“La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij. “Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione” aveva scritto Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti.
E sono proprio di qualche giorno fa due iniziative del Ministero degli Esteri italiano rilanciate dall’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani, nel suo saluto per il 2 giugno, diffuso oggi dalla rappresentanza italiana. Un e-book, dal titolo “Le Piazze (In)visibili”, e un video con l’esecuzione in sincrono dell’inno nazionale da parte dell’orchestra e coro dell’Accademia Chigiana.
“Dopo questi mesi chiusi nelle nostre case – scrive Sebastiani – credo che abbiamo ancor più compreso quanto siano importanti gli spazi umani e la bellezza, che davvero infonde gioia nel cuore degli uomini, che oltrepassa le generazioni e le unisce (…) le nostre piazze vuote sono divenute all’improvviso spazi aperti da ammirare, con prospettive dimenticate, nella piena bellezza delle loro linee architettoniche e urbanistiche”.
“Nel nostro straordinario Paese – aggiunge l’ambasciatore – sappiamo che le città nei secoli sono state costruite come un’opera d’arte. Negli edifici di culto come in quelli civili si sono cercate, con tenacia e maestria, appunto la bellezza e la perfezione. Non a caso in queste belle città, circondate da stupende opere d’arte, si è sviluppata e arricchita la nostra civiltà, con i suoi diritti e con le sue libertà”.
E l’altra sera, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel saluto che ha rivolto, dopo l’esecuzione dell’inno nazionale, all’inizio del “Concerto dedicato alle vittime del coronavirus”, nel 74° anniversario della Festa nazionale della Repubblica, nei Giardini del Quirinale ha detto: “Il 2 giugno, domani, si celebra l’anniversario della nascita della nostra Repubblica. Lo faremo in una atmosfera in cui proviamo nello stesso tempo sentimenti di incertezza e motivi di speranza. Stretti tra il dolore per la tragedia che improvvisamente ci è toccato vivere e la volontà di un nuovo inizio”.
Ma a Colli al Metauro (Pesaro Urbino) il 28 maggio si era già ripartiti con questo spirito, e precisamente da Bargni, borgo perla di Serrungarina, in territori che Leonardo da Vinci e Piero della Francesca osservavano e riproducevano nei loro capolavori.
Ci ha pensato bene Roberta Arduini del quartetto Oasi di Pesaro a partorire già in maggio con la scelta di parole e brani musicali opportuni questi sentimenti in un’opera inedita da lei scritta e concepita per la rinascita, che dà piacere ai sensi e attrae per la sua bellezza.
In questo spettacolo l’autrice interpreta con intensità Madre Terra, dopo l’inno nazionale eseguito dai tre maestri, la pianista Franca Moschini, il violinista Paride Battistoni e il violoncellista Colombo Silviotti, che hanno poi continuato ad eseguire con la maestria di sempre che li distingue anche i brani musicali successivi, ben scelti dall’autrice come sottofondo dei suoi testi.
“Il Soffio della Nuova Vita” è il titolo dell’opera andata in onda su Fano Tv, nell’iniziativa televisiva “Colli al Metauro riparte dalla bellezza”, per mettere in evidenza la bellezza e la cultura dei luoghi della provincia di Pesaro Urbino, ben visibili in immagini suggestive, che fanno bella mostra di sé nel video registrato trasmesso in prima serata da Fano Tv e poi replicato più volte. Ricordiamo che lo spettacolo è stato visibile in tutta Italia in diretta streaming e in tv nelle Marche.
“E poi rinasci! Rinasci con la forza di quel fiore, di quel piccolo ciuffo d’erba che cresce attraverso quella minuscola fessura nel cemento, come un eroe! E fa in modo che sotto la tua mascherina, ci sia il tuo sorriso più raggiante, il tuo grazie di essere nato nel luogo più bello del mondo: la tua meravigliosa signora Italia. Che ti ha aspettato. Con la sua rispettosa ed eterna eleganza. Nel silenzio delle sue strade vuote. Ha ripreso respiro, la grazia che merita, il nostro rispetto. E si è fatta ancor più bella in questa primavera che molti di Voi non rivedranno più ! La sua eterna bellezza, ti darà la forza per rialzarti. Ti consolerà con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi scorci che ti seducono da sempre, con la loro storia fatta di artisti, artigiani, scienziati, medici, navigatori, esploratori. Umili persone, che hanno offerto la loro vita e hanno combattuto con un’ unica arma: l’Amore. Lo stesso Amore che vuole ricucire il tessuto di questa società. Rovesciando i potenti dai troni e sollevando gli umili. Lo stesso Amore che ti urla, di non perdere mai il Senso della Vita. Che riconosci negli occhi degli anziani e di tutte quelle vite sacrificate in cambio della tua salvezza. E che hai il dovere, di trasmettere ai tuoi figli” – questa non è che solo una parte del testo, di cui vi abbiamo voluto dare un assaggio, dell’opera in cui Madre Terra (Roberta Arduini) ci parla accorata.
Spettacolo unico del suo genere per cui grande merito va dato all’autrice Roberta Arduini ispirata nei testi e nella scelta delle musiche e ai maestri musicisti che le hanno eseguite all’aperto, con la sonorità a rischio per la giornata ventosa.
A questa iniziativa, faranno seguito altre iniziative del genere, perché di bellezza ce n’è tanta in Italia e si spera che l’autrice Roberta Arduini, (in foto) riesca a portare in giro per l’Italia il suo emozionante e salutare connubio di testi e musiche, ben quarta sua opera prodotta.
Il 2 giugno 2020, quindi “l’Italia s’è desta”, o meglio s’è ridesta con la voglia di tornare a vivere e godere riscoprendo con luce nuova il suo molteplice e variegato patrimonio artistico e culturale, respirando “Il Soffio della Nuova Vita”.
Vito Piepoli
Molti personaggi particolari si sono aggirati per le strade di Torino nel corso del tempo, alcuni famosi, altri conosciuti solo nei quartieri in cui abitavano, altri ancora avrebbero preferito non essere ricordati da nessuno.
Noto ai torinesi, ma decisamente non amato, fu invece Pietro Pantoni. Egli abitava in via Bonelli 2, ed era il boia della città. Il suo percorso di vita era segnato fin dall’adolescenza, poiché quello era il mestiere di famiglia. Nel 1831 Pietro ricevette, da Urbano Rattazzi, la patente di Ministro di Giustizia torinese. L’uomo rimase in attività per più di trent’anni, giustiziando 127 persone, fino al 13 aprile 1864, anno in cui si tolse il celebre e sinistro mantello rosso: la forca avrebbe di lì in avanti lasciato il passo alla fucilazione. Pietro non ebbe vita facile, poiché la figura del boia, ovviamente, era denigrata da tutti. La moglie di Pietro Pantoni soffrì in modo particolare questa situazione, tanto che quasi non usciva di casa. Una storia antica ci riporta al XV secolo, quando il duca Amedeo VIII di Savoia era dovuto intervenire per riportare l’ordine tra i fornai della città di Torino, che si rifiutavano di vendere il pane al boia. Il duca li obbligò a farlo, pena il diventare clienti dello stesso esecutore. Ma i fornai, astuti, escogitarono un modo per manifestare comunque il loro disprezzo e iniziarono a porgere alla moglie del boia di turno il pane al contrario. Il Duca intervenne di nuovo: nacque il pancarrè, un pane uguale dai due lati, per non far torto a nessuno. Nonostante tutto, le monete pagate dalle consorti dei boia torinesi continuarono ad essere gettate in una ciotola di aceto dai fornai, per essere “ripulite” dalla loro efferata origine. Curioso era anche il metodo con cui il boia veniva pagato dopo un’esecuzione. Il responsabile firmava il foglio di pagamento indossando i guanti, per non aver nulla a che fare con quel denaro. Dopodiché buttava il foglio per terra, dove un addetto lo prendeva con delle pinze e lo gettava al boia, che aspettava nella tromba delle scale o sotto la finestra.
Di Pier Franco Quaglieni / 
In Italia non si votava liberamente da tanti decenni perché già le elezioni del 1924 – i cui brogli erano stati denunciati da Giacomo Matteotti – erano state manipolate dai fascisti anche attraverso il sistema elettorale, assai poco democratico, adottato con la Legge Acerbo. Nel 1946 c’erano quindi tantissimi italiani non abituati a votare in una libera democrazia. Al di là del dubbio dei brogli da parte monarchica, mai documentati in modo convincente, Oliva mette in risalto che se errori, manchevolezze o altro ci furono, ciò fu dovuto anche ad una macchina elettorale non pronta a misurarsi con un referendum: ci fu chi segnalò che cittadini avevano votato due volte, chi lamentò di non aver ricevuto il certificato elettorale, ci fu chi, pur avendolo ricevuto, non poté votare perché non registrato al seggio e chi mise in dubbio l’imparzialità di qualche presidente di seggio.
La stessa campagna elettorale si svolse in modo non sereno, almeno in alcune zone del Nord come Torino. La giovane contessa Buffa di Perrero venne percossa selvaggiamente mentre attaccava dei manifesti monarchici nella città sabauda: un’aggressione che le provocò un’invalidità permanente. I leader monarchici in tante città del Nord non ebbero modo di parlare. I giornali erano tutti schierati per la Repubblica: solo la Nuova Stampa diretta da Filippo Burzio alternava gli articoli filomonarchici del suo direttore con quelli repubblicani di Luigi Salvatorelli.
Scrive lo storico torinese: «La Repubblica nasce così tra ricorsi, sospetti, cavilli e pressioni, con la debolezza della politica da una parte e, dall’altra, la magistratura chiamata ad un ruolo improprio di supplenza». Come scrisse Vittorio Gorresio, allora capocronista del Risorgimento Liberale di Mario Pannunzio, «la folla in piazza Montecitorio chiedeva la bandiera, ma non ne fu esposta nessuna perché non si sapeva quale». La Repubblica nacque quindi nel peggiore dei modi possibili ed ebbe buon gioco il monarchico Giovannino Guareschi a scrivere di «Repubblica provvisoria» anche se alla prova dei fatti le sue origini si riscattarono ampiamente con l’Assemblea Costituente e la redazione di una Carta Costituzionale che ha garantito quasi 70 anni di libertà e di democrazia. Lo stesso Covelli che fu deputato alla Costituente e in molte legislature successive lo riconobbe. Il dato incontestabile è però che una Monarchia non avrebbe potuto reggersi con il consenso di poco più del 50 per cento degli italiani. La Dinastia che aveva fatto il Risorgimento e aveva ceduto (o era stata costretta a cedere) di fronte al fascismo scelse la via dell’esilio.
nuotato controcorrente senza mai scadere nel banale revisionismo che tenta di negare realtà anche assai evidenti e ha cercato di “sdoganare” il fascismo, ma non ha mai speso una parola per i Savoia. È uno storico che con questa opera rivela la sua maturità di studioso, così lontana dalle impostazioni ideologiche di un Quazza e di un Rochat. Quand’era un politico seppe portare nella politica l’equilibrio dello storico e, scrivendo di storia, non si è mai lasciato sedurre dalle sirene delle ideologie che Raimondo Luraghi considerava il veleno letale per la storiografia. Rileggere il suo libro sul referendum del 2 giugno e la fine della Monarchia è il modo migliore per ricordare un fatto storico senza enfasi e polemiche che oggi appiaono superate,ma divisero in due i nostri padri e i nostri nonni.
Fino al prossimo mese di agosto, ingresso gratuito per gli operatori sanitari impegnati nei reparti Covid di tutta ItaliaLi hanno definiti “eroi”. E certo la definizione appare assolutamente adeguata, se si pensa all’impegno e al coraggio – insieme alle competenze e alla quotidiana pervicacia – con cui hanno combattuto “in trincea” ( fino al sacrificio per molti – troppi della loro stessa vita) contro la ferocia di una pandemia – “nemico invisibile” che ha lasciato sul campo, in tutto il pianeta, centinaia di migliaia di vite umane. Per questa ragione, in segno di una più che mai dovuta gratitudine, a tutti i medici, infermieri e OOSS che hanno lavorato e continuano a lavorare nei reparti Covid di tutta Italia, il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino offre l’ingresso gratuito, esteso anche ai loro accompagnatori, nei prossimi mesi di giugno, luglio ed agosto. Un bel modo, non c’è che dire, per il Museo di Palazzo Carignano (via Accademia delle Scienze, 5) per tornare a riaprire i battenti dopo il necessario lockdown imposto dall’emergenza Coronavirus. Cosa che accadrà il prossimo martedì 2 giugno, così come richiesto dalla Città di Torino a tutti i musei con l’intento di creare una giornata che sia una grande festa della cultura.