Omaggio a Luis Sepúlveda Imbevuto della narrazione rigogliosa de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, mi giunge la terribile notizia della morte di Luis Sepúlveda. Proprio così! Ero immerso nella lussureggiante pericolosità della foresta pluviale narrata nel suo romanzo del 1989, quando vengo riportato alla dura realtà.
Il grande scrittore cileno, il coraggioso oppositore della violenza di regime e di ogni forma di dittatura, si è arreso al subdolo coronavirus, male che, nello sconcerto della popolazione mondiale, sta rinnovando un forte senso della umana caducità.
Sepúlveda è morto a Oviedo, nelle Asturie, ultima casa di una vita pellegrina, nata in Cile, con parentesi più o meno lunghe in vari paesi dell’America Latina e in URSS, prima di diventare cittadino francese e, infine, stabilirsi nella Spagna dei suoi avi.
Egli aveva idee politiche chiare e per esse lottò, anche nel vero senso della parola, per tutta la vita; per esse subì le torture del regime di Pinochet e, ovunque andò, ebbe l’amore dei lettori senza risparmiarsi le antipatie dei caporali di regime. Giovane comunista, di famiglia anarchica, sostenitore del socialismo di Allende, dovette lasciare la terra natia, oppressa da una violenta dittatura, ma è da ricordare che venne anche cacciato dalla Russia sovietica per comportamenti contrari alla “morale proletaria”, evidentemente perché in sintonia con gruppi dissidenti.
Il suo essere antisistema, soprattutto quando il sistema costringe l’uomo a violare un principio che tanto amava: “vivi e lascia vivere”, lo ha patito sulla sua pelle e lo ha trasmesso nelle mirabili narrazioni, sempre feconde di un mai domo senso di speranza. Leggere “Patagonia express” ha significato per molti l’innamoramento puro e vergine per il Sud America, dove il vivere quotidiano è un policromo murales di personaggi d’avventura e di cultura, di disperazione e riscatto. Il riscatto che Sepúlveda sognava per la sua gente, per le vittime di una politica e di una economica ciniche, imposte dal più forte, a danno dell’ambiente naturale e delle sue ricchezze, queste sì reali e da preservare.
Marxista, agnostico, comprese solo nel tempo, per sua stessa ammissione, il valore etico della letteratura, trasmissibile anche in un noir come “Un nome da torero”.
E di valori è feconda ogni sua opera, anche poetica, come “Poesie senza patria”, in cui è contenuta la celebre “La più bella storia d’amore”, dedicata alla moglie Carmen Yáñez, scrittrice, compagna di una vita e di patimenti politici. Ecco gli ultimi, bellissimi versi:
Che la via più breve
fra due punti
è il giro che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
L’abbraccio, che sia d’amore, fraterno, per la terra incontaminata in cui l’uomo combatte e che egli stesso deve proteggere, è il gesto necessario che accompagna verso l’orizzonte utopistico dell’autore. Sepúlveda non è da solo, ma in compagnia di José Antonio Bolívar Proaño, protagonista de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, quando scrive nel 2018: “ci sediamo davanti a un fiume d’acqua verde, sulla cui superficie si riflettono i profili verdi della foresta, e perfino il cielo si tinge di quello stesso verde onnipresente”.
Eccolo di nuovo, l’abbraccio fraterno, quello che il grande scrittore cileno avrebbe voluto per il mondo, per la sua amata America Latina, così sofferente eppure meravigliosamente viva.
Massimiliano Giannocco
La pittura e l’anima rappresentano due universi strettamente connessi, come dimostra l’arte del pittore torinese Carlo Patetta Rotta.
mia vita, dopo anni trascorsi all’estero, a Londra, ed il successivo ritorno a Torino, mia città nativa. Ero già appassionato di arte e pittura, in particolar modo, sin da quando ero bambino quando, a casa di mio cugino, vedevo suo nonno pittore dipingere. Così, nel 2019, ho deciso di seguire i corsi all’Accademia torinese Pictor, tenuti dal pittore Aldo Antonietti, corsi a cui ho, in seguito, affiancato quelli tenuti dall’artista Giulia Cotterli”.
Il soggetto da cui è partita inizialmente la mia ricerca pittorica è stato sicuramente il paesaggio. In genere mi piace fissarlo, attraverso la tela, in un istante preciso in cui la sua visione mi ha incuriosito e suscitato sensazioni particolari. In genere l’approccio della mia arte, per lo più pittura ad olio, non avviene attraverso una pratica en plein air, ma in studio, cogliendo il soggetto da dipingere a partire da fotografie che io stesso ho scattato”.
“L’emergenza Covid – conclude Carlo Patetta – mi ha poi portato a sviluppare numerose riflessioni personali e a tradurle ttraverso la pittura, in particolare in un mio quadro in cui ho dipinto il crocifisso di San Marcello, che è stato trasportato in Vaticano, in occasione della recente preghiera del Pontefice contro la pandemia. Crocefisso legato a due momenti miracolosi, il primo che vide il crocifisso scampare all’incendio che devasto’ l’intera chiesa nel 1519, ed il secondo momento nel 1522, quando una processione penitenziale sancì la fine della pestilenza. Questo dipinto ha per me voluto costituire anche un messaggio di speranza, in occasione della Pasqua, che reca con sé il valore metaforico di rinascita ed uscita dell’umanità dalle tenebre verso la luce, oggi più che mai attuale e sentito”.
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
contemporanee. Con “Onori” (dopo “Resoconto” e “Transiti”) chiude la trilogia iniziata nel 2014 e definita “dell’ascolto”, perché ha destrutturato il romanzo tradizionale e buttato a mare convenzioni letterarie come trama, suspense, personaggi, inizio e fine. Lei non fa scendere in campo un narratore tipico, bensì un coro di voci che raccontano a Faye, suo alter ego, che di tutto prende nota. Ne scaturisce un affresco corale in cui si intrecciano temi come la questione femminile, quella ecologica, la famiglia come nucleo in cui i fallimenti diventano intollerabili, l’incomunicabilità, l’inganno del capitalismo,….Ritroviamo Faye a bordo di un aereo verso l’Europa dove l’attendono festival e incontri letterari. Nel sedile di fianco c’è un uomo che ha appena seppellito il suo cane e da questo dolore inizia a raccontarle sprazzi della sua vita. E’ solo l’inizio di pagine in cui appaiono e parlano tanti personaggi, per lo più legati al mondo dell’editoria. Attraverso le parole, i dialoghi, i sentimenti, le ambizioni, le delusioni e gli aneddoti di vita di giornalisti, scrittori, agenti, editor e organizzatori di festival, Faye raccoglie tanti tasselli di un’umanità confusa. In un certo senso è una saccheggiatrice di storie e vite che ruotano intorno alla letteratura e alla spettacolarizzazione di un mondo che può rivelarsi anche fasullo e irto di inganni.
Un volume corposo che comprende “Il 42° parallelo”, “Millenovecentodiciannove”, “Un mucchio di quattrini” e racconta i primi 30 anni del 900 americano. E’ stato scritto dal prolifico John Dos Passos, autore di romanzi, saggi, poesie, ma anche pittore e reporter, nato a Chicago nel 1896, morto a Baltimora nel 1970. Non fatevi impressionare dalla mole del libro perché potete gustarlo un po’ per volta, senza fretta, leggendolo come un puzzle e scegliendo le parti che più vi attraggono. Di fatto è un poderoso affresco che narra i nervi scoperti della Grande Depressione e dei conflitti sociali di un paese che ha rincorso una velocissima modernizzazione. Ritrae una trance di storia americana importante e lo fa con un linguaggio e un intreccio inediti nel panorama letterario dell’epoca. Dos Passos costruisce un capolavoro assoluto sperimentando più cifre narrative: le storie di 12 personaggi di fantasia, brevi biografie di 27 americani famosi concentrate in un paio di pagine (folgoranti quelle della dinastia dei Morgan iniziata da un albergatore e diventata scialuppa di salvataggio degli Usa tra ferrovie, banche, e tutte le ricchezze possibili; o quella del rampollo viziato e lungimirante William Randolph Hearst, l’editore più potente d’America). Poi cine-giornali con slogan pubblicitari, brani di canzoni popolari e titoli di giornale che interrompono le narrazioni e danno respiro alla lettura. Vi avventurerete anche in squarci di riprese cinematografiche e fotografiche e leggerete pagine in cui l’autore dispiega i suoi stati d’animo. Un grande intellettuale nomade che sperimentò più linguaggi artistici, viaggiò molto, conobbe personaggi della caratura di Hemingway e Fitzgerald nella Parigi degli espatriati dei ruggenti anni 20. Importante sarà anche il suo impegno politico, all’inizio come adepto del socialismo e difensore di Sacco e Vanzetti; poi la rottura con la sinistra radicale nel 1935 e la virata a destra come sostenitore del Maccartismo e detrattore del potere dei sindacati. Una decisa inversione politica che, secondo la critica, coincise con un inaridimento della vena creativa. Ma questa trilogia rimane imprescindibile per chi vuole ripercorrere alcuni elementi fondanti della grande nazione a stelle e strisce.
cambia l’ordine a parole e sillabe, le sostituisce con altre inventate che spesso sono lapsus che smascherano qualcosa di più profondo. La finestra si può aprire perché “…mica svaporiamo”, il rosbif diventa il “rospo”, il tè invece che al limone è “al salmone”, i residenti si trasformano in “rassegnanti” e la cremazione sfuma in una “crematura”.



Così Barbara Pregnolato nel suo primo romanzo ”L’altra accanto” ( edizioni Augh, collana frecce 2019, pagg.138 ) scava nel recesso dell’anima dei tre personaggi principali del suo testo, che divengono metafore dell’incomunicabilità della nostra società postmoderna, liquida ed egoista, dove il vissuto femminile del sentimento amoroso muta in disperato desiderio di verità.
Luci e ombre degli spazi e degli umori quotidiani aprono all’attesa del miracolo pacificatore e il situazionismo alla Guy Deborde sbuca da ogni angolo. Il cinema di Antonioni e il Kafka della Metamorfosi descrivono la monade dell’uomo del terzo millennio globalizzato, bulimico sentimentale e desideroso di riscatto, che solo nella magia dell’Amore espresso e vissuto pienamente nelle sue infinite forme, potrà trovare la sua più profonda, compiuta, necessaria e Umana realizzazione.