono morti, la cascina è in pessime condizioni, il terreno sta andando in malora”. Prima di allora quella terra intorno a Pavone era generosa, ora sembrava “impestata da una maledizione che l’ha resa micragnosa e dura come pietra con quelle zolle che resistevano alla zappa come quelle teste chiodate di crucchi dalle Dolomiti al Carso”. In questo racconto Travaglini sceglie parole con un assonanza spigolosa, un anteprima che prepara il lettore a comprendere una realtà dolorosa. Alvaro, evitando scoramento e disperazione, dissoda, semina e raccoglie un sacco di patate, cerca di venderlo a Bairo ma è accolto da un gruppo di tirapietre. Il campanilismo era diventato rivalità. Quelli di Foglizzo, i mangia rane, non andavano d’accordo con gli “zingari” di San Giusto Canavese e i dondola gambe, i fannulloni di Rivarolo, erano ostili ai gavasson di Ozegna mentre i più rispettati erano gli strasa papè perché un loro avo aveva coraggiosamente strappato una carta notarile in faccia ad un notaio avido e disonesto che ingannava i contadini analfabeti e incapaci a far di conto. Alvaro inviso ai più, fu accolto a sassate come un forestiero da quelli che ridevano come pazzi e gridavano “A l’è bianc come  la coa del merlo”, felici d’averlo impaurito e costretto alla fuga.

La guerra aveva incattivito la gente che doveva lottare per sopravvivere, e Alvaro a testa bassa continuò la sua lotta con quella terra “che lo strizzava come un cencio , rubandogli fino all’ultima stilla di sudore”. Un giorno, senza che minimamente lo prevedesse , nel suo cammino, si insinua, quello che gli studiosi di biografie definiscono tecnicamente un modificatore esistenziale. Per Alvaro, più semplicemente, si chiama Giovannino Bedini, anch’egli contadino, proprietario di un po’ di terra. Lo incontra al mercato di Ivrea, capisce che potrebbero aiutarsi e concretizza la sua intuizione organizzando quello che oggi chiamano briefing o incontro d’azienda, al tavolo di un’osteria davanti ad un mezzino di vino. Fu la vigna a far scattare l’idea e da questo punto la narrazione procede più leggera, la terra è percepita un po’ meno amara. I lavori impegnano i due in tutte le stagioni. Potature, innesti, taglio di tralci, e aratura tra i filari, e poi l’uva, la vendemmia, e la cantina, il mosto fermenta, il vino dell’anno prima si imbottiglia, l’entusiasmo di Giovannino, i dubbi taciuti di Alvaro. L’uva diventa vino, con tanto di etichetta dove la scritta in blu recita Rosso generoso, che non sarà molto apprezzato dagli intenditori, ma è un vinello fresco e giovane, e il “prezzo è da osteria”. Il racconto, iniziato in bianco e nero, si colora in quest’ultima parte con il sodalizio tra i due che continua, permettendo loro di mettere insieme il pranzo con la cena e persino di risparmiare qualche soldo da mettere in cascina. Per  quei tempi si può considerare un lieto fine. E’ solo un esempio di scrittura perché sono tante le idee, i ricordi, le suggestioni sollecitate dalla lettura di questi racconti che non si finirebbe mai di scriverne e che vedrei molto bene in un’antologia scolastica. Un altro protagonista del libro è il territorio, mappato dall’autore con la meticolosa attenzione del giornalista, attento al dove, al quando, al chi e al perché. In queste pagine c’è il senso del viaggio o meglio l’itineranza di chi scrive, così che leggendolo a me è sembrato di viaggiare con l’autore nel Piemonte, regione dove vivo ma che non ho calpestato, abitando in quella alle spalle della Liguria. Viaggio in quel Regno di Sardegna, sul cui confine aveva operato per tanti anni a dirimere controversie, sempre ostacolato a sua volta dagli ingegneri savoiardi, il cartografo Matteo Vinzoni, oggetto della mia tesi di laurea e di altri studi, stipendiato della Serenissima. Il territorio, quindi, indagato anche in questi racconti nel suo essere paesaggio, dove la morfologia è determinata dalla gente che lo abita e della quale forgia il carattere. Tutto in un rapporto di interdipendenza tra uomo e ambiente. Quelle din Marco Travaglini nel suo Il seggio del peccato sono vicende ambientate in grandi agglomerati urbani come Torino, Milano o Genova, meta di una gita turistica, così come la Valle d’Aosta, la Luino di Piero Chiara e le terre dell’autore ( oggi torinese d’adozione) tra i laghi Maggiore e d’Orta o la val Formazza. E poi una miriade di microcosmi, quei paesi contadini che coltivano la tradizione come nel caso, per citarne uno, di Casalborgone con la sagra del pisello e un’incredibile gara di trattori, o la cucina della festa del coregone ad Azeglio, o il Canavese di sua moglie Barbara. In definitiva è un libro che merita di essere letto perché riserverà sorprese piacevoli oltre alla ricchezza di spunti, curiosità, ricostruzioni di antiche tradizioni e motti popolari. Infine, come giustamente scrive l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino nella sua introduzione, “c’è una vena ironica che attraversa tutti i racconti, leggerezza e profondità al medesimo tempo, la scrittura è scorrevole e la lettura molto piacevole. In fondo, cosa si può chiedere di più ad un racconto?”.

Clara Cipollina, scrittrice

 

Alessia Di Palma: “Una goccia nell’anima”, chi siamo di fronte al destino e alla natura

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Ciao a tutti, mi chiamo Alessia Di Palma e sono una scrittrice.

Ho iniziato da quando avevo 12 anni, ma era più un hobby e non ero consapevole dell’intero mondo letterario. A sedici anni, poco dopo la morte di mia nonna, un amico di famiglia mi aiutò a pubblicare il mio primo racconto “Ilaria Aiken” con la sua casa editrice.

La morte di mia nonna è stata molto significativa e di impatto anche sul mio lato da scrittrice, in quanto ha segnato una maturità repentina. Da quel momento, e anche grazie al mio insegnante di storia delle superiori, mi sono approcciata al genere storico fiction. Da qui sono nati, “Vivere Intensamente”, “Cuore e Mente” e “Una goccia nell’anima” e altri che ho ancora nell’archivio del mio computer. I primi due sono stati autopubblicati con Amazon, mentre il terzo è appena stato edito dalla casa editrice Monnalisa.

“Una goccia nell’anima” è il primo romanzo che concretizza le mie radici inglesi.

La trama

Dicembre 2004

Luton Mess, un appassionato di fotografia, parte per una vacanza con i suoi amici Tyler Jones e Aida Skies. Destinazione: la Thailandia, terra paradisiaca dove il blu dell’oceano incontra il bianco delle spiagge e l’azzurro del cielo.

Scenario perfetto per far sbocciare l’amore con una bellissima ragazza thailandese, Suyenne, che gli farà scoprire lati del suo carattere che non aveva mai saputo di avere.

Ma qualcosa è in agguato, qualcosa che è fuori dal nostro controllo, qualcosa che mette in chiaro la nostra impotenza di fronte al destino e alla natura.

 

Sono attiva sia su Facebook (Alessia Di Palma Autrice/L’angolo di Alessia) che su Instagram (a_writer_in_london). I libri sono acquistabili su Amazon sia in versione cartacea che ebook.

Ivan Leonardo Velardi: come ritrovare quel Legame Divino che abbiamo fin dalla nascita

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“Ho voluto affrontare argomenti delicati in maniera semplice ed accessibile a tutti, al fine di offrire una lettura piacevole e lasciare al lettore spunti di riflessione e la possibilità di sviluppare una propria idea sulle varie tematiche della vita”.

Ivan Leonardo Velardi nasce a Petralia Soprana, un borgo caratteristico in provincia di Palermo. Il suo desiderio di trovare delle risposte agli eventi della vita (anche quelli più brutti) lo porta ad avvicinarsi al mondo degli Angeli, fin quando una notte ha un incontro con un “Essere di Luce” , che dà una svolta alla sua vita.

Ad Ottobre del 2024 esce il suo primo libro “L’Essenza Divina che vive dentro noi”, dove attraverso storie vissute ed esercizi pratici ci mostra come ritrovare quel legame intimo con Dio che tutti noi abbiamo fin dalla nascita.

Il testo sta attirando molta attenzione, anche da parte di alcuni personaggi famosi della tv come Rosanna Lambertucci, tanto da dedicargli un post sui suoi canali social, elogiando il suo lavoro presso una casa di riposo.

Proprio la sua attività lavorativa gli permette di stare quotidianamente a contatto con persone che soffrono o che hanno terminato la loro esperienza terrena. Non a caso uno dei capitoli più interessanti è quello legato alla malattia e alla morte, dove Velardi ci racconta come viene vissuta all’interno della struttura ma soprattutto il senso di pace e serenità che hanno alcuni anziani giunti alla fine dei loro giorni.

“Ho voluto affrontare argomenti delicati in maniera semplice ed accessibile a tutti, al fine di offrire una lettura piacevole e lasciare al lettore spunti di riflessione e la possibilità di sviluppare una propria idea sulle varie tematiche della vita”.

Il testo può essere acquistato su Amazon cliccando sul link https://bit.ly/3Zc46c5

Per chi volesse interagire direttamente con lui, può farlo attraverso la sua mail personale (ivanvelardi25@gmail.com); oppure tramite la sua pagina ufficiale di facebook https://www.facebook.com/share/15iik187GW/ , dove tra le tante cose si potrà richiedere gratuitamente una sessione pratica sugli esercizi proposti da svolgere in presenza.

 

Sant Jordi 2025. Torna a Bardonecchia la Festa del Libro

Tra gli ospiti Andrea Bouchard, autore del libro “Fuochi d’artificio”, da cui è tratta la serie in onda su Rai Uno.

Appuntamenti con autori, incontri con le scuole, gruppi di lettura ed anche un Tè letterario. L’Amministrazione Comunale di Bardonecchia conferma il suo impegno per la diffusione dei libri e della lettura e, con la Biblioteca Civica, organizza la seconda edizione di Sant Jordi, Festa del Libro e delle rose.

Dal 14 al 16 aprile sono, quindi, in programma incontri con le scuole di Bardonecchia, dall’infanzia all’Istituto Frejus. I bambini ed i ragazzi avranno l’opportunità di conoscere diversi autori e confrontarsi con loro su più tematiche.

Il 18 aprile, alle 21, in Biblioteca si terrà l’appuntamento “La Veille. Storie vere delle Alte Valli” con Francois Beaume, scrittore francese ed artista, ed il giornalista Quentin Raverdy, per raccontare ed ascoltare storie ed aneddoti realmente accaduti, storie personali, della propria famiglia e della tradizione.

Il 23 aprile, alle 16, al Palazzo delle Feste, è in programma, invece, il gruppo di lettura “Tè letterario – Suggerimenti di lettura al sapore di rosa”.

A chiudere la rassegna, il 24 aprile, alle 21, l’incontro con Andrea Bouchard, autore del libro “Fuochi d’artificio”, da cui è tratta la serie di Susanna Nicchiarelli, in gran parte girata nei territori della Val di Susa, in onda su Rai 1 i prossimi 15,22 e 25 aprile.

“La Settimana del Libro, organizzata dal Comune e dalla Biblioteca Civica di Bardonecchia, è una bella occasione per coinvolgere le persone, di ogni età, al rapporto con la lettura” commenta l’assessore con delega al culto del bello e del benessere Maria Teresa Vivino.

“In occasione della Festa di Sant Jordi, festa del libro per eccellenza – prosegue – ci saranno, infatti, numerosi incontri con autori per i bambini ed i ragazzi delle scuole, oltre a molti appuntamenti per i più grandi. E la ricchissima settimana si concluderà il 24 aprile, alle 21, al Palazzo delle Feste, con l’incontro con Andrea Bouchard, autore del libro, che ha dato vita alla serie televisiva ‘Fuochi d’artificio’, in onda su Rai 1 proprio in queste settimane. Benessere è anche lettura, prendersi del tempo per sé – conclude l’assessore Vivino – speriamo di accogliere tante persone alla nostra Settimana di Sant Jordi”.

 

“Il Diamante” di Ezio Granese: ogni parola nasce da un’emozione vissuta

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La scrittura, insieme alla musica, è stata il mio rifugio, uno sfogo, uno strumento per attraversare il dolore, per assaporare le passioni, per gustare gli attimi e accendere piccole luci nella notte dell’anima. Un diamante, dopotutto, nasce sotto pressione. E io ho cercato di restituire, in queste pagine, la bellezza che può nascere anche dalla fatica di vivere, dal turbamento e dallo sconvolgimento che la realtà può portare nella vita di ciascuno.

L’autore

Mi chiamo Ezio Granese, sono nato a Napoli il 31 luglio 1980. Sebbene la mia formazione sia tecnica – sono laureato in Ingegneria Gestionale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II – il mio cuore ha sempre battuto per l’arte. Sin da bambino e ragazzo, la musica e la scrittura sono stati i miei rifugi, le mie vie di espressione più autentiche. Suonare il pianoforte e scrivere mi hanno permesso di esplorare il mondo interiore, di dare voce a emozioni, pensieri e visioni che altrimenti sarebbero rimasti imprigionati dentro di me. Scrivere per me è un viaggio, un’esplorazione continua di ciò che siamo e di ciò che potremmo diventare.

Vita privata, scrittura, poesie

C’è moltissimo della mia vita nelle mie poesie. Ogni parola nasce da un’emozione vissuta, da un momento che ha lasciato il segno, da un incontro che ha cambiato qualcosa dentro di me. Il Diamante è, in fondo, un diario dell’anima: parla di crescita, di bellezza e di fragilità, di ferite e rinascite, di tutto ciò che ci modella e ci rende unici.

Scrivo ciò che sento, ciò che mi attraversa. Le mie esperienze, i miei sogni, i miei dolori e le mie speranze abitano i miei versi. Eppure, allo stesso tempo, ogni poesia non appartiene solo a me: chiunque può ritrovarsi in questi versi, perché le emozioni sono universali, perché il viaggio interiore è qualcosa che tocca ognuno di noi.

Il Diamante”: cosa significa

Ho scelto Il Diamante come titolo perché questa pietra preziosa è una metafora perfetta della vita e dell’anima. Il diamante nasce da pressioni immense, si forma lentamente nelle profondità della terra e solo attraverso il tempo e il lavoro di mani esperte rivela la sua luce. Così siamo noi: le difficoltà ci plasmano, le esperienze ci scolpiscono, e solo chi ha il coraggio di guardarsi dentro riesce a scoprire la propria luce.

Nel libro tratto temi fondamentali come l’amore in tutte le sue forme, la ricerca di senso, la crescita interiore, il dolore della perdita, la speranza della rinascita. È una raccolta di poesie che vuole accompagnare il lettore in un viaggio dentro sé stesso, tra le mille sfaccettature dell’esistenza.

“Il Diamante” è nato in silenzio, nel tempo, cresciuto dentro di me con forza e pazienza, come una nota che vibra nell’anima prima ancora di toccare i tasti del pianoforte o la punta della penna.

È venuto alla luce lentamente, poco alla volta, ascoltando il suono dei miei pensieri, dei miei ricordi, delle emozioni che bussavano da tempo, chiedendo di essere accolte.

L’ho scritto per bisogno, ma anche per amore: per dare voce a ciò che molto spesso tace, per vestire di versi quello che le parole comuni non riescono a dire.

Ogni poesia è un pezzo di me, una faccia del mio personale diamante, una nota, un respiro, un battito che mi ha fatto e mi fa sentire vivo.

La scrittura, insieme alla musica, è stata il mio rifugio, uno sfogo, uno strumento per attraversare il dolore, per assaporare le passioni, per gustare gli attimi e accendere piccole luci nella notte dell’anima. Un diamante, dopotutto, nasce sotto pressione. E io ho cercato di restituire, in queste pagine, la bellezza che può nascere anche dalla fatica di vivere, dal turbamento e dallo sconvolgimento che la realtà può portare nella vita di ciascuno.

Fonti di ispirazione

Mi hanno sempre affascinato gli autori che sanno toccare il cuore con la semplicità e la profondità delle loro parole. La dolcezza dei versi di Prévert, la passione intensa di Neruda, la profondità e il dolore trasformato in bellezza di Alda Merini… sono tutte influenze che, in qualche modo, hanno lasciato un’impronta nel mio modo di scrivere.

Il legame tra musica e poesia

Per me la musica e la scrittura sono due linguaggi della stessa anima. Spesso, quando scrivo, immagino le mie parole accompagnate dal suono di un pianoforte. La musica amplifica le emozioni, dà ritmo ai pensieri, trasforma le immagini in suoni.

Molte delle poesie de Il Diamante nascono quasi come delle melodie, hanno un loro respiro, un loro tempo. Così come le note possono creare armonie o dissonanze, anche i versi possono trasmettere quiete o inquietudine, gioia o nostalgia. Per questo credo che leggere una poesia e ascoltare un brano musicale siano esperienze molto simili: entrambe parlano direttamente al cuore, senza bisogno di spiegazioni.

Perché acquistare “Il Diamante”

Perché è un libro che non si limita a essere letto, ma si sente. È un viaggio dentro le emozioni, dentro la bellezza e le difficoltà della vita.

Se non lo avessi scritto, credo che mi colpirebbe proprio questo: la sua capacità di raccontare qualcosa di profondo in modo semplice, diretto, senza filtri. Mi piacerebbe sfogliarlo e trovarci dentro frammenti di me stesso, delle mie esperienze, dei miei sogni e delle mie paure. Il Diamante è un libro che non dà risposte, ma apre porte, invita a guardarsi dentro, a riflettere, a sentire.

Prossimi obiettivi e opere

Dopo Il Diamante, che sarà il primo volume di una trilogia poetica intitolata “Le Gemme dell’Anima”, il viaggio continua. Sto lavorando a un’altra raccolta di poesie, Sussurri del tempo e a Le Forme dell’Amore, il mio primo romanzo, che esplorerà il confine tra passione e realtà, tra ciò che desideriamo e ciò che scegliamo. Questo titolo sarà anche una poesia e una canzone della quale ho scritto musica e parole.

Inoltre, continuerò a esplorare il legame tra poesia e musica. Ho in mente progetti che uniscano questi due mondi, perché credo che l’arte, in tutte le sue forme, debba dialogare e contaminarsi. La poesia può diventare musica, la musica può ispirare poesia. E io voglio continuare a lasciarmi guidare da entrambe, senza smettere mai di cercare.

Un messaggio per i Giovani

Vorrei dire loro di non avere paura di sentire e di mettere a nudo le proprie emozioni. Di vivere, a pieno, davvero, anche quando fa male, anche quando sembra tutto confuso, fragile, inutile.

Ogni passo, anche quello più incerto, è parte del cammino. E ogni emozione, se accolta, può diventare seme di bellezza.

Il mio augurio per i giovani è quello di imparare a essere capaci di cercarsi, di scoprirsi, di scegliersi ogni giorno, e di non perdere mai la capacità di sognare.

Mi piacerebbe che questo libro diventasse per loro una carezza nei momenti difficili, un invito a restare fedeli a sé stessi, a non temere la profondità, ma anche uno stimolo a riconnettersi con la realtà in un mondo sempre più artificiale, freddo, che ci nasconde dietro profili, schermi snaturando a poco a poco le parti più autentiche dell’essere umano.

Perché anche nel buio, anche nel caos, c’è una melodia che ci appartiene, basta solo imparare ad ascoltarla.

 

BIOGRAFIA

 Ezio Granese è nato a Napoli il 31/07/1980. Nonostante la formazione scientifica (laureato in Ingegneria Gestionale c/o l’Università degli studi di Napoli Federico II), ha sempre mantenuta viva la sua vena artistica più intima dedicandosi allo studio della musica, del pianoforte in particolare, e alla scrittura. Libero ricercatore e divulgatore spirituale, si occupa tra le altre cose di mindfulness, meditazione e spiritualità completando una personalità eclettica, dai molteplici interessi e dalle diverse sfaccettature.

Ha da poco pubblicato la sua prima opera, la raccolta di pensieri e poesie “IL DIAMANTE”, primo capitolo di una annunciata trilogia intitolata “Le Gemme dell’anima”, che vuole rappresentare un viaggio di evoluzione e crescita personale tra poesia, riflessioni e introspezione.

Un mondo incantato, delicato ma forte e profondo, raccontato con uno stile semplice ed evocativo, esplorando temi come amore, famiglia, legami, separazioni e distanze, parlando del rapporto con il tempo, con il buio, con il silenzio e di come queste tre componenti, lasciate libere di agire, possano creare qualcosa di prezioso e lucente. Un invito a farsi creatori dei propri giorni con speranza e fiducia, coltivando passioni e amori come pietre preziose con cui adornare la propria vita.

 

Book trailer IL DIAMANTE

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“Nulla materno”, dal lutto un percorso per capire il rapporto madri-figlie

La ricostruzione di una storia taciuta, per riempire post mortem il nulla che ha caratterizzato la vita di una madre. Esce in Italia il romanzo d’esordio di Christine Vescoli
Cosa succede quando una figlia si accorge, con la morte della propria madre, di non sapere nulla della vita della persona che l’ha messa al mondo? È la premessa del primo romanzo di Christine Vescoli, Nulla materno, pubblicato in lingua tedesca nel 2024 e arrivato ora in Italia, dopo il successo di pubblico e critica riscosso in Germania e Austria, per la collana TravenBooks di Edizioni Alphabeta Verlag.
Il romanzo, reso in italiano dalla traduttrice torinese Cristina Vezzaro, parte dalla necessità della protagonista di elaborare il lutto della madre e affronta il tema del rapporto intergenerazionale fra madri e figlie, inserendo le vicende familiari in un contesto storico, quello del Sudtirolo della prima metà del Novecento, una terra segnata dalla miseria e dell’atavica legge del “maso chiuso” e della servitù agricola.
Il “nulla materno” non è solo la scomparsa fisica, ma il silenzio di una madre che, ancora in vita, preferisce stendere sul proprio passato una coltre di reticenza, tra racconti frammentati e domande che rimangono senza risposta, costringendo la figlia ad andare in cerca delle sue tracce nei luoghi che l’hanno vista crescere e tra rari e ingialliti documenti fotografici. Laddove quel “nulla” viene sovente colmato con ipotesi, congetture, testimonianze a mezza voce. Emerge così la storia di una famiglia attraverso le sue generazioni e di una donna che, ancora bambina, viene allontanata dal proprio nucleo familiare per prestare servizio presso un maso – tipica proprietà fondiaria del Tirolo oggi preservata nella sua forma di azienda agricola a conduzione familiare – in qualità di serva. Una condizione riconosciuta e accettata dalla bambina, che non pone domande, non cerca spiegazioni, non mette in dubbio le scelte dei genitori. Con uno stile che trasforma a tratti la prosa in vera poesia, attraverso l’opera di Christine Vescoli è possibile così ricostruire la vita contadina nelle valli dell’Alto Adige e il mondo feudale del “maso chiuso”, e la storia di un’intera comunità: l’annessione all’Italia, l’arrivo prima del fascismo e poi del nazismo, fino ai nostri giorni.
 
L’autrice
Christine Vescoli (Bolzano, 1969), ha svolto studi in Germanistica e Storia dell’Arte all’Università di Vienna, laureandosi con una tesi su Robert Walser. Attualmente è insegnante di liceo, editor e pubblicista. Si occupa, tra l’altro, di critica letteraria per la “Neue Südtiroler Tageszeitung”. Dal 2009 è direttrice dell’associazione Literatur Lana, per cui dirige la rivista “Adligat”, nonché curatrice dei Literaturtage Lana, la più prestigiosa rassegna letteraria internazionale in Alto Adige/Südtirol. Mutternichts (Nulla materno) è il suo sorprendente esordio letterario, segnato da uno straordinario successo di pubblico e critica in Austria e Germania. Uscito all’inizio del 2024, dopo appena tre mesi andava già in ristampa.
Recensioni
«Il romanzo d’esordio di Christine Vescoli, scrittrice bolzanina di madrelingua tedesca, si colloca nell’ampio novero dei memoir che interrogano il rapporto madre-figlia, ma lo fa dalla specola delle Alpi più remote del Sudtirolo premoderno, dove a fame e povertà si univa il gelo di una terra inclemente.» (Il manifesto)
«Il nulla appare come un destino comune a tante donne. È un libro straordinariamente intenso quello della Vescoli» (Alto Adige)
«Vescoli si fa strada a tentoni, con sensibilità e delicatezza, tra i reperti della vita di sua madre. Un racconto più che notevole, anzi, profondamente impressionante; un vo lume “di peso”, solo esteriormente sottile» (Der Standard)
«Meraviglioso, sorprendente, coraggioso, un libro assolutamente unico. Inquietante, a tratti accusatorio, ostinata mente indagatore, lo sguardo a ritroso su una madre che non c’è più diventa grande letteratura» (Michael Krüger)