Egli fu naturaliter molto amico di Gustavo Zagrebelski al cui fianco ha combattuto tante battaglie

Rodotà il “laico furioso”

di Pier Franco Quaglieni

E’ mancato ad 84 anni il prof. Stefano Rodotà ,enfant prodige della cultura giuridica italiana che ad appena 22 anni iniziò a collaborare al “Mondo “di Pannunzio. Si è subito alzato un coro volto a fare “santo subito”(sia pure santo laico) Stefano Rodotà che ha cavalcato la politica e il giornalismo italiani per molti decenni. Sicuramente fu un uomo di rara intelligenza e di indiscutibile cultura. Ebbi modo di conoscerlo dopo una sua conferenza ai “Venerdì letterari” torinesi. Irma Antonetto me lo presentò, ricordando che Rodotà era stato un collaboratore del “Mondo “di Pannunzio.  Mi bastò poco per capire che il suo modo di essere laico non era il mio e che soprattutto il suo radicalismo era diventato un radicalismo di sinistra con tendenza predominante a non avere nemici a sinistra. Un po’ come accadde al torinese  Franco Antonicelli che passò da liberale a sostenitore indulgente di “Lotta Continua” in un crescendo di spostamenti a sinistra che stupirono gli stessi comunisti che lo elessero senatore nel ’68 e nel ’72.Per Antonicelli valeva il mito di Gobetti e del suo rapporto con Gramsci che finiva per legittimare  i suoi spostamenti graduali a sinistra, fino a giungere a quella più estrema, ignorando i pericoli stessi del terrorismo che stava nascendo.  Una scelta rispettabile, quella di Rodotà, ma certo  molto lontana da Pannunzio di cui egli, al contrario di Scalfari, non si considerò mai continuatore. Anzi ,ebbe ben chiara la sua cesura definitiva con il mondo liberale a cui forse non appartenne mai, neppure quando scriveva sul “Mondo”.

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In quella cena organizzata da Irma Antonetto avemmo modo di constatare che ambedue amavamo la buona cucina, un lato che non avrei mai pensato di trovare in Rodotà che appariva ,nella sua figura snella, quasi un asceta. Quello gastronomico  finì di essere il discorso predominante della serata, salvata dalla presenza di altri ospiti. Nel 1979, quando Marco Pannella convinse Leonardo Sciascia a candidarsi nel partito radicale ,lui si candidò come indipendente nelle liste del PCI. Una volta Lucio Libertini, che non disdegnava la sincerità e anche la battuta cattiva ,mi disse che la “Sinistra indipendente “ era indipendente da tutto fuorché dal Pci che eleggeva i suoi candidati con preferenze certe e collegi blindati. In effetti qualche indipendenza Rodotà seppe mantenerla perché non si può dire che si sia sempre allineato con il Pci. Nello stesso PDS non si sentì mai a casa sua. Eletto presidente del partito con Occhetto segretario, si dimise dalla presidenza di un partito in cui la conflittualità tra il vecchio e il nuovo apparve subito ingovernabile. Al Salone del libro  del 2009 mi capitò di ascoltarlo quando presentò il suo libro “Perché laico” edito da Laterza e tenne una lezione magistrale  sulla laicità che meriterebbe di essere riletta. Il suo non fu un discorso laico ,ma laicista o, se vogliamo ,da ” laico furioso” per dirla con  la celebre definizione di  Gianfranco Bosetti. Rodotà non aveva assolutamente recepito la distinzione fatta da Bobbio in modo molto lucido tra laicità e laicismo, due modi di pensare che possono giungere all’incompatibilità . Il laico è aperto al dialogo anche con chi non vuole il dialogo ,il laicista è settario, chiuso nelle sue certezze ideologiche inossidabili, come il cuneese Odifreddi o il milanese Gioriello o il torinese Viano.  Essere laici non  significa essere miscredenti, insegnava Alessandro Passerin d’Entrèves ,ma la scuola liberale che parte da Francesco Ruffini e giunge a Passerin, era cosa quasi sconosciuta al prof. Rodotà.

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Quando pubblicai con Girolamo Cotroneo  nel 2010 i discorsi di Cavour sui rapporti tra Stato e Chiesa da Rubettino, volli rimarcare la necessità di una distinzione netta rispetto ad una interpretazione distorta  del pensiero di Cavour visto come un anticlericale settario anziché come uno statista capace di mediare tra le ragioni di una libera Chiesa in un libero Stato.  Il mondo di Rodotà  era un insieme di certezze e di dogmatismi laici in cui la religione non doveva avere diritto di cittadinanza. Non capì che essere laici significa anche diffidenza verso le semplificazioni delle ideologie presuntuose, anzi superbe del secolo scorso. Il liberale Zanone sul tema aveva pienamente centrato il discorso antiideologico incluso nel concetto di laicità. Il mondo liberale si fondava e si fonda sulla libertà religiosa, sulla libertà di essere credenti, non credenti o diversamente credenti. Un’idea che aveva perfettamente colto  anche Marco Pannella. La laicità liberale è soprattutto ed  essenzialmente  rispetto per le idee di tutti, senza irrigidimenti giacobini. Se Alessandro Galante Garrone si definì un ”mite giacobino”, Rodotà con le sue prese di posizione rigide si rivelò un giacobino assolutamente poco mite. Onore al merito per  aver tenuto salde per decenni le sue convinzioni, ma tra lui e il mondo liberale c’era un abisso che si è ampliato nel corso degli anni. E’ quasi incredibile che una figlia di Benedetto Croce, Elena, lo avesse introdotto al “Mondo “ di Pannunzio. Elena era tanto diversa da Alda, da Lidia e da Silvia Croce che mantennero saldo il loro liberalismo .Alda di cui fui amico per molti anni ,detestava Rodotà. Elena Croce fu l’autrice di un libretto dedicato allo “Snobismo liberale” che finì per diventare snobismo radical-chic con un costante  pregiudizio favorevole verso i comunisti. Come la proprietaria del “Corriere della Sera”  Maria Giulia Crespi che cacciò Montanelli e come Camilla Cederna che brindò-stando alla testimonianza di alcuni amici – quando  Indro venne ferito dai terroristi e scrisse infamie sul commissario Calabresi. Pannunzio denunciò nel 1966 la fuga degli intellettuali  verso il PCI e vide lontano. Rodotà fu, forse, l’esempio più illustre  di questa fuga verso i comunisti.

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Egli fu naturaliter molto amico di Gustavo Zagrebelski  al cui fianco ha combattuto tante battaglie.
Anche l’ultima battaglia contro la riforma costituzionale Renzi -Boschi fu da lui sostenuta con argomentazioni veementi a fianco del professore torinese, punto di riferimento di un certo modo di pensare la politica che è quanto di meno liberale ci possa essere. Una volta laureato brillantemente a Roma, fu scoperto per la sua intelligenza da Adriano Olivetti che avrebbe desiderato averlo con sè ad Ivrea ,ma il giovane Rodotà rifiutò l’invito. Olivetti gli fece comunque accreditare 300mila lire di allora sul suo conto corrente, per aiutarlo nei suoi studi. Olivetti chiamava attorno a sè tutti i giovani brillanti  che poteva, ma ,a volte, non vide i limiti di certi suoi collaboratori, in primis ,Paolo Volponi destinato anche lui a finire parlamentare prima del PCI e poi di Rifondazione Comunista. Il cognato di Adriano, Arrigo con il quale ho intrattenuto una lunga amicizia, anche se l’ho sempre considerato un maestro, mi disse una volta che non sarebbe stato opportuno invitare Rodotà al Centro “Pannunzio”. Arrigo non poteva prevedere le evoluzioni del Rodotà-pensiero, ma anche lui seppe guardare lontano. L’aveva conosciuto nelle stanze del “Mondo” e ne aveva tratto una pessima impressione. Arrigo era l’editore del “Mondo” e fu segretario generale del partito radicale quando Rodotà era un iscritto a quel partito.Rodotà ,rifiutando l’invito di Olivetti, compì un atto di onestà intellettuale di cui bisogna rendergli merito perché le sue idee, fin da allora, erano conflittuali con quelle dell’imprenditore eporediese, affascinato anche dalla religiosità cristiana. Fu il primo Garante della Privacy, ma, durante il suo mandato, malgrado i suoi sforzi, la privacy in Italia venne sistematicamente più che mai  calpestata, anzi distrutta. Franco Pizzetti ,suo successore come Garante, colse i problemi irrisolti lasciati da Rodotà e si accorse della loro gravità. Negli ultimi anni il professore aveva scoperto il web e divenne così simpatico alla rete che Grillo lo propose come presidente della Repubblica alla fine del primo mandato di Napolitano, salvo poi insolentirlo in modo volgare. Con la sua morte l’Italia si priva di una mente molto lucida e vigile. Con le sue polemiche ha tenuto alta l’attenzione sui temi dei diritti civili, anche se la sua visione complessiva non è andata molto oltre la vis polemica.