Un affascinante viaggio storico documentato al “Forte di Bard” attraverso i reportages fotografici del francese Marc Riboud e del britannico Martin Parr
Fino al 17 novembre
Bard (Aosta)
La Cina di ieri e la Cina di oggi. Due mondi totalmente diversi e diversificati. Una lunga cavalcata fra stravolgimenti storici e mutazioni politiche, economico-sociali e umane trascorse lasciando segni profondi e drammatici nel “Paese” o “Fiore di mezzo” ( “Zhongguo” o “Zhonghua”) come i Cinesi chiamano la loro Terra. Dalla Cina anni Sessanta, contrassegnata dalla “Grande Rivoluzione Culturale” di Mao Zedong, alla Cina fine anni ’70 di Deng Xiaoping. Fino ad oggi. Fino alla Cina del “Terzo Millennio”, superpotenza globale, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e Paese più popoloso al mondo nonché il quarto per estensione territoriale. Ebbene, proprio alla vasta pagina storica che contempla ciò che fu la Cina di avantieri, di ieri e ciò che è la Cina odierna, alle sue trasformazioni sociali ed economiche ed alle sue tante contraddizioni, è dedicata la mostra “China. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”, progetto fotografico inedito curato dal fotografo inglese Martin Parr, promosso dal “Forte di Bard” e dall’“Agenzia Magnum Photos” e allestito nelle “Sale delle Cantine” del “Forte” valdostano fino a domenica 17 novembre.
Più di 70 sono le fotografie, in bianco e nero e a colori, presentate in rassegna, a firma di Marc Riboud e dell’inglese Martin Parr, due fra i nomi di maggior prestigio dell’“Agenzia” fondata nel 1947 a Parigi da mostri sacri quali Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, tanto per citarne alcuni.

Era il 1956, quando Marc Riboud (Saint-Genis-Laval, 1923 – Parigi, 2016) mise per la prima volta piede in Cina, proprio quando la futura “Repubblica Popolare Cinese” stava per cambiare volto sotto la guida di Mao, emergendo sulle ceneri del conflitto tra “comunisti” e “nazionalisti” perpetratosi per vent’anni e trovandosi così a gestire una società profondamente divisa e ferita. Riboud (che in Cina fece ancora ritorno nel ’65, quando stava per essere lanciata la “Grande Rivoluzione Culturale”, negli anni ’70 e tante altre volte ancora fino al suo ultimo soggiorno a Shanghai nel 2010) sottolineava come i Cinesi non fossero per niente intimiditi dall’obiettivo fotografico e come, proprio grazie a questo, riuscisse a immortalare un aspetto della Cina poco conosciuto in Occidente: quello della vita quotidiana. Suo riconosciuto maestro Robert Capa che gli insegnò ad “affrontare gli sguardi sempre più da vicino” per riuscire a realizzare scatti il più possibile “perfetti”.

In mostra troviamo esposta anche la sua prima fotografiadella Cina:1956, una donna, vestita di nero e abbracciata a una tristezza senza confini, sul treno diretto a Canton. Nei suoi numerosi viaggi in Cina, il cui ultimo data 2010, Riboud visita gran parte del Paese, scattando suggestive immagini della vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero. Un mondo silente. Chiuso a speranze e a migliori prospettive, ancora lontane a venire.
Data, invece, al 1985 il primo viaggio cinese di Martin Parr (Epsom, 1952), testimone dunque di una Cina più moderna, profondamente attratta dal “consumismo”, dal lusso di marca occidentale e dalle piacevolezze del “tempo libero”. “Una Cina – sottolineava nel ‘97 – che oggi assomiglia molto a Chicago”. Dodici scatti, in mostra, del suo primo reportage cristallizzano attimi di un mondo completamente diverso, da quello presentatosi a Riboud: triste memoria l’economia comunista mentre spiagge affollate, auto di lusso, ostentazione quasi provocatoria testimoniano un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. In parete anche scatti dedicati alla vita di alcuni settori economici, come le industrie tessili o di gioielli, così come il mondo del tempo libero, tra esercizi di “Tai Chi” e pause pranzo al “Mc Donald”. Il tutto attraverso scatti in cui Parr gioca a mescolare “realtà” e “artificio”, grazie ad effetti come flash sparati in faccia anche in pieno giorno, giochi di luce e tecniche particolari. Sue e solo sue.

“Un fotografo che viene da un altro pianeta”, diceva di lui Cartier-Bresson. Certo, un fotografo fra i meno “politicamente corretti”, killer di tutte le regole della fotografia moderna, cui s’avvicina con le armi più improbabili di “cinico” sperimentatore ed innovatore.
Gianni Milani
“CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”
“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it
Fino al 17 novembre
Orari: mart. – ve, 10/18; sab. dom. e festivi 10/19
Nelle Foto/”Magnum Photos”: Martin Parr “American Dream Park”, Shanghai, 1997; Marc Riboud “In the train …”, 1956 e “An antique shop window”, Beijng, 1965; Martin Parr “Happy Valley Racecourse”, Hong Kong, 2013

Non vi è dubbio che uno dei più importanti cantoni della civiltà contadina tra Sesia e Ticino, forse il più celebre, sia stato Dante Graziosi. Nato l’11 gennaio del 1915 a Granozzo , un borgo sull’acqua delle risaie all’estremo sud del novarese e al confine con il pavese lombardo, Graziosi fu medico veterinario, partigiano della divisione Rabellotti con il nome di battaglia di “Granito”, docente universitario di Igiene e Zootecnia all’Università di Torino, parlamentare della Dc per quattro legislature e sottosegretario in altrettanti governi, fondatore della Coldiretti novarese. Prima di dedicarsi alla narrativa fu anche autore di molti saggi scientifici di zootecnia. L’esordio letterario avvenne tardi, nel 1972 quando Graziosi ( all’epoca cinquantasettenne) fece rivivere con i racconti de La terra degli aironi la civiltà contadina che si era sviluppata tra le risaie della bassa novarese, narrando un mondo destinato al tramonto. Alla sua attività di veterinario dedicò nel 1980 il suo libro più famoso, Una Topolino amaranto, da cui venne tratto uno sceneggiato Rai. Nel 1987 pubblicò Nando dell’Andromeda, una saga padana al tempo delle mondine, della vita che si svolgeva sulle aie della bassa agli albori delle prime lotte sociali nelle campagne. Nando, il protagonista, è un camminante, uomo libero con l’animo del poeta. Al centro delle storie del “James Herriot italiano”, validissimo emulo del famoso scrittore e veterinario britannico, c’era il Molino della Baraggia di Granozzo dove l’autore, scomparso improvvisamente il 7 luglio 1992 a Riccione, era vissuto e dove sorge ora il centro sportivo di Novarello. Davide Lajolo ne descrisse il modo di raccontare sostenendo come potesse apparire all’antica, con una scrittura“che mette punti, virgole e sentimenti al posto giusto, che vibra e s’intenerisce nell’amore della sua terra, della gente, delle strade, dell’erba, della vita del suo paese, sia un riscatto dalla noia di certo burocraticismo politico, dalle formule e dalla corsa alle poltrone. È un ritornare a guardarsi allo specchio come uomo per ritrovare le caratteristiche di fondo di chi ha imparato perché si sta al mondo”. I suoi libri sono pubblicati dalla novarese Interlinea, casa editrice diretta da Roberto Cicala, che in occasione del ventesimo anniversario della morte di Graziosi propose Le storie della risaia, un volume che raccoglie i migliori testi dell’aedo della Bassa.













