“GLI ABITANTI CHIEDONO RISPETTO DALLE ISTITUZIONI ASSENTI DA TROPPI ANNI”
Nella giornata di sabato 10 aprile Italexit ha organizzato un presidio in via Martorelli angolo via Bairo per denunciare il grave stato di degrado in cui versa questa parte della città da troppi anni ostaggio di spacciatori e microcriminalità.
L’iniziativa fa seguito alle segnalazioni di residenti e commercianti che si sono messi in contatto con la sezione torinese del partito dopo essere stati minacciati da alcuni spacciatori: “Chiamiamo le forze dell’ordine ogni giorno – dichiara una negoziante di zona che ha partecipato al presidio – ma la situazione continua a peggiorare. Essere minacciati dagli spacciatori perché si sentono al di sopra della legge è inaccettabile: siamo stufi di sentirci un quartiere di serie B”.
Roberto Mossetto, referente comunale del partito, commenta così la scelta di Italexit di ritrovarsi in via Martorelli: “Italexit è da mesi una presenza fissa nei mercati e nelle piazze di Barriera di Milano: moltissimi abitanti della Circoscrizione 6 si stanno avvicinando a noi proprio perché apprezzano la nostra sincera e continuativa vicinanza alle loro istanze. I grandi partiti, al contrario, si ricordano del disagio nelle periferie solo in prossimità delle elezioni o quando la TV trasmette qualche inchiesta shock”.
Per il problema dello spaccio Mossetto propone una soluzione di buon senso: “Schierare l’esercito per un paio di giorni come ha recentemente fatto la Regione è ridicolo: i cittadini non vogliono sentirsi in un clima di guerra, soprattutto se tutto torna come prima appena le camionette si ritirano. Bisogna al contrario intervenire alla radice del problema: da un lato creare presidi fisici permanenti della Polizia Municipale; dall’altro coinvolgere attivamente la comunità residente in iniziative sociali e culturali nei luoghi considerati piazze di spaccio. Gli abitanti di Barriera nutrono un senso di appartenenza molto forte verso il quartiere: diamo loro il rispetto che si meritano e la possibilità di vivere serenamente in questa zona”.
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Il vento della contestazione era entrato a pieno titolo nelle stanze della chiesa e degli oratori. Soprattutto giovani che , oltre che pregare intervenivano nel sociale. Erano anni in cui Giorgio Gaber cantava : libertà è stare sopra un albero , la libertà è partecipazione. In questa suddivisione, qualcuno ne fece le spese, diciamo così, di identità. Come via Bra o via Cuneo, immortalata da Gipo Farassino. Lui che da quelle parti di Barriera ci è nato. Anche mia madre è nata in via Cuneo. Case di ringhiera. Era una sartina . Classe ’29 e finita la quinta elementare a lavorare. Gruppo Tessile Biellese poi diventato Marus e poi diventato Facis. Il padre era morto nei primi tre mesi in guerra, pleurite fulminante. La nonna abitava ancora da quelle parti. Maria Borletti (mia madre), per lei non aver potuto studiare fu un dramma. Con le 150 ore, studio e lavoro prese la licenza media. Leggeva, leggeva tanto. Magari in modo caotico, ma leggeva. Era orgogliosa d’ aver fatto la scuola di partito a Fagetto Lairo. Una villa del Partito, sul lago di Como, adibita a scuola. Mensa, sala riunioni e piccole stanze dove si studiava. I dirigenti nazionali insegnavano. C’era anche una piccola stamperia per le dispense. Poi esame con relativi voti. Suo zio Pietro Moschelli , scappato dall’ Italia e dal fascismo, fu rifugiato politico a Mosca. Maresciallo dell’Armata Rossa e direttore di fabbrica. Si portò dietro la famiglia. Moglie e due figli. L’ uomo si laureò in ingegneria e la donna in medicina. In Italia non poterono esercitare perché la laurea presa in Urss non era riconosciuta. Soprattutto con la cugina mi facevano raccontare la sua esperienza scolastica. Mamma mia quanto studiavano. La cosa, però, che la terrorizzava maggiormente erano gli esami per potersi iscrivere alla Gioventù Comunista Russa. In particolare le modalità d’ accesso. L’ estrema selezione. Ora, può sembrare, al limite dell’assurdo. Allora no. Era pura e semplice promozione sociale. Partivano dalle case di ringhiera, con i servizi in comune e poi si laureavano. Confesso, anche per il sottoscritto mi sembrava decisamente esagerato. Ora , vicerversa , l’ ignoranza imperante è, decisamente eccessiva. La nonna materna arrivava da Linguaglossa in Provincia di Catania. Ai piedi dell’Etna. Metà strada tra Catania e Bronte, famosa per i pistacchi e il massacro del garibaldino Nino Bixio. A 20 anni sono andato alla ricerca di antenati. Al cimitero, tra vecchie lapidi. Terra nera e porosa del vulcano. Classiche case basse fatte, ancora di tufo Anche lì c’era qualcosa delle case di ringhiera di Barriera. Una Barriera che non si sarebbe sviluppata così se non ci fossero stati gli emigranti dal Sud. Molti arrivavano, come prima tappa a Porta Palazzo. Si sa, prima il capofamiglia. Dopo le famiglie. Sicuramente grandi lacerazioni, sradicamenti, ma anche grandi speranze. Forti identità paesane. Lucani con lucani, calabresi con calabresi, siciliani con siciliani. I pugliesi ” invasero ” piazza Foroni. Cambiò persino la toponomastica. Divenne piazza Cerignola. Ancora oggi si possono comprare i più buoni taralli di Torino. Il più delle volte le comunità si facevano associazioni. Riferimento culturale e politico. Queste associazioni sono entrate a pieno titolo nelle dinamiche, sociali e politiche della città. Un esempio per tutti e l’associazione lucana Carlo Levi, fondata ed attualmente diretta dalla Famiglia Cerabona. Prospero Cerabona , consigliere comunale Pci negli anni 80 sbattè la porta in polemica con Diego Novelli. Lucano , emigrato dalla Lucania. Orgoglioso delle sue origini contadine. Dalle parti di via Ternengo c’ è una delle più belle biblioteche.