ARTE- Pagina 8

Pippo Leocata, “Un mondo da recuperare”

Dal “MUSarMO” di Mombercelli, attraverso le dolci colline della Valtiglione, sostano per Chiese, Cantine e Torri le multiformi opere dell’artista 

Fino al 24 novembre

Mombercelli (Asti)

E’ una lunga, suggestiva cavalcata d’arte fra i lievi dossi delle Langhe monferrine, “Patrimonio Mondiale UNESCO”, quella compiuta dalle opere di Pippo Leocata, artista torinese, ma siciliano d’origine, di quella “siceliota” Adranon – Adrano, alle falde dell’Etna, che tanto continua a ricorrere, ancor oggi, nelle remote immagini e nelle accese cromie delle sue eclettiche, fin quasi imprevedibili e inaspettate, opere artistiche. Installazioni lignee, dipinti a olio e acrilici, di nuova e vecchia data, rappresentano una sorta di articolata “antologica”, una rassegna “a capitoli” o meglio, come preferiscono dire lo stesso Leocata e il curatore dell’evento, l’architetto Pietro Efisio Bozzola, una “mostra diffusa” con le opere dislocate in più sedi, “diffuse, per l’appunto, sul territorio come sono diffusi i paesi che lo punteggiano” e ospitate allo stesso tempo in Cantine – locali santuari del buon bere – così come in edifici storici e religiosi, Corti e Torri, che resistono al tempo ed offrono suggestiva accoglienza. O Musei. Come il “MUSarMo – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea”, ex “Carcere Mandamentale” progettato ad inizi Novecento dall’architetto Angelo Santoné, a Mombercelli, cuore della Valtiglione. E da dove (su iniziativa dell’Associazione Culturale “La bricula” di Cortiglione) va ad iniziare – fino a domenica 24 novembre – il percorso espositivo, caratterizzato dal maggior numero di opere in rassegna, per poi proseguire “in modo tentacolare, verso le altre località coinvolte”: dalla “Cantina Sociale” sempre di Mombercelli a “La Corte Chiusa” di Belveglio, alla “Chiesa della Madonna di Fatima” di Cortiglione, fino alla “Chiesa di San Giovanni Battista” e al “Santuario della Madonna del Carmine” a Incisa Scapaccino, alla “Torre” di Masio e alla “Cantina Sociale” di Rocchetta Tanaro, per concludere l’“andar per colline” con la “Cantina” di Vinchio e Vaglio Serra.

Iter da favola e di bellezze, naturali e architettoniche, tutte da scoprire e, allo stesso tempo, parte di “Un mondo da recuperare”, come recita il titolo della rassegna. Che é poi il titolo  della stessa lignea installazione visionabile nella prima foto in apertura di articolo, alle spalle di Pippo Leocata (al centro), del curatore Pietro Efisio Bozzola e della Conservatrice del “MUSarMO”, l’instancabile Anna Virando: due lineari ed essenziali figure lignee (pallet) “in blu acrilico” (un padre e un figlioletto?) tentano di sorreggere un “mondo” che sta per cedere al tempo e alle brutture umane. A terra un groviglio di trucioli, scarti dispersi o materiale ancora utile all’artista (mano divina) per aggiungere – non c’é mai sottrazione nelle sue opere – e riutilizzare in un esercizio certosino e ingegnoso di ricostruzione di quell’universo perduto. Figure simboliche e di “astratta” essenzialità, su cui la mano scorre libera e precisa per formulare racconti che violano il “reale”, attratti dal mito, da remote visionarietà in cui ben chiari s’appalesano l’alto mestiere e la prolifica fantasia di Leocata. Ne é chiara prova anche l’intrigante immagine del “Narciso” di “Solitudine e vanità” (legni pallet, acrilico e specchio sintetico) in cui l’artista ripercorre e rivede in modo singolare soggetti e pagine che hanno attraversato secoli di storia dell’arte, dal “Narciso alla fonte” di Pompei al controverso “Narciso” del Caravaggio (1597- ’99) fino alla surreale “Metamorfosi di Narciso” frutto delle esoteriche bizzarrie di Salvador Dalì.

 

Anche il suo é un triste Narciso, fanciullo “solitario” condannato dagli dei per la sua “vanità” a innamorarsi perdutamente di sé, un’ossessione che lo porterà alla morte in quello “specchio” d’acqua in cui non ha mai cessato di appagarsi, solo e sempre, della sua imagine. Accanto, altre installazioni lignee e specchio sintetico: davvero bello l’omaggio alla “Parata dei Cavalieri” di Fidia, così come l’“Omaggio a Mollino” in ricordo del grande architetto, suo docente negli anni ’60, al “Politecnico di Torino”. Processi creativi in cui penso trovi largo spazio – pur senza reprimere la singolare “forza creativa” di Leocata – anche l’idea geniale dei “quadri specchianti” di Michelangelo Pistoletto. Altro capitolo prezioso della mostra al “MUSarMO”, i dipinti a olio. Due, in particolare. Omaggio al territorio ospitante, una stupenda “Vigna”, ispirata all’omonima poesia pavesiana, quella vigna che “sale sul dorso di un colle/fino a incidersi nel cielo” dove il grande cerchio solare indora senza risparmio le alte cascine. Stupendo il quadro, grande l’effetto emotivo. E poi “Il verde e l’arancio”, dedicato a papà Vincenzo. Cambiano i luoghi, ma sempre terra – terra madre è: i suoli vulcanici della sua Adrano, nella zona archeologica del “Mendolito”, gli agrumeti di famiglia custoditi e osservati dall’alto da ‘a Muntagna (il Vulcano), dalle “Mura normanne” e dalla Cupola della “Matrice” (“Chiesa Madre”). Lì il pittore ritrova il volto, le mani e gli insegnamenti di papà Vincenzo. E il gioco della memoria si fa emotivamente più duro.

Gianni Milani

“Un Mondo da recuperare”

MUSarMO, via Brofferio 24, Mombercelli (Asti); tel. 338/424

Fino al 24 novembre

Orari: sab. e dom. 15,30/18

Nelle foto: Pietro Efisio Bazzola, Pippo Leocata e Anna Virando. Alle spalle “Un mondo da recuperare”, legni pallet e acrilico, 2022; “Solitudine e Vanità”, legni pallet, specchio sintetico e acrilico, 2024; “La vigna”, olio su tela, 2017; Il verde e l’arancio”, olio su tela, 2005 

Torino tra architettura e pittura. Felice Casorati

Torino tra architettura e pittura

1 Guarino Guarini (1624-1683)
2 Filippo Juvarra (1678-1736)
3 Alessandro Antonelli (1798-1888)
4 Pietro Fenoglio (1865-1927)
5 Giacomo Balla (1871-1958)
6 Felice Casorati (1883-1963)
7  I Sei di Torino
8  Alighiero Boetti (1940-1994)
9 Giuseppe Penone (1947-)
10 Mario Merz (1925-2003)

 

6) Felice Casorati (1883-1963)

Lungi da me sostenere che esistono periodi artistici di facile e immediata comprensione, ogni filone, ogni movimento e ogni tipologia d’arte necessita di un’analisi approfondita per penetrarne il senso, tuttavia mi sento di affermare che da una certa fase storica in poi le cose sembrano complicarsi.

Mi spiego meglio: siamo abituati a considerare “belle opere” le architetture classiche, così come le imponenti cattedrali gotiche o ancora i capolavori rinascimentali e gli spettacolari chiaroscuri barocchi; il comune approccio alla materia rimane positivo ancora per tutto il Settecento, ma poi, piano piano, con l’Ottocento le questioni si fanno difficili e lo studio della storia dell’arte inizia a divenire ostico. I messaggi di cui gli artisti sono portavoce diventano maggiormente complessi, entrano in gioco le rappresentazioni degli stati d’animo dell’uomo, del suo inconscio, si parla del rapporto con la natura e d’improvviso l’arte non è più quel “locus amoenus” rassicurante a cui ci eravamo abituati. La sensazione di spiazzante spaesamento raggiunge il suo apice con le opere novecentesche, le due guerre dilaniano l’animo degli individui e la violenza del secolo breve si concretizza in dipinti paurosi che di “bello” non hanno granché. I miei studenti, giunti a questo punto del programma, sono soliti lamentarsi e addirittura dichiarano che “potevano farli anche loro quei quadri” o che “sono lavori veramente brutti” e ci vuole sempre un lungo preambolo esplicativo prima di convincerli a seguire la lezione senza eccessivo scetticismo.
Nel presente articolo vorrei soffermarmi su di un autore che si inserisce nel difficile contesto del Novecento, un autore le cui opere sono cariche di inquietudine e rappresentano per lo più immote figure silenziose, come imprigionate in atemporali visioni oniriche.  Sto parlando di Felice Casorati, uno dei protagonisti indiscussi della scena novecentesca italiana, attivo a Torino, dove si circonda di ferventi artisti volenterosi di proseguire i suoi insegnamenti.


Ma andiamo per ordine e, come mi piace sempre ribadire in classe, “contestualizziamo” l’artista, ossia inseriamo l’artista in un “contesto” storico-culturale ben determinato per meglio definire il senso e il portato dell’opera.
Nei primi anni Venti del Novecento, grazie all’iniziativa della critica d’arte Margherita Sarfatti, si costituisce il cosiddetto gruppo del “Novecento”, di cui fanno parte sette artisti in realtà molto differenti tra loro: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi. Le differenze stilistiche sono più che evidenti poiché alcuni sono esponenti vicini al Futurismo, altri invece si dimostrano orientati verso un ritorno all’ordine, altri ancora hanno contatti con la cultura mitteleuropea. La definizione di “Novecento”, con cui tali pittori sono soliti presentarsi, allude all’ambizione di farsi protagonisti di un’epoca, di esserne l’espressione significativa. Il gruppo si presenta alla Biennale di Venezia del 1924 come “Sei pittori del Novecento”(Oppi presenzia all’avvenimento con una personale). L’esposizione viene felicemente acclamata dalla critica, tanto che, sulla scia del successo ottenuto a Venezia, la Sarfatti si impegna ad organizzare in maniera più incisiva il movimento, quasi con l’intento di trasformarlo in una “scuola”. I risultati si manifestano chiaramente: nel 1926 al Palazzo della Permanente di Milano viene organizzata un’esposizione con ben centodieci partecipanti. Il movimento “Novecento” si è ormai allargato tanto da comprendere gran parte della pittura italiana: fanno parte della cerchia quasi tutti gli artisti del momento, da Carrà a De Chirico, da Morandi a Depero, da Russolo allo stesso Casorati.  Tra i soggetti prediletti rientrano la figura umana, la natura morta e il paesaggio. Presupposti comuni sono il totale rifiuto del modernismo e un continuo riferimento alla tradizione nazionale, soprattutto a modelli trecenteschi e rinascimentali.

Con il passare degli anni il gruppo si fa sempre più numeroso e l’organizzazione del movimento si trasforma, la direzione delle iniziative artistiche ricade anche nelle mani di artisti di prima formazione quali Funi, Marussing e Sironi, insieme a personalità conosciute come lo scultore Arnolfo Wildt e i pittori Arturo Tosi e Alberto Salietti. Diventano via via numerosi i contatti con centri espositivi internazionali; alcuni artisti italiani trasferitisi all’estero si fanno appassionati organizzatori di “mostre novecentesche”, come dimostra ad esempio l’iniziativa di Alberto Sartoris, architetto torinese residente in Svizzera, il quale si occupa di organizzare nel paese di residenza un’ampia esposizione artistica del gruppo. Nel 1930, addirittura, il “Novecento” espone a Buenos Aires, avvenimento doppiamente importante, poiché grazie a tale iniziativa la critica Sarfatti riesce a ricapitolare nel catalogo della mostra le molteplici tappe del movimento. Espongono in Argentina ben quarantasei artisti, tra cui Casorati, De Chirico e Morandi.

 


Come è evidente, l’eterogeneità del gruppo manca di direttive e connotati chiari e univoci. Il tedesco Franz Roth conia appositamente per gli artisti di “Novecento” l’espressione “realismo magico”, che indica una rappresentazione realistica –domestica, familiare- ma al tempo stesso sospesa, estatica, come allucinata. Esemplificativo per esplicitare tale concetto è il dipinto di Antonio Donghi, “Figura di donna”, opera in cui domina una straniante immobilità incantata, la scena è immobile e l’osservatore percepisce che nulla sta per accadere e nulla è accaduto precedentemente.
Ed ecco che di “realismo magico” si può parlare anche per Felice Casorati (1883-1963), artista attivo nella prima metà del Novecento e docente di Pittura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Egli nasce a Novara, il 4 dicembre del 1883; il lavoro del padre, che è un militare, comporta che la famiglia si sposti spesso. Felice trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Milano, Reggio Emilia e Sassari, infine la famiglia si stabilisce a Padova, dove il ragazzo porta avanti la sua formazione liceale. A diciotto anni inizia a soffrire di nevrosi, ed è costretto a ritirarsi per un po’ sui Colli Euganei; proprio in questo periodo, Felice inizia a dedicarsi alla pittura. A ventiquattro anni -siamo nel 1907- si laurea in Giurisprudenza, ma decide di non proseguire su quel percorso, per dedicarsi all’arte, nello stesso anno parte per Napoli per studiare le opere di Pieter Brueghel il Vecchio, esposte presso il Museo Nazionale di Capodimonte.


Nel 1915, si arruola volontario nella Prima Guerra Mondiale, lo stesso fanno molti suoi contemporanei come Mario Sironi, Achille Funi Filippo Tommaso Marinetti, Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo e Umberto Boccioni.
Nel 1917, dopo la morte del padre, Felice si trasferisce a Torino, dove attorno a lui si riuniscono artisti e intellettuali della città. Tra questi vi è Daphne Maugham, che diventerà sua moglie nel 1930 e dalla quale avrà il figlio Francesco, anche lui futuro pittore.
Casorati a Torino ha molti allievi nella sua scuola e presso il corso di Pittura dell’Accademia Albertina. Gli artisti più noti legati al suo insegnamento sono riuniti nel gruppo “I sei di Torino”, tra questi Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa e Jessie Boswell.
La sua ascesa artistica è sostenuta da diverse amicizie, tra cui il critico d’arte Lionello Venturi, la critica milanese Margherita Sarfatti, gli artisti di Ca’ Pesaro, il mecenate Riccardo Gualino e l’artista di Torinese Gigi Chessa insieme al quale partecipa al recupero del Teatro di Torino.
L’artista non lascerà più il capoluogo piemontese, e qui morirà il 1 marzo del 1963 in seguito ad un’embolia.
L’autore è da considerarsi “isolato”, con un proprio personalissimo percorso, pur tuttavia incrociando talvolta le proprie idee con altre ricerche artistiche di gruppi o movimenti a lui contemporanei.
Secondo alcuni critici, le opere di Casorati sono intrise di intimità religiosa. Lo stile pittorico dell’autore si modifica nel tempo, i primi lavori sono infatti decisamente realistici e visibilmente ispirati alle opere della Secessione Viennese; negli stessi anni si può notare l’influenza di Gustav Klimt, che porta Felice ad abbracciare per un breve periodo l’estetica simbolista. L’influsso klimtiano è particolarmente evidente in un’opera del 1912, “Il sogno del melograno”, in cui una donna giace dormiente su un prato fiorito. Il prato intorno alla fanciulla è cosparso di una moltitudine di fiori di specie differenti, mentre dall’alto pendono dei grossi grappoli di uva nera. I riferimenti all’artista viennese sono concentrati nella figura della ragazza, con chiari rimandi ai decorativismi delle “donne-gioiello” protagoniste di raffigurazioni quali “Giuditta” (1901), “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”(1907) o il celeberrimo “ll bacio” (1907-08).
La figura del soggetto ricorda inoltre le opere preraffaellite, nello specifico l’ “Ofelia” di Sir John Everett Millais.


Negli elaborati degli inizi del Novecento, invece, sono evidenti i riferimenti a capolavori italiani del Trecento e del Quattrocento; nello stesso periodo l’autore si concentra su una generale semplificazione del linguaggio e sullo studio di figure sintetiche. Intorno agli anni Venti del secolo scorso impronta il suo stile a una grande concisione lineare, anche se è nel primo dopo-guerra che egli definisce il suo stile peculiare, caratterizzato da figure immobili, assorte, rigorosamente geometriche, quasi sempre illuminate da una luce fredda e intensa. Appartengono a questi anni alcuni dei suoi capolavori, come “Conversazione platonica” o “Ritratto di Silvana Cenni”. Per quest’ultima opera Casorati si rifà al celebre capolavoro rinascimentale “Sacra Conversazione” di Piero della Francesca, di cui riprende l’atmosfera sospesa, quasi metafisica, ottenuta grazie alla rigidità con cui Felice ritrae la donna  –seduta, assorta e immobile-  alla resa scenografica del paesaggio e alla fittizia disposizione degli oggetti all’interno della stanza. Le figure di Casorati sono volumetriche, solide e immote, come pietrificate, l’artista ne esalta i valori plastici grazie al sapiente uso del colore tonale. Nelle ultime tele, le fanciulle ritratte risulteranno quasi geometrizzate, esito di una notevole sintesi formale.
L’illuminazione risulta artificiale e per nulla realistica, effetto sottolineato dal fatto che Casorati non mostra quasi mai il punto di provenienza della luce; il risultato finale è quello di un mondo sospeso, raggelato e senza tempo.
Negli anni Trenta Casorati si dedica a dipingere nature morte con scodelle o uova, soggetti che ben si prestano ad interpretare il suo linguaggio plastico semplificato; egli esegue inoltri diversi nudi femminili in ambienti spogli e alcune tele che presentano disturbanti maschere, tema a lui già caro, come testimonia l’opera “Maschere” del 1921.
Davanti ai lavori di Felice Casorati non possiamo che rimanere attoniti e pensosi, intrappolati nel suo mondo metafisico.
L’arte è così, lo vedo con i miei studenti, non finisce mai di metterci alla prova, continua a incentivare pensieri e confronti e per quanto possa essere “lontano da noi” essa è capace di stimolare discussioni su tematiche sempre inesorabilmente e meravigliosamente attuali.

Alessia Cagnotto 

Pio Carlo Barola, percorso di un artista

La rassegna antologica, nel castello di Casale Monferrato, è uno splendido omaggio all’intero percorso artistico di Pio Carlo Barola, pittore e incisore con all’attivo prestigiose esposizioni accompagnate da entusiastiche recensioni di importanti critici tra cui Albino Galvano, Raffaele de Grada, Angelo Dragone oltre a incisori famosi quali Remo Wolf, Andrea Disertori e Francesco Tabusso.

Con originalità e stile personale Barola è riuscito, affidandosi ad una tecnica sperimentata di linea e colore, a conciliare molteplici suggestioni dell’arte del passato con le avanguardie storiche e le provocazioni dell’arte contemporanea. Avvolte in un sottile divertimento, che a sua volta Albino Galvano definì “scanzonato”, si armonizzano tra loro linee liberty avvolgenti e decorative accanto allo svettante dinamismo futurista, colori fauves accanto a chiaroscuri luministici come nella trasposizione del “S.Girolamo” di Caravaggio trasferito ai giorni nostri con un pacchetto di sigarette e un orologio al polso a simbolo di memento mori. Interessante anche il dipinto “omaggio a Zurbaran”, a cui toglie sacralità e misticismo secentesco risolvendolo nel clima novecentesco del realismo magico.

Da rilevare il suo grande impegno come organizzatore, insieme ad Antonio Barbato e a Gianpaolo Cavalli, riguardo la Biennale di grafica ed ex libris che da tempo si svolge con successo nella sala Chagall del castello Paleologo di Casale Monferrato.

Giuliana Romano Bussola

Marciano: “I SuOni delle ParOle OnOmatOpee a tre dimensiOni”

Giovedì 7 novembre presso la residenza universitaria CStudio inaugura alle 18.30 la mostra

L’Auditorium del CStudio presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo di via Ariosto 9 a Torino ospiterà  la mostra “ I SuOni delle parOle OnOmatOpee a tre dimensiOni” di Antonio Marciano. Verrà inaugurata  il 7 novembre prossimo alle 18.30. L’esposizione, curata da Ermanno Tedeschi, comprende una ventina tra disegni e quadri realizzati con i celebri chiodini pixelart di Quercetti. Si tratterà  di un’occasione, oltre che per vedere l’esposizione,  anche per conoscere uno spazio splendido e nuovissimo nel cuore della città.

“Le opere – racconta il curatore Ermanno Tedeschi- hanno un  carattere educativo e sono incentrate sul segno grafico  e sull’importanza della comunicazione della diversità  e disabilità,  in quanto  l’artista stesso utilizza i chiodini a causa di una malattia che ne limita il movimento,  tanto da essere costretto su una sedia a rotelle. Oltre alle onomatopee Antonio Marciano rappresenta anche i supereroi, protagonisti dei fumetti che, con i loro superpoteri, riescono a superare le avversità  e rispecchiano l’artista, che si sente un po’ supereroe tutti i giorni e ha una duplice identità: quella non comune viene tenuta ben celata sino a quando non si mette in mostra. I chiodini di Quercetti diventano un pennello nelle sue mani e ogni chiodino rappresenta una pennellata di colore. Solo vedendoli accostati gli uni agli altri si ottiene la visione di insieme, un divisionismo estremamente moderno e materico”.

L’intento di Marciano non è  quello di fare un gioco o di legarsi semplicemente all’immaginario infantile.  L’interesse artistico  è  legato alla gestualità  dell’infilare i chiodini, rituale che elogia il lento scorrere del tempo come cura per alleviare la frenesia del quotidiano. Attraverso queste opere Marciano esprime la voglia di essere vivo e di appuntare la realtà e bloccarla sulla tavola con i chiodini.

“Le persone avvicinandosi- spiega l’artista Antonio Marciano – e percorrendo le lunghe linee dei chiodini risentiranno i colori punto a punto  e faranno quei pensieri  brevi e gioiosi come quando spunta un fiore. Vorrei che le mie opere permettessero all’osservatore una piccola fuga spirituale, per non dimenticare l’importanza delle cose che hanno una forza e una bellezza straordinaria pur essendo semplici, temporanee e fugaci “.

Secondo alcuni studi l’utilizzo regolare del gioco dei  chiodini Quercetti rappresenta una formidabile ginnastica motoria per la mano e si è scoperto che attraverso la mano e il chiodino colorato si possono avere ripercussioni benefiche sul cervello avvantaggiando le nostre abilità linguistiche. Questo è lo scopo dei laboratori e workshop che affiancheranno la mostra e coinvolgeranno gli studenti della vicina scuola elementare, gli ospiti dello studentato e la cittadinanza che vorrà partecipare.

Ingresso gratuito prenotazione obbligatoria 

antoniomarciano75@gmail.com

associazione.acribi

a@gmail.com

Mara Martellotta

Uomo e natura… la pace possibile

Al “Castello di Rivoli”, le opere di venti artisti, collocate in oltre quarant’anni di storia dell’arte, raccontano la possibile, fattiva collaborazione fra uomo e natura

Fino al 23 marzo 2025

Rivoli (Torino)

L’arte, mediatrice di pace e condivisione fra essere umano e mondo naturale. E’ questo il principio (e la speranza) che sta alla base della grande rassegna “Mutual Aid– Arte in collaborazione con la natura”, ospitata, fino a domenica 23 marzo del prossimo anno, nella “Manica Lunga” del “Castello di Rivoli”. Prima mostra curata dal nuovo direttore, Francesco Manacorda, in collaborazione con Marianna Vecellio, l’esposizione intende esplorare il concetto di “mutuo appoggio” (come da titolo) e la possibile collaborazione creativa fra “esseri umani” e “natura”, attraverso la concreta proposta di suggestive, “improbabili” (eppur reali) esperienze di una ventina di artisti e dei loro “collaboratori non umani” che hanno affrontato il tema dagli anni Sessanta ad oggi. Ad ispirare la mostra sono le tesi contenute nel saggio “Il mutuo appoggio. Un fattore d’evoluzione” del filosofo “libertario” russo Pëtr Kropotkin (1842–1921), che, contrariamente ai discepoli del “darwinismo sociale” (giustificanti l’oppressione del più forte sul più debole), sosteneva la vita umana ed animale “essere prevalentemente basata sulla cooperazione e sulla solidarietà piuttosto che sulla lotta”.

Linea di pensiero che troviamo pienamente applicata nella mostra di Rivoli. A partire dalle imponenti “tele” di Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) volteggianti nel vuoto della “Manica Lunga” a mostrare tutte le ferite e le tracce profonde, diventate cifra pittorica, lasciate dalle battenti piogge tropicali e dai segni fissati dal passaggio “disattento” e ripetuto degli animali. Opere che sfidano il “concetto di autorialità” esclusivamente umana. “L’esposizione – sottolinea Francesco Manacorda – attingendo a diversi linguaggi espositivi come il video, la pittura, il suono, l’installazione e la scultura, esplora infatti visioni che cercano nuove modalità di collaborazione con altre specie, trasformando la ‘Manica Lunga’ del ‘Castello’ in un organismo ‘vivente’ dove opere e processi naturali cooperano alla realizzazione di una vera e propria mostra vivente”. La natura crea e offre stimoli di ricerca all’artista. Il loro è un lavoro realizzato in piena collaborazione. Dove la mano e la mente dell’uomo positivamente accolgono suggerimenti, li accarezzano, li denunciano, li compongono e ricompongono nella fantasiosa attualità di opere su cui è d’obbligo fermarsi a riflettere con partecipata attenzione. Ecco allora Aki Inomata (Giappone, 1983) trarre ispirazione dalle modalità di costruzione delle dighe proprie dei castori euroasiatici, realizzando a mano e con una macchina da taglio automatica sculture in legno ricalcanti forme simili a quelle prodotte dai tenaci roditori semiacquatici.

Fra i grandi “pionieri” della “Land Art”, troviamo poi Giuseppe Penone (Garessio, 1947) che a Rivoli espone le opere della serie “Alpi Marittime”, fra cui la potente scultura “Trattenere 24 anni di crescita”, dove l’intervento artistico su un tronco di albero di noce magnificamente fonde in un sol corpo processi umani e naturali di forte intensità. E mutuo scambio. Che arriva al culmine in quel“Le lâcher d’escargots”  installazione ambientale (2009) in cui Michel Blazy (Monaco, 1966) coinvolge delle “lumache” che percorrono un tappeto lasciando scie che ricordano le intersezioni della pittura astratta. Lumache e lucertole, farfalle e fiori e insetti. Tutto collabora nell’artistica ricostruzione di un “Creato” da preservare. E l’elenco degli artisti impegnati in questa sorta di “miracolosa” profetica missione s’infittisce con nomi gravitanti nell’ambito di un’avanguardia artistica, ma anche politico-sociale (“Land” e “Pop Art”) in cui troviamo figure più o meno storiche dall’ungherese Agnes Denes all’argentino Tomàs Saraceno e alla brasiliana Maria Thereza Alves fino all’egiziano Nour Mobarak con opere plastiche dove il micelio di un comune fungo dai mille colori trasforma le sculture in organismi viventi “che mutano, decompongono e si ricompongono”.

E l’iter prosegue, dal torinese Renato Leotta all’americano Robert Smithson (solo per citarne alcuni) fino a concludersi con l’opera (2023) “The sun eats her children” di Precious Okoyomon (Londra, 1993), in cui una serra tropicale accoglie farfalle e piante velenose in un policromo paesaggio decisamente surreale e d’impronta onirica. Sempre in un’ottica di “mutua collaborazione”! Che non solo produce ingegnose pagine d’arte, ma che pure viaggia attenta a non tradire quella “natura”, non leopardianamente “matrigna”, ma sfatta e indispettita (questo sì!) dai continui inaccettabili soprusi umani.

Gianni Milani

“Mutual Aid – Arte in collaborazione con la natura”

Castello di Rivoli, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel.011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 23 marzo 2025

Orari: dal merc. al ven. 10/17; sab. dom. e festivi 11/18

Nelle foto: Aky Inomata “How to Carve a Sculpture”, 2018 (ph. Eisuke Asaoka); Giuseppe Penone “Trattenere 24 anni di crescita”, bronzo, 2020; Michel Blazy “Le lâcher d’escargots”, lumache e moquette marrone, 2009; Precious Okoyomon “The sun eats her children”, fiori, terra vulcanica, farfalle, scultura di orso in resina, 2023

“Rock Art – il primitivo del sogno”, libro e mostra dell’artista Teresa Maresca

Nella cornice di Diagon Hall, nella giornata di domenica 3 novembre, si sono svolte la presentazione del volume “Il primitivo del sogno” e la mostra intitolata “Rock Art – il primitivo del sogno” della quotata artista Teresa Maresca. L’incontro è stato moderato da Gian Giacomo Della Porta, alla presenza del poeta, traduttore, scrittore e critico teatrale Roberto Mussapi.

La serata, che ha visto la partecipazione di un pubblico attento e appassionato, si è svolta attraverso un dialogo tra Teresa Maresca e Gian Giacomo Della Porta sulle origini dell’uomo e le prime rappresentazioni su roccia, magiche e intrise di una pura religiosità non confessionale poiché prive di fonti o ispirazioni artistiche alla base. Il libro di Teresa Maresca si esprime attraverso un contenuto paradossale: ripercorre le origini per parlare intensamente del presente e del prossimo futuro. Vi è in queste pagine la necessità da parte dell’artista di recuperare un patrimonio di interazione e dialogo tra uomo e natura che nel tempo è andato perdendosi. Il pubblico è stato inviato a riflettere sul momento in cui un albero, un sasso oppure l’acqua hanno smesso di possedere in noi quell’energia che chiamiamo anima, e che ora ci espone all’illusione considerarci padroni della natura e onnipotenti di fronte ad essa. Hanno fatto da cornice alla serata due splendi poesie inerenti al tema scritte e interpretate da Roberto Mussapi, una incentrata sulla figura dell’australopiteco Lucy e l’altra intitolata “Lettera dall’età della pietra”.

Mara Martellotta

 

 

“Equilibrio spirituale tra luci e forme”, Rabarama alla galleria Malinpensa by La Telaccia

Dall’8 al 23 novembre prossimi, curata da Monia Malinpensa

L’artista, ricca di un’energia instancabile e di un lessico formale decisamente personale, è capace di trasmettere all’osservatore una tematica di forte valenza simbolica, sociale e psicologica altamente rappresentativa. Ogni personaggio vive attraverso una dinamicità spaziale di originale interpretazione che travalica l’aspetto estetico. È un linguaggio di straordinaria energia vitale che si evolve, impreziosito costantemente da una profonda interiorità che conquista lo spettatore dal di dentro, perché da esso si libera un incredibile senso della vita umana. L’essere umano acquista una profonda intensità dello sguardo e una notevole luce spirituale, diventa pura espressione di sensazioni e stati d’animo.

Rabarama conduce una ricerca assoluta in cui il processo emotivo e quello concettuale sono dominanti nel suo iter creativo, tanto da trasformare la materia in pura emozione. Le sue sculture bronzee, nate da un’interpretazione di indiscutibile impegno progettuale, sono l’evidente risultato di un grande valore artistico, culturale, e di un significato esistenziale ricco di studi e contenuti. Rabarama plasma la materia e colma gli spazi interiori dell’uomo con una ricchezza d’animo autentica. È un’artista capace di dar vita alle sue opere, non dimenticando mai i veri valori della vita.

Rabarama, alias Paola Epifani, nata a Roma nel 1969, vive e lavora a Padova, ha seguito l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove si è diplomata con il massimo dei voti.

Crea sculture con donne, uomini e figure ibride, la cui pelle è sempre decorata di simboli, lettere, geroglifici e altre figure in una varietà di forme.

La membrana, il mantello che sembra avvolgere queste figure muta costantemente, arricchendosi di nuovi segni, simboli e metafore. L’alfabeto indica il limite interno presente nel linguaggio e indica il nostro essere entità singolari e plurali; geroglifici, puzzle e nidi d’ape sono la visualizzazione del genoma, le infinite combinazioni e varietà possibili insite nell’umanità e visualizzate nei labirinti mentali in cui è materializzatala multiforme complessità dell’Io. Spesso le mostre delle opere di Rabarama sono presentate in collaborazione con altri artisti, interpreti della pittura del corpo, della danza e delle acrobazie, e sono arricchiti da proiezioni di video e audio. Il suo lavoro è considerato suggestivo e emozionante, descrive tutti i dolori e le gioie degli esseri umani, dalla schiavitù alla libertà.

“L’arte di Rabarama è spesso molto aggressiva, non solo per lo spettatore ma anche per il creatore – ha affermato George S. Bolge, direttore esecutivo del Museum of Art di Boca Raton, a Miami, negli USA, commentando le opere dell’artista – questo lungo percorso costellato di successi l’ha portata a essere presente al 54⁰ Biennale di Venezia con l’opera monumentale “Abbandono”, realizzata interamente in marmo di Carrara. Oltre a questo fondamentale riconoscimento, le sue opere sono state esposte nelle più grandi capitali della scena artistica, come Parigi, Cannes, Firenze e Shangai. Numerose e importanti sono le acquisizioni  delle sue opere da parte di istituzioni pubbliche e private, come il Museo d’Arte della Biennale di Pechino, lo Scultures Space di Shangai e il Copelouzos Museum di Atene, senza dimenticare le tre opere monumentali acquistate dal Comune di Reggio Calabria ed esposte presso il lungomare Falcomatà”.

 

Galleria Malinpensa by La Telaccia, corso Inghilterra 51, Torino

Ingresso libero – orari: 10.30/12.30 – 16/19, chiuso lunedì e festivi

Tel. 011 5628220

 

Mara Martellotta

 

Nasce il Torino Design District, il nuovo polo creativo e artistico cittadino

Nasce il Torino Design District, il nuovo polo creativo e artistico cittadino, progettato dagli studenti del LAD Liceo Artistico del Design. Il distretto nel Quadrilatero romano ha inaugurato sabato 2 novembre alle ore 17.30 i suoi spazi espositivi in via Bonelli 1 e 4/C e in via Bellezia 33.

Dal 31 ottobre 2024 al 10 gennaio 2025, gli studenti del LAD, Liceo Artistico del Design, daranno vita al Torino Design District, un progetto culturale, sociale e di sviluppo territoriale basato sulla partecipazione del processo creativo come strumento per affrontare le grandi sfide della complessità contemporanea, quali la sostenibilità ambientale e sociale, le prospettive occupazionali per i giovani, l’epidemia di solitudine che colpisce la società e le nuove generazioni.

Al fine di operare in questa direzione, gli spazi del Torino Design District, identificati geograficamente con il Quadrilatero Romano, si trasformeranno in tre mesi in un centro per la valorizzazione del profondamente umano, dando vita ad un ambiente ibrido con le caratteristiche di un laboratorio d’arte, un centro ricerche, un’officina per il sogno, un tempio del silenzio e del pensiero complesso, una clinica della gioia e della passione, un luogo di aggregazione per relazioni umane significative.

Fino al 10 gennaio 2025 tutti i giovedì dalle 15 a sera, i laboratori, le sale espositive e di incontro saranno gestiti in autonomia, con il supporto di un servizio di sicurezza, dai giovani designer e artisti del LAD che inviteranno i coetanei insieme a tutta la cittadinanza a sperimentare la dimensione relazionale del profondamente umano. Per tutto il mese di novembre gli spazi espositivi di via Bellezia e via Bonelli saranno aperti al pubblico dall’organizzazione del Torino Design District tutte le sere di venerdì e sabato dalle 20 alle 22.

Al loro interno saranno esposte diverse opere e installazioni, tra cui quella artistica di Virginia Faoro, dal titolo ‘Essenze’, coprodotta con la partecipazione del pubblico invitato ad indagare e riflettere sulla natura dell’essenza umana e sulle relazioni tra essenze come insieme dimensioni in un campo, con apertura tutti i martedì di novembre dalle 15 alle 17 in via Bonelli.

I giovedì pomeriggio di novembre 7/14/21/28, sempre dalle 15 alle 17, il Torino Design District sarà animato dall’apertura per lo spazio espositivo e per la produzione artistica, sito in via Bellezia 33, occupato da Eva Cera, anche lei giovanissima artista torinese, con una nuova installazione della serie “Accettazione”, che aprirà un dialogo esperienziale con il pubblico partendo dalle esperienze maturate nel quartiere.

Durante le ore del mattino si terranno i workshop rivolti alle scuole dell’infanzia e primarie tenute da Rebecca Barra, che coinvolgerà i giovani studenti nello sviluppo dell’installazione artistica digitale “Esplosioni, Collisioni e altri eventi generativi” che, partendo da cognizioni scientifiche e astronomiche, offre una nuova prospettiva del processo creativo e della produzione umana.

Di grande impatto emotivo l’installazione di Asia Krissaane che con “Caged” affronta il tema dell’infibulazione umana e della condizione femminile nella società patriarcale.

Fino al 10 gennaio sarà possibile assistere e partecipare al processo creativo di numerosi altri artisti e designer quali Lucrezia Panero, Viola Faoro, Letizia Taranto, Aurora Palermo.

Martedì 19 e mercoledì 20 novembre, dalle 15 alle 18.30 gli studenti del Dipartimento di Architettura, Urban Design terranno il laboratorio di progettazione dal titolo “Smart, Learning, Sustainable, la città al tempo dell’intelligenza artificiale”, aperto ad un pubblico di coetanei ( 12-18 anni) che utilizzando Minecraft potranno approfondire e apprendere i principi per la costruzione di una città contemporanea, sostenibile, bella, dove gli abitanti possano vivere esperienze di qualità.

Il Torino Design District rappresenta un vero e proprio laboratorio urbano, dove innovazione sociale e impresa si incontrano e collaborano, generando un’opportunità di sviluppo territoriale, economico e sociale, grazie alla concentrazione di attività creative che condividono una stessa visione. Tre gli obiettivi di impatto sociale che il Torino Design District si è posto, in primo luogo scoprirsi e riscoprirsi, in secondo luogo creare e sperimentare relazioni profondamente umane, in terzo luogo decostruire i confini.

Mara Martellotta

“Crossing. Attraversare una collezione” a Palazzo Madama per Artissima

Il “Contemporaneo” si confronta, rispettosamente, con i secolari splendori artistici dello storico edificio

Fino all’8 dicembre

In apertura, alla nota di presentazione della mostra, si legge un aforisma di Cesare Pavese, tratto dal suo“Il mestiere di vivere”“Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale”. Parole che possono aiutarci a capire il “senso” profondo che ha guidato gli ideatori di “Crossing”, la “mostra a quattro” ospitata fino a domenica 8 dicembre, in occasione di “Artissima 2024” e sotto la curatela della storica dell’arte Cristina Beltrami, in ben specifiche location di “Palazzo Madama” a Torino. La rassegna nasce con l’intento di tenere insieme le opere di quattro artisti/e di diversa formazione e provenienza, che hanno accettato di confrontarsi con “il volto reale” (in quanto pavesianamente “trascorso”) della vastissima Collezione della “Casa dei secoli, sintesi di pietra di tutto il passato torinese”, come il torinesissimo Gozzano definiva “Palazzo Madama”.

Ad aprire l’esposizione sono le “Panacée”, le tre “ingannevoli” sculture della francese di Mentone (classe ’67) Frédérique Nalbandian, collocate in cima allo “Scalone Juvarriano”. Tre monumentali figure, antichi reperti in marmo – verrebbe di primo acchito da affermare – che bene stanno lì dove si trovano. E allora vien da chiedersi: che mai ci azzecca il Contemporaneo? Ci azzecca, eccome! Provate infatti ad avvicinarvi. E … l’inghippo si svela! Dove? Nell’impiego inatteso dei materiali. Di “marmo”, come si sarebbe creduto, neppure l’ombra. La versione tripla della mitologica dea (personificazione della “guarigione universale” ottenuta per mezzo delle piante) si scopre aver preso forme dal sapiente utilizzo niente meno che di “stoffa” e “sapone”, quest’ultimo proveniente dal Saponificio “Fer à Cheval” di Marsiglia, fabbrica di antica tradizione con cui l’artista collabora da anni. Ed è allora, in questo ottico “gioco d’illusione”, che l’opera balza d’un colpo nei territori del “Contemporaneo”, “tracciando – è stato scritto – sia un dialogo tra forme che appartengono alla scultura antica sia omaggiando l’eredità dell’‘Arte Povera’ che proprio a Torino ha avuto uno dei suoi luoghi nevralgici”.

La seconda tappa ci porta nella museale “Sala delle ceramiche”. Qui troviamo le opere, 10 vasi di grandi dimensioni, realizzate da RunoB, giovane artista, cinese di nascita (classe ’92) e veneziano d’elezione, che porta a “Palazzo Madama” i suoi vasi realizzati durante la sua recentissima residenza a Nove (Vicenza) e interamente dedicati, in “chiave pop”, alla vastissima collezione ceramica del “Museo”. Visitando la sala, RunoB è stato colpito, infatti, dai motivi decorativi delle ceramiche antiche molto spesso “a tema culinario”. Di qui la decisione di reinterpretare in chiave contemporanea, attraverso incontenibili accensioni cromatiche, il tema del cibo chiamando in causa l’iconografia dei fast-food e della sempre più diffusa abitudine del take-away. Il contrasto tra il soggetto attualissimo e le classiche forme della storica manifattura vicentina rendono l’installazione di questo pittore-ceramista quanto mai attuale e soprattutto “efficace nel rileggere la produzione maiolica da una prospettiva nuova”.

Di preciso e singolare rigore costruttivo è poi il grande “Tondo” di quasi due metri realizzato appositamente per “Crossing” e omaggio al monumentale “Lampadario” del 1928 dei Fratelli Toso, al centro della Sala dedicata ai “Vetri”, dalla milanese (classe ’66), Marta Sforni, da anni impegnata, come suo soggetto per eccellenza, sul “lampadario veneziano”. L’originalissima e personale tecnica racconta questi “giardini pensili” per sottili velature che si concentrano, lambendo a tratti i confini dell’astratto, in particolare sui dettagli – le “bossette”, in termine tecnico, e i “fiori” – di questi sontuosi manufatti antichi.

Quarta e ultima tappa di “Crossing”, la “Veranda Juvarriana” dove troviamo la grande installazione di Giuseppe Lo Cascio, giovane artista palermitano (classe ’97) “particolarmente attento ai temi della memoria”. Le sue installazioni sono veri e propri “schedari monumentali, torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche, che qui ribadiscono la ragione stessa del Museo, inteso come rifugio del sapere”.

Quattro tappe, quattro momenti di “inciampo”, in cui l’osservazione costringe a interrogativi e a salutari momenti di pausa. Per un “Crossing” nuovo e rigenerante. Per occhi e cuore.

Gianni Milani

“Crossing. Attraversare una collezione”

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino all’8 dicembre .

Orari: lun. e da merc. a dom. 10/18; mart. chiuso

Nelle foto (Ph. Giorgio Perottino): Frédérique Nalbadian “Panacee”, 2021; RunoB “Un’evoluzione di un delivery rider”, 2024; Marta Sforni “Ritornello”, 2024; Giuseppe Lo Cascio “La Memoria è la cosa migliore che ho”, 2024

Apart, fino a domenica 3 novembre: una delle fiere di antiquariato più ricche d’Italia

 

Ancora una giornata, domenica 3 novembre 2024, per visitare la rassegna Apart Fair 2024, che ha introdotto la settimana dedicata alle arti a Torino.

Giunta alla sua ottava edizione, la mostra si è dimostrata come il più importante appuntamento in Piemonte per il mondo dell’antiquariato e tra i più rilevanti a livello nazionale. Nella storica palazzina della Promotrice delle Belle Arti, quaranta galleristi hanno portato le loro opere che spaziano dell’archeologia al design contemporaneo, dall’Europa, all’Asia e all’America.

L’impegno della Associazione Piemontese Antiquari, organizzatrice della mostra, ha portato ad avvalersi per il controllo delle opere esposto dal Comitato Scientifico dalla Federazione Italiana Mercanti d’Arte, coordinato dal Presidente Fabrizio Pedrazzini. Apart Fair è una mostra, tra le poche a livello nazionale, che garantisce l’autenticità delle opere, esaminate attentamente prima dell’apertura.

 

All’interno della mostra si possono ammirare contaminazioni contemporanee, grazie alla collaborazione della galleria Lunetta 11 per l’inserimento di un grande dipinto di Ismaele Nones, che dialoga con un altrettanto grande dipinto di Georg Speyer del 1894 (Alberto Savio, Antichità, Trino Vercellese). All’interno è presente inoltre una mostra collaterale di vari manifesti cinematografici degli anni Trenta e Quaranta e dei film di Sherlock Holmes.

Tra le opere in mostra, sicuramente di interesse il ritratto della signora Martinez de Hoz, di Giovanni Boldini, databile tra il 1907 e il 1910. Altre opere di rilievo sono un busto di Giovanni Battista Trucchi delle Valdigi, realizzato da Bernardo Falconi tra il 1664 e il 1668 nella galleria Bertola di Torino, e una lampada di Emil Gallè del 1920, molto ammirata dal pubblico e presentata dalla galleria Liberty e Decò Alessandro Macrì, di Torino.

Non mancano opere che piaceranno agli amanti del Futurismo come un acquerello di Umberto Bonetti, uno studio per la copertina del Popolo d’Italia di Marcello Nizzoni e l’aeropittura su un giornale degli anni Trenta, di Michele Falanga. Per gli amanti del jukebox, nel salone centrale fanno mostra di sé anche i sei jukebox più rari al mondo, costruiti dalla Wurlitzer tra il 1939 e il 1941 (casa museo De Angelis, Torino).

La mostra è organizzata da Associazione Piemontese Antiquari APA, in collaborazione con ASCOM Confcommercio Torino e Provincia, e Federazione Italiana Mercanti d’Arte FIMA. Domenica 3 novembre la mostra sarà aperta dalle 10.30 alle 19.30.

Biglietto intero 10€ – ingresso ridotto 5€ – Tessera abbonamento musei, visitatori Artissima muniti di biglietto, abbonati annuali e plurimensili GTT.

Mara Martellotta