CULTURA- Pagina 165

Le finaliste del “Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione”

Annunciate le cinque selezionate per la prima edizione. Sabato 18 luglio, la cerimonia di premiazione al Castello di Perno nelle Langhe

Monforte d’Alba (Cuneo) – Tutte donne. Un gruppo “in rosa” di cinque super-traduttrici. Due sono docenti di “Lingua e Letteratura araba” all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale; una terza all’Università del Salento; la quarta insegna alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici CIELS di Milano e la quinta collabora con diverse case editrici italiane come consulente editoriale e traduttrice letteraria freelance. Nell’ordine, questi i loro nomi: Maria Avino, Monica Ruocco, Samuela Pagani, Nadia Rocchetti e Barbara Teresi. Sono loro le cinque finaliste selezionate nei giorni scorsi dalla Giuria Stabile del “Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione”, promosso dalla Fondazione Bottari Lattes e dedicato per la sua prima edizione alla Letteratura in lingua araba tradotta in italiano. A Maria Avino, il riconoscimento è andato per la traduzione di “Morire è un mestiere difficile” del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); a Monica Ruocco per “Il suonatore di nuvole” dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017), mentre Samuela Pagani, Nadia Rocchetti e Barbara Teresi si sono guadagnate la finale rispettivamente per la traduzione del “Corriere di notte” (La Nave di Teseo, 2019) del libanese Hoda Barakat, di “Viaggio contro il tempo” (Jouvence, 2018) della libanese Emily Nasrallah e di “Una piccola morte” (E/o, 2019) del saudita Mohamed Hasan Alwan.

La cerimonia premiazione – condotta dalla giornalista e saggista Paola Caridi – si terrà sabato 18 luglio, alle ore 18, nel giardino del Castello di Perno (Cuneo) nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. Nell’occasione l’orientalista Fabrizio Pennacchietti terrà una lectio magistralis su “L’arabo letterario moderno può dirsi una lingua ‘europea’?”. A ingresso libero con prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti, la cerimonia si svolgerà nel pieno rispetto delle normative di sicurezza per l’emergenza Covid-19 (inviare mail con nome e cognome a: book@fondazionebottarilattes.com). Potrà anche essere seguita in diretta streaming sulla pagina Facebook della Fondazione. In caso di pioggia, la premiazione si svolgerà all’Auditorium della stessa Fondazione, in via Marconi 16 a Monforte d’Alba.

“Con il Premio Mario Lattes per la Traduzione – sottolineano gli organizzatori – la Fondazione Bottari Lattes pone l’attenzione sul fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e sull’impareggiabile contributo della traduzione nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo. Con questa iniziativa la Fondazione intende altresì promuovere la conoscenza di culture e autori meno noti al pubblico italiano e incoraggiare la traduzione in italiano delle loro opere letterarie più significative per qualità letteraria e profondità di contenuti, riflessioni, testimonianza”.

Promosso dalla Fondazione Bottari Lattes, il Premio è realizzato in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno e il Comune di Monforte d’Alba, con il contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba, con il patrocinio dell’Unione di Comuni “Colline Di Langa e Del Barolo” e di “S. Lattes & C. Editori”.
Per info: tel. 011/19771755 – 0173/7892412 o book@fondazionebottarilattes.it, eventi@fondazionebottarilattes.it
WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes
g. m.

I fine settimana dei Musei Reali tra visite speciali e lezioni di cucina

Ogni sabato e domenica guide e storici dell’arte di CoopCulture e dell’Associazione “Amici di Palazzo Reale” invitano a scoprire le sale di rappresentanza e il secondo piano di Palazzo Reale. Al Caffè Reale Torino lezioni di cucina e cene speciali

 

Torino, 18 giugno 2020. Con l’arrivo dell’estate riprendono le attività dei Musei Reali, che il 2 giugno hanno riaperto al pubblico gli spazi del complesso museale nel cuore di Torino: ogni sabato e domenica si potranno visitare due percorsi con storici dell’arte e guide di CoopCulture. Il primo itinerario, “Bentornato a Palazzo!”, alle 12 e alle 15, è dedicato alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale, della collezione dell’Armeria e della Galleria della Sindone, dove è possibile scorgere il restauro “a vista” dell’altare della Cappella. Il percorso, della durata di un’ora, è visitabile in gruppi composti al massimo da 8 persone ciascuno, al costo di 7 euro oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali. Le visite in piccoli gruppi sono il valore aggiunto dell’attuale esperienza di fruizione, favoriscono un approccio più lento e consapevole, emozionante e gratificante.

 

Il percorso prosegue al secondo piano, alle ore 11.30, 13 e 15.30, nell’Appartamento dei Principi di Piemonte, con il suggestivo affaccio sul terrazzo dal quale ammirare i Giardini Reali e piazza Castello. Le sale, che presentano l’allestimento realizzato per Vittorio Emanuele II e la consorte Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, sono arricchite da una piccola esposizione temporanea dedicata alla figura del sovrano, in occasione del bicentenario della nascita. Le visite sono condotte anche dai volontari dell’Associazione “Amici di Palazzo Reale” alle ore 11, 12, 15, 16, 17 e 18, al costo di 7 euro.

 

Le visite guidate a cura dell’Associazione “Amici di Palazzo Reale” sono acquistabili in biglietteria, mentre quelle condotte da CoopCulture si possono anche prenotare online sul sito www.coopculture.it (maggiori informazioni al numero 011 19560449 o via e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it).

 

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale, il Caffè Reale Torino accoglie i visitatori per un momento di ristoro in una cornice unica ed elegante, tra oggetti provenienti dalle collezioni sabaude. A giugno e a luglio la cucina della tradizione piemontese è protagonista di un ciclo di lezioni alla scoperta di specialità del territorio, come flan di spinaci con fonduta (19/6), bagnetto verde e rosso (20/6), verdure ripiene (26/6), savoiardi e tiramisù (27/6), carpione (3/7) e bunet (4/7). Gli incontri si svolgono dalle 17 alle 19 per un numero minimo di 12 persone. Il costo è di 20 euro per gli adulti, 28 euro per chi partecipa con un minore. Ogni venerdì e sabato di giugno è possibile partecipare anche alle cene speciali “Grill and Traditional Arcade”. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net

Una galleria storica di liberali doc

Di Mauro Anselmo / E’ il confronto fra due realtà culturali, due stili, due modi di interpretare la dignità della persona e della politica, la chiave di lettura del nuovo saggio Mario Pannunzio. La civiltà liberale (Golem Edizioni) a cura di Pier Franco Quaglieni. La lezione del Mondo fra ieri e oggi. La riflessione su un’esperienza editoriale di passione civile che, pur avendo lasciato il segno in un passato non remoto, si rivela ancora capace di dare una lezione al presente.

Quaglieni ripropone l’eredità intellettuale e morale del settimanale fondato da Pannunzio nel febbraio 1949 che cessò le pubblicazioni nel marzo 1966. E, soprattutto, offre al lettore una galleria di testimonianze preziose, in molte parti inedite (da Montanelli a Spadolini, da Soldati a Ronchey, Bettiza, Castronovo, Gorresio, La Malfa, Valiani, Elena Croce, Scalfari, Battista, il cardinale Ravasi e molti altri) in grado di far rivivere, grazie al sapiente dosaggio di Quaglieni, i momenti cruciali di quell’avventura con i protagonisti, i caratteri, le passioni, i conflitti delle idee, ma anche gli scontri decisivi che divisero l’Italia del dopoguerra.

Il Mondo era il giornale che il grande pubblico non leggeva, ma che non mancava sulle scrivanie di sostenitori e avversari e, in particolare, negli uffici dei palazzi che formavano l’establishment di allora. “Perché uomini come Moravia e Montanelli – si interrogava Domenico Bartoli su Epoca, nel 1968 – dovevano tenere il parere di Pannunzio in maggior conto di quello dei critici più conosciuti? E perché grandi personaggi come Croce, Salvemini e Einaudi, tanto più vecchi e famosi di lui, assai diversi l’uno dall’altro, gli avevano concesso interamente la loro stima e fiducia?”.

La risposta l’aveva data Montanelli: “Pannunzio era uno di quegli uomini che, subito dopo essere stato slattato, salì sul podio di direttore d’orchestra, perché era nato direttore d’orchestra e tutti gli riconoscevano questa sua capacità di dirigere”. Giornalista geniale, liberale antifascista in politica e fiero avversario dei comunisti, “un animatore di uomini” come lo definì Arrigo Benedetti, fu al timone di un giornale perbene, libero, nemico di ogni clericalismo, capace di fare argine all’assalto dei potentati economici.
“Non ho mai visto Pannunzio fare la coda in un ministero. Spirito indipendente come pochi, detestava ogni ossequio al potere politico” (Giovanni Spadolini). “In tempi di corruzione egli fece del suo giornale un impareggiabile strumento di libero esame, d’intransigente battaglia del vero contro il falso” (Leo Valiani). “Il laicismo del Mondo non era astioso. Il pregio del giornale era vedere gli avversari, di destra o di sinistra, per quel che fossero, di non costruirsene il manichino di comodo, troppo facile da colpire” (Arturo Carlo Jemolo).

E’ nel leggere queste pagine che viene spontaneo il confronto con lo spettacolo offerto quotidianamente dalla politica e dall’informazione mediatica di oggi. Incompetenza professionale dilagante nei partiti, il flagello delle fake news nel giornalismo, eclissi del senso dello Stato e dell’impegno civile, il razzismo come strumento di consenso elettorale. E si potrebbe continuare. Un abisso, rispetto ai valori e alle aspettative dell’Italia democratica nel dopoguerra alla quale si rivolgeva il Mondo.
Nella galleria dei ritratti che negli ultimi tempi Quaglieni ha dedicato ad esponenti della cultura e del pensiero liberale (Figure dell’Italia civile, Grand’Italia, Mario Soldati. La gioia di vivere, editi da Golem) Pannunzio è il personaggio la cui eredità continua ad interrogare in modo scomodo la nostra epoca. “Circola per l’aria – scriveva Montanelli agli inizi degli anni Novanta – una specie di guerra di successione per l’eredità di Pannunzio che fa gola a molta gente e farebbe gola moltissimo anche a me. Però vi rassicuro subito: non sono in corsa, non perché non mi piacerebbe, ma perché so di non averne i titoli. Non so se qualcuno possa averli. Non sono di quelli che la sera andavano in via Veneto, a Roma, anche perché, abitando a Milano, casomai andavo in via Montenapoleone”.

L’allusione di Montanelli era rivolta ad Eugenio Scalfari e al gruppo di Repubblica, ma la frecciata, più che pungente, era ironica e signorile. Quaglieni, che è fra i fondatori del Centro Mario Pannunzio di Torino, ricorda nel suo saggio questo episodio insieme a molti altri, ricostruendo, di Pannunzio, un ritratto politico, professionale e, soprattutto, intensamente umano. “Il Mondo ha lasciato un vuoto incolmabile nella nostra cultura ed è entrato a pieno titolo nella nostra storia intellettuale e letteraria (anche se non è stato sempre riconosciuto) impartendo – scrive Quaglieni nel saggio conclusivo – una grande lezione che ha contribuito in modo decisivo a far nascere in Italia una cultura laica e liberaldemocratica”.

Mauro Anselmo

In uscita il 2 luglio, Golem Edizioni

Osservati da più dimensioni: spiriti e “guardiani di soglia”

Torino, bellezza, magia e mistero     Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e “guardiani di soglia”

A Torino si ha il sospetto di essere sempre osservati, e forse non è solo un’impressione, dato che nella città ci sono più di dieci mila telecamere. Ma non è unicamente la tecnologia a tenere sotto controllo i Torinesi: fessure e fori misteriosi si aprono a terra, ai bordi delle strade, simili a occhi demoniaci, come le fenditure presenti in via Lascaris, inoltre, dall’alto sembrano controllarci incessantemente quegli strani mostri che numerosi si affacciano dalle pareti delle case, quegli esseri grotteschi ed inquietanti, sempre attenti, e sempre enigmatici. Essi sono visibili soprattutto sui palazzi più antichi, caratterizzati dalla presenza di un particolare elemento ricorrente: mascheroni in stucco, collocati sull’architrave dei portoni oppure sopra o sotto i riquadri delle finestre. Sono i “guardiani di soglia”, e hanno un valore altamente allegorico. Simboleggiano il confine tra il dentro e il fuori, ciò che si può vedere e ciò che deve restare nascosto, e impediscono che entrino in casa persone o presenze indesiderate. Come mai hanno un aspetto bislacco? Davanti ad una figura stravagante non si può trattenere un sorriso, ma così facendo, tutte le intenzioni bellicose svaniscono, e la casa è al sicuro da eventuali malignità. Ma se ci fosse ancora qualcun altro che ci osserva? Qualcuno che noi non possiamo vedere, che ogni tanto ci pare di percepire. Qualcuno che forse ci guarda come fossimo delle ombre con cui non si può interagire?


Torino pullula di spiriti, è sovraffollata di fantasmi che parrebbero non voler abbandonare la meravigliosa città nemmeno varcata l’ultima soglia. C’è chi sostiene di aver visto una strana vecchia in via XX Settembre, chi invece, sempre nella stessa strada, una coppia di fantasmi, deceduti probabilmente nel 1861, in un incendio, tesi nella ricerca dei loro parenti; al Municipio c’è un fantasma che muove gli oggetti ed emette strani rumori; ancora, in via della Basilica, ogni 10 del mese, compare una donna avvolta in una particolare luce, a chi la incontra chiede di essere perdonata di non si sa quale peccato. Presso la Basilica Mauriziana si aggira lo spirito di Pietro Cambiani, un inquisitore assassinato il 2 febbraio 1365; Piazza Palazzo di Città è infestata dal fantasma di un cordaio che si è impiccato legandosi alla sporgenza di un tetto, pare sia un ectoplasma dispettoso, che fa cadere le cose appoggiate al davanzale. Al Castello del Valentino, nelle notti fredde e buie, si può sentire il cocchio di Madama Cristina, trainato da cavalli infernali imbizzarriti, lo si può intravvedere nell’ombra correre fino a gettarsi nel fiume per poi sprofondare. In via San Francesco da Paola c’è il malinconico spirito della “Bela Caplera” (Bella Cappellaia); ancora degli spiriti regali sono stati avvistati presso la Chiesa della Consolata, forse Maria Adelaide di Savoia, mentre Filippo d’Agliè è solito aggirarsi al Monte dei Cappuccini.

L’elenco è ancora lungo. Luci improvvise nella notte, voci che si perdono tra le vie più strette, oggetti che si spostano, anime che non si arrendono a doversi distaccare da questo mondo. E in questa moltitudine di spiriti vi sono anche delle vittime di tragiche storie d’amore, come quella della figlia di “Monsù Druent”, vissuta a Palazzo Barolo. Elena Matilde Provana di Druento, figlia del conte Giacinto Antonio Ottavio Provana di Druento, si sposò con suo cugino, il marchese Gerolamo Gabriele Falletti di Castagnole, il giorno 3 febbraio 1695. Il matrimonio combinato si trasformò, come in una bella favola, in un matrimonio d’amore, tuttavia i due protagonisti non riuscirono ad avere il loro lieto fine. Il giorno delle nozze avvenne un doppio infausto presagio: crollò un pezzo dello scalone del palazzo e la sposa perse la collana che le era stata regalata dalla duchessa Anna Maria di Orléans. Nonostante gli avvertimenti del destino, la cerimonia non venne interrotta. Dall’unione dei due nacquero tre figli. Successe poi che “Monsù Druent” non volle pagare la dote della figlia e se la riprese in casa. Elena impazzì dal dolore e il 24 febbraio del 1701 si suicidò lanciandosi dalla finestra del primo piano. Quell’anno c’era molta neve e il colpo si attutì, la donna non morì sul colpo, ebbe il tempo di essere riportata nel palazzo e di spirare distesa su una panca di pietra che si trovava nell’androne.

Anni dopo, Ottavio Giuseppe Provana, uno dei figli di Elena, incaricò l’architetto Benedetto Alfieri di ristrutturare l’edificio, quest’ultimo, memore dell’infausto avvenimento, decise di inserire per ornare le finestre delle teste di putti, tutti sorridenti, tranne uno, quello posto sotto la finestra da cui si buttò la giovane sventurata. Ogni fantasma degno di nota compare con la luna piena, e quello di Elena non è da meno. Si dice che in quelle circostanze il suo spirito si aggiri, ancora dolorante per le sventure patite in vita, per le sale di Palazzo Barolo, alcune volte in compagnia dello spirito di Silvio Pellico, (1789-1854), anche lui inquilino dell’edificio, dopo la prigionia nella fortezza dello Spielberg.

Con le più che numerose testimonianze di chi giura di aver visto o sentito “qualcosa”, viene quasi naturale crederci. Una delle testimonianze più ravvicinate avvenne nelle gallerie sotterranee della cittadella: un bambino, durante una classica visita guidata, si era staccato dal gruppo e si era perso. Il piccolo aveva iniziato a correre lungo gli angusti corridoi, in preda al panico, finché un gentile signore non lo accompagnò cortesemente fino all’uscita. Un signore con la divisa settecentesca del battaglione Lyonnais. Ma le storie di fantasmi sono innumerevoli, alcune ci commuovono, altre ci fanno paura, perché gli spiriti sono come le persone, alcuni buoni e altri un po’ meno, ma tutti bisognosi di essere compresi.

Alessia Cagnotto

La battaglia di Ceresole d’Alba

Sul territorio piemontese giganteggia la lotta tra Francesco I, re di Francia, e l’imperatore Carlo V, reduci dalla grande battaglia di Pavia. Sono le “guerre d’Italia” tra i due grandi sovrani europei che si sfidano per imporsi nella penisola. A Ceresole d’Alba, il 14 aprile 1544, va in scena un altro atto del lungo e straordinario duello tra i giganti d’Europa

Almeno 10.000 caduti tra gli imperiali, circa 2000 francesi tra morti e feriti, un territorio percorso e devastato da 30.000 soldati che causarono lutti e sofferenze nella popolazione locale. In quel giorno di primavera Ceresole d’Alba diventò un immenso campo di battaglia. Nel paese di poco più di 2000 abitanti, a una decina di chilometri da Carmagnola, il Museo della Battaglia, aperto lo scorso autunno, racconta il sanguinoso scontro tra le truppe francesi di Francesco I e l’esercito imperiale di Carlo V che lasciò sul terreno migliaia di morti, feriti e mutilati.

Nato dalla collaborazione tra i Comuni di Ceresole d’Alba e di Saint Paul de Vence, il “Mubatt” illustra le fasi salienti di una delle più importanti battaglie combattute da eserciti stranieri in Italia. Mentre a Pavia i due monarchi presero parte allo scontro, il 14 aprile del 1544, alle porte di Torino, non c’erano né Carlo V né Francesco I, i due sovrani che hanno segnato gran parte delle vicende europee nella prima metà del Cinquecento, ma i loro condottieri, Francesco di Borbone, conte di Enghien, per i francesi e Alfonso d’Avalos per gli spagnoli-imperiali. Vinsero i francesi, vinse il giovane conte di Enghien che il re trattava quasi come un figlio. Fu grande l’eco della vittoria oltre le Alpi. Le mura che circondano Saint Paul de Vence, il celebre borgo degli artisti, furono fatte costruire da Francesco I proprio per commemorare la vittoria di Ceresole. Il cannone posto davanti alle mura della cittadina provenzale è stato soprannominato Lacan, dal nome dell’artigliere di Saint Paul che lo avrebbe portato come trofeo dopo la vittoria dei francesi in quel 14 aprile 1544. La pace firmata a Crépy sarà solo una tregua di breve durata. Dopo Ceresole d’Alba i francesi dilagarono in Piemonte. Anche Alba, Chieri, Casale, Ivrea e gran parte del Monferrato caddero nelle mani dell’armata transalpina. A metà del Cinquecento un’ampia fetta del Piemonte era stata annessa al regno di Francia ma dopo pochi anni la situazione internazionale mutò drasticamente. Nel 1557 la disastrosa sconfitta dei francesi a San Quintino (Saint-Quentin), nel nord della Francia, annientati dalle truppe imperiali condotte da Emanuele Filiberto, duca di Savoia (battaglia celebrata dal Caval’d brons in piazza San Carlo a Torino) condusse poco alla volta alla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559 che pose fine alle guerre d’Italia. Enrico II di Francia abbandonò i territori occupati in Savoia e in Piemonte anche se estese il suo dominio al Marchesato di Saluzzo e mantenne presidi militari nelle cittadelle di Torino, Chieri, Pinerolo e Chivasso. La prematura morte del conte d’Enghien, all’età di ventisette anni, fu causata da un banale incidente durante un gioco in un castello. Quando il Museo di Ceresole verrà riaperto, una volta superata l’emergenza sanitaria, il visitatore potrà seguire le tattiche e i movimenti degli eserciti sul territorio attraverso dei video raccontati da storici ed esperti militari ammirando reperti e cimeli storici.

Filippo Re

Carla Bruni: la diva torinese che incantò il mondo

Bella «come una Diana cacciatrice con gli artigli di velluto», come la definì sagacemente non molti anni or sono Jacques Séguéla, leggendario pubblicitario e collaboratore di quella vecchia volpe di Nicolas Sarkozy, «noiosa», come la ricorda l’arcinota (e ben più trasgressiva) compagna di sfilate Kate Moss.

Carla Bruni, la conturbante Carlà internazionale dalle gambe chilometriche, è ancor oggi una delle top model italiane più amate e conosciute di sempre (seconda solo alla femme fatale per eccellenza, Monica Bellucci, anche lei emigrata in Francia per consolidare la sua fama di vamp ammaliatrice).

Supermodella, cantante, ex Première Dame di Francia, nonché appartenente a una delle famiglie più agiate e potenti della raffinata Torino (proprietaria, tra le altre cose, del castello di Castagneto Po), la giovane Carlà impiega poco a farsi conoscere. A 19 anni abbandona gli studi alla Sorbona di Parigi, città in cui si trasferì alla tenera età di 7 anni, per intraprendere a tempo pieno la remunerativa carriera di modella, sfilando per le più prestigiose case di moda tra cui Christian Dior, Karl Lagerfeld, Yves Saint-Laurent e Chanel, arrivando a sfiorare gli 8 milioni di guadagno all’anno. Nel 1998 calca la sua ultima passerella, preferendo alle estenuanti (senza dubbio) sessioni fotografiche una più tranquilla carriera musicale. Il talento c’è ma non si vede. Intanto a una festa conosce il futuro Presidente francese, Sarkozy, che coglie al volo l’occasione di sponsorizzarsi a livello mondiale chiedendole dopo pochi mesi di frequentazione, tra uno champagne e l’altro, di sposarlo. Carlà sembra accettarlo così com’è, gambe corte incluse. L’unica cosa a cui dovrà dire addio sono i tacchi alti. La ricca ragazzina viziata dell’alta società torinese ha scalato la vetta più alta ed è diventata Première Dame. In barba a tutte noi. A ogni modo, alla fine della fiera, non sono certo stati i suoi anni all’Eliseo a passare alla storia. Che dire di quella femminilità graffiante che esibiva senza remore sulle passerelle più importanti del mondo negli spensierati anni 90? Per rinfrescarvi la memoria, eccovi una carrellata dei suoi momenti migliori nello sfavillante e deliziosamente ipocrita mondo della moda. Un plaisir pour les yeux!

Ilaria Losapio

immortal-beauties.com

Carla Bruni: the diva from Turin who enchanted the world.

Beautiful like «Diana the huntress with velvet claws», as cleverly claimed few years ago Jacques Séguéla, legendary advertiser and collaborator of that wily old fox Nicolas Sarkozy, «boring», as described by the well known (and far more transgressive) colleague Kate Moss. Carla Bruni, the seductive model with neverending legs, is still nowadays one of the most famous and most beloved Italian top models (along with the femme fatale par excellence, Monica Bellucci, who moved to France to strengthen her fame of charmer vamp). Supermodel, singer, former First Lady of France, also belonging to one of the richest and most powerful families of the refined Turin, in Northern Italy (owner of Castagneto Po’s castle), the young Carla reached fame quite quickly. At 19 she abandoned the studies at the Sorbonne of Paris to start a very profitable modeling career, working for some of the most prestigious couturiers like Christian Dior, Karl Lagerfeld, Yves Saint-Laurent and Chanel, earning millions of dollars per year. In 1998 she walked her last runway, preferring a career in music to the chaotic fashion industry. There’s talent but you can’t see it. Meanwhile, at a party, she meets the future President of France, Sarkozy, who immediately seizes the opportunity to gain global visibility by asking her to marry him. Carla seems to accept him as he is, short legs included. She’s only asked to stop wearing high heels. The rich, spoiled girl from Turin’s high society has finally reached the top of the mountain becoming First Lady. A lesson to us all. Anyway, eventually, she didn’t pass into history for her years at the Élysée Palace. What about that scathing femininity she showed off without hesitation on the most important runways during the carefree 90s? To refresh your memory, we have collected for you some of her best moments in the sparkling and delightfully hypocritical world of fashion.
Un plaisir pour les yeaux!

 

Nelle foto:

Carla by Steven Meisel, 1993

Karen mulder, Linda Evangelista e Carla Bruni con Gianni Versace, primavera-estate 1992. Bertrand Rindoff Petroff/Getty Images

foto di Helmut Newton, agosto 1992 

Condé Nast archive

I vent’anni del museo del cinema di Torino

Il Museo Nazionale del Cinema alla Mole Antonelliana compie vent’anni. Inaugurato il 19 luglio 2000 e realizzato su progetto di François Confino, è diventato uno dei musei più visitati di Torino e di tutto il Paese. Una vera e propria istituzione culturale che ha ottenuto importanti consensi a livello internazionale.

Quella del Museo in realtà è una seconda vita poiché l’idea parte da lontano grazie alla passione di Maria Adriana Prolo, la storica nata a Romagnano Sesia che legò il suo nome alla stagione pionieristica del cinema italiano, immaginando e fondando il museo.

Una storia importante che nasce da una piccola annotazione contenuta in un agenda di questa donna dalla straordinaria intelligenza e dalla vasta cultura cinematografica: “Otto giugno 1941: pensato il Museo”. Per tradurre in realtà quel pensiero di vollero un po’ di tempo e tanto lavoro . Nel settembre del ‘58  il museo venne inaugurato  a Torino in un ala di palazzo Chiablese e la Prolo ne fu nominata direttrice a vita. L’avventura terminò venticinque anni dopo, nel 1983, con le sale costrette a chiudere i battenti per carenza di risorse e l’impossibilità di adeguare la struttura alle nuove disposizioni di sicurezza. Quasi un decennio dopo la scomparsa della Prolo, avvenuta nel 1991, il Museo del Cinema risorse dalle sue ceneri come una moderna araba fenice nella nuova e attuale sede all’interno della Mole Antonelliana, monumento simbolo di Torino e “sogno verticale” del grande architetto che quando venne portato a compimento, con i suoi 167 metri e mezzo di altezza, era  l’edificio in muratura più alto d’Europa. Gli allestimenti del museo si sviluppano  a spirale verso l’alto e su più livelli espositivi, dando vita a una presentazione spettacolare delle collezioni  che ripercorrono la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. In una cornice di scenografie, proiezioni e giochi di luce, arricchita dall’esposizione di fotografie, bozzetti, oggetti e  percorsi di visita interattivi si possono scoprire  i segreti della storia del cinema , dal teatro d’ombre e le prime affascinanti lanterne magiche che hanno costituito la preistoria della “settima arte”, ai più spettacolari effetti speciali dei nostri giorni. Il Museo Nazionale del Cinema è stato visitato in questi anni da più di dieci milioni di persone ed è gestito da una Fondazione – presieduta da Enzo Ghigo, ex Presidente della Giunta regionale del Piemonte, che durante il suo governo (con l’assessore alla cultura Giampiero Leo) fece appunto realizzare la nuova sede del Museo alla Mole –  con lo scopo di promuovere attività di studio, ricerca e documentazione in materia di cinema, fotografia e immagine. Una realtà importante, vanto della città e dell’intera nazione, che annovera tra i soci fondatori la Città di Torino, la Regione Piemonte, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT, l’ Associazione Museo Nazionale del Cinema e la GTT.

Marco Travaglini

Giorello che praticò il dubbio laico

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La morte improvvisa e crudele del filosofo Giulio Giorello dopo due mesi di ricovero a Milano per Coronavirus, quasi subito dopo  la sua dimissione dall’ospedale rende ancora più duro il distacco da un maestro della cultura filosofica italiana che ha molto spaziato nella sua ricerca, anche se di  lui restano  soprattutto l’epistemologo e il filosofo della scienza  di altissimo valore.

Come ha detto Cacciari, liberò dal vecchio positivismo e dall’ideologismo marxista la ricerca  filosofica. Allievo di Ludovico Geymonat, era andato oltre il maestro. Bobbio una volta mi disse che Geymonat viveva soprattutto di certezza ideologiche , mentre noi laici siamo attratti dai dubbi.
Giorello ha praticato il dubbio laico, anche se non ha mai accettato la distinzione bobbiana tra  la laicità e il laicismo, quest’ultimo In contraddizione con lo spirito laico amato dal filosofo torinese. Giorello aveva un’idea forte del laicismo, per dirla con un’espressione cara a Nicola Abbagnano e al suo discepolo Giovanni Fornero. Discussi con lui di questi temi, ma fu difficile dialogare. Quando pubblicai un libro su Cavour e i rapporti tra Stato e Chiesa con Girolamo Cotroneo in cui liberammo Cavour da  certe ipoteche anticlericali e massoniche, gli spedii una copia, invitandolo a presentare il libro insieme a Raimondo Luraghi, ma non accetto’. In un’altra occasione gli spedii la nuova edizione del “Perché non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce, ma si limitò a ringraziare. Era molto difficile il  nostro dialogo , pur partendo da posizioni che affermavano il valore della tolleranza .  Fu un neo illuminista molto convinto, fu quasi a suo modo un nuovo Voltaire . Anche con Augusto Viano che ebbe posizioni assai vicine a lui, fu difficile il dialogo negli ultimi anni perché considerava la religione una sorta di idola tribus da rifiutare. Anche Giorello ebbe un atteggiamento simile. Io mi sono nutrito di Ruffini, di Bobbio, di Jemolo, di Passerin e facevo difficoltà a sintonizzarmi con Giorello il cui anticlericalismo ateizzante appariva una costante . In più ero amico di Marcello Pera  come lo ero stato di Francesco Barone , due figure quasi  antitetiche rispetto a Giorello Il suo libro “Di nessuna Chiesa . La libertà del laico” rappresenta assai bene il suo pensiero. Marco Pannella parlò di laici credenti e non credenti, un modo altro di affrontare il tema della laicità. Al contrario del Maestro Geymonat che polemizzò duramente con Popper, difendendo la società chiusa sovietica, Gioriello  fu per la società aperta popperiana, ma il liberalismo del pensatore austriaco gli fu sostanzialmente estraneo. Resta di lui una grande opera scientifica  destinata a restare e una inesausta passione civile, unita ad una grande coerenza. Giorello e’  stato un chierico alla maniera di Benda che non ha tradito . La libertà e ‘ stata l’animatrice del suo lavoro. Anche come divulgatore giornalistico e’ stato straordinario per la sua chiarezza esemplare . Rispetto a tanti marxisti vecchi e nuovi che hanno monopolizzato la filosofia italiana per decenni Giorello è stato capace di autonomia. Anni luce dai torinesi teorici del “pensiero debole“ passati  in tarda età, armi e bagagli, al marxismo. Mi sarebbe piaciuto leggere di un suo dialogo con Papa Francesco così distante dal clericalismo. Invece di Eugenio Scalfari che ha monopolizzato quel rapporto Giorello più di ogni altro avrebbe potuto portare il  confronto ad un livello molto alto che ci avrebbe arricchiti tutti, credenti e non credenti.

In mostra al MAO di Torino spaccati di vita e di tradizioni maghrebine

“Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria”. Fino al 30 agosto

“Corredi e bellezza” è il filo conduttore della rassegna. Esposti troviamo oggetti che sono Storia. Memoria e tradizione. Mai rinnegate, né dimenticate. Ma in ogni istante esibite e vissute in tutte le loro particolarità. In luoghi che sono “altro”. Non patria. Ma nuova terra.

Neppur sempre amica ed accogliente. In cui fermare vite sospese fra un presente e un passato, più o meno remoto, trascritto – attraverso gli oggetti della quotidianità, per l’appunto – in quelle “Storie dal Marocco” che è mostra-progetto nata dalla collaborazione di una ventina di famiglie marocchine dell’associazione torinese “Bab Sahara” (fondata nel 2002 a Carignano e oggi attiva nella Casa del Quartiere di San Salvario a Torino) con le responsabili dei Servizi Educativi del MAO, insieme ad alcune curatrici del Museo Egizio, ed ospitata negli spazi del Museo d’Arte Orientale, fino al prossimo 30 agosto. Obiettivo del progetto, risultato finale di un percorso iniziato nell’autunno dell’anno scorso: portare avanti una riflessione sull’idea di “memoria” e “patrimonio culturale”. Come i reperti archeologici e le opere esposte nei musei sono testimoni di un’identità ben precisa e di una specifica cultura, “allo stesso modo – sostengono i responsabili della rassegna– alcuni oggetti, scelti in mezzo a tanti da chi lascia la propria casa per stabilirsi in un altro Paese, assumono un valore differente e si trasformano in veicoli di trasmissione di una memoria viva, diventando un patrimonio imperdibile di cultura materiale”. E tali sono gli abiti tipici esposti (prezioso, quello da sposa della tradizione berbera), i corredi, le raffinate teiere, il necessario per il rituale dell’hammam o le tajine (piatti di terracotta spesso smaltata o decorata in cui cucinare pietanze di carne e pesce in umido) così come i prodotti e i piccoli oggetti adibiti al makeup. Oggetti partecipi di una sorta di “museo ideale”, selezionati dalle famiglie e in particolare dalle donne marocchine per farne memoria viva del loro Paese, curando- con il personale del Museo di via San Domenico- ogni dettaglio della piccola ma suggestiva mostra, dalla scelta dei materiali all’esposizione in vetrina fino alla scrittura delle didascalie. “Nel passaggio dall’oggetto al suo racconto – dicono ancora gli organizzatori – il patrimonio materiale si è così arricchito di un prezioso aspetto immateriale di ‘memoria’ e ‘testimonianza’: la cultura oggettiva e i ricordi personali delle partecipanti hanno in tal modo preso forma in tante narrazioni legate a oggetti iconici”. In cui raccontarsi, in un “mettersi in mostra” che è voglia e desiderio palese di confronto e dialogo. Mano tesa e voce amica. Per davvero bella da ascoltare.

Gianni Milani

 

“Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria”
MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it
Fino al 30 agosto
Orari: sab. e dom. 10/19 – lun. e mart. 13/20

Il torinese Santero tra i finalisti del “Calvino”

XXXIII edizione del Premio Italo Calvino. Annuncio delle opere finaliste / Giardino San Leonardo di Gian Primo BrugnoliOceanides di Riccardo CapoferroTrash di Martino CostaLingua madre di Maddalena FingerleSchikaneder e il labirinto di Benedetta GalliSei colpi al tramonto di Vanni Lai, La sostanza instabile di Giulia LombezziI martiri di Alessio OrgeraMa’ di Pier Lorenzo PisanoVita breve di un domatore di belve di Daniele SanteroIl valore affettivo di Nicoletta Verna

Da martedì 16 a domenica 21 giugno Presentazione online dei finalisti sul sito del Premio

https://www.premiocalvino.it/i-finalisti-2020/

 

lunedì 22 giugno, ore 17.30. Proclamazione del vincitore e delle menzioni speciali in diretta streaming

sulla pagine Facebook del Circolo dei lettori di Torino (@ilcircolodeilettori)  e del Premio (@premio.calvino)

con la partecipazione dei Giurati Omar Di MonopoliHelena Janeczek,  Gino RuozziFlavio SorigaNadia Terranova

Il Comitato di Lettura del Premio Italo Calvino ha scelto, tra gli 889 manoscritti  partecipanti al bando, undici opere finaliste, che sono state sottoposte

al giudizio della  Giuria della XXXIII edizione composta da Omar Di MonopoliHelena Janeczek, Gino  RuozziFlavio SorigaNadia Terranova.

I testi inediti, di autori esordienti, tra i quali i Giurati decreteranno il vincitore e le  menzioni speciali sono:  Giardino San Leonardo di Gian Primo Brugnoli,

Oceanides di Riccardo CapoferroTrash di Martino CostaLingua madre di Maddalena FingerleSchikaneder e il labirinto di Benedetta Galli,

Sei colpi al tramonto di Vanni LaiLa sostanza instabile di Giulia LombezziI martiri di Alessio OrgeraMa’ di Pier Lorenzo Pisano,

Vita breve di un domatore di belve di Daniele SanteroIl valore affettivo di Nicoletta Verna.

Nell’impossibilità di organizzare una Cerimonia di Premiazione pubblica a causa  dell’emergenza sanitaria, il Premio ha predisposto un finale alternativo, che si

svolgerà  online e si articolerà in più fasi per far conoscere nel modo migliore al pubblico e alle  case editrici i finalisti di questa edizione e i loro testi.

A partire da martedì 16 fino a domenica 21 giugno, sul sito e sulla pagina Facebook del  Premio, verrà pubblicato un video di presentazione per ciascun finalista,

con un  commento dei Giurati, la lettura di un estratto del testo e la voce dell’autore. I video  compariranno, due al giorno, in una sezione dedicata del sito

(https://www.premiocalvino.it/i-finalisti-2020/) in ordine casuale e senza alcuna gerarchia di  merito, e saranno accompagnati da una sinossi del testo

e una breve biografia dell’autore.

 

Lunedì 22 giugno alle 17.30, sulla pagina Facebook del Circolo dei lettori di Torino  (@ilcircolodeilettori) e su quella del Premio (@premio.calvino), si terrà

in diretta  streaming, con la partecipazione dei Giurati, la proclamazione del vincitore, delle  menzioni speciali della Giuria e della menzione speciale Treccani,

assegnata dall’Istituto  della Enciclopedia Italiana a un’opera che si distingua per originalità linguistica e creatività  espressiva.

Nel corso della diretta sarà inoltre  attribuito un Premio speciale del Direttivo  (composto da Franca CavagnoliAnna ChiarloniMario MarchettiLaura Mollea,

Carla Sacchi Ferrero)  a un’opera particolarmente meritevole sotto il profilo  dell’innovazione della forma romanzesca, scelta tra quelle non finaliste.

I testi finalisti e i loro autori

Come sempre, il lavoro del Comitato di Lettura del Premio, che con gli 889 manoscritti partecipanti  al bando ha registrato il numero più alto di iscrizioni

degli ultimi anni, non è stato facile: i testi  meritevoli o interessanti erano parecchi. Si è puntato, quindi, a una scelta che fosse insieme  rigorosa e rappresentativa

di tendenze, temi e stili diversi.

Ha preso così consistenza una rosa di autori suddivisi fondamentalmente tra Italia settentrionale (5)  e Italia centrale (4); c’è un solo finalista del Sud, precisamente

di Napoli, un altro è del sassarese,  confermando la produttività narrativa della Sardegna sempre ben rappresentata al Premio Calvino.  Quest’anno compaiono tre

dei tanti giovani italiani residenti all’estero per lavoro. Simili dati non  fanno che certificare il carattere nazionale del Premio e anche la sua capacità attrattiva sulle

nuove generazioni cosmopolite per scelta o per necessità.

I testi dei finalisti – le cui età variano dai 27 agli 81 anni con una netta prevalenza di  trenta/quarantenni (sette) – compongono un panorama variegato, che affronta

nodi esistenziali  o tematici di rilievo e si caratterizza per stili e scritture di buon livello, per coerenza e capacità di  evocazione.

La storia del Premio

Il Premio Italo Calvino è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto BobbioCesare CasesAnna ChiarloniNatalia GinzburgMassimo MilaLalla RomanoCesare Segre. Ideatrice del Premio e sua animatrice e Presidente

fino al 2010 è stata Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra Ottocento e Novecento. Calvino, com’è noto, ha svolto un intenso e significativo lavoro editoriale

per l’Einaudi; l’intenzione è stata, quindi, quella di riprenderne e raccoglierne il ruolo di talent scout di nuovi autori: di qui, l’idea di rivolgersi agli scrittori esordienti e inediti, per i quali non è facile trovare un contatto con il pubblico e con le case editrici. Il Premio ha impostato la propria attività seguendo gli stessi criteri che hanno

guidato Calvino: attenzione ed equilibriogusto della scoperta e funzione critica. Attuale Presidente del Premio è Mario Marchetti.

Come funziona il Premio

Il Premio Italo Calvino segnala e premia opere prime inedite di narrativa. Il Premio non ha mai  voluto – consapevolmente – definire una propria linea critica,

né privilegiare stili, forme e  contenuti. L’interesse è unicamente per la qualità della scrittura e per l’emergere di nuove  tendenze.

Ogni anno, alla scadenza del bando, i manoscritti pervenuti vengono ripartiti all’interno del  Comitato di Lettura, composto da una sessantina di  persone

qualificate al compito per i loro  studi o per la loro attività professionale (specializzati o dottori di ricerca in discipline  umanistiche, traduttori, redattori editoriali,

 docenti universitari e medi, critici e saggisti). Ognuno  comincia la lettura in solitaria e redige una scheda di lettura, libro per libro, sulla base di criteri di  valutazione oggettivi e condivisi. Al termine del primo giro di letture, si svolge una serie di  riunioni, durante le quali si discutono e si scambiano i manoscritti. Infine, si arriva

a emettere un  giudizio su  ogni testo e a individuare mediamente una decina di opere finaliste da inviare alla  Giuria, composta da cinque personalità del mondo culturale (scrittori, critici, letterati).  È questa  Giuria, ogni anno diversa, a scegliere il vincitore e a segnalare eventualmente altre opere degne di  interesse.

Nelle settimane successive alla proclamazione del vincitore e delle menzioni, il Premio  invia un giudizio dell’opera presentata a tutti i concorrenti iscritti al bando.

In questo modo, la  partecipazione al Premio assume un carattere non soltanto di competizione ma anche di valutazione  e orientamento per l’autore, grazie alle indicazioni tecniche e stilistiche fornite dalla scheda di  lettura.

I vincitori e le Giurie delle passate edizioni

Le Giurie del Premio, ogni anno diverse, sono sempre state costituite da critici letteraristorici della  letteraturascrittori e operatori culturali tra i più rappresentativi

della scena culturale italiana dagli anni  ‘70 ad oggi: Natalia Ginzburg, Cesare Segre, Ginevra Bompiani, Vincenzo Consolo, Edoardo Sanguineti,

Ernesto Ferrero, Gianluigi Beccaria, Dacia Maraini, Angelo Guglielmi, Marino Sinibaldi, Michele Mari,  Tiziano Scarpa, Nicola Lagioia, Carlo Lucarelli,

Antonio Scurati, Valeria Parrella, Michela Murgia, Mario  Desiati, Marco Missiroli, Luca Doninelli, Teresa Ciabatti, Vanni Santoni, Davide Orecchio, Giuseppe Lupo,

Sandra Petrignani, solo per citarne alcuni.

 

Il Premio Calvino può ormai contare un notevole numero di autori affermati, che hanno iniziato il loro  percorso editoriale proprio partendo dalla partecipazione

al concorso. Tra gli altri: Marcello Fois (Picta,  Marcos y Marcos), Francesco Piccolo (Diario di uno scrittore senza talento), Paola Mastrocola (La gallina

volante, Guanda), Fulvio Ervas (La lotteria, Marcos y Marcos, con Luisa Carnielli), Flavio Soriga (Diavoli  di Nuraiò, Il Maestrale), Peppe Fiore (L’attesa di un figlio

nella vita di un giovane padre, oggi, Coniglio),  Errico Buonanno (Piccola serenata notturna, Marsilio), Paolo Di Paolo (Nuovi cieli, nuove carte,  Empirìa),

Rossella Milone (Prendetevi cura delle bambine, Avagliano), Giusi Marchetta (Dai un bacio a  chi vuoi tu, Terre di Mezzo), Mariapia Veladiano (La vita accanto, Einaudi Stile Libero), Letizia Pezzali  (L’età lirica, Baldini Castoldi Dalai), Simona Baldelli (Evelina e le fate, Giunti) ,  Francesco Maino  (Cartongesso, Einaudi), Domenico Dara (Breve trattato sulle coincidenze, Nutrimenti).

Tra gli ultimi vincitori pubblicati: Cesare Sinatti (La Splendente, Feltrinelli), Emanuela Canepa  (L’animale femmina, Einaudi Stile Libero),

Filippo Tapparelli (L’inverno di Giona, Mondadori), Gennaro  Serio (Notturno di Gibilterra, L’orma).