Lettere, manoscritti e documenti appartenuti a Leone Ginzburg, fino a oggi custoditi dalla famiglia, tornano a Torino, affidati alla Fondazione Polo del ‘900, casa di istituti storici e archivi di protagonisti del Novecento come Primo Levi, Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, Franco Antonicelli e Giorgio Agosti.
“Fin dalla prima conversazione con Alberto Sinigaglia e Emiliano Paoletti io e mia sorella Alessandra non abbiamo avuto dubbi sulla decisione da prendere: le carte di nostro padre dovevano essere conservate a Torino, e il Polo del ‘900 era l’istituzione ideale per farlo. I profondi legami di Leone Ginzburg con questa città sono noti: il soprannome che gli avevano dato i suoi amici – ‘il russo di Torino’ – è eloquente”: spiega il professor Carlo Ginzburg.
Nato ad Odessa in una famiglia cosmopolita, Leone si ferma a Torino nel 1924. Al liceo Massimo D’Azeglio i suoi compagni di classe sono Sion Segre Amar, Giorgio Agosti e Norberto Bobbio; tra gli insegnanti Ugo Cosmo, Zino Zini, Franco Antonicelli e Augusto Monti con cui s’incontra consolidando rapporti culturali destinati a tradursi in azioni politiche. Fondamentali sono gli amici dell’università tra cui Cesare Pavese, Massimo Mila, Vittorio Foa con i quali aderisce al movimento antifascista clandestino “Giustizia e Libertà”. C’è anche Giulio Einaudi tra i suoi amici con cui avvia la storica casa editrice torinese della quale di fatto è il primo direttore editoriale. Nella stessa città a casa di Carlo Levi incontra la futura moglie Natalia Levi. Torino è anche la città da cui più volte Leone è costretto ad allontanarsi. Arrestato la prima volta nel 1934, esce nel 1936 come vigilato speciale e in seguito è inviato al confino a Pizzoli in Abruzzo. Liberato nel 1943 alla caduta del fascismo, a Roma è uno degli animatori della Resistenza. Nuovamente catturato e incarcerato a Regina Coeli, è torturato dai tedeschi fino alla morte a soli 35 anni dopo una vita breve e straordinaria, devoluta alla difesa della libertà di associazione, di stampa e di pensiero contro il regime.
Continua il professor Ginzburg: “Su tutto ciò le carte che verranno depositate nell’archivio del Polo del ‘900 daranno un contributo documentario non irrilevante. Molto consistente, e insostituibile, è il carteggio tra Leone Ginzburg e Natalia Levi, prima e dopo il matrimonio, inviate tra il 1934 e il 1940. Altre lettere sono rivolte ai suoi amici a personaggi noti come Benedetto Croce. Tra i documenti anche un quaderno di appunti del 1921 e una novella inedita del 1925 che permetteranno di gettare qualche luce sulla sorprendente precocità intellettuale di Leone Ginzburg”.
L’archivio di Leone Ginzburg, attualmente in fase di riordino, trova casa al Polo del ‘900 in Palazzo San Celso nella sede dell’Istoreto. Da questo punto di arrivo prenderanno avvio iniziative e progetti legati alla memoria di un uomo tra i principali animatori della cultura italiana degli anni Trenta.
All’incontro con Carlo Ginzburg erano presenti i rappresentanti degli istituti del Polo del’ 900 e personalità della cultura. Tra loro gli scrittori Margherita Oggero, Ernesto Ferrero e Dario Voltolini, il presidente della Einaudi Walter Barberis, l’assessora alla Cultura della Città di Torino Rosanna Purchia, il vicepresidente del Consiglio regionale Valle, il sovrintendente agli Archivi Benedetto, il segretario generale della Compagnia di San Paolo Anfossi, il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni, Bruno Segre, Patrizia Antonicelli, Anna Mila, Andrea Bobbio, Andrea Casalegno.
“Accogliamo l’Archivio di Leone Ginzburg con affetto e gratitudine: è un segnale di fiducia da parte di Carlo Ginzburg e della sua famiglia per il Polo del ‘900 e le 25 istituzioni che ne fanno parte. Ed è un grande dono per Torino, città di cultura e di pensiero critico” conclude il presidente del Polo Alberto Sinigaglia.

Il momento conclusivo del grande percorso di lettura di “Sostiene Pereira”sarà sabato 20 maggio 2023, alla “XXXV Edizione del Salone del Libro”, con un appuntamento corale aperto a tutte le ragazze e i ragazzi coinvolti nel progetto, in cui saranno chiamati a parlare ospiti da sempre legati alle opere di Antonio Tabucchi.
È qualche anno che abito fuori Torino e l’andare in centro non rientra più tra quelle che posso definire “abitudini”. Il lato positivo è che, quando ci vado, apprezzo maggiormente lo spettacolo che la città mi offre: la folla che si muove disordinata, qualcuno, più frettoloso degli altri, che attraversa correndo la strada anche se c’è il semaforo rosso, i tram che partono scampanellando sui binari, il sali-scendi delle persone dai pullman, qualche cestino troppo pieno e i portici che rimbombano del brusio dei passanti. Piazza Castello è una delle piazze principali dell’antica Augusta Taurinorum, è di forma quadrata e su di essa si affacciano Palazzo Madama e Palazzo Reale, mentre il profilato perimetro è delineato da portici eleganti ed importanti edifici, quali l’Armeria Reale, il Teatro Regio, il Palazzo della Regione Piemonte, la Galleria Subalpina, la Torre Littoria e la piccola Chiesa di San Lorenzo, che si erge all’angolo con via Palazzo di Città, mentre l’affollata via Garibaldi sfocia nella stessa piazza come un fiume nel mare. Poco più oltre s’innesta la Piazzetta Reale, costeggiata da Palazzo Chiablese, dove si trova l’ingresso per i Musei Reali e si accede al passaggio pedonale che porta a Piazzetta San Giovanni. Quando inizia a fare bel tempo si accendono le fontane, ricordo che quando finiva la scuola, noi studenti del Liceo Classico “Gioberti”, come molti altri ragazzi degli istituti vicini, andavamo a buttarci sotto l’acqua fredda per festeggiare l’arrivo dell’estate.
Forse non si sa, o quantomeno non si dice abbastanza, ma nel capoluogo piemontese, proprio nella Galleria Sabauda, sono conservati grandi nomi della storia dell’arte, quali Botticelli, di cui è visibile la così detta “Venere Gualino”, dal nome del suo acquirente, Riccardo Gualino, che la comprò nel 1920 per poi cederla dieci anni dopo alla Galleria. Davanti al quadro è impossibile non pensare alla ben più nota Venere degli Uffizi. L’opera venne probabilmente realizzata nel momento di massima attività della bottega del maestro fiorentino. La fanciulla si presenta nuda al visitatore, leggera e pallida, alle sue spalle una nicchia dal fondo scuro; poggia i piedi su un gradino di marmo chiaro, che le vicende conservative del dipinto hanno reso leggermente sghembo. Cerca, con pudore, di coprirsi con le mani e con i lunghi capelli biondi ramati. Oggi si tende a vedere nella “Venere Gualino” un’opera indipendente, anche tenendo conto di una menzione di Giorgio Vasari, che ricorda come in varie case fiorentine si trovassero raffigurazioni simili, prodotte nella bottega di Botticelli: una scultura della tipologia della “Venus Pudica” dovette essere il modello in comune tra queste opere e la tela degli Uffizi. Altri nomi in cui ci si imbatte con timoroso rispetto sono Filippino Lippi, Andrea Mantegna, Beato Angelico, Veronese, Tiepolo, Orazio Gentileschi, Vanvitelli, Canaletto e altri, autori che ha più senso vi inviti ad andare a visionare piuttosto che elencarli freddamente.
