CULTURA- Pagina 16

Valle Formazza, la “piccola repubblica” dei walser

Incuneata nel cuore della Alpi, fino al centro delle “Alpi Somme” da cui partono le acque nelle quattro direzioni dei venti, la valle Formazza ha una storia singolare e affascinante, irripetibile in qualsiasi altra valle dell’arco alpino

La prima e più importante delle colonie walser, il  “nido d’aquila” di questo grande popolo di montanari che disseminò di comunità i due versanti dell’arco alpino. Lo storico Enrico Rizzi, scrivendo per l’editore Grossi la “Storia della Valle Formazza” , ha consegnato ai lettori un lavoro monumentale, frutto di anni di certosine ricerche, raccogliendo documenti e testimonianze. Un’opera davvero completa che illustra la storia ricca e spesso imprevedibile della Valle Formazza. “ La nostra posizione strategica, quasi fosse un cuneo nel cuore delle alpi centrali – afferma la vulcanica sindaca di Formazza, Bruna Papa – ha consentito al nostro territorio di essere per secoli un’arteria di traffici mercantili, scambi e contatti con il nord delle Alpi più di qualsiasi altra vallata dell’eco alpino”. Una valle “sospesa tra sud e nord” a far da cerniera e punto d’incontro anche per motivi artistici, religiosi e civili. Il nodo dei passi attraversati nei secoli dai someggiatori lungo le vie europee del sale, del vino, dei formaggi, la sua eccezionale posizione strategica, hanno fatto della più antica colonia fondata dai Walser nel medioevo, una “piccola repubblica” sospesa tra la Lombardia e la Svizzera . Territorio conteso con agli Svizzeri che cercavano un altro sbocco verso il Mezzogiorno, allargando e rettificando il confine meridionale della Val Leventina, venne aggregato al ducato di Milano, e seguì le vicende di tutto il restante della Val d’Ossola rimanendo sotto la dominazione spagnola fino al 1714, e passando poi sotto le dominazioni austriaca (1714-48), sabauda (1748-97), francese (1797-1814) e italiana.Retta per secoli autonomamente, con il proprio tribunale valligiano e rustiche magistrature democratiche, Formazza  ha sempre coltivato la sua fiera indipendenza, la sua lingua, lo stile delle sue case di legno, le sue antiche tradizioni, un ricchissimo paesaggio naturale che ha nella superba Cascata della Toce il suo monumento più suggestivo, ammirato nei loro viaggi alpini da naturalisti e scienziati, poeti e artisti come Saussure, Dolomieu, Coolidge, Ermanno Olmi,Carlo Rubbia. Un luogo  che Mario Rigoni Stern  raccontò nel suo libro “L’ultima partita a carte”, descrivendo  il suo “corso sciatori” in alta Val Formazza nel gennaio del 1939 : “Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra”. Tornando al libro di Rizzi  va detto che lo storico delle Alpi e autore di molti libri sui Walser nelle 480 pagine di quest’opera straordinaria, corredata di foto e documenti, non tralascia nulla nel ricostruire la storia di questa bellissima valle.

Marco Travaglini

Un’estate nelle fortezze piemontesi tra storia, musica e spettacoli

Si rinnova l’impegno per la valorizzazione del sistema delle fortificazioni piemontesi, declinando la visione più ampia e di lungo termine della Regione Piemonte e della Fondazione Compagnia di San Paolo, che hanno individuato nel ricco e differenziato patrimonio fortificato una risorsa strategica per la promozione turistica dei territori mediante la cultura.

Da questo mese di luglio un fitto calendario di musica, spettacoli, visite guidate e tanto altro animerà i forti di Exilles, Fenestrelle, Gavi e Vinadio, già coinvolti lo scorso anno, e l’Opera 5 di Moiola, un’opera in caverna tra le più grandi del Cuneese facente parte di un più ampio sistema difensivo di fortini costruiti in Valle Sturaoltre al progetto Le Strade dei Forti, che vuole valorizzare il paesaggio fortificato del Pinerolese. Sarà avviato anche uno speciale gioco a premi per incentivare la visita e la partecipazione alle attività previste in tutte le fortificazioni coinvolte. Si concluderà il 21 e 22 settembre con la seconda edizione di Forti Fortissimi!.

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«Forti Piemonte – ha sottolineato Marina Chiarelli, assessore regionale alla Cultura, Turismo e Sport nel corso della presentazione svoltasi nella Sala Trasparenza della Regione – è un progetto di valorizzazione di fortificazioni che, con la loro storia e le loro architetture imponenti, sono motore di sviluppo e di innovazione e capaci di offrire esperienze culturali di altissimo livello. Un patrimonio che ci ricorda la storia millenaria del nostro Piemonte ed è destinato non solo ad attrarre un pubblico internazionale, ma anche a far riscoprire a noi stessi luoghi che spesso sono rimasti nell’ombra».

A coordinare l’intera iniziativa la Fondazione Artea, in collaborazione con Associazione Abbonamento Musei, Fondazione Piemonte dal VivoVisit Piemonte, con il supporto di enti ed associazioni locali direttamente o indirettamente coinvolti nella gestione e nell’animazione dei forti.

Il programma completo è su https://fondazioneartea.org/forti-piemonte/

Tristemente Amalia

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce.

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Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere. (ac)

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9. Tristemente Amalia
Negli articoli precedenti ho voluto proporre storie di donne medico, donne soldato, paladine dell’istruzione, figure imponenti, dal carattere forte che non deflette. Eppure non tutte le eroine sono fatte della stessa pasta, in più, parlando di protagoniste al femminile, è impossibile non incappare in una storia d’amore, legata ai canoni romantici della passione travagliata e devastante, tipica delle eroine tragiche che si consumano per qualche immeritevole eroe, con la medesima grazia di Madama Butterfly o con la cruda, suicida determinazione di Didone.  Amalia Guglielminetti nasce a Torino il 4 aprile 1882. Rimane orfana di padre a soli cinque anni e viene accolta nella casa del nonno paterno, Lorenzo. Il nonno è molto religioso e fedele ai valori tradizionali del cattolicesimo ortodosso, delega quindi l’educazione della bambina ad istituti privati di stretta osservanza cattolica. All’età di 22 anni, Amalia dimostra passione per la letteratura e doti di scrittrice pubblicando la sua prima raccolta di poesie “Voci di Giovinezza”, di impronta carducciana. A Torino frequenta la Società di Cultura insieme a illustri personaggi quali Thovez, Pastonchi, Graf, Gozzano e Borgese; è in questo ambiente che la giovane cresce e diventa donna appassionata e sensibile, sempre vestita all’ultima moda parigina, proprio secondo i canoni del gusto Liberty. Nel 1907 pubblica “Le vergini folli” dove si intravvedono i temi che saranno poi dominanti nei lavori successivi. E’ questo scritto a incuriosire il poeta torinese Guido Gozzano, che si interessa a lei e con cui Amalia inizia una travagliata, intensa e breve storia d’amore. La relazione tra i due poeti viene ricostruita attraverso una serie di carteggi, che vedono Gozzano proiettato in una dimensione letteraria scritta e cerebrale, mentre Amalia desidera trasformare il rapporto in un concreto legame sentimentale. Da questa altalenante esperienza nascono “Le seduzioni”, poesie in cui si trova riflesso l’amore sognato e perduto, già presente nelle precedenti raccolte poetiche. L’influenza della relazione con Guido rimane evidente, tuttavia Amalia sa andare oltre e si colloca con autorevolezza nella storia letteraria italiana del primo Novecento. D’Annunzio la definirà “l’unica vera poetessa che abbia oggi l’Italia”. Nel 1909 pubblica “Emma” un volumetto di poesie dedicato alla sorella morta di tifo a soli 29 anni. Nel 1911 cura l’introduzione del volume “Versi”, edito a Torino dai Fratelli Pozzo, di Edmondo Rubini Dodsworth, il futuro primo traduttore italiano (nel 1923) dell’opera di William Blake. Nello stesso anno pubblica “l’Amante ignoto”, prima opera teatrale e omaggio a D’annunzio. L’opera diventa nota anche grazie all’attrice Lyda Borelli, diva del cinema muto tra le più amate dal pubblico, che recita qualche scena nel salotto “Donna di Torino”.Nel 1913 esce l’ “Insonne”, volume poetico all’interno del quale la lirica “Risposta a un saggio” sembra essere un controcanto alle poesie di Gozzano “L’onesto rifiuto” e “Una risorta”. Questo è l’ultimo lavoro poetico impegnativo di Amalia, che nel 1934 pubblicherà “I serpenti di Medusa”, senza particolari novità artistiche. Scriverà ancora versi, soprattutto per volumi rivolti all’infanzia. Intanto si dedica ad opere narrative, in cui tuttavia i personaggi femminili restano in linea con le tematiche oggetto della precedente produzione in versi. Sempre nel 1913 esce il suo primo lavoro in prosa, “I volti dell’amore”, ma la critica è piuttosto severa. Amalia collabora anche con alcune riviste su cui scrive di poesia e di prosa. In questo contesto conosce lo scrittore e critico letterario Dino Segre (di dodici anni più giovane) e con lui inizia una difficile relazione che tuttavia si protrae per alcuni anni. Nel 1917 esce “Nei e cicisbei” e nel 1919 “Il Baro dell’amore”, lavori che saranno un clamoroso insuccesso.

Amalia torna in auge con il romanzo del 1923 “La rivincita del maschio”, in cui è evidente l’influenza di Pitigrilli, (pseudonimo di Dino Segre), ma la pubblicazione le procura problemi giudiziari. I guai per la poetessa si intensificano con l’interruzione della relazione con Pitigrilli che finisce malamente con denunce, calunnie e querele; il tutto termina con una condanna di quattro mesi di reclusione per Amalia stessa, che pare avesse falsificato alcune lettere nel tentativo di far passare Pitigrilli come antifascista. La donna viene anche processata per oltraggio al pudore nel 1935, a motivo di un articolo sulla rivista “Cinema illustrazione”. La vicenda tormentata della Guglielminetti non trova pace nemmeno alla fine della sua vita. Muore il 4 dicembre 1941 per setticemia, provocata da una ferita che si era causata qualche giorno prima, cadendo da una scalinata per raggiungere il rifugio anti-aereo, in seguito all’allarme per il bombardamento che stava per incombere su Torino. Aveva lasciato poco tempo prima le sue volontà relative alle modalità di sepoltura: una tomba a piramide con l’iscrizione “Essa è pur sempre quella che va sola” e l’istituzione di un premio letterario a suo nome. Entrambe le richieste non saranno realizzate. E’ sepolta al Cimitero Monumentale di Torino e il suo valore di poetessa è oggi, purtroppo, quasi completamente dimenticato e ignorato.

 

Alessia Cagnotto

“Carte da decifrare” fra letteratura e musica, arte e natura

Approda a Busca, nel cuneese, la settima edizione della rassegna organizzata da “Fondazione Artea”

Sabato 13 e domenica 14 luglio

Busca (Cuneo)

Grandi ospiti, reading, visite guidate e approfondimenti su storia, civiltà e scoperte rivoluzionarie tese a valorizzare tre “luoghi – simbolo” del territorio, le suggestive “Cave di alabastro”, la prestigiosa Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea “La Gaia” ed il monumentale “Castello del Roccolo”: sono questi i ricchi ingredienti della due giorni, sabato 13 e domenica 14 luglio, che porterà a Busca (dal 2015, parte dell’“Unione Montana Valle Varaita”) la settima edizione di “Carte da decifrare”, la rassegna culturale organizzata da “Fondazione Artea”, in collaborazione con il “Comune di Busca” e il “Salone Internazionale del Libro di Torino”, con la curatela dello stesso segretario generale del “Salone” torinese, Marco Pautasso.

Il via è in programma sabato 13 luglio, con la passeggiata con sonorizzazione elettronica immersiva “Le stanze di Alabastro”, presso le ex cave di “alabastro rosa”, antichissime grotte (5 “canyon”) , a pochi minuti dal centro cittadino, in parte a cielo aperto e formatesi oltre 350mila anni fa. La “performance” site-specific, il cui titolo richiama sia gli omonimi versi di Emily Dickinson, sia il significato di “stanza quale porzione di testo poetico” nasce da un concept del musicista e compositore Gianluca Verlingieri: un percorso artistico-creativo “dove pensieri, immagini e sensazioni si intrecciano con musiche originali ed elaborazioni di suoni della natura, sfumature sonore d’alabastro e citazioni letterarie” affidate alla voce dell’attrice Claudia Ferrari. All’esperienza sarà anche abbinata una breve visita guidata alle cave.

Sempre nella giornata di sabato 13 luglio, presso la straordinaria Collezione “La Gaia”, sulla collina di Santo Stefano (ad un chilometro dal centro storico), si terrà il reading musicale “Annalena”, protagonista Annalena Benini, direttrice del “Salone Internazionale del Libro” e autrice del romanzo (“Annalena”, Einaudi, 2023) che narra la storia della missionaria italiana cattolica Annalena Tonelli (Forlì, 1943 – Borama, 2003), insignita dall’“Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati” del “Premio Nansen” per l’assistenza ai profughi, volontaria in Kenya e Somalia, prima di essere trucidata da un “commando” nel 2003 a Borama, in Somailland. “Una storia che Benini conosce da sempre, che fa parte della sua famiglia, ma anche un viaggio moderno e accidentato, ricco di domande e confessioni, nel tentativo di guardare dal basso … la scala che sale fino all’assoluto”, per arrivare a scoprire che “il pensiero più libero e coraggioso del Novecento è un pensiero femminile”. Ad accompagnare il racconto, il violino di Anais Drago, fra le più talentuose musiciste dell’attuale panorama musicale italiano. Al reading, organizzato in collaborazione con “Giulio Einaudi Editore” è abbinata una breve visita guidata alla prestigiosa Collezione “La Gaia”, avviata negli Anni ’70 dalla passione per l’arte di Bruna e Matteo Viglietta e che, ad oggi, conta oltre 2.500 opere di arte moderna e contemporanea.

L’iscrizione è obbligatoria su www.ticket.it, biglietto unico 18 euro. Il pubblico verrà suddiviso in due gruppi che partiranno con navetta contemporaneamente da piazza F.lli Mariano alle 16,30, alternandosi nelle due tappe del percorso.

Domenica 14 luglioalle 18,30, presso il “Castello del Roccolo”, importante espressione del revival neo-medievale in Piemonte (costruito a partire dal 1831 dai Marchesi Taparelli d’Azeglio), si terrà un incontro con Christian Greco, direttore del “Museo Egizio” di Torino, incentrato sul filo del suo ultimo libro “Alla ricerca di Tutankhamun” (Ed. Panini, 2023), straordinaria scoperta, la tomba del faraone nel 1922 da parte di Howard Carter, “che annulla la distanza temporale fra l’antico Egitto e l’epoca delle missioni archeologiche”. La narrazione di Greco sarà accompagnata dalle note del violoncellista Antonio Cortesi e guidata dal vice-direttore de “La Stampa”, Gianni Armand-Pilon.

In caso di maltempo, l’incontro, organizzato in collaborazione con “Franco Cosimo Panini Editore”, si terrà presso il “Teatro Civico”, vicolo del Teatro 1, a Busca.

I biglietti sono disponibili in prevendita fino a venerdì 12 luglio su www.ticket.it, oppure il giorno dello spettacolodalle 17,30, presso la biglietteria del “Castello”, salvo esaurimento posti, al costo di 18 euro (intero), 12 euro (under 25), gratuito per i minori di 12 anni e i diversamente abili con accompagnatori.

È possibile acquistare il carnet delle due giornate di rassegna al costo di 25 euro, solo su www.ticket.it  (salvo esaurimento posti)
g.m.

Nelle foto: Il “Castello del Roccolo” (Ph. Daniele Molineris), Annalena Benini e Christian Greco

Trieste e le ombre dei suoi fantasmi

 

Trieste, ricca di storia sul crinale carsico e crocevia di frontiere contese, è la città più settentrionale del Mediterraneo e più meridionale della Mitteleuropea. Una città “luogo dei luoghi”, protagonista dei racconti “I fantasmi di Trieste”(Bottega Errante Edizioni, 2018). L’autore, Dušan Jelinčič, giornalista della RAI e alpinista, uno degli scrittori italiani di lingua slovena più autorevoli e apprezzati, traccia una personale mappa della memoria che si intreccia con vicende misteriose e “fantasmi”. Come ogni città con un passato importante, complesso e sofferto, Trieste si porta addosso i segni di ferite mai rimarginate e di irrisolti conflitti. I luoghi di questo percorso con ampi tratti autobiografici – Jelinčič a Trieste ci è nato e vive in una casa del primo Carso, ai bordi dell’altipiano affacciato sul golfo che si apre davanti al porto e alla piazza Unità d’Italia – s’intrecciano con le persone, i protagonisti di queste storie. Nei racconti prendono corpo immagini della città vecchia, del tram di Opicina – che sale fino all’omonima frazione sull’altipiano del Carso – e dei rioni di San Giacomo, San Giovanni e San Giusto. Si sente quasi l’odore salmastro del mare e il fischiare della bora, si possono immaginare le onde che s’infrangono sul molo Audace dove nel 1914 ( quando si chiamava ancora molo San Carlo) attraccò la corazzata “Viribus Unitis”,nave ammiraglia della marina Imperiale con a bordo le salme dell’Arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia, uccisi nell’attentato di Sarajevo. Sullo stesso molo, quattro anni più tardi, giunse il cacciatorpediniere “Audace” della marina italiana. Era il 3 novembre del 1918, finiva la prima guerra mondiale e la nave che diede il nuovo nome a quella lingua di terrà in mezzo al mare, vi sbarcò un battaglione di bersaglieri. Oltre al paesaggio fisico ci sono i luoghi dell’anima e le storie di personaggi veri, come nel caso di Diego de Henriquez che morì la sera del 2 maggio del 1974 nell’incendio del suo magazzino, dove dormiva solitamente coricato dentro una bara di legno, portando con se i suoi segreti. Un personaggio straordinariamente singolare, triestino erede di una famiglia di ascendenza nobiliare spagnola, raccoglitore di ogni genere di materiale bellico e ideatore del Civico Museo della Guerra per la Pace. La sua morte lasciò molti dubbi e forse, come fa supporre il racconto di Jelinčič. Diego de Henriquez ricopiò in due dei suoi diari, prima che venissero cancellate, le scritte lasciate dai prigionieri nelle celle della Risiera di San Sabba, lo stabilimento per la pilatura del riso che i nazisti trasformarono in lager. Morì a causa di questo, vittima di un incendio doloso? Cercando tra le voci e le scritte dei morti della Risiera venne a conoscenza di verità scomode sull’unico campo di sterminio in Italia? Cosa aveva scoperto?I nomi dei collaborazionisti triestini, qualcuno divenuto poi una figura rispettata della comunità locale? Aveva dato un volto a chi, denunciando i suoi concittadini di religione ebraica, aveva contribuito a toglierli di mezzo, arricchendosi? Volti che riappaiono, come fantasmi, assumendo le sembianze in un altro racconto di un anziano seduto sul tram di Opicina che assomiglia come una goccia d’acqua ad un volto che si intravede in una foto di cinquant’anni prima accanto a Odilo Globocnik,il nazista calato a Trieste per fare della Risiera un luogo di morte. Jelinčič, nei suoi racconti parla anche delle sfide calcistiche allo stadio Grezar, intitolato al mediano triestino che perì con tutto il resto della squadra del Grande Torino nella tragedia di Superga, del vecchio bagno asburgico “La lanterna”, più noto come “El Pedocin” ( il piccolo pidocchio) dove un  muro lungo 74 metri e alto tre divide tra uomini e donne la spiaggia di ciottoli bianchi. E’ lì che l’autore, in gioventù, fece l’amara scoperta di essere considerato con disprezzo uno “sciavo”, in quanto sloveno di Trieste. Ci sono poi le storie dove il protagonista è James Joyce, che visse a lungo in città, completando la raccolta di racconti Gente di Dublino, diverse poesie oltre al dramma Esuli e ai primi tre capitoli de l’Ulisse, il libro che gli diede fama internazionale. In uno dei luoghi più belli della città, il Ponterosso che attraversa il Canal Grande, nel quartiere teresiano, un monumento in bronzo raffigura lo scrittore irlandese mentre cammina, assorto nei suoi pensieri, con un libro sottobraccio e il cappello in testa. La targa, riprendendo la “Lettera a Nora” del 1909, recita: “la mia anima è a Trieste”. Joyce, parafrasando Dušan Jelinčič, fa parte dei “fantasmi gentili”, come lo psichiatra Franco Basaglia che iniziò dal San Giovanni di Trieste la rivoluzione che portò all’abolizione degli ospedali psichiatrici con la legge 180. “La libertà è terapeutica”, venne scritto sui muri bianchi di quella “città dei matti” che rinchiudeva dietro le sbarre, con un “fine pena mai” chi era segnato dalla malattia. Grazie a Basaglia Trieste diventò la città del riscatto di tante persone, come nel caso di Olga, una “ex matta” che racconta la sua storia all’autore. I ricordi vagano e s’imbattono in Julius Kugy, l’alpinista che aveva cercato ovunque sulle alpi Giulie la Scabiosa Trenta, rarissimo fiore delle alpi slovene. Guardando l’immagine della piantina incollata su una pergamena ingiallita, la descrisse così: “..ecco la graziosa creatura di luce, sul calice d’argento finemente merlettato, vestita di bianco splendente, trapunta di tenere antere d’oro! Non era ormai una piantina, era una piccola principessa del paese dei sogni”.Kugy si era fatto costruire un organo che suonava personalmente nella chiesa di via Giustinelli. Una chiesa di proprietà della comunità armena, data in affitto ai cattolici di lingua tedesca e oggi semi abbandonata, esempio di degrado e incuria. In fondo è proprio Trieste, città di grande tradizione europea e crogiuolo di etnie, ricca di contraddizioni e oscuri sensi di colpa che si racconta in questo libro. E Dušan Jelinčič, con la sua scrittura coinvolgente, ne amplifica la voce.

Marco Travaglini

Renato Rascel, l’attore che nacque “per caso” a Torino

STORIE PIEMONTESI: a cura di CrPiemonte – Medium /   

Il 2 gennaio del 1991, moriva dopo una lunga malattia Renato Rascel, nome d’arte di Renato Ranucci

di Marco Travaglini

Artista incredibilmente versatile, indimenticabile protagonista del teatro leggero italiano, nella sua lunga carriera di attore, comico, cantautore e ballerino si cimentò in moltissimi ruoli. In molti, tra i non più giovanissimi, lo ricorderanno protagonista di moltissimi spettacoli dalla rivista alla commedia musicale, dall’intrattenimento televisivo e radiofonico all’operetta e al teatro.

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La sigla della trasmissione tv I racconti di Padre Brown

Non tutti sanno però che nacque “casualmente” a Torino il 27 aprile 1912, durante una tournée della compagnia di cui facevano parte i suoi genitori, il cantante di operetta Cesare Ranucci e la ballerina classica Paola Massa, artisti di opera comica che lavorarono anche con il grande Ettore Petrolini.

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Il Corazziere del 1961

Il piccolo Renato passò così i primi giorni di vita in una cesta dietro le quinte dove i genitori, a turno, si prendevano cura di lui tra una scena e l’altra. Venne poi battezzato a Roma, nella basilica di San Pietro per volontà del padre “che volle confermare la sua romanità risalente a sette generazioni”.

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Una vecchia locandina

Nascendo in una famiglia d’artisti fu normale che anche Renato sentisse il richiamo della scena e così, fin da piccolo, si ritrovò a calcare i palcoscenici di compagnie filodrammatiche e teatrali. A 10 anni entrò a far parte come soprano nel coro delle voci bianche della Cappella Sistina. Grazie alla sua travolgente simpatia e a un innato talento fece tutta la trafila dalla gavetta al successo.

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Le più belle canzoni

Suonò la batteria, ballava il tip-tap, si esibì come cantante, debuttò nel 1934 vestendo gli abiti di Sigismondo ne “Al Cavallino bianco” l’operetta più nota e popolare dopo la “Vedova Allegra”. L’esperienza lo portò a inventare un suo personaggio che lo rese riconoscibile al grande pubblico. La bassa statura e il fisico esile gli suggerirono la celebre, esilarante e surreale interpretazione del Corazziere.

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Rascel nelle vesti del Corazziere

Elaborò sketch e canzoni diventate pietre miliari della rivista, al fianco di attori e autori come Garinei e Giovannini. Con la sua compagnia teatrale mise in scena nel 1952 uno spettacolo — “Attanasio cavallo vanesio” — che ottenne un clamoroso successo, confermandolo tra i più amati beniamini del pubblico italiano. Un successo bissato con “Alvaro piuttosto corsaro”, “Tobia la candida spia”, “Un paio d’ali”, girando per i teatri di una Italia desiderosa di svago e divertimento.

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Rascel cantante

Si cimentò nel cinema con i suoi personaggi senza tralasciare ruoli più impegnati come ne “Il cappotto” (tratto da un racconto di Gogol’) con la regia di Alberto Lattuada e “Policarpo ufficiale di scrittura”, diretto dal torinese Mario Soldati. Rascel fu anche protagonista di una grande e commovente interpretazione nei panni del mendicante cieco Bartimeo nel “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli.

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Renato Rascel nei panni di Padre Brown

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Un primo piano di Renato Rascel

Rascel scrisse anche molte canzoni, alcune delle quali riscossero un successo che varcò i confini nazionali entrando a far parte del nostro repertorio popolare come “Arrivederci Roma”, “Romantica” ( con la quale trionfò al Festival di Sanremo nel 1960), “Te voglio bene tanto tanto”, “E’ arrivata la bufera”. I ragazzini della mia generazione lo ricordano in televisione con la veste talare del protagonista de “I racconti di padre Brown”, sceneggiato prodotto e messo in onda dalla Rai nel 1970. Risale a quello stesso anno la sua ultima interpretazione in una commedia musicale di Garinei e Giovannini (Alleluja brava gente) dove Rascel ebbe l’onere di sostituire all’ultimo istante il famosissimo Domenico Modugno con un giovane Gigi Proietti, pressoché sconosciuto al pubblico.

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Rascel con Giacobetti, Chiusano e la Mannucci del Quartetto Cetra nel 1970

Una carriera lunga e ricca che lo vide al tempo stesso innovatore e rappresentante autentico della storia nobilmente popolare della commedia italiana. Una vicenda umana e artistica che, ancora oggi, molti ricordano con affetto e riconoscenza.

Forti, fortissimi! Le fortificazioni del Piemonte, storia e promozione turistica: un ricco programma di eventi

Da luglio al via il programma che mette in luce le numerose iniziative turistico-culturali di 5 siti fortificati del Piemonte e che culminerà con la seconda edizione di

FORTI FORTISSIMI! il 21 e 22 settembre

Nel 2024 si rinnova l’impegno per la valorizzazione del sistema delle fortificazioni piemontesi, declinando la visione più ampia e di lungo termine della Regione Piemonte e della Fondazione Compagnia di San Paolo, che hanno individuato nel ricco e differenziato patrimonio fortificato un asset strategico per la promozione turistica dei territori attraverso la cultura.

 

«Forti Piemonte – ha sottolineato Marina Chiarelli, Assessore regionale alla Cultura, Turismo e Sport – è un progetto di valorizzazione delle fortificazioni piemontesi, che con la loro storia e le loro architetture imponenti, sono oggi motore di sviluppo e di innovazione, capaci di offrire esperienze culturali di altissimo livello. Un patrimonio che ci ricorda la storia millenaria del nostro Piemonte ed è destinato non solo ad attrarre un pubblico internazionale, ma anche a far riscoprire a noi stessi luoghi che spesso sono rimasti nell’ombra».

«Siamo convinti che la valorizzazione del nostro patrimonio culturale sia un fondamentale driver di sviluppo sostenibile per i luoghi e per le loro comunità – dichiara Matteo Bagnasco, Responsabile dell’Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di San Paolo. – Perché questo avvenga è tuttavia fondamentale agire in una prospettiva di cooperazione, concertazione e partecipazione di tutti gli attori che vivono, animano e gestiscono i territori, valorizzando le reti e i network e operando in un’ottica sistemica. Proprio partendo da questi assunti, abbiamo sviluppato in accordo con la Regione Piemonte il piano di valorizzazione culturale del sistema delle fortificazioni piemontesi, che, con questa seconda annualità, consolida le finalità e il percorso avviato lo scorso anno in una prospettiva di sviluppo di un’offerta turistica integrata e sostenibile del nostro straordinario patrimonio fortificato. In particolare, quest’anno siamo lieti che ad entrare a far parte del progetto “Forti Piemonte” vi sia anche “Le Strade dei Forti”, che abbiamo selezionato e sostenuto nell’ambito del Bando “In Luce_ valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori”, intervento pluriennale della Missione Creare Attrattività dell’Obiettivo Cultura per il sostegno al patrimonio culturale diffuso sui territori».

 

Ricco è il programma di valorizzazione 2024 che vedrà protagonisti, oltre ai forti di Exilles, Fenestrelle, Gavi e Vinadio, già coinvolti lo scorso anno, anche l’Opera 5 di Moiola (CN), un’opera in caverna, tra le più grandi del cuneese, facente parte di un più ampio sistema difensivo di fortini costruito tra il 1940 e 1940 in Valle Sturae il progetto Le Strade dei Forti nato dalla volontà di valorizzare il paesaggio fortificato del Pinerolese. Fra le iniziative turistico-culturali che animeranno i siti a partire dal mese di luglio, musica, spettacoli, visite guidate e tanto altro. Sarà avviato anche uno speciale gioco a premi per incentivare la visita e la partecipazione alle attività previste in tutte le fortificazioni coinvolte. Un fitto calendario che culminerà il 21 e 22 settembre con la seconda edizione del weekend “Forti Fortissimi!”.

A coordinare l’intera iniziativa sempre la Fondazione Artea, in collaborazione con Associazione Abbonamento Musei, Fondazione Piemonte dal VivoVisit Piemonte, con il supporto di entiassociazioni e stakeholders locali, direttamente o indirettamente coinvolti nella gestione e nell’animazione dei forti.

 

Fra le novità di quest’anno, la presentazione della brand identity “Forti Piemonte” che condensa in un logotipo e in un’immagine coordinata l’identità del sistema di valorizzazione in funzione di un efficace posizionamento.

 

«Dopo il successo del 2023 di Forti Fortissimi! che ha visto più di 3.000 presenze in un solo weekend e coinvolto un pubblico eterogeneo, anche straniero, – dichiara Davide De Luca, Direttore della Fondazione Artea – continua il nostro impegno a sostegno della cultura e della valorizzazione di luoghi e territori. Siamo molto soddisfatti del grande interessamento che ha ricevuto il bando, coordinato con AIAP – Associazione italiana design della comunicazione visiva, per la creazione del logo e dell’immagine coordinata del sistema di valorizzazione a cui hanno partecipato 95 professioniste e professionisti della grafica, del design e della comunicazione di tutta Italia».

 

Vincitore del bando è risultato il raggruppamento composto da Giulia Bardelli, Andrea Guccini e Michele Pastore (Studio But Maybe) con il progetto “Forti Piemonte”: lo scudo, simbolo millenario di difesa, subisce una rivoluzionaria scomposizione, da elemento marcatamente militare, si evolve in una rappresentazione moderna e aperta, conservando la sua essenza di riconoscibilità che richiama l’immaginario dell’araldica. Questo processo di destrutturazione dell’antico simbolo apre la strada a una nuova interpretazione visiva. Il monogramma risultante rivela linee contemporanee, pulite e riconoscibili, sposando storia e modernità in un’unica rappresentazione iconica capace di rinnovare l’immagine tradizionale delle fortificazioni piemontesi. Da questo elemento viene progettato il logotipo, costituito dalla dicitura “Forti Piemonte”.

 

In un’ottica di sistema e di comunicazione integrata, per il 2024 il progetto di valorizzazione Forti Piemonte prevede una campagna di promozione e valorizzazione dei siti coinvolti e delle attività da loro organizzate nei mesi estivi e si concluderà con la seconda edizione dell’iniziativa “Forti Fortissimi! Un weekend alla scoperta delle fortificazioni piemontesi”: sabato 21 e domenica 22 settembre le cinque fortezze piemontesi si uniranno in un unico circuito museale e culturale diffuso con proposte pensate per un pubblico diversificato di visitatori e turisti e che vedrà protagonisti, tra gli altri, grandi nomi del teatro, come Umberto Galimberti e Lella Costa.

Per l’occasione, le attività saranno rese maggiormente accessibili dal servizio di navetta andata-ritorno da Torino.

 

Informazioni e programma completo su www.fondazioneartea.org

Il “Parco Tessile Chierese” raccontato a colori

Oltre 50 metri di “pannelli” illustrati da “Truly Design” diventano pagine cromatiche su cui narrare la storia del “PA.T.CH.” chierese

Mercoledì 10 luglio, ore 17

Chieri (Torino)

La complessiva cifra stilistica è indubbiamente astratta, scomposta in partiture geometriche di nitido rigore e ben chiara comprensione, su cui vanno a dar voce cromie attente e di morbido impatto. In tutto sono 26 pannelli di circa 2×1,8 metri ognuno fatti fluire per un totale di 52 metri in un “unicum” di immagini che, secondo il senso di lettura per cui si sono realizzati, intendono raccontare la storia del luogo dove hanno trovato nuova e congeniale destinazione. Per ammirarli, l’appuntamento è a Chieri, mercoledì 10 luglioore 17, presso il PA.T.CH – Parco Tessile Chierese” (acronimo, in italiano, di “pezza”), parco urbano di 10mila mq., con spazi attrezzati per il gioco e lo sport, che collega il Parco dell’“area Caselli” con il “Parco Tepice del Pellegrino”. E l’opera di cui sopra si parlava è l’installazione artistica realizzata da “Truly Design”, una “crew” di artisti torinesi operanti dal 2003 nel campo del graffitismo, della “street art” e del “murales”, con una produzione (partita da cantieri ferroviari e fabbriche abbandonate) che oggi ha assunto dimensioni vastissime, spazianti dai “murales” su larga scala alle opere di arte “anamorfica”, fino ai campi di basket dipinti, decostruendo forme e spazi e contaminandoli con i colori, attratti da vari linguaggi visivi, in primis dal piacere di operare su campiture di rigorosa astrazione geometrica. Come attestano molte loro opere “abitanti” muri in città, Musei, abitazioni private e sedi aziendali in Italia e in Europa, ma anche a New York, Miami, Hong Kong e Macau, in Cina.

La loro “installazione” artistica presentata a Chieri, mercoledì 10 luglio, è un’opera realizzata sul divisorio tra il nuovo Parco e l’area stralciata dal progetto in fase di progettazione riservata per “accertamenti archeologici”. Il disegno è stato realizzato lavorando su moduli scomponibili, in modo che, una volta completato il Parco, i pannelli possano essere riposizionati all’interno dello stesso. Loro obiettivo: “raccontare la storia del luogo attraverso 5 tematiche”, legate – sul filo conduttore del “blu” – alla storia del luogo, “fino ad una grande ‘toppa’, come simbolo della riqualificazione urbana”“Blu del Gualdo”“Arte tessile chierese”“Memoria storica”“Abbandono e successiva demolizione del complesso scolastico di via Tana”“Parco tessile chierese”.

Il progetto dell’opera è del “Comune di Chieri” e si è realizzato in collaborazione con la “Fondazione Chierese per il Tessile e Museo del Tessile” (presieduta da Melanie Zefferino) e con la progettista di “PA.T.CH.”, l’architetta paesaggista Cristina Cassavia.

Il progetto del “PA.T.CH-PArcoTessileCHierese”, inaugurato il 20 settembre del 2023, opera degli architetti Marco Maccagno e Cristina Cassavia, riqualifica a parco pubblico un’area degradata e va ad eliminare un vuoto urbano. Il nome rievoca anche la “memoria storica” del luogo richiamando l’importanza della città di Chieri per l’arte del tessile, nota a livello europeo fin dal Medioevo soprattutto grazie alla produzione del “fustagno” e alla coltivazione dell’“Isactis tinctoria L”., meglio conosciuta come “Gualdo”, le cui foglie imprimevano alle stoffe la particolare colorazione azzurra tipica del jeans.

L’investimento complessivo – fanno sapere i responsabili – è stato di 850mila euro di cui 320mila sono stati finanziati dalla “Fondazione Compagnia di San Paolo”, maggior sostenitore del progetto.

g.m.

Nelle foto: “Truly Design”, alcune immagini dell’Installazione “PA.T.CH.”

“Attraverso Festival”, Vis à Vis Oscar Farinetti e Aldo Cazzullo

A Rocca Grimalda, per il primo incontro “a tutto campo” della IX edizione del Festival

Giovedì 11 luglio, ore 21

Rocca Grimalda (Alessandria)

Farinetti / Cazzullo. Il loro incontro – dialogo, riflessioni, profezie, analisi fra passato presente e futuro – è stato definito il “viatico perfetto” per l’inaugurazione, al “Belvedere Marconi” di via Parasio a Rocca Grimalda, nell’Alto Monferrato alessandrino, della IX edizione di “ATTRAVERSO FESTIVAL” (progetto dell’Associazione Culturale “Hiroshima Mon Amour” e “Produzioni Fuorivia”) dedicata quest’anno al concetto quanto mai ampio di #comunità e capace di coinvolgere in un programma, con oltre 40 appuntamenti, che si sviluppa dall’11 luglio al 10 settembre26 Comuni delle tre Province di Alessandria, Asti e Cuneo attraversando i territori inseriti nella “World Heritage List” di Langhe, Monferrato, Roero e Appennino Piemontese“Fin dalla sua prima edizione ‘ATTRAVERSO’ – sottolineano gli organizzatori – ha portato la sua proposta culturale ed artistica in paesi sperduti fra bricchi e colline e città più popolose di un territorio che ha nomi diversi ma che si unisce nel nome dell’arte, dello spettacolo e della bellezza, riuscendo a sviluppare negli anni senso di appartenenza e comunità”. Ecco perché proprio sul concetto di “Comunità” si è inteso costruire, quest’anno, la nuova edizione del “Festival”. Concetto sicuramente “esaltato” nell’incontro “Visioni a tutto campo” programmato per giovedì 11 luglio (ore 21) fra Aldo Cazzullo ed Oscar Farinetti, albesi entrambi e “amici da sempre”.

Il noto giornalista e scrittore da un milione di copie (ultimo libro “Quando eravamo i padroni del mondo”, 2023, “Mondadori Store”) famoso per le sue analisi approfondite e per i suoi libri che spaziano dalla storia alla società contemporanea e, l’altrettanto noto, fondatore di “Eataly”, anche lui scrittore (ultimo libro “10 mosse per affrontare il futuro”, 2023, “Solferino Libri”) nonché “imprenditore visionario” che ha rivoluzionato – insieme al mitico Carlin Petrini – il modo in cui concepire e vivere l’esperienza del cibo, ma soprattutto per il suo approccio innovativo al business “per la sua attenzione alla sostenibilità e alla valorizzazione del territorio”, si “affronteranno” in un “faccia a faccia” e un “testa a testa” di grande interesse sotto il segno – si presume – di poche “fratture” o “inciampi” in una visione del mondo, vicino e lontano, sostanzialmente univoca. Di grandi aperture al “sociale” e al “politico” che non mancheranno di segnalare, di imporre riflessioni e aprire strade nuove e forse inaspettate a chi vorrà comprenderne a fondo stimoli e significato.

“In un’analisi a tutto tondo sui nostri giorni – affermano gli organizzatori – Cazzullo e Farinetti condivideranno con il pubblico di ‘ATTRAVERSO’ pensieri e prospettive. Dalla necessità di un approccio al futuro innovativo e sostenibile all’importanza di un’economia circolare e di modelli di business che rispettino l’ambiente, così come della gestione consapevole dei cambiamenti sociali e tecnologici. Le imprese e i territori devono legarsi fra loro per valorizzare le risorse locali, solo favorendo conoscenza e cultura si può creare senso di appartenenza e identità senza rischiare la chiusura del campanilismo”. Al centro dell’incontro, insomma, le cosiddette “sfide globali”, dal “cambiamento climatico” alle “disuguaglianze economiche”, in un mondo alla ricerca di leadership responsabile e cooperazione internazionale.

Ingresso 10 Euro, biglietti in prevendita www.mailticket.it

Per info www.attraversofestival.it

g.m.

Nelle foto:

–       Oscar Farinetti (ph. Paolo Gai)

–       Aldo Cazzullo (ph. Giulia Natalia Comito)

CHANGE! Ieri, oggi, domani. Il Po: “Si può salvare Venezia?”

CHANGE!

Ieri, oggi, domani. Il Po

27 giugno 2024 – 13 gennaio 2025

IL PROGETTO TERRITORIALE

Mostre, convegni, conferenze, giornate di studio.

Attività per le famiglie, le scuole e il pubblico adulto.

Dal luglio a dicembre 2024, un ciclo di conferenze a ingresso gratuito approfondiscono alcuni dei temi presentati nella mostra Change! Ieri, oggi, domani. Il Po.

Al centro della riflessione il fiume Po, l’acqua e la ricerca che diverse istituzioni pubbliche e private, ma anche gruppi spontanei di tutela dell’ambiente, hanno avviato per conoscere il fenomeno e consentire l’adattamento alla crisi climatica in atto. Nella Sala Feste, sede delle conferenze e di molte attività del museo, il 18 ottobre 1961 è stata firmata la Carta Sociale Europea: un luogo quindi emblematico per riflettere sulla sfida in atto e lanciare un messaggio da Torino agli altri paesi.

 

Mercoledì 10 luglio, ore 17
SI PUÒ SALVARE VENEZIA?

Con Anna Somers Cocks, giornalista, già presidente di Venice in Peril Fund

Palazzo Madama – Sala Feste