PATRIMONIO STORICO DELLA TRADIZIONE PIEMONTESE
Una tra le prime cose che ho apprezzato venendo a vivere a Torino sono stati i suoi eleganti caffe’, luoghi di memoria storica, regali e in linea con lo stile frugale di questa citta’ . Non era unicamente la voglia di qualcosa da consumare che mi attirava negli interni di questi ambienti, ma il desiderio di visitarli, di viverli, di ammirarne gli arredi, i particolari e di provare quella gradevole sensazione che ti riporta ad uno splendore del passatoimmaginando il passaggio di personaggi importanti, aristocratici, scrittori, letterati. L’Associazione Caffe’ Storici sa farne un ritratto perfetto riportandone, nella sua presentazione, le peculiaricaratteristiche “ Sono espressione di uno stile di vita, un modo di essere, di vivere, dal senso di sobrietà innato, quasi sommesso, senza eccessi: per quanto eleganti siano gli arredi di ognuno di loro e per quanto garbati siano i gesti di chi serve al banco o ai tavoli, non c’è mai ridondanza ed opulenza sulle pareti e nei banconi, ma raffinata armonia di linee e di colori”.
Queste meraviglie di tradizione e cultura sono state inserite nella Historic Cafes Route, itineraio internazionale dei caffe’ storici che ne riunisce circa 100 in tutta Europa. Il Piemonte rappresenta il maggior numero di caffe’ storici in Italia, solo a Torino se ne contano 13 mentre gli altri 7 sono sparsi per tutta la regione. I locali torinesi sono: il Bicerin, il Caffe’ Elena, Stratta, Baratti, Florio, Caffe’ Mulassano, la Gelateria Pepino, Platti, il Caffe’ San Carlo, Caffe’ Torino, la Pasticceria Abrate, Pfatish e Moderna Torrefazione Caffe’. Oltre alla bellezza e al loro stile, questi luoghi sono depositari della trazione gastronomica del Piemonte, con i loro prodotti squisiti hanno fatto la felicita’ di centinaia dipalati e allo stesso tempo hanno fatto conoscere specialita’ come il Bicerin, il Pinguino, i Nocciolini o il tramezzino. La tradizione passa anche per la tavola, in questo caso per i tavolini, dove ci vengono servite delizie a cui e’ difficile rinunciare sia per noi cittadini che per chi, mosso da un sentito dire accertato, approda in questa favolosa citta’ e la celebra gustando le sue unicita’culinarie.
E’ necessario tutelare e promuovere queste eccellenze che fanno parte della nostra cultura e della nostra societa’ e a breve sara’istituito un elenco dei locali storici, “Veri tesori da scoprire e valorizzare” dice l’Assessore alla Culture della Regione PiemoneVittoria Poggio, che dovranno avere alcuni requisiti come almeno 70 anni di attivita’ e vincoli di tutela.

Cavour beveva il suo Bicerin nell’omonivo caffe’, Erminio Macario e Mario Soldati frequentavano Mulassano, Cesare Pavese prediligeva il Bar Elena, Luigi Einaudi era un cliente di Platti, Benedetto Croce amava il Caffe’ San Carlo; storia e storie,vite vissute in luoghi unici e iconici, un passato glorioso da proteggere, una eredita’ importante da magnificare.
MARIA LA BARBERA
La sua formazione musicale viaggiò su di un doppio binario: da una parte lo studio al Conservatorio Verdi (tra gli 11 e i 14 anni), dall’altro l’apprendistato nelle orchestrine jazz che si esibivano nei locali notturni delle città, suonando il contrabbasso. Iniziò la carriera come cantante grazie all’amico e avvocato Leo Chiosso, a cui si deve anche la scelta di Fred Buscaglione di interpretare un personaggio unico e singolare. Così, in un’epoca in cui la musica leggera italiana era ancora legata a motivi dei decenni precedenti o a rime un po’ melense, un poco banali, proponendo argomenti triti e ritriti, Buscaglione irruppe sulla scena con canzoni completamente diverse, come “Che bambola!”, “Teresa non sparare”, “Eri piccola così” (“T’ho veduta, t’ho seguita, t’ho fermata, t’ho baciata. Eri piccola, piccola, piccola… così!”). Fred, cantautore, musicista e attore, si presentò anche come un personaggio completamente diverso: niente aria ispirata e sofferente, nessun romanticismo zuccheroso o d’effetto. Si affermò come una caricatura da film, con la sigaretta all’angolo della bocca, i baffetti da gangster e le pose da duro viste nei polizieschi americani. Il successo non tardò ad arrivare e il suo primo 78 giri “Che bambola”, nel 1955, consentì al cantante torinese di fare un botto da quasi un milione di copie. Buscaglione entrò rapidamente nella schiera degli artisti più richiesti: il suo personaggio si impose come modello al punto da essere imitato su larga scala. I suoi comportamenti diventarono una sorta di status symbol, come — ad esempio — il suo viaggiare su una Ford Thunderbild color rosa quando in Italia circolavano soprattutto le Topolino e le Seicento. E fu proprio a bordo di quell’auto che, nel momento in cui il suo successo era salito alle stelle, il cantante “dal whisky facile” si schiantò contro un camion in una strada di Roma. “Fred Buscaglione, popolare cantante di musica leggera è morto stamani a Roma, in un pauroso incidente stradale alle sei e venti, all’incrocio di via Rossini con via Paisiello”. Così giunse la notizia, in apertura del giornale radio, la mattina del 3 febbraio 1960. Poche ore prima, tra le lamiere della sua Thunderbird, comprata sette mesi prima per l’astronomica cifra di sei milioni di lire, si concludeva la rapida parabola del grande Fred.
Non aveva compiuto nemmeno 39 anni e il successo, quello vero, lo aveva raggiunto da non molto, essendosi fatto conoscere dal grande pubblico solo nel ’57, con l’apparizione in ” Musica alla ribalta”. La trasmissione Rai era una formidabile vetrina nella quale artisti del calibro di Renato Carosone, Henry Salvador e Gilbert Becaud si alternavano a cantanti meno noti. Dopo anni e anni di gavetta, finalmente, la celebrità. Le sue canzoni sono rimaste memorabili, fischiettate e canticchiate un po’ da tutti, iniziando da “Guarda che luna” (“Guarda che luna, guarda che mare,da questa notte senza te dovrò restare; folle d’amore vorrei morire mentre la luna di lassù mi sta a guardare..”) e da “Che notte” (“Che notte, che notte quella notte!Se ci penso mi sento le ossa rotte: beh, m’aspetta quella bionda che fa il pieno al Roxy Bar,l’amichetta tutta curve del capoccia Billy Carr” ). Di successo in successo , da “Cocco bello” all’autocelebrativa “A qualcuno piace Fred”, passando per “Porfirio Villarosa” (“Esta é la cancion de Porfirio Villarosa, che faceva el manoval alla Viscosa…Porfirio dalla bocca fascinosa, lo credevano spagnolo o portoghese, egli invece è torinese..”), Fred Buscagliene, dopo tanta gavetta, visse in fretta i suoi anni ruggenti. Lui stesso, in un intervista del ’59, su “Stampa Sera” raccontava, con una punta d’amarezza: “Sono diventato famoso troppo tardi.. Da vent’anni suono nei night club e nelle sale da ballo”. Così, in un Paese in bianco e nero che stava faticosamente uscendo dal dramma della guerra, con alti tassi di disoccupazione e analfabetismo, Buscaglione aveva scalato il successo con il suo spirito ribelle, irriverente e anticonformista. Come tanti altri personaggi dalla breve vita la sua leggenda non era destinata a spegnersi con lui. Sessantuno anni dopo, la stella di “Fred” Buscaglione brilla ancora, luminosa. Nessuno saprà mai dove se ne sia andato quel 3 febbraio del 1960 ma forse si è ritagliato un posto in qualche luogo che assomiglia al suo “cielo dei bar“.

Che Torino sia culla d’arte, non c’è dubbio, dopo le interessanti mostre nei maggiori musei, un intenso mese dedicato all’ arte moderna, con Artissima e Paratissima, nella sede naturale dell’ arte voluta dai Savoia fin dal 1678 ,nelle meravigliose sale dell’Accademia Albertina , dal 23 al 27 novembre sarà la sede, per la prima volta in Italia della Biennale Internazionale di Sugar Art.(Arte con lo zucchero).
L’incontro è stata una occasione preziosa per ricordare la sua figura di intellettuale atipico, che nella prima parte della sua vita ha collaborato a giornali senza averne un ritorno economico, per passione pura, è stato anche caposervizio viaggi del mensile “Gambero rosso”, pubblicando numerosi reportage e corrispondenze da Paesi lontani su quotidiani e periodici.
Due mostre, un volume monografico (edito da “Silvana Editoriale”, a cura di Vincenzo Gatti e Alice Pierobon, con un saggio critico di Claudio Strinati) e vari incontri tesi a mettere in luce quali e quante fossero le diverse “anime” dell’eclettico artista e intellettuale torinese: a Mario Lattes, nel centenario della nascita (Torino, 1923 – 2001), la “Fondazione Bottari Lattes” (a lui titolata e nata nel 2009 a Monforte d’Alba per volontà della moglie Caterina Bottari Lattes) ha dedicato, nel corso dell’anno che volge al termine, svariati e importanti iniziative facendo alta memoria di una fra le figure culturali di maggior spicco del secondo dopoguerra nel campo dell’arte, dell’editoria e della letteratura. Un ricco calendario, su cui tutta la “Fondazione” di Monforte e la sua presidente, Caterina Bottari Lattes, hanno dato atto di un grande, appassionato impegno, meritevole appieno del successo ottenuto e che oggi vede avvicinarsi, con il nuovo anno in arrivo, il traguardo finale. L’ultimo appuntamento in calendario è, infatti, in programma per sabato 18 novembre (ore 17,30) al “Teatro Comunale” di Monforte d’Alba, in via della Chiesa, 3. Sul palco, a ricordare la figura di Mario Lattes in tutte le sue molteplici sfaccettature, saranno Mariarosa Masoero, docente di “Letteratura Italiana” all’Ateneo torinese, e Vincenzo Gatti, storico curatore delle mostre realizzate dalla “Fondazione Bottari Lattes”. A coordinare gli interventi sarà il professore albese Valter Boggione, anche lui docente di “Letteratura Italiana” all’Università di Torino.
memoria”.
