
E serviro’
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3 Ottobre 2024
IL LUNGO CAMMINO
E serviro’
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3 Ottobre 2024
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Nell’anno del Giubileo, concorso letterario di importanza nazionale
Ancora una manciata di giorni per raggiungere la cifra necessaria a restituire i preziosi “smalti” trafugati nel ‘700 al “cofano” del Cardinale Guala Bicchieri
Stop al 31 dicembre
Un appello alla Città. D’altronde per i Torinesi rappresenterebbe davvero un bel regalo di Natale alla loro “Casa Comune” e al suo più celebre e antico monumento architettonico. Parliamo ovviamente della “casa dei secoli” come Guido Gozzano ebbe a definire “Palazzo Madama”, Patrimonio Mondiale dell’Umanità “Unesco”, oggi sede del “Museo Civico d’Arte Antica” e “sintesi di pietra – ancora Gozzano – di tutto il passato torinese, dai tempi delle origini, dall’epoca romana, ai giorni del nostro Risorgimento”. Un regalo che non può aspettare ormai più di tanto. Mancano infatti pochi giorni, lo stop è fissato a martedì 31 dicembre prossimo, per aiutare “Palazzo Madama” ad acquisire i cinque “smalti di Limoges” che, in origine, decoravano uno dei più preziosi capolavori del Museo, il “cofano” (scrigno o baule da viaggio) del Cardinale Guala Bicchieri, fra le massime espressioni (opera cerniera tra il romanico e il gotico) del Duecento europeo . “Ad oggi – dicono i responsabili – abbiamo raccolto oltre 41mila Euro sui 50mila necessari” per riportare in piazza Castello, a Torino, gli “smalti” verosimilmente trafugati nel corso del XVIII secolo quando il “cofano” si trovava nella “Chiesa di Sant’Andrea” a Vercelli e poi confluiti in una collezione privata in Francia e ora in vendita presso una Galleria Antiquaria di Parigi. “Per evitare che questi preziosi frammenti vadano nuovamente dispersi, vorremmo riportarli in Piemonte e ricongiungerli al cofano da cui sono stati sottratti secoli fa”. Di qui l’appello e la campagna di “crowdfunding” lanciata da “Palazzo Madama”.
“I cinque smalti, in rame dorato e smalto ‘champlevé’ (di colore blu, verde, bianco), un ‘unicum’ dell’arte medievale – spiega Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di ‘Palazzo Madama’ – erano originariamente fissati al retro del cofano, oggi completamente spoglio, e occupavano gli spazi tra i vari medaglioni figurati, anch’essi perduti. Questa acquisizione permetterebbe così di riposizionarli sul nostro prezioso scrigno, restituendo a quest’opera una parte del suo decoro perduto. In considerazione anche del fatto che al mondo esiste solo un altro ‘cofano di Limoges’ di queste dimensioni e di questa tipologia, nella Cattedrale di Aquisgrana, un’opera tuttavia più tarda e molto rimaneggiata in età moderna”.
Sul valore, non solo artistico, del “cofano”, dice ancora lo storico e scrittore Alessandro Barbero: “Anche sotto l’aspetto storico l’opera rappresenta un ‘unicum’, dal momento che il suo proprietario, il cardinale Guala Bicchieri (Vercelli 1160 ca – Roma 1227), fu uno degli uomini politici più influenti del suo tempo, protagonista di missioni diplomatiche cruciali in Italia e in Europa per conto del pontefice Innocenzo III, che giunse a nominarlo reggente del regno di Inghilterra dopo la morte del sovrano Giovanni Senza Terra, incarico che ricoprì tra il 1216 e il 1218”. E prosegue: “L’importanza di quest’opera risiede anche nell’essere parte di una ricca collezione – costituita dal Cardinale nel corso dei suoi continui viaggi attraverso l’Europa, – che contava 104 paramenti liturgici, 80 oreficerie, 8 opere de ‘l’Oeuvre de Limoges’, 70 anelli e 130 manoscritti, molti miniati: una raccolta di cui sono eccezionalmente sopravvissute una decina di opere, oggi divise tra ‘Palazzo Madama’, il ‘Museo Leone’ di Vercelli, il ‘Castello Sforzesco’ di Milano e la ‘Biblioteca Nazionale’ di Torino. La ricchezza di questa collezione, insieme alle importanti committenze del Cardinale – la ‘Fondazione dell’Abbazia di Sant’Andrea’ di Vercelli nel 1219 e la realizzazione di un ciclo di affreschi per l’abside della ‘Chiesa di San Martino ai Monti’’ a Roma – permettono di annoverare Guala Bicchieri nella ristretta rosa di quegli ecclesiastici di inizio Duecento che furono insieme grandi collezionisti di oggetti preziosi e committenti di importanti Fondazioni religiose”.
“Per tutte queste ragioni – dicono ancora da ‘Palazzo Madama’ – vi chiediamo di aderire al nostro progetto e di aiutarci a riportare in Italia i cinque smalti. Dobbiamo raccogliere la somma di 50mila euro per acquistarli e ricongiungerli al ‘cofano’”.
I donatori potranno beneficiare di tutta una serie di ricompense. Compresi i vantaggi fiscali previsti dall’“Art Bonus”, la norma che consente un credito d’imposta del 65% in tre anni dell’importo donato a titolo di erogazione liberale a favore di “Fondazione Torino Musei”.
Per info: www.palazzomadamatorino.it su piattaforma di “Rete del Dono”.
g.m.
Nelle foto:
– Immagine guida campagna di crowdfunding
– Il “cofano” Guala Bicchieri
– Giovanni Carlo Federico Villa
Scrittore, giornalista, regista e sceneggiatore cinematografico e televisivo, ha contribuito moltissimo alla cultura e al costume italiano. Intellettuale finissimo, regista di autentici capolavori come “Piccolo mondo antico” e “Malombra”, autore di romanzi come “America primo amore”, “Le lettere da Capri” (premio Strega nel 1954), “I racconti del maresciallo”, di reportage famosi come “Viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”, Soldati ha lasciato un segno indelebile con la sua poliedrica attività artistica. Lo storico e saggista Pier Franco Quaglieni, l’ha ricordato con il libro “Mario Soldati. La gioia di vivere”, pubblicato nel ventennale della morte dello scrittore e regista torinese. Un testo di grande interesse aperto da un ampio saggio del direttore del Centro Pannunzio, amico personale di Soldati che fu uno dei fondatori del sodalizio culturale subalpino, presiedendolo per due decenni. Un altro grande amico di Soldati, il novarese Enrico Emanuelli, grande firma de La Stampa e del Corriere della Sera, ne tratteggiò così il profilo: “Soldati è scorbutico. Dicono che spesso lo sia per posa. E’ anche legato ad umori repentini, una cosa gli va o non gli va, un po’ a capriccio. Ma dietro a questi suoi estri, vi è una natura d’uomo indipendente, acuto, pieno di difetti appunto perché ha virtù non comuni”. Il brevissimo racconto che segue ( La camelia di Mario Soldati) è un piccolo omaggio alla sua memoria.
“Mario l’aveva portata da Tellaro a Corconio, dalla frazione più orientale del comune di Lerici, nello spezzino, dove aveva scelto di vivere i suoi ultimi anni, al luogo che, forse, più di altri, aveva lasciato un segno, una traccia indelebile nel suo animo, sulla collina che guarda il lago d’Orta. La “General Coletti” era una camelia bella,forte e rigogliosa, con i suoi grandi fiori doppi, a peonia, rosso ciliegia intenso chiazzato a macchie di un bianco candido, puro. L’aveva curata con le proprie mani, pazientemente, con l’attenzione necessaria che si presta ad una creatura apparentemente fragile e delicata. Così l’aveva portata con sè, sul lago d’Orta. Tornare in quel luogo dove aveva vissuto, con il suo più caro amico, “l’altro Mario”, un lungo momento magico, tra l’autunno del 1934 e la primavera del 1936 quando il destino li appaiò, assecondandoli nella scelta di un volontario esilio sul lago d’Orta, si era rivelata una buona idea. Anche portare in dono la camelia agli eredi delle due sorelle Rigotti, l’Angioletta e la Nitti, che all’epoca gestivano l’alberghetto dove dimorarono, era stata un’ottima e gradita intuizione. La locanda non c’era più e il suo posto era stato preso da un’abitazione privata che, però, aveva mantenuto intatta la fisionomia dello stabile. Lì, entrambi, quasi adottati da quella famiglia, misero radici e vissero intere stagioni alloggiando in “una stanza d’angolo, la più bella e più soleggiata dell’albergo, con una finestra a nord e una a ovest”. I ricordi erano come un fiume in piena. Le lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino, mangiando castagne arrosto o bollite, bevendo il vino nuovo nelle ciotole, si accompagnavano alle pagine che vennero scritte, ai libri che presero forma, agli articoli e ai saggi critici che consentirono a entrambi di racimolare il necessario per poter vivere “da scrittori”. L’ambiente circostante si era offerto con generosità ai “due Mario”, Soldati e Bonfantini, ricompensando i loro sguardi con l’intensa bellezza del paesaggio da una sponda del lago all’altra; da Gozzano a Orta, fino ad Omegna e da lì verso Oira, Ronco, Pella e Lagna. Dal balconcino della casa di Corconio, il panorama era rimasto intatto. Mario guardava, ammirato, la camelia dai fiori color panna e fragola. Poi, chiusi gli occhi, annusando l’aria, immaginava i colori del lago. Mario dubitava di potervi tornare. L’età non consentiva grandi progetti e nemmeno di coltivare illusioni. Lo consolava il pensiero che la più bella delle sue camelie potesse rimaner lì, a dimora. Un gesto d’amore di un uomo che in quei luoghi aveva lasciato una parte del suo cuore”.
Marco Travaglini
Nel corso della mostra Gianfranco Ferré dentro l’obiettivo, allestita nelle sale delle Cantine sino al 9 marzo 2025, il Forte di Bard propone una serie di eventi collaterali per approfondirne i contenuti, presentare la genesi del lavoro creativo di Gianfranco Ferré e conoscere più da vicino il mondo della moda e alcuni dei suoi protagonisti. Il primo appuntamento è con il fotografo Guido Taroni, nell’evento Ricordi di famiglia, sabato 28 dicembre 2024, nella sala Archi Candidi, alle ore 16.00. L’incontro sarà preceduto da una visita in mostra alle ore 15.00. |
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Chi non l’ha imparata a memoria e recitata a scuola questa poesia? Secondo alcuni esperti di storia della letteratura, i versi dell’ode “Piemonte” vennero composti da Giosuè Carducci durante il suo soggiorno al Grand Hotel di Ceresole Reale nel luglio del 1890.
Nato a Valdicastello, una frazione di Pietrasanta, nella Versilia lucchese, il 27 luglio 1835, il poeta e scrittore, fortemente legato alle tematiche “dell’amor patrio, della natura e del bello”, fu il primo italiano – nel 1906 – a vincere il Premio Nobel per la Letteratura. Questa la motivazione con la quale gli venne assegnato, vent’anni prima di Grazia Deledda, l’ambito premio dell’Accademia di Svezia: “non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica”. Giosuè Carducci morì un anno dopo, il 16 febbraio 1907, all’età di 72 anni, lasciando alla cultura italiana una vasta produzione di poesie, raggruppate in diverse raccolte: dagli “Juvenilia” fino ai lavori della maturità. Tra questi ultimi si distingue in particolare la raccolta “Rime nuove”, composta da 105 poesie, tra cui sono contenuti i versi più conosciuti dell’autore, presenti in “Pianto antico” ( “L’albero a cui tendevi la pargoletta mano..”) e “San Martino” (“La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar..”).
Nella sua produzione non mancano anche alcuni lavori in prosa, tra cui la raccolta dei “Discorsi letterari e storici” e gli scritti autobiografici delle “Confessioni e battaglie“. Alla notizia della sua morte – nella sua casa delle mura di porta Mazzini, a Bologna – la Camera del Regno ( Carducci, dopo essere stato a lungo Senatore del Regno era stato eletto alla Camera nel collegio di Lugo per il gruppo Radicale, di estrema sinistra) sospese la seduta. L’Italia intera vestì il lutto per la scomparsa del poeta che aveva cantato il Risorgimento. Durante i funerali, che si svolsero il 18 febbraio, i cavalli che portavano il feretro alla Certosa avevano gli zoccoli fasciati. Il cuore di Bologna, piazza Maggiore, e molte case private si presentarono parate a lutto. I fanali lungo il percorso vennero accesi e “guarniti di crespo“. La salma del poeta, fu “rivestita dalle insegne della massoneria, alla quale fu affiliato, e molti massoni partecipano alle esequie”. Pochi giorni dopo la casa e la ricca biblioteca del poeta vennero donate dalla regina Margherita al Comune di Bologna.
Marco Travaglini
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6,17 milioni di ingressi sono stati registrati da gennaio a ottobre 2024, con un incremento del 9% rispetto allo stesso periodo del 2023 e riguardano i 144 musei e beni culturali monitorati dall’Osservatorio Culturale del Piemonte. Questo dato positivo conferma le previsioni presentate nella Relazione Annuale dell’Osservatorio, che stima di raggiungere 7,5 milioni di ingressi nei musei piemontesi entro la fine dell’anno.
A fare da locomotiva sono i 50 musei dell’area metropolitana di Torino che nei primi dieci mesi hanno attirato oltre 5,1 milioni di visitatori, registrando un incremento del 13 per cento rispetto al 2023. Il primato nell’offerta culturale piemontese è detenuto dal Museo Egizio con oltre 820 mila ingressi. Il Museo Nazionale del Cinema con 683 mila visitatori, si posiziona al secondo posto , con 420 ingressi fa seguito la Reggia di Venaria Reale, che si afferma come terza destinazione più visitata del Piemonte.
Importanti risultati sono anche registrati dal MAUTO ( Museo dell’Automobile), che ha accolto 331 mila visitatori e dai Musei Reali di Torino, consolidatesi tra le mete più gettonate. Palazzo Madama, con 210 mila ingressi, ha ottenuto numeri significativi anche grazie all’attività espositive.
I Musei Reali di Torino hanno registrato 560 mila ingressi ad ottobre e, secondo le stime, entro la fine del 2024 raggiungeranno 700 mila visitatori.
La Gam ( Galleria d’Arte Moderna) ha fatto registrare 205 mila visitatori mentre il Museo Regionale di Scienze Naturali, con 180 mila ingressi, si è distinto come uno dei più amati, considerato, secondo un’indagine di Turismo Torino, dai torinesi il “museo del cuore”.
Tra le realtà extraurbane il castello di Racconigi ha beneficiato della riapertura del parco grazie ai fondi PNRR, attirando 58 mila visitatori, con un aumento dei flussi del 71per cento .
La Palazzina di Caccia di Stupinigi, con 84 mila ingressi, e le Tombe Reali di Casa Savoia, con 118 mila visitatori, completano un panorama di grande successo per il patrimonio culturale legato alla storia e all’architettura.
Al di fuori dell’area torinese emergono esempi virtuosi come Palazzo Gromo a Biella, con quasi 30 mila ingressi, museo che ha beneficiato di eventi e mostre di grande richiamo come quelle di Bansky, Jago, TVBoy e altre controcorrente. 20 mila ingressi si sono registrati alla Castiglia di Saluzzo e 15 mila alla Fabbrica dei Suoni di Venasca. Ad Alessandria percorsi del Museo Civico a Palazzo Cuttica hanno fatto segnare un incremento, passando dai 98 ingressi nel 2023 a quasi 2900 ingressi nel 1024 e anche il Marengo Museum ha registrato ottimi risultati, attirando 1741 visitatori nel 2024, con una crescita del 109 per cento.
Ad Asti Palazzo Mazzetti ha registrato 21600 visitatori nel 2024 ( +26%), confermandosi un centro museale e culturale di grande interesse. Il Museo Paloeontologico ha attirato 18200 persone, con una crescita del 21 per cento. Una crescita straordinaria ha conosciuto Palazzo Gromo Losa a Biella che, con i suoi 28.910 visitatori rispetto ai 5481 del 2023, ha conosciuto un incremento del 427%. Una crescita del 17 % ha interessato l’oasi Zegna, che si conferma un’attrazione importante, con 14305 presenze. Il castello di Racconigi ha conosciuto una crescita del 13% rispetto allo scorso anno, attirando 48700 visitatori nel 2024. Anche il Museo della Ceramica di Mondovì ha conosciuto una crescita significativa, pari al +25%. A Novara i visitatori della cupola di San Gaudenzio hanno fatto registrare un incremento del 31%, con quasi 100 mila visitatori nel 2024. Il Museo di Storia Naturale Farragiana Ferrandi ha registrato 12500 ingressi, con una crescita del 24%. A Verbania è stato del 20% l’incremento del Museo del Paesaggio, con 14 mila e 200 visitatori, del 6% quello di Villa Taranto che, con le sue collezioni botaniche, ha superato i 90.500 ingressi.
A Vercelli si è registrato un incremento del 26% per il Museo Borgogna e altrettanto è stato quello registrato dal Museo del Tesoro del Duomo.
“I dati raccolti dall’Osservatorio Culturale del Piemonte confermano il valore e la resilienza del nostro sistema museale, che ha dimostrato la capacità di attrarre sempre più visitatori sia nei grandi sia nei piccoli centri culturali – ha sottolineato l’assessore alla Cultura della Regione Piemonte Marina Chiarelli- Questo successo dimostra l’efficacia degli investimenti strategici come quello del PNRR, e della promozione di un’offerta culturale diversificata e accessibile. Il Piemonte si conferma una regione dove la qualità dei contenuti è diventata un fattore trainante, un motore fondamentale per l’economia e il turismo. Guardiamo con ottimismo al traguardo di fine anno di 7,5 milioni di ingressi che sarebbero un risultato storico per il nostro territorio”.
Mara Martellotta
Il latinista Luciano Perelli è stato ricordato al liceo “Carlo Botta” di Ivrea dove nacque nel 1911. Morto trent’anni fa, è ancora molto ricordato dagli ex allievi al liceo Gioberti di Torino e alla Facoltà di Lettere dove insegnò-caso raro- Letteratura latina e successivamente Storia romana alla Facoltà di Magistero. Soprattutto Perelli è ricordato per i suoi libri di testo dalla pregevolissima “Storia della letteratura latina” che non ebbe eguali per decine d’anni ai molti commenti a Cicerone ed agli amatissimi Lucrezio, poeta dell’angoscia e Catullo, poeta dell’amore tenero e disperato. I giovani nei suoi commenti ritrovavano l’humanitas autentica e la storicità di Roma senza l’eccessivo tecnicismo filologico che a volte uccide gli studi classici. Gli allievi di Perelli, similmente a quelli di Concetto Marchesi, acquisivano una cultura classica che era la base di un sapere poliedrico nel quale sarebbero cresciuti. Quando Perelli morì all’improvviso nel 1994, Luciano Canfora scrisse di lui una testimonianza ancora oggi importante che riguarda i suoi “ricordi antifascisti” incentrati sul carcere inflitto dal regime al padre e al fratello, che condizionò i suoi studi per affrettare il suo insegnamento privato, appena superata la Maturità, per dare un sostegno alla famiglia. Tuttavia egli non confuse mai l’insegnamento con un marcato impegno politico, come invece fece Marchesi. L’antifascismo per lui fu una scelta di libertà incompatibile con l’ideologismo anche se seppe difendere le ragioni della scuola classica da chi avrebbe voluto circoscriverla a pochi specialisti, di fatto uccidendola. Giovanna Garbarino, che fu docente di Letteratura latina, mi disse spesso che questa capacità di miscelare insieme letteratura e storia latina e greca era la cifra straordinaria di Luciano, forse non abbastanza apprezzato in Facoltà. Quando ancora insegnava al liceo, seppe difendere con coraggio ed anticonformismo la dignità professionale dei professori dalla tendenza già allora emergente di considerarli degli impiegati. La tutela della funzione docente fu una delle sue più grandi preoccupazioni e anche questo rende Perelli un protagonista unico della scuola piemontese. Egli capì fin dal suo sorgere l’aspetto eversivo di una parte della contestazione giovanile del ’68 insieme ai colleghi Franco Venturi, grande storico dell’Illuminismo e Giorgio Gullini, archeologo e preside della Facoltà di Lettere. Giunse a vedere delle affinità con il fascismo in certi estremismi di sinistra. Una volta con il “Corriere della Sera” in mano parlammo di un articolo del direttore Spadolini sugli opposti estremismi che corrispondeva a pieno al suo modo di vedere la violenza in quegli anni difficilissimi in cui qualcuno tentò di vedere le lotte studentesche in una sorta di continuità con la Resistenza.
Un dizionario con i gallicismi siciliani, saggi in ladino di Fassa e in astigiano, poesie in bisiàc e in romagnolo, una tesi di laurea sul dialetto genovese, opere in dialetto sammarchese, venosino e griko, una canzone in friulano e un lavoro teatrale in dialetto napoletano. Sono i vincitori della dodicesima edizione del concorso letterario “Salva la tua lingua locale” premiati il 12 dicembre scorso nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma. Composizioni che narrano di spaccati di vita quotidiana, leggende paesane, mestieri, riti e tradizione antiche, e che nella loro diversità linguistica, di espressioni e suoni uniscono l’Italia da nord a sud.
Ideato da Unpli, Unione Nazionale Pro Loco e da ALI Autonomie Locali Italiane del Lazio con l’obiettivo di promuovere i tesori culturali e linguistici del nostro Paese, il concorso dal 2013 a oggi ha raccolto oltre 3mila candidature e ottenuto prestigiosi riconoscimenti istituzionali, tra cui il patrocinio delle Presidenza della Repubblica, del Senato e della Camera dei deputati, della commissione italiana per l’UNESCO e del Ministero della Cultura.
Oltre 400 le opere pervenute in questa dodicesima edizione, novità di quest’anno, il premio speciale dedicato alla memoria di Luigi Manzi, scrittore, fondatore e organizzatore instancabile del Premio sin dalla sua prima edizione.
“L’alto numero di concorrenti e la varietà dei lavori presentati hanno reso il lavoro delle giurie estremamente complesso, ma hanno restituito un quadro ricco e articolato delle lingue locali ancora vive nel nostro Paese – ha commentato Antonino La Spina, presidente Unpli – L’antologia che raccoglie le opere dei vincitori e dei finalisti di questa edizione è un omaggio alla bellezza e alla pluralità delle espressioni linguistiche italiane”.
“Senza radici e senza passato è difficile immaginare un futuro. Credo che dialetti e lingue locali non debbano restare un ancoraggio del passato, ma possano rappresentare un punto di partenza per avere ben chiaro il percorso da seguire – ha dichiarato Luca Abbruzzetti, Presidente di ALI Lazio – Veder crescere questo Premio negli anni sia come partecipazione sia nella qualità delle opere è una grande soddisfazione e questa edizione”.
“Siamo felici della partecipazione piemontese: a dimostrazione del costante interesse per le lingue e le culture immateriali locali – ha detto Fabrizio Ricciardi, presidente Unpli Piemonte – ci auguriamo che per le prossime edizioni la partecipazione sia ancora più folta”.
I PREMI “TULLIO DE MAURO”
Per la sezione saggi il primo premio è andato ex aequo a Fabio Chiocchetti con Letres da Larcioné edizione di lettere in ladino di Fassa e Lorenzo Ferrarotti, con Asti, 1521: una terra da solacz edizione critica delle opere in astigiano di Giovan Giorgio Alione.
Gli altri finalisti piemontesi sono stati Davide Boccia di Druento (To) e Francesco Granatiero di Torino. Inoltre una menzione speciale è andata alle Pro Loco di Oviglio (Al), Corsione (At) e Santena (To). Inoltre una menzione è andata alle associazioni piemontesi che promuovono le lingue locali: “E Keyé” di Fontana di Frabosa Sottana (Cn), Oratorio Campo Giochi (To), Compagnia Teatrale Fric Filo 2 (To), Parrocchia di San Giovanni Battista e Remigio (To), Casa editrice L’Harmattan Italia (To) e il Centro Studi Piemontesi (To).