Caleidoscopio rock USA anni 60- Pagina 7

Siete solo ragazzi, non potete capire

“Fidati, il manager sa bene quello che va fatto. E’ tutto sotto controllo, la gestione delle finanze della band va a gonfie vele”. Spesso però il sottinteso tra le righe è… “non ti intromettere”
 
Problema complesso e variegato quello dei rapporti tra una band ed il manager, tra i singoli membri del gruppo e il “modus operandi” di chi ha le chiavi della cassa…

“Siete solo ragazzini, voi non potete capire le questioni finanziarie, è tutto ok” era una sorta di refrain immutabile e criptico di Hugh Lee Stevenson, manager della band “The Fabulous Pharoahs” [variante di Pharaohs] formatasi nell’autunno del 1964 a Newark (Delaware) tra compagni di liceo: Aubrey Fisher (V, chit, songwriter), Bill Rylander (chit), Fred Dawson (sax, org), Ed[die] Stevenson (V, batt), cui era aggregato inizialmente Bobby Walker (b), poi sostituito da Rylander. Le influenze musicali comuni erano Rolling Stones, Kinks, Yardbirds, Animals, ma anche Chuck Berry e il rock’n’ roll di Elvis, Jerry Lee Lewis e Little Richard. A differenza di “gavette” faticose di altre band coeve, “The Fabulous Pharoahs” decollarono rapidamente a livello di gigs ed esibizioni dalla primavera del 1965 tra Wilmington e Middletown (Delaware), ma anche Elkton, Easton fino a Salisbury (Maryland) e a pendolo tra le aree di Philadelphia e Baltimora. Già entro la fine del 1965 la tabella di marcia era intensa, con almeno 5 giorni impegnati ogni settimana, con un raggio che si estendeva a Bordentown (New Jersey) e anche più a nord, fino a Lake George (New York) e oltre in alcune cittadine del Vermont. Il “grande manovratore” era il manager Hugh Lee Stevenson (padre del batterista Ed), uomo pragmatico e a tratti misterioso, ma con la dote di essere una vera “calamita” nel trovare date, venues ed eventi “giusti”; era anche pienamente coinvolto nella gestione di una propria etichetta (Blue Hen Records fin dal 1957) e di una casa di produzione (Three Star Productions / Three Star Recording Co.) che curava gli interessi di svariate bands dell’area di Newark. Grazie al “manovratore” fu possibile il rapido ingresso in sala di registrazione già nel Natale del 1965, da cui scaturì il primo 45 giri: “Route 66” [B. Troup] (2668; side B: “Church Key” [A. Fisher – E. Stevenson], 1966), inciso a Newark presso gli studi della WNRK Radio, con etichetta Three Star Recording Co. Nello stesso 1966 uscì il secondo singolo, anch’esso registrato presso la WNRK Radio nell’arco di una sola notte: “Talkin’ About You” [R. Charles] (38-22-38; side B: “Sometimes”, 1967), con etichetta Reprize Records. Nel frattempo la band cominciava a risentire dell’influenza di Jefferson Airplane, The Doors, Jimi Hendrix, Blues Magoos e di suoni “nuovi”; nel novembre 1967 uscì il terzo (e più interessante) singolo: “Hold Me Tight” [Dawson – Stevenson – Rylander] (RZ36-22-36; side B: Sometimes I Think About” [Thielhelm – Scala – Gilbert]), registrato presso gli studi Cameo Parkway Recordings di Philadelphia, con etichetta Reprize Records. Il manager Hugh Lee Stevenson era ormai noto come “General Lee” e amministrava le finanze col solito distacco umano dai membri della band; tale condotta portò presto ad attriti accesi, specialmente con il principale songwriter Aubrey Fisher e col nuovo bassista Bob Wilson; i due, esasperati dai modi di Stevenson (e dalle sue continue risposte “Siete solo ragazzini, voi non potete capire le questioni finanziarie”) lasciarono poco prima che la band partecipasse allo show televisivo “The Jerry Blavat Show”. La band subì un colpo non indifferente, tuttavia riuscì a navigare a vista per alcuni anni fino al 1970; era subentrata intanto una trasformazione radicale che la portò poi ad un sound pienamente psichedelico col nome “Mouzakis” nel 1971.
 

Gian Marchisio

 

Dove il sogno di volare diventò realtà

Il trasporto merci aereo e le compagnie cargo oggi sono la regola e Boeing, Airbus ed Antonov solcano i cieli in lungo e in largo

 Eppure tutto ciò è possibile grazie alla temerarietà di qualcuno che, nel lontano 7 novembre 1910, riuscì per la prima volta a trasportare un imballaggio con 88 chili di seta per 105 chilometri da Dayton a Columbus (Ohio) in un’ora di tempo circa. Era Philip Orin Parmelee (1887-1912), detto “Skyman”, a bordo del biplano Wright Model B, pioniere di tante sfide nei cieli americani (grazie ai fratelli Wright) e dunque protagonista del primo viaggio cargo della storia. Chiunque guardi qualsiasi modello di biplano di quell’epoca, noterà senz’altro la quantità di ingranaggi e ruote dentate che consentivano il funzionamento di quei velivoli; erano anche i “gears” in movimento a realizzare l’antico sogno umano del volo. “The gears were on the move” si sarebbe detto… e lo si sarebbe ripetuto più di 50 anni dopo, quando nella primavera del 1965, sulle ceneri dei The Del Tones, si formò a Columbus la band The Gears, composta da Tom Radowski (V, chit), Bob Alwood (chit), Wes Richards (V, b), Joe Gargani (V, batt). Nell’estate 1966 si sarebbero aggiunti Joe Daniels (V, org) e Jim Lynch (chit, in sostituzione di Radowski), con la definizione di un repertorio stabile fondato sulle comuni influenze di Beatles, Rolling Stones, Rascals, Standells, Paul Revere & The Raiders. La gestione manageriale fu dapprima “home made” (affidata a Hillard Ebrom, zio del bassista Richards) poi alla DJ Productions di Johnny Garber e Dick Pickett, che ampliarono il territorio di azione dei The Gears a tutto l’Ohio e fino a Parkersburg, Ravenswood, Lesage e Huntington (West Virginia). La band prediligeva i clubs (adult o teen) in tutta l’area di Columbus e dintorni e toccava locali come “The Sugar Shack” di Chillicothe, “The Inferno” di Mansfield, “The Gators Hut” di Mt. Vernon e ovviamente il frequentato “Valley Dale Ballroom” di Columbus; svariate furono anche le partecipazioni a Battle of the Bands, soprattutto presso gli Ohio State Fairgrounds. Tra 1967 e 1968 The Gears modificarono nuovamente formazione, con l’ingresso di Randy Armstrong (chit, subentrante a Lynch) e Mike Shoaf (b, al posto di Richards) e affrontarono l’esperienza della sala di registrazione. Ne scaturirono due 45 giri, usciti probabilmente a breve distanza nell’arco del 1968: “Feel Right” [B. Alwood – J. Daniels] (1001; side B: “Explanation”), inciso presso i McKenzie Studios di Larry McKenzie a Columbus, con etichetta Hillside; “Come Back To Me [B. Alwood – J. Daniels] (813L-2546; side B: “Sooner Or Later”), prodotto da Ray Allen a Cincinnati con etichetta Counterpart records. E’ da rilevare il passaggio dal carattere garage crudo del primo singolo alla natura ibrida del secondo, che presenta fattezze psych pop/rock con arrangiamenti con fiati e alternanza di breaks di organo e chitarra. Dopo l’autunno 1968, usciti i due singoli sopra citati, la vita della band trascorse senza particolari sussulti, ma anche priva di nuovi stimoli; il raggio d’azione delle esibizioni stentava ad allargarsi oltre i confini dell’Ohio e il sound stesso faticava a trovare una propria direzione chiara e definita. Il repertorio non si arricchì più di brani originali e tendeva a languire sulle cover già più che note di Lovin’ Spoonful, Outsiders, Rascals e Paul Revere & The Raiders; inoltre i continui cambi di formazione finirono per indebolire ulteriormente la coesione interna del gruppo e portò The Gears a sciogliersi in data imprecisata, probabilmente entro il 1970.
 

Gian Marchisio


 

Meglio soli che male accompagnati

Sono sempre numerosi i sostenitori dell’idea che avere un manager sia la panacea di tutti i problemi di una qualsiasi band di teenagers. Peccato che ci sia un piccolo particolare…. Se il manager è inadeguato o, peggio ancora, un “poco di buono” l’effetto boomerang è assicurato e la band farebbe bene a liberarsene quanto prima

Questo fu esattamente il caso della band di Philadelphia The Iron Gate, sorta nell’estate del 1965 sulle ceneri dei “The Five Shades”. I campioni della British Invasion erano la stella polare e il repertorio di Rolling Stones, Animals, Yardbirds accomunava i gusti di Thomas Cullen (V), Mike Campbell (chit), Lou Wolfenson (chit, b), Sal Gambino (org), Bill Moser (batt) [subentreranno in seguito Lou Mendincino (b) e George Muller (V, chit)]; era forte anche l’influsso di bands americane quali i Blues Magoos, Paul Revere & The Raiders, The Outsiders. Il 1966 (anno magico per il movimento del garage rock) fu intenso anche per The Iron Gate, che sapevano muoversi bene in tutta l’area tra Philadelphia, Jersey meridionale e Delaware settentrionale, soprattutto nel giro di teen [high school] dances e clubs (tra cui l’”Hullabaloo” di Bordentown, New Jersey). Le performances live della band erano molto apprezzate, tanto che The Iron Gate ben figurarono in due “Police Athletic League Battle of the Bands” locali ed avevano una buona sponda sulla stazione radio WIBG di Ocean City (New Yersey) col disc-jockey Frank X. Feller. La situazione paradossalmente si complicò quando la band si imbatté in un manager poco affidabile che gestì in modo scriteriato i gigs nell’area di Philadelphia; le esibizioni finivano disgraziatamente in locali piuttosto malfamati e in venues quantomeno insolite, tra cui addirittura il parcheggio di un concessionario di automobili di sabato mattina sotto il sole battente; per fortuna la parentesi fu breve, il manager venne scaricato rapidamente e Cullen e compagnia optarono per un più saggio self-management sotto l’ala del padre del chitarrista Campbell, che finanziò anche la prima (ed unica) sessione di registrazione in studio. Ebbe luogo nell’autunno 1966 presso gli Impact Studios di Tony Schmidt a Philadelphia e vide l’incisione di quattro brani, tra cui un originale e una cover dei The Who che andarono a costituire l’unico 45 giri dei The Iron Gate, uscito ad inizio 1967: “Feelin’ Bad” [Cullen – Gambino] (1001; side B: “My Generation” [Townshend]), con etichetta autoprodotta Marbell. Ne derivarono 500 copie, che dovevano essere vendute in occasione dei futuri concerti; l’incasso tuttavia fu molto inferiore rispetto agli introiti previsti. A ruota seguirono due esibizioni in TV, entrambe nell’ambito di dance shows firmati Ed Hurst: nel febbraio 1967 dall’Aquarama di Philadelphia e nel luglio successivo in collegamento con un importante show con ottimo audience trasmesso dallo “Steel Pier” di Atlantic City (New Jersey). La spinta propulsiva del secondo show, nonostante il vasto pubblico, si rivelò inferiore alle attese e lasciò una eco piuttosto limitata; fu un duro colpo, tanto che già nell’autunno 1967 l’entusiasmo della band era ai minimi termini, presagio di imminenti defezioni. Infatti entro dicembre uscirono i carismatici Cullen e Wolfenson; subentrarono Mendincino e Muller ma la situazione ristagnò fino a maggio-giugno 1968, allorquando quasi tutti i membri terminarono gli studi in high school e, ciascuno per strade diverse, portarono allo scioglimento della band. Si chiudeva così The Iron Gate… ed il cancello non si sarebbe più riaperto.

 

Gian Marchisio

Tendine viola ed effetti fluo

In Arizona c’erano vari modi per dare nell’occhio negli anni Sessanta: vestiti dai colori sgargianti, look anticonformisti, comportamenti iconoclastici, frequentazioni insolite

 A Phoenix c’era chi ricorreva a “mezzi non convenzionali”, talvolta gironzolando per la città a bordo di un’autofunebre Cadillac del 1949 con le tendine di velluto viola: era la band George Washington Bridge (nota anche come GWB o The Bridge). Il gruppo sorse nel 1965 sulle ceneri dei The Exceptions e nei ranghi annoverava il solo Dwayne Witten (V, batt) tra i membri originari della band precedente; si aggiunsero subito dopo Mike Winn (V), Sam Ganem (chit), “Pud” Gaffney (chit) e Steve Thomas (b). Le cover dei gruppi della British Invasion (in primis Beatles, Rolling Stones, Animals, Them e Kinks) era il repertorio prediletto della prima fase musicale della band; dance clubs (sia adult che teen), feste universitarie, pool parties erano gli scenari più consueti dove “farsi le ossa” rapidamente e con calendari di gigs piuttosto serrati. Frequenti erano le occasioni di esibizione al Jack Curtis’ Club di Phoenix, gestito da quel Jack Curtis fondatore dell’etichetta Mascot records, punto di riferimento di svariate band dell’Arizona soprattutto tra 1965 e 1967. Le capacità di adattamento della band alle più diverse declinazioni musicali in voga all’epoca consentirono ai George Washington Bridge di modellare il proprio stile a partire dal garage rock classico fino alle soluzioni più audaci dello psichedelico; quest’ultimo era integrato e rafforzato nei concerti da suggestivi light shows con luci stroboscopiche o con effetti di colori fluorescenti su sfondi neri, che coinvolgevano soprattutto i movimenti del batterista. Il carattere fluo-style delle esibizioni non passò inosservato e consentì alla band di affiancare in più occasioni altri gruppi locali di livello, tra cui The Spiders e The Nazz (le bands di esordio di Alice Cooper), The Twentieth Century Zoo, The Superfine Dandelions e i P-Nut Butter. E’ da rilevare soprattutto il fatto che i George Washington Bridge furono opening act in svariati concerti nell’area di Phoenix di gruppi del calibro di Buffalo Springfield, Beau Brummels, Beach Boys, Music Machine e Country Joe & The Fish. Nel 1967 la band incise l’unico 45 giri: “Butterball” [Ganem – Winn – Witten] (M-120; side B: “Train Ride” [Ganem – Winn]), inciso sotto la supervisione di Jack Curtis con etichetta Mascot records. Dall’uscita del singolo la vena psichedelica della band venne aumentando e si definì del tutto dal giugno 1968, allorquando “Pud” Gaffney venne sostituito da Alex Walter (org); nelle successive esibizioni veniva lasciato spazio a lunghi percorsi strumentali, in cui Walter era in grado di sfruttare le potenzialità dell’Hammond B-3 (nonostante le difficoltà di trasporto causate dalla stazza dello strumento) a due altoparlanti Leslie. Nella formazione definitiva con Alex Walter i George Washington Bridge (nome che in quel tempo mutava sovente in “The Bridge”) fecero comparsa nello show locale di Phoenix per teenagers “The Indispensables” nel novembre 1968, dove eseguirono l’originale Good Morning, Happy (di cui è rimasto il riversamento dall’acetato originale); di altri brani originali non restano attualmente che dozzinali registrazioni “home made” realizzate probabilmente nella seconda metà del 1968, fuori commercio. La band cercò tra fine 1968 ed inizio 1969 una nuova veste musicale e stilistica, mutando il nome in “Trigger”; tuttavia continui dissidi interni e insanabili differenze su futuribili progetti portarono rapidamente allo scioglimento definitivo, realizzatosi nel marzo 1969.

 

Gian Marchisio

 

 

I cinque di Madison

Chi non ricorda il locale “Arnold’s”? Sì, proprio il bar/drive-in in cui si ritrovavano Richie Cunningham, Fonzie e gli altri giovani di Milwaukee della sit-com “Happy Days”, ambientata tra fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta nel periodo del grande “Sogno Americano”, cresciuto tra le guerre di Corea e del Vietnam

 

 Lì era rappresentata in pieno l’”American Way of Life”, ispirata ai princìpi di vita, libertà e ricerca della felicità che hanno da sempre incarnato lo spirito di identità nazionale degli Stati Uniti. Quelli erano anche gli anni della consapevolezza dell’investimento nella rete autostradale, che avrebbe collegato tutti gli States in modo capillare ed efficace soprattutto tramite le Interstate Highways; tra queste la Interstate 94, che in Wisconsin aveva il suo tratto nevralgico tra Milwaukee e la capitale Madison. Tra queste due città la vita musicale era viva e in pieno fulgore, con tante bands che si dividevano la scena nelle più diverse venues, fossero esse ricreative, sportive o universitarie. Tra 1963 e 1964 sorsero The Cannons, tipica band di una college town come Madison: Lee Larsen (V), Mike Keilhofer (chit), Peter Loeb (chit, sax), Jerry Cratsenberg (b) [poi sostituito da Jim Perkins], Mike Turk (batt), accomunati dall’ammirazione per Beatles e Rolling Stones e caratterizzati da affiatamento e da uno spiccato spirito di adattamento ai vari contesti musicali. Non a caso riuscivano con naturalezza ad esibirsi a frat parties (soprattutto University of Wisconsin), così come ad high school proms o in teen clubs, adattando il mood con elasticità ad ogni situazione contingente. I risultati dovettero essere molto buoni, tanto che portarono The Cannons ad aprire concerti anche di gruppi affermati, quali The Kingsmen e The Beach Boys. L’esordio a livello manageriale fu home-made, poiché se ne occupava il bassista Cratsenberg; alla sua uscita (arruolato nell’esercito), il gruppo passò sotto l’ala degli agenti Ken Adamany e (successivamente) Gary Van Zeeland. Il raggio di azione della band si ampliò da Madison fino al nord Illinois, ma anche in Minnesota e Iowa, dove i gigs si moltiplicarono in parecchi adult clubs e parlors. Non mancarono anche le occasioni di misurarsi nelle arcinote “Battle of the Bands”, con affermazioni soprattutto a livello locale in Wisconsin e Minnesota.

 

L’evolversi degli eventi portò inesorabilmente all’ingresso in sala di registrazione, dapprima per una raccolta di covers (mai pubblicata per problemi con intermediari poco trasparenti), poi per l’incisione dell’unico 45 giri di brani originali, che probabilmente uscì nei primi mesi del 1967: “Day To Day (Days Go By)” [Larsen – Keilhofer] (J-1312; side B: “Love, Little Girl”), inciso presso i Cuca Records Studios di Mount Horeb, con etichetta Night Owl del gruppo Cuca Records di James Kirchstein; l’influenza dei Beatles è ancora evidente ed il suono ha caratteristiche già in parte superate dagli eventi, se si pensa che ormai l’ondata psichedelica in quei mesi era in piena affermazione. Dopo l’incisione del 45 giri, la vita e l’attività della band subirono presto un forte rallentamento, a dispetto delle attese dei produttori del disco; è probabile che (come in molti altri casi di bands coeve) The Cannons avessero compreso che il clima musicale si era trasformato, con soluzioni acustiche che facevano apparire il sound del garage tradizionale quasi vecchio di decenni e non più accattivante. Con l’uscita di Peter Loeb, prossimo al matrimonio e all’ingresso alla University of Michigan, The Cannons persero motivazione e stimoli, fino allo scioglimento che probabilmente si realizzò entro la primavera del 1968.

 

 

Gian Marchisio

 

Tra Yale, UConn e le feste studentesche

Quando si dice “Delta Kappa Epsilon”, “Phi Gamma Delta” o “Alpha Xi Delta” si parla di università americane e college, in particolar modo di fraternities e sororities (confraternite e sorellanze), organizzazioni di studenti o studentesse concepite in origine per lo sviluppo intellettuale, fisico e sociale degli appartenenti, con proprie “missions”, principi e regole interne; col passare degli anni hanno anche assunto fama negativa, dal momento che sono andati crescendo le forme umilianti di iniziazione ed il tasso alcolico delle loro feste. I fraternity parties, fin dai decenni passati, erano un contesto parecchio ambìto da chi si occupava di animazione, in primis dai gruppi musicali.

Negli anni Sessanta l’ondata post-British Invasion raggiunse università e colleges, dove la spinta anticonformista e ribelle trovò ben presto terreno fertile e seguaci convinti; sui fraternity parties si concentrava con forza l’attenzione di parecchi gruppi garage rock, che non di rado facevano letteralmente a gara per accaparrarsi l’animazione di questa o quella festa universitaria, soprattutto se il college era famoso e se erano possibili “agganci strategici” nel mondo musicale. In Connecticut il panorama era invitante tra Yale, Trinity College, University of Connecticut (Uconn) e Wesleyan University e la concorrenza musicale era agguerrita. Nella mischia si gettarono nel 1967 anche i Marble Collection (Charles Byrd, V; Lenny Eldridge, V, chit; Bruce Webb, b; Jimmy White, batt; Dave Coviello, org), formatisi nell’area tra Shelton ed Ansonia, sotto l’ala del manager Johnny Parris, proprietario dell’agenzia Act One Entertainments. La band godeva di grande affiatamento (che affondava le radici nei gusti musicali dei componenti, dai Beatles ai Doors) e capacità nelle esibizioni live, anche in venues affollate e rumorose; tanto che i Marble Collection ebbero occasione a più riprese di animare vari high school proms, ma anche molte feste universitarie e fraternity parties tra Yale (New Haven), UConn (Mansfield), Hartford, Middletown, New Britain. Le esibizioni spaziavano anche sul versante dei clubs (tra cui The Hullabaloos ad Ansonia e The Electric Grape a Milford) e oltre il confine del Connecticut, a nord fino a Springfield (Massachusetts) e ad ovest fino a Poughkeepsie e Kingston (New York). Il buon successo aprì le porte degli studi di registrazione e nel 1968 uscì il primo 45 giri: “(What’s So Good About) Love In Spring” [D. Coviello – L. Eldridge] (C-143; side B: “Glad You’re Mine”), inciso negli studi East Coast Sounds di New London, prodotto da Johnny Parris e Martin Markiewicz con etichetta Cotique. Con il primo single come trampolino di lancio i Marble Collection ebbero l’opportunità di comparire a The Brad Davis Show ad Hartford e di fare da opening band anche a nomi quali Sly & The Family Stone, The Cowsills, Rare Earth e Steppenwolf (a New Haven). Nel 1969 venne inciso il secondo 45 giri: “Friend Like You” [D. Coviello – L. Eldridge] (CO 2995; side B: “Big Girl”), inciso presso i Poison Ring Studios di Wallingford, prodotto da Johnny Parris con etichetta propria Marble Disc records.L’anno seguente furono registrate altre due tracce, “Lovin’ Eyes” e “The Man”, mai pubblicate; presto però la spinta creativa della band venne meno, così come la capacità di tenere il passo ad un’evoluzione globale del sound che si stava allontanando di molto dagli anni della “fiammata garage”. Dal 1970 il gusto musicale generale era ormai trasformato verso nuovi orizzonti e progressive rock e hard rock crescevano in importanza in modo irreversibile; fu così che entro l’autunno 1971 l’esperienza dei Marble Collection si chiuse definitivamente.

 

Gian Marchisio

 

Le streghe laggiù in New England

Ebbene sì, anche in America ci fu la caccia alle streghe. Il New England vide nel 1692 una psicosi collettiva che portò allo sconvolgimento della coscienza puritana dell’America di fine Seicento. Era l’area delle colonie britanniche, la “Nuova Inghilterra”, la terra redentrice in cui i Puritani fuggiti dalle repressioni intendevano fondare una nuova società che (paradossalmente) a sua volta sarebbe stata intollerante a livello religioso e soprattutto morale. Le accuse di stregoneria del 1692 dilagarono nelle contee di Essex e Middlesex (Massachusetts) e le esecuzioni arrivarono di conseguenza. Il clima di psicosi incontrollabile ha ispirato numerosi romanzieri, sceneggiatori e registi; le città e cittadine di quell’area vennero segnate da un marchio sinistro e inquietante, da Andover a Haverhill, da Gloucester a Malden, da Danvers a Topsfield. Fortunatamente ben altra psicosi collettiva “positiva” serpeggiava a Danvers e Topsfield nel 1967, con la “British Invasion” che moltiplicava la frenesia musicale di adolescenti ambiziosi. Tra questi il quindicenne Robert Greene (chit) ed il sedicenne Jeffrey Skinner (V), cui si unirono subito il songwriter Ed Goodoak, Alan Gagnon (b) e Gilbert Van Geyte (batt), tutti pressoché coetanei; quasi a ruota si aggiunsero anche i diciassettenni Rick Noon (chit) e Mike Saulnier (org), che completarono e definirono la band Royal Aircoach. Nonostante le comuni influenze da Beatles, Rolling Stones, Animals e Yardbirds e il nome molto “British” della band, il suono fu subito improntato alla psychedelia; era frequente l’uso di riverberi, fuzzy tones, suoni in eco, cui si accompagnavano effetti di luci psichedeliche curati da Frank Iovanella durante le esibizioni dal vivo. L’avventura dei gigs iniziò al club “The Bilge” di Salem e tra 1967 e 1968 i Royal Aircoach toccarono anche il celebre “King’s Rook” di Ipswich; essendo studenti di liceo, le esibizioni erano distribuite soprattutto nei week-end in molti colleges del New England, ma anche in venues di primo piano, come la Stoughton Armory e la famosa “Hatch Shell” di Boston. Il versante manageriale era in proprio, curato da Chauncey Gagnon, padre del bassista; tramite il suo operato la band entrò in contatto col produttore e chitarrista William “Teddy” Dewart dei “Teddy and The Pandas” e con Bruce Patch, proprietario dei Wayside Recording Studios. Ne scaturì l’incisione nel 1968 dell’unico 45 giri della band: “Wondering Why” [Greene – Gagnon – Goodoak] (Flying Machine FMR-8868; side B: “Webs Of Love” [Greene – Skinner]), inciso a Wayland (Massachusetts) e prodotto da Patch con etichetta Flying Machine records. Dopo l’entrata del singolo nelle classifiche locali, il chitarrista Rick Noon abbandonò (arruolato per il Vietnam) e fu sostituito da Mark Connelly, il quale passò presto all’organo, subentrando all’uscente Saulnier. Nel 1969 uscì anche Skinner; il nome della band mutò in “Aircoach” e cambiò anche il sound, con orientamento più commerciale. In questo periodo vennero registrati gli unreleased “Waking Skies”, “Wax Theory” e “Wrapped Up In Your Mind” ed ebbero luogo concerti con altre bands, quali The Beacon Street Union e gli ancora sconosciuti bostoniani Aerosmith. Tra fine 1969 e inizio 1970 si verificarono attriti riguardanti la gestione manageriale della band; si cercò di tamponare l’uscita del batterista Van Geyte con l’ingresso di Peter Tucker e con l’aggiunta del cantante Paul Neenan. Tuttavia lo spirito musicale della band era molto ridimensionato ed il suono praticamente irriconoscibile se paragonato al 45 giri del 1968; lo scioglimento fu inevitabile e all’incirca nell’autunno 1970… l’“Aircoach” si fermò.

 

Gian Marchisio

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Tra Rubber Soul e Psychedelia

Era l’estate del 1964 e Ken Kesey, Neal Cassady e Ken Babbs trainavano la sgangherata e chiassosa carovana della “Merry Band of Pranksters” su un ex scuolabus ricoperto di colori psichedelici, per realizzare un coast-to-coast pacifico-atlantico dall’area di San Francisco a New York, metafora del viaggio fisico e mentale della controcultura. Partivano da La Honda (sud di San Francisco, contea di San Mateo) e in territorio californiano toccarono San Jose, Los Angeles, San Juan Capistrano, per poi addentrarsi in Arizona e puntare a est Houston, Louisiana, nord Florida e risalire verso la Grande Mela. I Pranksters presero la direzione sud-est, aprendosi ad aree selvagge e “libere”; a nord-est c’era fin troppa presenza (anche militare) dell’Establishment, soprattutto verso Sacramento, in primis nell’area di Fairfield, sede della Travis Air Force BaseEra il 1964 e… proprio nel giro delle famiglie dei dipendenti della base militare sopra citata si costituì la band The Tears, che ebbe come nucleo originario i fratelli Robert (R.T.) e Richard Salazar (V, chit) e Jim Brackett (batt), cui si aggiunse presto Eddie Guillerme (b). I punti di riferimento erano i “soliti noti”, ossia Beatles, Rolling Stones, ma anche Young Rascals e la realtà Motown. Il versante manageriale della band, dapprima “in proprio”, venne poi curato da Icon Studios e Trident Management (Fantasy Records); dopo il solito “allenamento sul campo” in teen clubs, concerti per eventi sportivi e veterans’ halls nelle aree di Fairfield, Napa, Vacaville e Davis, il raggio si allargò più a sud, specialmente nella Contea di Contra Costa (tra Concord, Richmond, Walnut Creek ed Antioch). La notorietà locale aumentò nel 1966 con l’affermazione dei The Tears alla State Fair Battle of the Bands di Sacramento e il radar delle esibizioni si estese a sud-est fino a Modesto, Merced e Fresno, con puntate in Nevada (anche Reno e Las Vegas); la band ebbe quindi l’opportunità di aprire concerti di Music Machine, Grass Roots, Mojo Men e Seeds. Praticamente in parallelo The Tears esordirono negli studi di registrazione. Ne derivò il primo 45 giri a fine 1966: “Weatherman” [Salazar – Brackett] (Scorpio 409; side B: “Read All About It” [Salazar]), inciso negli studi della Fantasy Records di San Francisco, con arrangiamento di Eirik Wangberg; il sound è chiaramente di ispirazione Beatles e si notano i forti richiami a Rubber Soul uscito esattamente un anno prima. Per la band ci fu anche l’occasione di comparire in TV, in un evento musicale (presso il South Shore Mall di Alameda) organizzato dalla mitica KFRC di Bill Drake, radio che soprattutto tra 1966 e 1968 fu attivissima nella scena musicale di San Francisco e nel periodo sella Summer of Love. La cultura psichedelica era in pieno fulgore e la musica andava trasformandosi radicalmente, travolgendo stile, suono e modus operandi di quasi tutte le band in circolazione nell’area californiana. Non ne furono immuni nemmeno The Tears, che tuttavia proprio in quella fase di passaggio persero Brackett e Guillerme (il primo si sarebbe sposato, il secondo era tornato per motivi familiari in Portogallo) e tornarono al nucleo base dei fratelli Salazar. Il secondo 45 giri (uscito a fine 1967) ebbe carattere del tutto psichedelico e tra i cultori del genere è considerato un esempio importante della “psychedelia minore” del periodo: “Rat Race” [Salazar – Brackett] (Onyx 2201; side B: “People Through My Glasses” [Salazar]), anch’esso inciso presso gli studi della Fantasy Records di San Francisco, prodotto da Paul Rose. In particolare Rat Race è il tipico rock psichedelico con uso diffuso di fuzzy tones contagiosi, armonie vocali stratificate e effetti eco avvolgenti. Il singolo segnò lo scioglimento definitivo della band, ma resta una chicca per gli appassionati…

 

Gian Marchisio

Summer of Love. Ubi maior…

Si scrive Black Hills ma si legge “Memorial”. In South Dakota, presso le montagne sacre ai Lakota, si trovano i volti scolpiti di Washington, Jefferson, Th. Roosevelt e Lincoln sul Monte Rushmore (Mount Rushmore National Memorial) ma anche l’attualmente incompiuto Crazy Horse Memorial, nel ricordo di Tashunka Witko (“Cavallo Pazzo”), formidabile capo militare Oglala Lakota, le cui gesta con “Toro Seduto” (Tatanka Yotanka) e “Fiele” (Piji) ancora vivono nella storia della resistenza dei Sioux. Le Black Hills sono ad ovest, verso Wyoming e Montana; molte miglia mancano per raggiungere il fiume Missouri, che divide in due il South Dakota. Ad est invece, quasi al confine con Minnesota e Iowa, sorge Sioux Falls; più a nord “Huron”, eppure qualcosa non torna, poiché gli Uroni (Wyandot) erano nell’area canadese dell’Ontario, già nel XVII secolo decimati dalla forza d’urto degli Irochesi (Haudenosaunee). Fatto sta che Huron è nome di almeno altre sei città degli USA. Era solo un nome suggestivo? Probabilmente lo era anche quello di una band sorta proprio ad Huron nel 1963: The Torres, che da allora sarà sempre caratterizzata dal numero corposo dei componenti, finanche nelle più recenti reunions. Tutto ebbe inizio da Steve Manolis e Fritz Leigh (V, chit), cui si aggiunsero Rod Ramsell (batt) e Sherwood Moore (b); poi Mike Strub (org), Gary Myers (b) e, a distanza di un paio d’anni, Rick Gillis (batt), Mark Baumgardner (fiati) e Mark Huisinger (org). Le influenze musicali andavano dai Beatles, ai Byrds, ai Rascals, agli Association, senza tralasciare la componente Motown da Detroit. Il versante manageriale dei The Torres in tema di esibizioni e concerti fu gestito prevalentemente “in proprio” dagli stessi Huisinger e Gillis; tuttavia fu fruttuoso e frequenti furono le occasioni di esibizioni (anche in formazione variabile a rotazione) dapprima in feste di liceo e teen clubs, poi tra 1965 e 1966 nel giro di dance halls su un territorio più ampio, tra Iowa, Minnesota, North Dakota e Nebraska (dove per breve tempo furono assistiti dalla Eddie Haddad Agency). La rampa di lancio, come sempre, fu l’affermazione in una “Battle of the Bands” che si tenne a Sioux Falls nel 1964, che preparò il terreno ad una partecipazione a “Rock the Roof” presso il Roof Garden (lago Okoboji) in Iowa e anche all’esordio discografico dell’anno successivo. Nel 1965 uscì il primo 45 giri: “I’ve Had It” [Bonura – Ceroni] (Soma 1438; side B: “Ride On” [Leigh]), inciso presso i Kay-Bank Studios di Minneapolis (Minnesota) con etichetta Soma record co. Poi nel maggio 1966 il secondo 45 giri: “Play Your Games” [Manolis – Leigh] (IGL 45-114; side B: “Don’t You Know”), inciso a Milford (Iowa) con etichetta IGL (Iowa Great Lakes recording co.). Nel 1967 l’ultimo singolo, che tornò all’etichetta Soma: “Ride On” (Soma 1463; side B: “Tommy Tommy” [Leigh – Manolis]). In particolar modo nel 45 giri IGL del 1966 e nel brano “Play Your Games” emerge la componente armonica vocale di Leigh e Manolis, che diede buon successo al singolo specialmente nelle classifiche delle radio locali di South Dakota, Iowa e Nebraska. Nonostante tutto nell’estate 1967 (alla luce di eventi quali il Monterey Pop Festival e la Summer of Love di San Francisco) The Torres si sciolsero, avvertendo l’ormai mutato clima musicale generale, con la spinta incalzante e travolgente della “psychedelia” e con l’avvento di tecniche vocali, soluzioni acustiche e suoni innovativi e rivoluzionari. Tuttavia dal 2004 in poi i membri della band si sono più volte riuniti in forze (senza sostanziali defezioni dopo oltre 40 anni) in fasi successive nel 2007, 2009, 2011 e ad intervalli piuttosto regolari fino a tempi recentissimi, alle prese con nuovi e stimolanti gigs.

 

 

Gian Marchisio

 

 

 

 

Dovettero rinunciare ai Beach Boys…

Ada Reed! Chi era costei? Incipit “manzoniano” a parte, è necessario ricordarla, dal momento che in quest’area (“Indian Territory”) dell’Oklahoma di stanziamento dei Chickasaw (allontanati da Alabama, Mississippi e Tennessee) fu proprio dalla figlia del colono bianco Jeff Reed che prese il nome l’agglomerato di case che dal 1891 in poi si sarebbe chiamato “Ada”; negli anni Settanta del Novecento la cittadina sarebbe diventata quartier generale della Chickasaw NationAd Ada i cugini Jerry e Gary Sims fondarono “The Dimensions” nel 1964, band che costituiva il nucleo originario dei futuri “The Monuments”, che dal 1965 avrebbero reso frenzied le feste e le serate dell’area tra Ada, Shawnee, McAlester, Muskogee e Tulsa. I componenti furono (con varianti) Jerry (b) e Gary Sims [poi Tom Wilds] (chit), Howard Collings (V), Burl Moore (org) [poi il rientrante Gary Sims], Terry Bell (batt) [la formazione che incise il 45 giri nel 1966 comprendeva Wilds e Moore]; le influenze musicali comuni erano varie, dai Kingsmen a Paul Revere & The Raiders, dagli Hollies agli Animals a Lonnie Mack. Monte Bell, padre del batterista Terry, era il manager della band e programmava personalmente la promozione del gruppo e gli svariati gigs in Oklahoma. Si spaziava dai balli di fine anno alle feste per eventi sportivi, dai frat parties agli eventi in licei e college, anche nell’area ovest a Stillwater, Edmond e attorno Oklahoma City; luoghi di riferimento erano frequentemente “The Attic” a McAlester e “The Vendome” a Sulphur, ma The Monuments si spinsero fino a Denison in Texas e in Colorado. La band partecipò (vittoriosa nella propria settimana di esibizione) alla Battle of the bands (sponsorizzata da Pepsi e Guitar House) tenutasi a Tulsa nel 1966, con fase finale presso “The Cimarron Ballrrom”. L’esito positivo fece da trampolino di lancio per alcune apparizioni televisive a Tulsa, Ada ed Oklahoma City e per entrare in sala di registrazione ed incidere il primo (ed unico) 45 giri nel febbraio 1966: “I Need You” [H. Collings] (Alvera 677A-5216 (M-65); side B: “African Diamonds” [H. Collings], 1966), etichetta Alvera Publ. Co., inciso a Tulsa negli studi della KVOO (Radio) [The Voice Of Oklahoma]. In particolare “African Diamonds” ebbe buon successo a livello radiofonico locale, sostando stabilmente nella Top 10 di KAKC (la popolare “The Big 97”) di Tulsa e nelle radio KADA di Ada e KKAJ di Ardmore. Oltre al 45 giri, restarono sotto forma di acetati e di demo altri brani originali scritti da Collings, tra cui “Where Bad Boys Go”, “Don’t Blame Me”, “You Always Hurt The Ones You Love”, “Cold Winds Of March”. Una clamorosa opportunità sfiorò The Monuments probabilmente nel periodo luglio-agosto 1966, allorquando The Beach Boys erano in fase di spostamento dal New Jersey al Colorado durante il proprio tour; alla band fu offerta la possibilità di fare da support band ai Beach Boys in apertura ai loro concerti autunnali successivi. Purtroppo impegni di studio improrogabili e impedimenti di vario tipo costrinsero The Monuments a rinunciare a malincuore e a fare ritorno sommessamente ad Ada. Tale rinuncia inevitabilmente segnò anche l’inizio del declino; Tom Wilds lasciò il gruppo, che continuò in formazione di 4 elementi. Dopo un breve lasso di tempo tuttavia anche il batterista Terry Bell e il main songwriter Howard Collings (arruolati per il Vietnam) abbandonarono la band, che finì per sciogliersi subito dopo, presumibilmente tra fine 1966 ed inizio 1967. Anche in questo, come in numerosi altri casi di “bands meteora”, nessuno può ipotizzare cosa sarebbe successo se… l’attimo fosse stato colto.

 

 

Gian Marchisio

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