Annunciate le cinque selezionate per la prima edizione. Sabato 18 luglio, la cerimonia di premiazione al Castello di Perno nelle Langhe
Monforte d’Alba (Cuneo) – Tutte donne. Un gruppo “in rosa” di cinque super-traduttrici. Due sono docenti di “Lingua e Letteratura araba” all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale; una terza all’Università del Salento; la quarta insegna alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici CIELS di Milano e la quinta collabora con diverse case editrici italiane come consulente editoriale e traduttrice letteraria freelance. Nell’ordine, questi i loro nomi: Maria Avino, Monica Ruocco, Samuela Pagani, Nadia Rocchetti e Barbara Teresi. Sono loro le cinque finaliste selezionate nei giorni scorsi dalla Giuria Stabile del “Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione”, promosso dalla Fondazione Bottari Lattes e dedicato per la sua prima edizione alla Letteratura in lingua araba tradotta in italiano. A Maria Avino, il riconoscimento è andato per la traduzione di “Morire è un mestiere difficile” del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); a Monica Ruocco per “Il suonatore di nuvole” dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017), mentre Samuela Pagani, Nadia Rocchetti e Barbara Teresi si sono guadagnate la finale rispettivamente per la traduzione del “Corriere di notte” (La Nave di Teseo, 2019) del libanese Hoda Barakat, di “Viaggio contro il tempo” (Jouvence, 2018) della libanese Emily Nasrallah e di “Una piccola morte” (E/o, 2019) del saudita Mohamed Hasan Alwan.
La cerimonia premiazione – condotta dalla giornalista e saggista Paola Caridi – si terrà sabato 18 luglio, alle ore 18, nel giardino del Castello di Perno (Cuneo) nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. Nell’occasione l’orientalista Fabrizio Pennacchietti terrà una lectio magistralis su “L’arabo letterario moderno può dirsi una lingua ‘europea’?”. A ingresso libero con prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti, la cerimonia si svolgerà nel pieno rispetto delle normative di sicurezza per l’emergenza Covid-19 (inviare mail con nome e cognome a: book@fondazionebottarilattes.com). Potrà anche essere seguita in diretta streaming sulla pagina Facebook della Fondazione. In caso di pioggia, la premiazione si svolgerà all’Auditorium della stessa Fondazione, in via Marconi 16 a Monforte d’Alba.
“Con il Premio Mario Lattes per la Traduzione – sottolineano gli organizzatori – la Fondazione Bottari Lattes pone l’attenzione sul fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e sull’impareggiabile contributo della traduzione nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo. Con questa iniziativa la Fondazione intende altresì promuovere la conoscenza di culture e autori meno noti al pubblico italiano e incoraggiare la traduzione in italiano delle loro opere letterarie più significative per qualità letteraria e profondità di contenuti, riflessioni, testimonianza”.
Promosso dalla Fondazione Bottari Lattes, il Premio è realizzato in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno e il Comune di Monforte d’Alba, con il contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba, con il patrocinio dell’Unione di Comuni “Colline Di Langa e Del Barolo” e di “S. Lattes & C. Editori”.
Per info: tel. 011/19771755 – 0173/7892412 o book@fondazionebottarilattes.it, eventi@fondazionebottarilattes.it
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g. m.
Il Mondo era il giornale che il grande pubblico non leggeva, ma che non mancava sulle scrivanie di sostenitori e avversari e, in particolare, negli uffici dei palazzi che formavano l’establishment di allora. “Perché uomini come Moravia e Montanelli – si interrogava Domenico Bartoli su Epoca, nel 1968 – dovevano tenere il parere di Pannunzio in maggior conto di quello dei critici più conosciuti? E perché grandi personaggi come Croce, Salvemini e Einaudi, tanto più vecchi e famosi di lui, assai diversi l’uno dall’altro, gli avevano concesso interamente la loro stima e fiducia?”.
Articolo 1: Torino geograficamente magica
L’elenco è ancora lungo. Luci improvvise nella notte, voci che si perdono tra le vie più strette, oggetti che si spostano, anime che non si arrendono a doversi distaccare da questo mondo. E in questa moltitudine di spiriti vi sono anche delle vittime di tragiche storie d’amore, come quella della figlia di “Monsù Druent”, vissuta a Palazzo Barolo. Elena Matilde Provana di Druento, figlia del conte Giacinto Antonio Ottavio Provana di Druento, si sposò con suo cugino, il marchese Gerolamo Gabriele Falletti di Castagnole, il giorno 3 febbraio 1695. Il matrimonio combinato si trasformò, come in una bella favola, in un matrimonio d’amore, tuttavia i due protagonisti non riuscirono ad avere il loro lieto fine. Il giorno delle nozze avvenne un doppio infausto presagio: crollò un pezzo dello scalone del palazzo e la sposa perse la collana che le era stata regalata dalla duchessa Anna Maria di Orléans. Nonostante gli avvertimenti del destino, la cerimonia non venne interrotta. Dall’unione dei due nacquero tre figli. Successe poi che “Monsù Druent” non volle pagare la dote della figlia e se la riprese in casa. Elena impazzì dal dolore e il 24 febbraio del 1701 si suicidò lanciandosi dalla finestra del primo piano. Quell’anno c’era molta neve e il colpo si attutì, la donna non morì sul colpo, ebbe il tempo di essere riportata nel palazzo e di spirare distesa su una panca di pietra che si trovava nell’androne.
Almeno 10.000 caduti tra gli imperiali, circa 2000 francesi tra morti e feriti, un territorio percorso e devastato da 30.000 soldati che causarono lutti e sofferenze nella popolazione locale. In quel giorno di primavera Ceresole d’Alba diventò un immenso campo di battaglia. Nel paese di poco più di 2000 abitanti, a una decina di chilometri da Carmagnola, il Museo della Battaglia, aperto lo scorso autunno, racconta il sanguinoso scontro tra le truppe francesi di Francesco I e l’esercito imperiale di Carlo V che lasciò sul terreno migliaia di morti, feriti e mutilati.
firmata a Crépy sarà solo una tregua di breve durata. Dopo Ceresole d’Alba i francesi dilagarono in Piemonte. Anche Alba, Chieri, Casale, Ivrea e gran parte del Monferrato caddero nelle mani dell’armata transalpina. A metà del Cinquecento un’ampia fetta del Piemonte era stata annessa al regno di Francia ma dopo pochi anni la situazione internazionale mutò drasticamente. Nel 1557 la disastrosa sconfitta dei francesi a San Quintino (Saint-Quentin), nel nord della Francia, annientati dalle truppe imperiali condotte da Emanuele Filiberto, duca di Savoia (battaglia celebrata dal Caval’d brons in piazza San Carlo a Torino) condusse poco alla volta alla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559 che pose fine alle guerre d’Italia. Enrico II di Francia abbandonò i territori occupati in Savoia e in Piemonte anche se estese il suo dominio al Marchesato di Saluzzo e mantenne presidi militari nelle cittadelle di Torino, Chieri, Pinerolo e Chivasso. La prematura morte del conte d’Enghien, all’età di ventisette anni, fu causata da un banale incidente durante un gioco in un castello. Quando il Museo di Ceresole verrà riaperto, una volta superata l’emergenza sanitaria, il visitatore potrà seguire le tattiche e i movimenti degli eserciti sul territorio attraverso dei video raccontati da storici ed esperti militari ammirando reperti e cimeli storici.
Bella «come una Diana cacciatrice con gli artigli di velluto», come la definì sagacemente non molti anni or sono Jacques Séguéla, leggendario pubblicitario e collaboratore di quella vecchia volpe di Nicolas Sarkozy, «noiosa», come la ricorda l’arcinota (e ben più trasgressiva) compagna di sfilate Kate Moss.
barba a tutte noi. A ogni modo, alla fine della fiera, non sono certo stati i suoi anni all’Eliseo a passare alla storia. Che dire di quella femminilità graffiante che esibiva senza remore sulle passerelle più importanti del mondo negli spensierati anni 90? Per rinfrescarvi la memoria, eccovi una carrellata dei suoi momenti migliori nello sfavillante e deliziosamente ipocrita mondo della moda. Un plaisir pour les yeux!
Nelle foto:
Come ha detto Cacciari, liberò dal vecchio positivismo e dall’ideologismo marxista la ricerca filosofica. Allievo di Ludovico Geymonat, era andato oltre il maestro. Bobbio una volta mi disse che Geymonat viveva soprattutto di certezza ideologiche , mentre noi laici siamo attratti dai dubbi.
“Storie dal Marocco. Oggetti testimoni di identità e memoria”. Fino al 30 agosto
e i piccoli oggetti adibiti al makeup. Oggetti partecipi di una sorta di “museo ideale”, selezionati dalle famiglie e in particolare dalle donne marocchine per farne memoria viva del loro Paese, curando- con il personale del Museo di via San Domenico- ogni dettaglio della piccola ma suggestiva mostra, dalla scelta dei materiali all’esposizione in vetrina fino alla scrittura delle didascalie. “Nel passaggio dall’oggetto al suo racconto – dicono ancora gli organizzatori – il patrimonio materiale si è così arricchito di un prezioso aspetto immateriale di ‘memoria’ e ‘testimonianza’: la cultura oggettiva e i ricordi personali delle partecipanti hanno in tal modo preso forma in tante narrazioni legate a oggetti iconici”. In cui raccontarsi, in un “mettersi in mostra” che è voglia e desiderio palese di confronto e dialogo. Mano tesa e voce amica. Per davvero bella da ascoltare.
XXXIII edizione del Premio Italo Calvino. Annuncio delle opere finaliste /
I testi finalisti e i loro autori