CULTURA- Pagina 15

In un Podcast la storia e la tragica fine di Edoardo Agnelli (ma non solo)

“Gli Sconfitti”

Con lo scrittore Alessio Cuffaro a “Casa Lajolo”

Domenica 28 luglio, ore 18

Piossasco (Torino)

Avrebbe compiuto 70 anni, il 9 giugno scorso, Edoardo Agnelli, figlio maschio di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo, se la vita e la voglia di vivere non gli fossero drammaticamente sfuggite di mano a soli 46 anni (era il 15 novembre del 2000, un mercoledì) in un tragico volo di un’ottantina di metri che arrestò il suo non facile cammino terreno alla base del 35° pilone del viadotto “Generale Franco Romano” della “Torino – Savona”, nei pressi di Fossano. Suicidio. Il procuratore competente non ebbe dubbi in proposito e concluse le indagini senza neppure disporre un’autopsia. Nessun mistero, tanto più che le lesioni, a un primo esame del corpo, apparivano perfettamente compatibili con un’importante caduta dall’alto. L’Avvocato, che morirà tre anni dopo la scomparsa del figlio, chiede la restituzione del corpo il prima possibile per i funerali. Oggi Edoardo riposa nella monumentale tomba di famiglia che sovrasta il cimitero di Villar Perosa, accanto al cugino Giovanni Alberto, agli zii Umberto e Giorgio e di fronte ai genitori Gianni e Marella. Suicidio annunciato per i più e, ormai, per la storia. Ma in quei giorni e negli anni successivi non mancarono di fare breccia anche, più o meno fantasiose, ipotesi di complotto ai danni di un giovane che sarebbe stato forse troppo fragile e sensibile, incline soprattutto a interessi letterari filosofici e teologici, per reggere il peso di una successione aziendale per lui “corona troppo pesante” da portare.

Per alcuni i dubbi restano a tutt’oggi e saranno, anch’essi, probabilmente occasione di dibattito nel corso della presentazione del podcast “Gli sconfitti” che si terrà (nell’ambito della Rassegna “Bellezza tra le righe”) domenica prossima 28 luglio, alle 18, negli storici Giardini di “Casa Lajolo” a Piossasco. Podcast dove la storia di Edoardo è certamente fra quelle di maggior rilievo e interesse proposte e raccontate dallo scrittore Alessio Cuffaro (fra i fondatori della Casa Editrice “Autori Riuniti”) e il regista Igor Mendolia, moderati dal giornalista Sante Altizio.

 

“Gli sconfitti” parte da una riflessione. Le storie di successo – sottolineano Cuffaro e Mendolia – vivono confinate nell’ambito di chi le ha vissute e sono inservibili. Le sconfitte, invece, sono universali e sono feconde”. Di qui, l’idea dei 13 capitoli – caricati su Spotify fra il novembre 2023 e la fine di maggio del 2024 – che raccontano, storie di chi perde, progetti che non sono andati a buon fine, sogni che non si sono realizzati e che, quindi, continuano “a mordere e a stimolarci”. E a farci sognare. Cosa possibile solo maneggiando “desideri che non si sono ancora avverati”.

Oltre ad Edoardo Agnelli, protagonisti de “Gli Sconfitti” sono la fotografa-bambinaia americana Vivian Dorothy Maier (1926 – 2009) esponente di spicco della “street photography” scomparsa in assoluta povertà e diventata celebre solo dopo la morte (capita spesso ai grandi!) grazie al ritrovamento, da parte di un rigattiere e collezionista d’arte, di ben 200 casse di cartone contenenti – una fortuna! -centinaia di negativi e rullini ancora da stampare; l’ex calciatore, allenatore e scrittore Carlo Petrini (1948 – 2012), fra i primi ad essere invischiato nella stagione 1979 – ’80 (dopo una brillante carriera arrivata ai vertici con il Milan di Nereo Rocco, 1968- ’69) nello scandalo del “calcio-scommesse” che gli procurò una squalifica di tre anni e sei mesi, seguita poco dopo dal ritiro dai campi e dall’avvio di una “società finanziaria” risultata in breve disastrosa, tanto da indurre Petrini a rifugiarsi in Francia, dove visse per alcuni anni nel completo anonimato, fino al ritorno in patria e alla dolorosa scomparsa, seguita alla pubblicazione di due libri, “Nel fango del dio pallone” e “Il calciatore suicidato”, in cui indagò sulla misteriosa morte  del calciatore del Cosenza, Donato Bergamini; l’attore americano Matthew Langford Perry (1969 – 2023) reso celebre soprattutto dalla serie televisiva “Friends”, diverse nomination agli “Emmy Award”, ma pericolosamente rotolato, fin dall’adolescenza, in un precipizio fatto di abusi d’alcol e sostanze stupefacenti, perverse compagne di vita che Perry raccontò nel libro “Friends, amanti e la Cosa terribile” e che lo portarono alla morte nella sua casa di Los Angeles, dove fu trovato privo di vita, a soli 54 anni, nella vasca idromassaggio nell’ottobre dell’anno scorso.

 

Storie amare. Tragiche e dolorose. All’apparenza senza alternative e improbabili vie d’uscita. Forse perché “Sconfitti” si nasce. In un casuale gioco di ruoli, in cui spesso è assai difficile trovare anche i “Vincitori”.

 

Per info: “Casa Lajolo”, via San Vito 23, Piossasco (Torino); tel. 333/3270586 o www.casalajolo.it

Gianni Milani

 

Nelle foto: Cover podcast “Gli Sconfitti”, Alessio Cuffaro, Igor Mendolia

Che curiosi appuntamenti a Sant’Antonio di Ranverso!

 

 “Disegno dal vivo” con gli “Urban Sketchers” e “genealogia domestica” con la “nanabianca” Francesca Moscardo

Domenica 28 luglio

Buttigliera Alta (Torino)

Doppio appuntamento decisamente allettante e curioso anzi che no, per il fine settimana (domenica 28 luglio, a partire dalle 14,30) all’antica “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso” (Buttigliera Alta, via Sant’Antonio di Ranverso 6) fondata dall’Ordine Ospedaliero di “Sant’Antonio di Vienne”, negli ultimi anni del XII secolo, su volere del Conte Umberto III di Savoia. Lì, in quell’antica struttura, (tappa strategica un tempo per la “Via Francigena”), dotata di una foresteria per i numerosi pellegrini e anche luogo di assistenza e di cura, da parte degli “Antoniani”, dichiarata “monumento nazionale” nel 1883 (e restaurata prima da Alfredo D’Andrade e poi da Cesare Bertea agli inizi del Novecento), arriveranno a totale disposizione dei visitatori e armati dei loro “ferri del mestiere” – solo acquerelli, matite e biro – gli “Urban Sketchers”.

Niente paura. Si tratta della “Community di disegnatori” (illustratori, grafici, architetti e in generale tutti gli amanti del disegno e dell’arte) che lì si ritrova per “disegnare dal vivo”. Il loro intento, portato in giro per tutta Europa, è quello di “innalzare il valore artistico, narrativo ed educativo del disegno sul posto, promuovendone la pratica e collegando le persone in tutto il mondo che disegnano i luoghi in cui vivono e in cui viaggiano”. Come una sorta di “cahier de voyage”, i disegni raccontano, la storia di quanto ci accade intorno, sono “una documentazione di tempo e spazio attraverso cui rappresentare realmente ciò che si osserva”. La storia del “movimento” è relativamente recente. Si torna indietro nel tempo all’anno 2007, quando l’illustratore di cronaca di origini spagnole Gabriel Campanario, incuriosito dal moltiplicarsi degli artisti che condividevano “online” disegni e schizzi delle loro città, creò il gruppo Flickr” che divenne in breve tempo il punto di riferimento di un’articolata e capillare rete di gruppi attivi a livello locale. Il crescente interesse verso questa pratica ha dato vita in breve tempo a numerosi Festival e a un fitto calendario di incontri e raduni periodici, che nel tempo sono andati ad attrarre  l’attenzione di “sponsor” importanti (prima fra tutte la “madre di tutte le agende”, la milanese “Moleskine”) e di “amministrazioni pubbliche” che hanno visto in questa attività estremamente concreta, visibile e reale un’ottima occasione per indagare con forte empatia e capacità illustrativa il tessuto urbano.“Il legame profondo con il territorio si coniuga, infatti, con una coscienza sociale condivisa dal movimento a livello mondiale che ha portato gli ‘Urban Sketchers’ ad attivarsi in diverse occasioni nell’ambito della raccolta fondi per progetti di recupero urbano o in occasioni di emergenze e calamità naturali”. Estremamente interessante sarà dunque vederli all’opera alla “Precettoria” e magari confrontare o porre in gioco i loro lavori, senza voler creare paragoni fasulli e insensati, con gli affreschi interni alla Chiesa realizzati da Giacomo Jaquerio(considerati uno dei capolavori della scuola tardogotica piemontese) o con il “pentittico” dell’abside di Defendente Ferrari, datato 1531.

Veronese, classe 1987, storica dell’arte ma anche blogger, copywriter e social media manager, Francesca Moscardo, attesa alla “Precettoria” con il suo “Fuoco Sacro”, sempre domenica 28 luglio, alle 17, è stata insignita il 31 marzo scorso del titolo di “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” dal Presidente Sergio Mattarella, “per l’entusiasmo e l’ironia con cui affronta i temi connessi alla sua disabilità”. Francesca scrive di sé: “Una stella piccola come la Terra, ma pesante come il Sole: questa è una ‘nana bianca’”. E “Nanabianca Blog. Il mondo a un metro d’altezza” è proprio il nome da lei dato al suo “Blog”, un luogo creato nel 2017, dove ha portato il suo punto di vista personale, spesso ironico, sul “nanismo” e sulla “disabilità” (Francesca soffre di una malattia genetica, la displasia diastrofica, caratterizzata da un difetto di accrescimento della cartilagine) offrendo consigli utili per affrontare la vita quotidiana “in formato – come dice lei da talentuosa ‘battutiera’- mignon”. Alla “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso”, la “nanabianca” terrà un corso (sua ultima ossessione) di “Genealogia domestica”incentrato sullo studio e la memoria degli “antenati”, per aiutare le persone a conoscere le radici della propria famiglia. E proprio a Sant’Antonio di Ranverso, Francesca troverà terreno fertile, se si considera che la “Precettoria”, per gli abitanti della zona, ha costituito per moltissimi anni e generazioni il luogo della celebrazione di riti, battesimi ma soprattutto matrimoni. Gli scatti di quelle giornate costituiscono un patrimonio importante per la memoria di Ranverso. E saranno materiale prezioso per il “Fuoco Sacro” che Francesca terrà acceso nella sua nuova avventura di “genealogista alla pari”, come ama definirsi, instillando in chi l’ascolta non poca, piacevole curiosità. Anche perché, ironizza “vedere il mondo a un metro d’altezza non è cosa da tutti i giorni: un corpo di adulta e un punto di vista di bambina”.

Per info: “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso”, Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (Torino); tel. 011/6200603 o www.ordinemauriziano.it

g.m.

Nelle foto: “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso”, un disegno “Urban” e Francesca Moscardo (ph. Andrea Tasca)

 

Montiglio, il paese delle meridiane che sorridono

Se il sole sorride, la meridiana è di Mario Tebenghi. In paese a Montiglio Monferrato, quasi 1500 abitanti, tutti l’hanno conosciuto. Le meridiane montigliesi sono opera sua, sono orologi solari caratteristici e molto colorati con una particolarità: all’interno c’è sempre il sole che sorride. Un vero artista, un mito il Tebenghi. Le meridiane colpiscono l’attenzione di turisti e curiosi appena si entra nella piazza del paese. Una passione coltivata fin da ragazzo.
È tutto opera di Tebenghi, è lui che ha fatto conoscere ovunque Montiglio, già noto per la Fiera del Tartufo le prime due domeniche di ottobre. Insieme ai tartufi, le meridiane, che spiccano su numerose case private, edifici pubblici e chiese del paese, sono il simbolo del borgo collinare monferrino. Scomparso alcun anni fa all’età di 97 anni il maestro è famoso per i quadranti solari non solo a Montiglio, dove nacque nel 1922, ma anche in alcune regioni italiane e all’estero.
In paese si vedono alcune decine di meridiane insieme a tre rose dei venti. Danilo, figlio di Mario, ha catalogato oltre 500 meridiane realizzate da suo padre. Fin da giovane Tebenghi iniziò a interessarsi agli orologi solari grazie all’aiuto del sacrestano della parrocchia locale. Mario ha lavorato prima a Torino come grafico pubblicitario e poi al Centro storico di Documentazione della Fiat.
Oggi la maggior parte delle meridiane si trovano nell’astigiano e in provincia di Torino ma anche in Lombardia, Toscana, Veneto, Liguria, Valle d’Aosta e perfino in Francia. Il maestro gnomonista Tebenghi sarà ricordato con un “Museo del Tempo contadino” che sta per aprire a Palazzo Belly a Montiglio, finanziato con un contributo della Regione Piemonte.
Filippo Re

Il Magnanimo si affaccia sulla “sua” piazza

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / L’idea di erigere un monumento in onore di Carlo Alberto risale al 1847 sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle riforme politiche che trovarono una formulazione costituzionale nello Statuto che porta il suo nome

Nel centro della piazza e rivolto verso Palazzo Carignano, il monumento si presenta su tre livelli. Sul più alto posa la statua equestre in bronzo del Re con la spada sguainata in atteggiamento da fiero condottiero. Al livello del piedistallo, che sorregge il ritratto equestre, sono collocate (all’interno di nicchie) le statue in bronzo in posizione seduta raffiguranti le allegorie del Martirio, della Libertà, dell’Eguaglianza Civile e dello Statuto. Al livello centrale sono collocati quattro bassorilievi che ricordano due episodi delle battaglie di Goito e di Santa Luciarisalenti alla Prima Guerra di Indipendenza, mentre gli altri due, rappresentano l’abdicazione e la morte ad Oporto di Carlo Alberto. Agli angoli del piano inferiore, infine, sono poste quattro statue in posizione eretta, raffiguranti corpi dell’Esercito Sardo, quali l’Artiglieria, la Cavalleria, i Granatieri e i Bersaglieri.

 

L’idea di erigere un monumento in onore di Carlo Alberto, detto il Magnanimo, risale al 1847 sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle riforme politiche che trovarono una formulazione costituzionale nello Statuto che porta il suo nome. Fu un comitato promotore, composto da illustri uomini politici e del mondo della cultura guidato da Luigi Scolari, seguito a ruota dal Municipio di Torino, ad ideare il programma di una pubblica sottoscrizione da sottoporre all’allora ministro dell’Interno Des Ambrois. Seguì un lungo e appassionato dibattito parlamentare volto anche alla individuazione del luogo più adatto ad accogliere il monumento, interrotto brevemente in seguito ai Moti del 1848. L’andamento del dibattito subì una repentina svolta con la morte in esilio di Carlo Alberto nel luglio 1849: da quel momento la commissione istituita per la realizzazione del monumento attribuì all’iniziativa “il valore assoluto di precetto morale e insegnamento perenne”.

Nell’agosto del 1849 l’iniziativa venne ufficializzata da un progetto di legge, uno stanziamento di 300.000 lire e l’apertura di un concorso pubblico. Con una legge del 31 dicembre 1850 la gestione del progetto e le decisioni relative al monumento passarono al Governo e venne infatti nominata, in seguito, una commissione presieduta dal Ministro dei Lavori Pubblici Pietro Paleocapa. Si dovette però attendere fino al 20 maggio del 1856 per ottenere, dalla Camera e dal Senato, il voto che sancì la convenzione con Carlo Marocchetti, lo scultore scelto dal Ministero dei Lavori Pubblici per la realizzazione dell’opera, e lo stanziamento dei fondi necessari per la sua esecuzione (675.000 lire). A Marocchetti, il Ministero riconobbe “la piena e libera facoltà di modificare d’accordo con il Ministero […] il disegno in tutti i particolari limitandosi però sempre all’ammontare della spesa”.

In seguito, fu sotto suggerimento di Edoardo Pecco (l’ingegnere capo del Municipio che seguiva la realizzazione di tutti i lavori di sistemazione della nuova piazza Carlo Alberto) che la statua venne orientata in asse con palazzo Carignano, in modo da poterla cogliere anche dalla piazza omonima attraverso il cortile aperto al passaggio pubblico.L’inaugurazione avvenne il 21 luglio del 1861, cioè pochi mesi dopo l’unificazione d’Italia, con cerimonia solenne, nella quale il capo del governo Ricasoli tratteggiò la figura di un re che aveva configurato e preparato i destini di una nuova Italia.  Per quest’opera a Marocchetti venne riconosciuta la Gran Croce dell’Ordine di San Maurizio.

In tempi recenti, la piazza ha attraversato fasi di vita e utilizzo comuni ad altre piazze storiche del centro cittadino. E’ stata percorsa dalle auto e poi successivamente resa pedonale. E’ una delle piazze più vissute dagli studenti, al punto da essere anche soprannominata “la piazzetta”. Ridisegnata con spazi verdi e raccordata con le vie Cesare Battisti e Lagrange, anch’esse pedonali, tutte insieme creano un perfetto ed elegante percorso tra i musei. Infatti sulla piazza Carlo Alberto si affacciano il Museo Nazionale del Risorgimento nel Palazzo Carignano (sede del primo Parlamento italiano) e la Biblioteca Nazionale, mentre in via Lagrange è situato il Museo Egizio.

Simona Pili Stella

I Templari in Val di Susa

 Andare in montagna significa anche scoprire la storia delle nostre vallate, dei nostri borghi, della gente che ci abita, di tradizioni e costumi che sembravano perduti ma che in realtà sono ancora vivi e presenti e ci raccontano storie che neanche conoscevamo.

Recarsi per esempio in Val di Susa, così vicina a Torino e così ricca di memorie storiche, significa ripercorrere fatti ed eventi che affondano le radici ben prima dell’era cristiana. Da Annibale che con 30.000 uomini e 37 elefanti da battaglia valicò nel 218 a.C. il Moncenisio o forse il Monginevro, ma non si escludono altri passaggi come sul Piccolo San Bernardo o addirittura sul Monviso, ad Augusto che a Susa, 2000 anni fa, di ritorno dalla Gallia, si fermò a Segusium (Susa romana) per fare la pace con le bellicose tribù delle Alpi Cozie. Da Costantino il Grande che nel 312, proveniente dalla Britannia e diretto a Roma, scese a Susa per sbaragliare le truppe dell’usurpatore Massenzio fino a Carlo Magno che alle Chiuse di Susa (le rovine delle fortificazioni sono ancora parzialmente visibili) sconfisse nel 773 i Longobardi di Desiderio che il torinese Massimo d’Azeglio ha illustrato in un prezioso bozzetto. Grande storia, grandi eventi hanno segnato la Val di Susa ma ci sono anche storie minori o anche solo oggetti e simboli che ci ricordano il passaggio da queste parti di personaggi altrettanto importanti. Come i Templari che spuntano ovunque, come i funghi in Val Sangone, e spesso vengono visti in luoghi dove in realtà non sono mai stati. E proprio una leggenda valsusina narra che i Templari sarebbero saliti alla Sacra di San Michele arrampicandosi, a piedi e a cavallo, sul monte Pirchiriano ottocento anni fa. I Cavalieri del Tempio si sarebbero ritrovati nell’antica abbazia per trattare il passaggio di alcuni monaci alla Confraternita esoterica e religiosa dei Rosacroce. Tre croci incise nella pietra accanto alla porta dell’Abbazia, la Porta di Ferro, dimostrerebbero l’attendibilità dell’incontro. È probabilmente solo un racconto popolare ma tra il Piemonte e i Templari, ordine religioso-militare fondato nel 1119, poco dopo la prima Crociata, c’è sempre stato un forte legame storico. Si sa infatti con certezza che i Templari furono presenti in molte città e paesi del Piemonte, tra cui, Cuneo, Alba, Ivrea, Moncalieri, Torino, Chieri, Casale, Vercelli e Novara. Anche in Val di Susa è stato registrato un certo via vai di templari. Da fonti storiche risulta che il più antico insediamento templare, risalente al 1170, fu presumibilmente quello di Susa e presenze templari sono state individuate nella vicina San Giorio, a Villar Focchiardo e a Chiomonte. Sorprendente e imprevisto è stato il ritrovamento negli anni Novanta, da parte di alcuni esperti guidati dalla studiosa Bianca Capone Ferrari, di alcune croci templari nel piccolo comune di San Giorio, alle porte di Susa. Una croce è murata nella facciata della canonica che in tempi antichi era quasi certamente una fortezza da cui si controllavano i movimenti nella valle attaversata dalla Dora Riparia mentre sull’arco del portale laterale di una cappella del XIII secolo, che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale, risplende un’altra croce templare. Si ritiene pertanto probabile che a San Giorio fosse presente un presidio militare dei Cavalieri rosso-crociati a difesa della valle e del ponte sulla Dora. È stato finora impossibile accertare il luogo esatto dell’insediamento templare a Susa (forse si tratta della chiesa di Santa Maria della Pace sulla Dora), tuttavia esistono documenti che confermano la presenza in città di una “domus templi”, come dimostra la magnifica croce a otto punte scolpita in un fianco della cattedrale di San Giusto.

Filippo Re

(foto LIGUORI)

Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 1. Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Ogni periodo storico è caratterizzato da un proprio particolare sentire, da scoperte e personaggi che ne delineano i tratti distintivi e, soprattutto, da forme artistico-letterarie-culturali che lo identificano. In questa serie di articoli voglio approfondire una peculiare corrente artistica, permeata di linee curve, con ornamenti di vetri e di pietre, uno stile che non solo interessò tutte le arti, dall’architettura, all’illustrazione, all’artigianato, all’oreficeria, ma divenne quasi un “modo di vivere”: il Liberty. Verso la fine del secolo XIX e l’inizio del XX nasce in Belgio un importante movimento, chiamato Art Nouveau che, opponendosi a tutte le accademie neoclassiche e neobarocche, applica la produzione industriale a forme d’arte, interpreta la linea con dinamismo espressivo, propone partiti decorativi che rompono con la fissità e danno movimento a pavimenti, scale, ringhiere, soffitti, modellano e curvano le pareti esterne, procurando vivacità e colore all’insieme. Tale movimento, che unifica in quei decenni lo slancio architettonico di tutta Europa, giunge in Italia con il nome di Liberty o Floreale, stile che ama applicare all’architettura ricercate forme decorative, spesso desunte dalla natura vegetale.  L’Art Nouveau influenza le arti figurative, l’architettura, le arti applicate, la decorazione di interni, gioielleria, mobilio, tessuti, oggettistica, illuminazione, arte funeraria, e assume nomi diversi, ma dal significato affine, a seconda dei luoghi in cui essa si manifesta: Style Guimard, Style 1900, Scuola di Nancy, in Francia; Stile Liberty, dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Lasemby Liberty, o Stile Floreale, in Italia; Modern Style in Gran Bretagna; Jugendstil (“Stile giovane”) in Germania; Nieuwe Kunst nei Paesi Bassi; Styl Mlodej Polski (“Stile di Giovane Polonia”) in Polonia; Style Sapin in Svizzera; Sezessionist (Stile di Secessione”) in Austria; Modern in Russia; Arte Modernista, Modernismo in Spagna. Alla base del movimento vi è l’ideologia estetica anglosassone dell’Arts and Crafts di William Morris, fervido sostenitore della libera creatività dell’artigiano come unica alternativa alla meccanizzazione: una sorta di reazione alla veloce industrializzazione del tardo Ottocento. Arts and Crafts si volge alla riforma delle arti applicate portando avanti un’istanza sociale e morale che persegue il risorgere della produzione artigiana e l’attento studio del gotico come l’arte più dotata di spirito organico, volta a delineare planimetrie e forme “descrittive”, elementi nei quali l’indirizzo critico vuole vedere i germogli del rinnovamento architettonico.

L’Art Nouveau apre la strada all’architettura moderna e al design. Determinante per la diffusione di quest’arte è sicuramente l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, tuttavia anche altri canali ne segnano l’importanza: ad esempio la pubblicazione di nuove riviste, come L’art pour tous, e l’istituzione di scuole e laboratori artigianali. La massima diffusione del nuovo stile è comunque da rapportarsi all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902, in cui vengono presentati progetti di designer provenienti dai maggiori paesi europei, tra cui gli oggetti e le stampe dei famosi magazzini londinesi del noto mercante britannico Arthur Lasemby Liberty. La nuova linea artistica, in rottura con la tradizione, è presente nelle grandi capitali europee, come Praga, con la grande figura di Moucha, Parigi in cui Guimard progetta le stazioni per la metropolitana, Berlino, dove nel 1898 i giovani artisti si dissociano dagli stili ufficiali delle accademie d’arte, intorno alla figura di Munch, Vienna, dove gli artisti della secessione danno un nuovo aspetto alla città.  Una delle caratteristiche più importanti dello stile, che presenta affinità con i pittori preraffaelliti e simbolisti, è l’ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata, con tratto “a frusta”, e semplici figure sembrano prendere vita naturalmente in forme simili a piante o fiori. Si stagliano in primo piano le forme organiche, le linee curve, con ornamenti a preferenza vegetale o floreale. Tra i materiali, vengono adoperati soprattutto il vetro e il ferro battuto. In gioielleria si creano alti livelli di virtuosismo nella smaltatura e nell’introduzione di nuovi materiali, come opali e pietre dure, nascono monili in oro finemente lavorato e smaltato; i diamanti vengono accostati ad altri materiali, come il vetro, l’avorio e il corno. Solo in Italia, a differenza degli altri territori prima chiamati in causa, il Liberty non si contrappone al passato o alla tradizione accademica dell’insegnamento e dell’esercizio delle arti, con la conseguenza che qui, sulla nostra penisola, non si consolidò mai una scuola di riferimento identificabile con il movimento Liberty, al contrario ci furono singole personalità artistiche che si dedicarono ad approfondire i caratteri dello stile floreale ed epicentri per la diffusione del gusto dell’arte nuova, tra questi poli di profusione ci fu proprio Torino. Nei prossimi articoli considereremo nel dettaglio alcuni palazzi e quartieri della città sabauda particolarmente suggestivi e rilevanti dal punto di vista decorativo e architettonico, che testimoniano la meravigliosa trasformazione della nostra città, ancora oggi conosciuta come capitale del Liberty italiano.

 

Alessia Cagnotto

Il mausoleo della Bela Rosin, il Pantheon torinese

Un piccolo gioiello neoclassico alle porte della citta’.

Situato a Mirafiori sud a Torino, al confine con il comune di Nichelino, il Mausoleo della Bela Rosin, dedicato dai figli alla madre Rosa Vercellana, amante e poi moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, e’ un mini pantheon situato al centro di un bel parco di trentamila metri quadrati.

Progettato dall’ architetto Angello Demezzo tra il 1886 e il 1888, consiste in una pianta circolare, con un diametro di 16 metri, e un frontone che riporta il motto “Dio, Patria e famiglia”; questa struttura possiede 16 colonne, 8 nella parte esterna (il proneo) e 8 che delimitano le nicchie dove una volta erano contenute le salme di Rosa e dei suoi figli che ora riposano altrove, l’ingresso e’ in ferro battuto ed e’ caratterizzato dalle insegne dei Conti Mirafiori.

Il mausoleo, purtroppo, negli anni e’ stato teatro di episodi spiacevoli fino al suo recente restauro che gli ha restituito il suo valore e il suo pregio. Nel 1970 dopo essere stato acquistato dal Comune di Torino e aperto al pubblico e’ stato profanato dalle attivita’ illecite di tombaroli in cerca di gioielli e oggetti preziosi, motivo per cui le salme della Rosin e dei suoi figli sono state trasferite al Cimitero Monumentale di Torino; dopo qualche anno fu ancora deturpato e utilizzato, o almeno cosi’ si dice, per riti satanici. Diverse furono le proposte perche’ questo luogo storico potesse essere riqualificato: realizzare una moschea o il planetario, nessuna di queste fu realizzata soprattutto a causa dei costi diristrutturazione necessari per una  nuova destinazione d’uso. Nei primi anni del 2000 finalmente si attuo’ l’ambito restauro che ha mantenuto le prerogative originarie, come lo stile neoclassico, con qualche rifacimento strutturale indispensabile come la ricostruzione del tetto e la realizzazione di un trompe-l’oeil sul soffitto a cassettoni; all’esterno invece fu effettuato il taglio degli alberi del viale d’ingresso.

Dal 2005, data della inaugurazione del nuovo corso, il Mausoleo della Bela Rosin e’ gestito dalle Biblioteche Civiche Torinesi ed e’diventato un punto di servizio bibliotecario, durante l’estate, poi, il parco diventa un giardino di lettura, attrezzato con gazebo e panchine per permettere ai visitatori di leggere sul posto libri disposti su carretti colorati o  prenderli con il prestito gratuito.Inoltre si  organizzano eventi, mostre, concerti e spettacoli come “Pazze Regine” ispirato alla storia d’amore tra Rosa e Vittorio Emanuele II.

La sua posizione non centrale e il non essere inserito, molto spesso,  nei circuiti turistici penalizza un po’ questo ulteriore gioiello di Torino che si sta cercando gia’ da  anni di rimettere al centro dell’attenzione attraverso varie iniziative e avvenimenti interessanti. Il Mausoleo della Bela Rosin rimane, comunque,  un monumento di  importanza  sia storica che architettonica, un altro tesoro della preziosa dote di questa citta’.

MARIA LA BARBERA

 

Per informazioni

https://bct.comune.torino.it/sedi-orari/mausoleo-della-bela-rosin

mausoleo.belarosin@comune.torino.it

CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale

Un affascinante viaggio storico documentato al “Forte di Bard” attraverso i reportages fotografici del francese Marc Riboud e del britannico Martin Parr

Fino al 17 novembre

Bard (Aosta)

La Cina di ieri e la Cina di oggi. Due mondi totalmente diversi e diversificati. Una lunga cavalcata fra stravolgimenti storici e mutazioni politiche, economico-sociali e umane trascorse lasciando segni profondi e drammatici nel “Paese” o “Fiore di mezzo” ( “Zhongguo” o “Zhonghua”) come i Cinesi chiamano la loro Terra. Dalla Cina anni Sessanta, contrassegnata dalla “Grande Rivoluzione Culturale” di Mao Zedong, alla Cina fine anni ’70 di Deng Xiaoping. Fino ad oggi. Fino alla Cina del “Terzo Millennio”, superpotenza globale, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e Paese più popoloso al mondo nonché il quarto per estensione territoriale. Ebbene, proprio alla vasta pagina storica che contempla ciò che fu la Cina di avantieri, di ieri e ciò che è la Cina odierna, alle sue trasformazioni sociali ed economiche ed alle sue tante contraddizioni, è dedicata la mostra “China. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”, progetto fotografico inedito curato dal fotografo inglese Martin Parr, promosso dal “Forte di Bard” e dall’“Agenzia Magnum Photos” e allestito nelle “Sale delle Cantine” del “Forte” valdostano fino a domenica 17 novembre.

Più di 70  sono le fotografie, in bianco e nero e a colori, presentate in rassegna, a firma di Marc Riboud  e dell’inglese Martin Parr, due fra i nomi di maggior prestigio dell’“Agenzia” fondata nel 1947 a Parigi da mostri sacri quali Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, tanto per citarne alcuni.

Era il 1956, quando Marc Riboud (Saint-Genis-Laval, 1923 – Parigi, 2016) mise per la prima volta piede in Cina, proprio quando la futura “Repubblica Popolare Cinese” stava per cambiare volto sotto la guida di Mao, emergendo sulle ceneri del conflitto tra “comunisti” e “nazionalisti” perpetratosi per vent’anni e trovandosi così a gestire una società profondamente divisa e ferita. Riboud (che in Cina fece ancora ritorno nel ’65, quando stava per essere lanciata la “Grande Rivoluzione Culturale”, negli anni ’70 e tante altre volte ancora fino al suo ultimo soggiorno a Shanghai nel 2010) sottolineava come i Cinesi non fossero per niente intimiditi dall’obiettivo fotografico e come, proprio grazie a questo, riuscisse a immortalare un aspetto della Cina poco conosciuto in Occidente: quello della vita quotidiana. Suo riconosciuto maestro Robert Capa che gli insegnò ad “affrontare gli sguardi sempre più da vicino” per riuscire a realizzare scatti il più possibile “perfetti”.

 

In mostra troviamo esposta anche la sua prima fotografiadella Cina:1956, una donna, vestita di nero e abbracciata a una tristezza senza confini, sul treno diretto a Canton. Nei suoi numerosi viaggi in Cina, il cui ultimo data 2010, Riboud visita gran parte del Paese, scattando suggestive immagini della vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero. Un mondo silente. Chiuso a speranze e a migliori prospettive, ancora lontane a venire.

Data, invece, al 1985 il primo viaggio cinese di Martin Parr (Epsom, 1952), testimone dunque di una Cina più moderna, profondamente attratta dal “consumismo”, dal lusso di marca occidentale e dalle piacevolezze del “tempo libero”. “Una Cina – sottolineava nel ‘97 – che oggi assomiglia molto a Chicago”. Dodici scatti, in mostra, del suo primo reportage cristallizzano attimi di un mondo completamente diverso, da quello presentatosi a Riboud: triste memoria l’economia comunista mentre spiagge affollate, auto di lusso, ostentazione quasi provocatoria testimoniano un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. In parete anche scatti dedicati alla vita di alcuni settori economici, come le industrie tessili o di gioielli, così come il mondo del tempo libero, tra esercizi di “Tai Chi” e pause pranzo al “Mc Donald”. Il tutto attraverso scatti in cui Parr gioca a mescolare “realtà” e “artificio”, grazie ad effetti come flash sparati in faccia anche in pieno giorno, giochi di luce e tecniche particolari. Sue e solo sue.

“Un fotografo che viene da un altro pianeta”, diceva di lui Cartier-Bresson. Certo, un fotografo fra i meno “politicamente corretti”, killer di tutte le regole della fotografia moderna, cui s’avvicina con le armi più improbabili di “cinico” sperimentatore ed innovatore.

Gianni Milani

“CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 17 novembre

Orari: mart. – ve, 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle Foto/”Magnum Photos”: Martin Parr “American Dream Park”, Shanghai, 1997; Marc Riboud “In the train …”, 1956 e “An antique shop window”, Beijng, 1965; Martin Parr “Happy Valley Racecourse”, Hong Kong, 2013

La magia della Reggia: “Sere d’Estate” alla Venaria

Aperture prolungate, al venerdì e al sabato, alla “Reggia”, con eventi e spettacoli a biglietto speciale

Dal 26 luglio al 31 agosto

Venaria Reale (Torino)

E’ una buona consuetudine estiva. Così, come prassi ormai da tempo consolidata, con l’arrivo dell’estate, anche quest’anno la “Reggia di Venaria” – fra le “Residenze Sabaude Patrimonio Unesco” dal ’97 –  con i suoi “Giardini” e le “mostre” in corso prolungherà ogni venerdì e sabato (e mercoledì 14 agosto, vigilia di Ferragosto e “Festa di Venaria”), l’orario di apertura al pubblico fino alle 23, con biglietto speciale.

Il grandioso complesso monumentale alle porte di Torino (progettato, a partire dal 1658, dall’architetto Amedeo di Castellamonte su incarico del duca Carlo Emanuele II come base per le battute di caccia e successivamente ingrandito con numerosi corpi edilizi, alla cui progettazione lavorò anche il più celebre architetto di Casa Savoia, Filippo Juvarra) ospiterà infatti da venerdì 26 luglio a sabato 31 agosto, “Sere d’Estate alla Reggia”, rassegna, organizzata in collaborazione con “Piemonte dal Vivo”, che porta la musica e lo spettacolo dal vivo nei “Giardini” con concerti, serate dedicate al ballo e dj set immersi nella bellezza del luogo.

Se gli spazi di “Cascina Medici del Vascello”propongono tra gli altri “La Paranza del Geco”, “The Sweet Life Society” e “Afrodream” in concerto, la selezione musicale al “Giardino delle Rose” sarà curata da “Jazz Re:Found”.

E non solo musica. Le serate prevedono, infatti, anche spazi ad hoc per gli appassionati di danza, alle prime armi e non.  L’appuntamento è alle 18 con lezioni specifiche per imparare i passi più “iconici” del tango, del flamenco, dello swing e non solo.

Il tutto legato alla possibilità di visitare in orario serale la “Galleria Grande”, la “Sala di Diana”, la “Cappella di Sant’Uberto” insieme agli altri magnifici ambienti della “Reggia” e alle grandi mostre attualmente in corso, da “Capodimonte da Reggia a Museo” (nella “Sala delle Arti”) alle  installazioni d’arte contemporanea “Venaria Green Art” e “Mainolfi/Sculture. Bestiario” nei “Giardini”. In occasione di “Sere d’Estate alla Reggia”, la programmazione si allunga anche al sabato pomeriggio e alla domenica ancora con spettacoli di danza e, perfino, spettacoli di “circo contemporaneo” diffusi nei “Giardini” della “Reggia” con Compagnie del territorio e ospiti internazionali. Tra gli artisti da non perdere Parini Secondo (con le danzatrici Camilla Neri e Francesca Pizzagalli), la Compagnia francese “Cie Didier Théron”, “EgriBiancoDanza” e “Balletto Teatro di Torino”.

In agenda, anche appuntamenti fissi, quali:

Al calare della sera i “Giardini” si illuminano della magica luce di 5mila candele per creare un’atmosfera davvero unica; dalle 18, in “Cascina Medici del Vascello”, “Musica dal vivo” con Flamenco, Tango, Pizzica, Swing, Afro… per rilassarsi, ballare e gustare un aperitivo al tramonto nel bel mezzo dei “Giardini” della Reggia; dalle 21,30, nel “Giardino delle Rose” le serate proseguono sotto le pergole del roseto dove si può ammirare il “Giardino” illuminato dalle candele sorseggiando un cocktail al “Chiosco delle Rose” con selezione musicale a cura di “Jazz Re:Found Selectors”; alle 23, infine, nella “Corte d’onore”, “Teatro d’Acqua” della “Fontana del Cervo” spettacolo di luci, suoni e movimenti d’acqua. In un intreccio spettacolare di magia e fantastica creatività.

Per info: “Reggia di Venaria”, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300

Programma dettagliato: www.lavenaria.it

g. m.

Dante Graziosi e le storie della risaia

C’è stato un mondo che, scriveva Sebastiano Vassalli, “merita di essere documentato: nelle sue architetture, nei suoi attrezzi, nel suo linguaggio, nelle sue tradizioni, nelle sue storie”.

Non vi è dubbio che uno dei più importanti cantoni della civiltà contadina tra Sesia e Ticino, forse il più celebre, sia stato Dante Graziosi. Nato l’11 gennaio del 1915 a Granozzo , un borgo sull’acqua delle risaie all’estremo sud del novarese e al confine con il pavese lombardo, Graziosi fu medico veterinario, partigiano della divisione Rabellotti con il nome di battaglia di “Granito”, docente universitario di Igiene e Zootecnia all’Università di Torino, parlamentare della Dc per quattro legislature e sottosegretario in altrettanti governi, fondatore della Coldiretti novarese. Prima di dedicarsi alla narrativa fu anche autore di molti saggi scientifici di zootecnia. L’esordio letterario avvenne tardi, nel 1972 quando Graziosi ( all’epoca cinquantasettenne) fece rivivere con i racconti de La terra degli aironi la civiltà contadina che si era sviluppata tra le risaie della bassa novarese, narrando un mondo destinato al tramonto. Alla sua attività di veterinario dedicò nel 1980 il suo libro più famoso, Una Topolino amaranto, da cui venne tratto uno sceneggiato Rai. Nel 1987 pubblicò Nando dell’Andromeda, una saga padana al tempo delle mondine, della vita che si svolgeva sulle aie della bassa agli albori delle prime lotte sociali nelle campagne. Nando, il protagonista, è un camminante, uomo libero con l’animo del poeta. Al centro delle storie del “James Herriot italiano”, validissimo emulo del famoso scrittore e veterinario britannico, c’era il Molino della Baraggia di Granozzo dove l’autore, scomparso improvvisamente il 7 luglio 1992 a Riccione, era vissuto e dove sorge ora il centro sportivo di Novarello. Davide Lajolo ne descrisse il modo di raccontare sostenendo come potesse apparire all’antica, con una scrittura“che mette punti, virgole e sentimenti al posto giusto, che vibra e s’intenerisce nell’amore della sua terra, della gente, delle strade, dell’erba, della vita del suo paese, sia un riscatto dalla noia di certo burocraticismo politico, dalle formule e dalla corsa alle poltrone. È un ritornare a guardarsi allo specchio come uomo per ritrovare le caratteristiche di fondo di chi ha imparato perché si sta al mondo”. I suoi libri sono pubblicati dalla novarese Interlinea, casa editrice diretta da Roberto Cicala, che in occasione del ventesimo anniversario della morte di  Graziosi propose Le storie della risaia, un volume che raccoglie i migliori testi dell’aedo della Bassa.

Marco Travaglini