“Clitennestra deve morire” di Osvaldo Guerrieri in scena all’Astra sino a domenica

Il mito e l’attualità nel sanguinoso delitto della regina

Una grande pedana, circolare e nera, uno spazio infossato nel centro ricoperto da un velario rosso sangue, un luogo che può diventare una doccia o una fonte rigeneratrice, le luci che piovono dall’alto a creare un reticolato che è una gabbia. All’intorno il mito, la morte cruenta di Agamennone, l’esistenza di Clitennestra ancora a interrogarsi a fianco della governante Alcina, sua coscienza e azione di disturbo, l’entrata in scena di Cassandra che per l’eroe di Troia non ha il sapore di una delle tante avventure ma è l’amore vero che tra poco le genererà un figlio. Alla porta s’avvicina ormai Oreste, venuto a vendicare il padre. Questa la cornice di Clitennestra deve morire – a riecheggiare i Taviani -, tragedia “moderna” di Osvaldo Guerrieri, scrittore e critico teatrale, non nuovo al palcoscenico se si ricordano le precedenti prove di Alé Calais e Sibilla d’amore, vista e applaudita all’Astra, in programma fino a domenica per la stagione della Fondazione Teatro Piemonte Europa. Una modernità immersa a poco a poco da Guerrieri, negli abiti, nel linguaggio, nel furore dei sentimenti, nelle parole di oggi che scorrono tranquillamente lungo il testo, caffè glicemia creme di bellezza elettrocardiogramma VES le prime che tornano alla mente, nelle tappe d’esilio del figlio vendicatore, sceso da un cargo nel porto dopo esser stato a Istanbul o a Tangeri o a Casablanca; un oggi che la regia di Emiliano Bronzino non certo soltanto inquadra ma rende pieno, vivace, ricco di suggestioni, per cui non ti allarmi se dalla colonna sonora non escono solo rumori come il continuo gocciolo dell’acqua ma anche La mer di Charles Trenet. Giustamente l’autore rivendica una autonomia di scrittura, pur nella affettuosa confessione di aver tenuto d’occhio quel che i millenni ci hanno tramandato intorno a quell’uxoricidio: la sua Clitennestra è innegabilmente legata al racconto antico ma è viva e palpitante nel rivissuto, nella riflessione, nel teorema di quel dramma inteso come forma estrema d’amore.

La protagonista racconta e ricorda, ritorna al passato e al delitto compiuto, trasmette al pubblico le proprie sensazioni e le proprie certezze, ben ancorate, respinge quell’unica causa che può essere la gelosia per un’affermazione più profonda, l’aver ucciso Agamennone rifiutandone la lontananza, la freddezza, l’indifferenza. La vicenda, sul palcoscenico odierno, si dilata in un tempo assoluto, in un non-tempo, in un tempo che ci precede e ci segue, dal momento che il mito diventa parte di noi e ci spinge verso drammi che ormai quotidianamente occupano le pagine dei giornali sempre più pericolosamente. L’attualità prende il sopravvento, affonda le radici nell’antico per vivere poi di vita propria. Guerrieri ha il dono della bella scrittura, vibrante, celebra allo stesso tempo il realismo e il sogno, scrittura suggestivamente costruita su passaggi di memoria e d’azione, sulle immagini e sui fatti, su un mescolarsi teatralmente perfetto, concatenato, di passato e di presente, di improprio e di personale. Patrizia Milani, affiancata da Gisella Bein che pungola come Alcina quasi come un incubo la sua padrona, rende perfettamente la ribellione e lo strazio della sua regina, riempiendo per i 60’ di spettacolo la scena con grande autorevolezza, con momenti capaci di offrire una grande prova.

 

Elio Rabbione