Anche dai dettagli architettonici emerge il fascino degli edifici di varie epoche nel centro di Torino. Le foto sono di Loredana Frisoli.
Domenica 5 febbraio, ore 15,45
Per il Capodanno Cinese una visita speciale alla scoperta delle “cineserie” della Palazzina di Caccia di Stupinigi
In occasione del Capodanno Cinese, la Fondazione Ordine Mauriziano organizza una visita speciale alla scoperta delle influenze orientali presenti all’interno del percorso di visita della Palazzina di Caccia di Stupinigi.
L’appuntamento, che è anche un augurio, “Buon anno del Coniglio!” vuole essere un’occasione per ripercorrere le influenze ed il gusto delle “cineserie” diffuso nelle residenze sabaude, con una particolare attenzione ai Gabinetti Cinesi arricchiti di tappezzerie importate dalla Cina.
Il fascino dell’Oriente conquista l’Europa a partire dal 1600 con l’arrivo nel Vecchio Continente di merci preziose quali lacche, sete, carte da parati e porcellane che vanno ad abbellire le dimore di re e principi. In Italia, i Savoia, influenzati anche loro dall’esotismo, creano ambienti che riecheggiano questi luoghi lontani. I Gabinetti Cinesi della Palazzina di Stupinigi hanno una tappezzeria di carta dipinta a tempera della seconda metà del Settecento, importata dalla Cina meridionale, che raffigura scene di vita cinese su sfondo roccioso.
INFO
Palazzina di Caccia di Stupinigi
Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)
Domenica 5 febbraio, ore 15.45
Buon anno del Coniglio!
Durata: 1 ora e 15 minuti
Costo dell’attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto.
Giorni e orario di apertura: da martedì a venerdì10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).
Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro
Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card
Info e prenotazioni: 011 6200634biglietteria.stupinigi@ordinemauriziano.it
Congo Italia. Ripensare il passato
In mostra a Palazzo Madama, gli scatti in bianco e nero realizzati in Congo, nei primi decenni del Novecento, dall’ingegnere-fotografo Carlo Sesti
Fino al 27 febbraio
Una laurea in ingegneria civile acquisita a Padova con l’idea di impegnarsi da subito nell’ambito delle costruzioni ferroviarie, un covare da tempo quel sottile irrequieto “mal d’Africa” (condiviso, a inizi Novecento, da tanti illustri e meno illustri personaggi) e una passione “ribollente” per la fotografia: c’è indubbiamente tutto questo nella decisione di Giuseppe Carlo Sesti (Modena, 1873 – Torino, 1954) di lavorare, dal 1900 al 1919, alle dipendenze della “Compagnie du chemin de fer du Congo”, dal 1902 “Compagnie du chemin de fer du Congo supérieur aux Grands Lacs africains” .
E’ lui stesso a raccontare nella biografia “Pioniere d’Africa”, scritta da Riccardo Gualino nel 1938 per i tipi di “F.lli Treves Editori”, la sua decisione di partire per il Congo: “Le ombre di Livingstone e degli altri grandi pionieri turbavano da anni i miei pensieri. Che cosa c’era laggiù in quei luoghi misteriosi? Oh, poter evadere dal nostro piccolo mondo per andare in quell’Africa sconfinata e tenebrosa, a ricercarvi emozioni impensate e ignote avventure!”. Ed è proprio da quell’Africa (prima “Stato libero del Congo” e poi, dal 1908 al 1960, “Congo belga”) esplorata – macchina fotografica, sempre, fedele compagna di strada – in vaste zone, dal Kivu al Russisi ai territori intorno al lago Albert-Edwuard, che arrivano le immagini impresse su oltre trecento lastre, di cui sedici esposte oggi in mostra (fino a lunedì 27 febbraio) al primo piano di “Palazzo Madama” a Torino. Seguendo i modelli di una certa fotografia colonialista dell’epoca , le immagini, stampate in sale d’argento in occasione della mostra, sono parte di un nucleo di 343 lastre realizzate da Sesti e conservate oggi al “Museo di Antropologia ed Etnografia” dell’“Università di Torino”, recentemente restaurate grazie al progetto “Strategia Fotografia 2020” del “Ministero della Cultura”. In esse ritroviamo frequenti stereotipi di altri fondi fotografici dello stesso periodo: paesaggi, popolazioni indigene, compagni di lavoro, i nudi di donna molto in voga fra i colonizzatori dell’epoca, così come i ritratti in divisa bianca e caschetto. L’occhio indugia sui particolari cristallizzati con rigore e curiosità, documentando una realtà non facile ma, tutto sommato, ben accetta e senza mai una palese critica (che, se possibile, non avrebbe guastato!) allo sfruttamento coloniale. La rassegna in “Palazzo Madama” si inserisce nell’ambito della seconda edizione (ispirata al tema delle “Radici”) del “Black History Month Torino”, dedicato alla storia e alla cultura afrodiscendente, promossa dall’ “Associazione Donne Africa Subsahariana e Seconda generazione”. Accanto alle foto di Carlo Sesti, nel “Museo” di piazza Castello, troviamo esposte anche alcune “figure di potere” realizzate in legno dalle popolazioni Luba e Songye, che furono acquisite da un altro ingegnere, Tiziano Veggia (1893-1957), durante il suo soggiorno in Congo e donate nel 1955 al “Museo Civico di Torino – Palazzo Madama”.
“L’interesse dell’Italia – ricordano al Museo – per l’immenso territorio congolese si manifesta a fine Ottocento, quando numerosi lavoratori italiani (medici, ingegneri, tecnici, magistrati e militari) furono impiegati dallo ‘Stato Indipendente del Congo’ di Leopoldo II del Belgio nel sistematico sfruttamento delle risorse della regione. Ai primi del Novecento una campagna internazionale denunciò le atrocità subite dalle popolazioni, inducendo il Belgio a istituire la colonia”.
Un passato troppo spesso e ingiustamente dimenticato e che oggi, nel contesto di una società profondamente multiculturale, è quanto mai necessario ripensare. A questo dovrebbero servire anche le quattro settimane di eventi, laboratori, mostre, convegni e occasioni di riflessione sulla storia africana, il colonialismo, la migrazione e la contemporaneità in diversi luoghi del territorio, organizzate fino a domenica 26 febbraio – in occasione del “Black History Month Torino” – nella “Sala Feste” e nella “Corte Medievale” di “Palazzo Madama”.
Prenotazione obbligatoria: blackhistorymonthto@gmail.com
Gianni Milani
“Congo Italia. Ripensare il passato”
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it
Fino al 27 febbraio
Orari: lun. merc. giov. ven. sab. e dom. 10/18; mart. chiusura
Nelle foto:
– “Ritratto di famiglia”, 1900 – 1919
– “Passaggio del treno”, 1900-1919
– “Maniema”, Villaggio a nord del lago Alberto Nyanza, 1904-1906
– “Sculture raffiguranti figure protettrici (Mankishi), Popolazione Songye, ante 1951. Dono Tiziano Veggia, 1955. Torino, Palazzo Madama
Negli spazi del “Centro Videoinsight” di Torino
Dal 4 novembre al 2 febbraio 2023
Il titolo in lingua inglese recita“Love Bombing. Gaslighting”. In italiano: “Bombardamento d’amore”. Espressione che potrebbe essere intesa positivamente come “cosa bella”. Come una sorta di (permettetemi l’espressione attempata) “mettete dei fiori nei vostri cannoni”. Ma, a seguire, nel titolo leggiamo anche: “Gaslighting”. Ovvero “Manipolazione Psicologica” o, come dice Rebecca Russo, “Narcisismo Patologico – Abuso Narcisistico”. Rebecca Russo è un’importante Collezionista d’Arte Contemporanea, ma è anche Psicoterapeuta e Ricercatrice Scientifica. Della mostra in oggetto è la curatrice e promotrice. Nella sua duplice veste di Collezionista e di Psicoterapeuta, scientificamente convinta com’è che l’Arte Comporanea “possa rivelarsi molto efficace per conoscere la Personalità di chi la guarda, oltre che di chi la crea, perché attiva proiezioni, pensieri e risonanze emotive soggettive”. “Le immagini dell’Arte – dice ancora – possono curare perché promuovono il cambiamento in modo profondo, provocano, toccano le parti più nascoste della personalità”. Nasce di qui l’idea di “Love Bombing. Gaslighting”, prodotta dalla “Fondazione Videoinsight” (nata nel 2013 per volontà della stessa Rebecca Russo) e ospitata, in occasione dell’ormai prossima 29° edizione di “Artissima”, fino al 2 febbraio 2023, presso il “Centro Videoinsight – Spazio per l’Arte Contemporanea” fondato a Torino nel 2010, con sede in via Bonsignore 7 e l’obiettivo di creare “interazione psicologica con l’opera d’arte contemporanea, finalizzata all’attivazione dell’‘insight’, ovvero alla presa di coscienza trasformativa ed evolutiva provocata nella personalità dalla visione del prodotto artistico”. La mostra è il risultato di una “Open Call”, lanciata nel gennaio di quest’anno, a cui hanno risposto ben 80 artisti europei. 44 le opere selezionate, fra loro in competizione per aggiudicarsi il “Videoinsight Prize 2022”. Nelle sale del Centro di via Bonsignore, troveremo quindi una ricca Collettiva all’insegna del Contemporaneo, nelle sue più varie espressioni stilistiche, concettuali e tecniche: dalla Pittura alla Scultura, all’Installazione fino alla Multimedia Art, alla VideoArte, alla Fotografia, al Disegno, al Collage e all’Arte Digitale. L’opera vincitrice sarà acquisita dalla “Collezione Videoinsight”, una raccolta di Arte Contemporanea che “segue il filo della Cura attraverso l’Arte”.
Nello specifico, la rassegna che andrà ad inaugurarsi il prossimo venerdì 4 novembre (opening dalle 19 alle 22), “è finalizzata – sottolinea la curatrice – alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema del ‘Narcisismo Patologico’ e sulla necessità di sostegno alle sue vittime”. “Le vittime di relazioni tossiche con i Narcisisti Patologici – ancora Rebecca Russo – presentano una condizione psicofisica traumatica caratterizzata da impotenza psicologica, crollo dell’autostima, ansia, depressione, sintomi psicosomatici, dipendenza affettiva. La mostra vuole focalizzare l’attenzione sul problema, risvegliare le coscienze, sollevare interrogativi, suggerire salvataggi. E questo perché l’Arte provoca, scatena un’esperienza intellettuale ed emozionale: fa pensare, fa sentire, fa cambiare”. E conclude: “Questa convinzione motiva il perché dell’elevata quantità delle opere finaliste esposte in mostra: più immagini si guardano, si introiettano, si elaborano, più si attivano pensieri, emozioni, ‘insight’, fondamentali per il cambiamento, per la cura”.
Per ulteriori info: www.rebecca.russo@fasv.it o ginevraelaluna@gmail.com
Gianni Milani
Nelle foto:
– Rebecca Russo
– Immagine-guida della mostra
– Gianluca Capozzi: “Untitled”, acrilici su lino, 2021 e opera fra le finaliste di “Videoinsight Prize 2022”
Bowie secondo Schapiro
In mostra all’“Archivio di Stato” di Torino, le foto che raccontano il “Duca Bianco” attraverso gli scatti iconici del grande Steve Schapiro
Fino al 26 febbraio 2023
Il loro fu un incontro fra due immani giganti. Ognuno nel suo campo, nella musica il primo, nella fotografia il secondo. David Robert Jones, in arte David Bowie (Brixton, 1947 – New York, 2016) e Steve Schapiro (New York, 1934 – Chicago, 2022) si incontrano per la prima volta, su richiesta del manager di Bowie, nel 1974, in un pomeriggio anonimo e in uno studio fotografico di Los Angeles. Per “The Thin White Duke” (“Il Sottile Duca Bianco”, nome ispirato al protagonista del film “The Man Who Fell to Earth” ruolo interpretato proprio da Bowie, snello biondo ed elegante) non erano tempi facili. Tutt’altro. A metà degli anni Settanta, infatti, dopo essere diventato mitica icona musicale in Inghilterra, Bowie con l’album “Diamond Dogs” e il relativo tour promozionale, si prepara ad imporsi sul mercato americano e si trasferisce a Los Angeles, dove, per sua stessa ammissione, vivrà uno dei periodi più complessi della sua vita, fra l’abuso di cocaina e l’ossessione per l’occultismo che misero seriamente a dura prova la sua salute fisica e mentale. A uscire da quel terribile tunnel furono allora il cinema, la sua musica e proprio l’incontro (trasformatosi in sincera amicizia) con Shapiro, che in quello studio fotografico di Los Angeles iniziò a confezionare – lungo un percorso durato fino alla fine degli anni Ottanta – una straordinaria galleria di immagini della star inglese, nate spontaneamente dalla mente eclettica del cantante stimolata da quella del grande fotografo – amico.
Oggi molti di quegli scatti sono raccolti nella mostra “David Bowie / Steve Shapiro. America. Sogni. Diritti” – a cura di “ONO arte”, prodotta in anteprima nazionale da “Radar”, “Extramuseum” e “Le Nozze di Figaro” – e allestita fino al 26 febbraio 2023, nelle sale espositive dell’“Archivio di Stato” di piazza Castello 209 – piazzetta Mollino, a Torino. In tutto una settantina di foto, in cui Shapiro interseca la storia biografica di uno dei più grandi miti della cultura popolare del XX secolo con le problematiche e le vicende più eclatanti della società americana dell’epoca: dall’avvento dei Kennedy passando per l’epopea pop di Andy Warhol e la sua Factory, dai movimenti per i diritti civili di Martin Luther King Jr. a personaggi dello sport come Mohammed Alì fino al cinema d’autore per il quale lavorò come fotografo di scena in pellicole memorabili come “Il Padrino”, “Taxi Driver”, “Un uomo da marciapiede” e “Apocalypse Now”.
Altra ancora di salvataggio per il Bowie degli anni americani, il cinema. E la musica, sempre. Fu in quel periodo che iniziarono le riprese di un film che lo avrebbe visto come protagonista, il primo della sua carriera. Grazie a “L’Uomo che Cadde sulla Terra” Bowie dovette, infatti, imparare a gestire sé stesso in modo da essere professionale sul set. Musicalmente parlando invece, scrisse alcuni brani che avrebbero dovuto essere inclusi nella colonna sonora del film: si trattava perlopiù di musica strumentale che non venne utilizzata per lo scopo che per il quale fu prodotta. Quei landscape sonori divennero però poco tempo dopo il tema principale di due dischi fondamentali come “Low” e “Heroes”, dischi che segnano il ritorno di Bowie in Europa e la sua rinascita come artista precursore e innovatore.
E, inoltre, prima di lasciare definitivamente Los Angeles, sotto le spoglie del suo nuovo personaggio, “The Thin White Duke”, Bowie registra il suo nono album in studio ovvero “Station to Station”. In tutte le fasi della sua avventura americana gli sarà sempre accanto, nei momenti più cruciali, Steve Schapiro, che sarà fotografo di scena di “L’Uomo che Cadde Sulla Terra” e autore degli scatti che compaiono sulla copertina sia di “Station to Station” sia di “Low”. Soggetti in cui prevale l’umanità sull’esaltazione figurale del personaggio. Concetto trasparente in mostra all’“Archivio di Stato” e assolutamente condiviso da Bowie e Shapiro che, al pari, condividevano una particolare sensibilità per quelli che erano i temi sociali dell’epoca, a cominciare dalle lotte per diritti civili degli afroamericani, delle donne e delle persone queer. Temi, del resto, da sempre sposati da Bowie, che ebbe un’intensa collaborazione con molti musicisti di colore e che non esitò a denunciare apertamente “MTV”, colpevole di non dare sufficiente spazio agli artisti di colore, proprio in un momento storico nel quale nelle strade di molte periferie americane stava nascendo l’“Hip Hop”.
Gianni Milani
“David Bowie/Steve Shapiro. America. Sogni. Diritti”
Archivio di Stato, piazza Castello 209-piazzetta Mollino, Torino; tel. 011/5624431
Fino al 26 febbraio 2023
Orari: giov. e ven. 15/19; sab. e dom. 11/20
Nelle foto:
– Bowie Blue 2, “©Steve Schapiro”
– Bowie with Keaton book, “©Steve Schapiro”
– Bowie Lazarus, “©Steve Schapiro”
– Taxi Driver – De Niro: Graffiti, “©Steve Schapiro”
Prima esposizione del 2023, dal 31 gennaio all’11 febbraio prossimi, sarà quella dedicata al paesaggista lombardo
È dedicata al paesaggista lombardo Federico Montesano la prima mostra che apre l’anno 2023 alla Galleria Malinpensa by La Telaccia, dal 31 gennaio all’11 febbraio prossimi. In una moderna e singolare rappresentazione paesaggistica l’artista trasforma il dipinto in una ricerca contemporanea dal sicuro impatto visivo, servendosi di varie tecniche quali l’acrilico e la carta su tela, la pittura digitale su fotografia d’epoca e raggiungendo risultati di notevole resa stilistica e di sicura manualità. Le tematiche da lui affrontate lo portano a descrivere la natura in un clima a metà tra realtà e sogno, conferendo alle proprie opere un profondo significato contenutistico.
Vi emergono colori, segni e forme di originale rappresentazione e di una forza vitale ricca di poetica. Lo spazio ambientale indagato da Federico Montesano trova espressione in un soggetto di straordinaria libertà interpretativa e in una profondità di immagine ricca di emozioni, che dialogano con uno sfondo molto suggestivo. La natura da lui rappresentata è animata da uno slancio vitale di luci che risultano sapientemente dosate, capaci di conferire un’intensità creativa di notevole effetto e di attento simbolismo. Il paesaggio vive all’interno dell’opera grazie a un’armonia compositiva movimentata da efficaci giochi di chiaroscuro e da ricorrenti tratti scenici, che si richiamano a simboli evocativi, a memorie e momenti unici. L’infinito azzurro del cielo e i toni caldi della terra risultano perfettamente bilanciati nelle loro campiture cromatiche, conferendo valore sia estetico sia tecnico alle sue creazioni. La luce penetra e si evolve magistralmente nelle sue opere in uno spazio-tempo senza confini,attraversando il soggetto con intensi stati d’animo. Nel percorso artistico di Montesano si coglie un’atmosfera sognante, capace di alimentarsi di energia e di continue sensazioni, in cui si fondono lo studio appassionato della tecnica e il rapporto tra segni e colore, in grado di dirigersi verso una dimensione testimone di una personalità capace di attrarre lo sguardo dell’osservatore.
Federico Montesano, appena iniziò a frequentare il liceo artistico, capì subito che il mondo delle arti visive lo avrebbe appassionato per tutta la vita. Innamorato del mondo dell’arte, è stato molto legato al suo Professore di Visiva, che lo ha introdotto non solo nell’universo del disegno e della pittura tradizionale, ma anche ai nuovi strumenti del digitale. Nato a Monza il 10 ottobre 1990, dopo aver frequentato il liceo artistico, si è laureato con lode in Scenografia e specializzato con lode in Scenografia per il teatro presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. Nel 2017 veniva ammesso al corso di Scenografia Teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala. Nel 2019 ha lavorato alla realizzazione delle scenografie dell’opera “Elisir d’amore per i bambini”, in scena al Teatro alla Scala, per la regia di Grischa Asagaroff, per le scene e costumi di Luigi Perego. Nello stesso anno ha partecipato alle realizzazioni sceniche per l’ottava edizione de “La Prima Diffusa”, la manifestazione promossa dal Comune di Milano e da Edison per riunire tutta la cittadinanza attorno alla “Prima” della Scala, che quell’anno coincideva con la messa in scena del capolavoro verdiano di “Attila”, affidato alla direzione di Riccardo Chailly, per la regia firmata da Davide Livermore.
MARA MARTELLOTTA
“A cielo aperto” a Pollenzo
Inaugurata la quarta opera scultorea a firma dell’artista nigeriana Otobong Nkanga
Pollenzo (Cuneo)
Nei giorni scorsi, la cerimonia di inaugurazione. Oggi l’opera domina, imponente, a pochi chilometri dal centro di Bra, in piazza Vittorio Emanuele II, il prato antistante l’“Università di Scienze Gastronomiche” di Pollenzo, a pochi passi dalla locale “Agenzia CRC” e dalla “Banca del Vino”. Formata da una serie di sedute in marmo, tubi in metallo e fioriere che ospitano piante aromatiche locali e stagionali (suggerite da Alberto Arossa di “Slow Food Italia”), la rocciosa scultura è un’installazione ambientale site-specific opera dell’artista nigeriana Otobong Nkanga (Kano, 1974, residente ed operante oggi ad Anversa in Belgio), dal titolo molto esplicativo “Of Grounds, Guts and Stones / Sulle terre, le trippe e le pietre”. Dietro alla realizzazione e alla collocazione ci stanno il supporto scientifico dell’“Università” di Pollenzo” (Rettore dal 2021 il professor Bartolomeo Biolatti), di “Slow Food” e la curatela di Carolyn Christov – Bakargiev, direttrice del “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”. La scultura della Nkanga – tesa ad esaltare nelle sue immagini plastiche “il valore dell’orticoltura come pratica di rigenerazione in cui la mescolanza fra piante autoctone diventa metafora di felice coabitazione fra i viventi, sia umani sia vegetali, all’insegna di un mondo più equo e sostenibile” – rappresenta il quarto e ultimo appuntamento di “A cielo aperto”, il progetto di “arte pubblica” promosso dalla “Fondazione CRC” per celebrare il suo 30° compleanno e segue le istallazioni delle opere “A Song A Part” dell’artista scozzese Susan Philipsz a Mondovì, de “Il Terzo Paradiso dei Talenti” di Michelangelo Pistoletto a Cuneo e di “The presence of absence pavilion” del danese Olafur Eliasson al “Castello di Grinzane Cavour”, susseguitesi nel corso del 2022.
“Con l’inaugurazione della quarta e ultima tappa del progetto ‘A cielo aperto’ – dichiara Ezio Raviola, presidente della ‘Fondazione CRC’ – si conclude un’iniziativa culturale unica, che ha lasciato un segno tangibile e di grande valore sul territorio provinciale, grazie al posizionamento delle opere di quattro artisti particolarmente significativi della scena internazionale”. Parole cui fanno eco quelle di Edward Mukiibi, presidente di “Slow Food”: “Le enormi sfide che caratterizzano la nostra epoca toccano ogni singola entità vivente sul Pianeta e chiamano a un’azione di collaborazione. Anche l’arte contemporanea è chiamata a fare la sua parte, mettendo a disposizione la straordinaria capacità degli artisti come Otobong Nkanga di leggere i tempi che viviamo, immaginare il futuro e trasformare pensieri e visioni in forme espressive di forte impatto. La rigenerazione di cui parla ‘Slow Food’ trova una grande spinta nell’opera degli artisti contemporanei e gli artisti camminano a fianco delle comunità di ‘Terra Madre’”.
Da segnalare, infine, in occasione dell’installazione di “Of Grounds, Guts and Stones” e, nell’ambito del progetto “Famiglie al museo”, la bella iniziativa del “Museo Civico” di Palazzo Traversa a Bra (via Craveri, 15) che, in collaborazione con l’ Associazione Culturale “ArteMidì”, propone i laboratori“Trame e legami: fili che uniscono”, dedicati ai bambini dai 6 ai 12 anni, sabato 28 e domenica 29 gennaio, dalle 15 alle 18, e a quelli dai 10 ai 14 anni, solo domenica 29 gennaio dalle 10 alle 12,30.
Per info e prenotazioni: tel. 0172/423880 o traversa@comune.bra.cn.it
g.m.
Nelle foto (credits Lavezzo studios):
– Otobong Nkanga
– Otobong Nkanga: “Of Grounds, Guts and Stones”, 2022-2023
Con il lancio del bando per Living Rooms / Stanze viventi, in programma sabato 28 gennaio alle 11 in corso Giovanni Lanza 75 a Torino.
Dalla fiera d’arte Flashback Art Fair dello scorso novembre – definita da Artribune Migliore Fiera Italiana 2022 – ai primi progetti artistici site specific di fine anno, all’attuale lancio del bando pubblico per artiste e artisti che vivono e/o lavorano in Piemonte, Flashback Habitat in pochi mesi cerca di fare entrare l’arte nella quotidianità e di ridare vita a quanto è stato ignorato, trascurato, opere, luoghi o persone.
“Quello che è stato fatto finora in corso Lanza 75 è solo l’inizio di quanto può succedere qui” afferma Alessandro Bulgini direttore artistico di Flashbak Habitat, Ecosistema per le Culture Contemporanee. “Ora la sfida è così ambiziosa che va alimentata con una combinazione di ulteriori risorse e l’inizio di questa avventura, anche in connessione col nome Habitat, sta nel creare un dono, un ambiente favorevole, che sia un esempio fruibile da tutti.” Il bando si propone di riattivare 3.000 mq e 70 stanze che pertengono alla Palazzina A dell’ex Ipi (Istituto Provinciale per l’Infanzia, brefotrofio cittadino fino agli anni ’80) in corso Giovanni Lanza 75. Stanze abbandonate dal 2013 che torneranno a nuova vita grazie all’arte. Le stanze accoglieranno i progetti delle artiste e degli artisti selezionati dal bando pubblico e, una volta che avranno preso forma le opere durante il periodo di residenza artistica, ^saranno vissute da associazioni, artisti, musicisti, fotografi. Per partecipare al bando c’è tempo fino al 28 febbraio per presentare i progetti di opere site-specific inviandoli alla mail: specialprojects@flashback.to.it. Delle proposte che parteciperanno ne saranno selezionate 14 che verranno realizzate da marzo a novembre 2023.. I locali sono sempre visitabili tramite appuntamento tramite il sito.
Diasporas Now: Rieko Whitfield + Micaela Tobin (White Boy Scream) e Chinabot: Jpn Kasai & Neo Geodesia
Martedì 24 e mercoledì 25 gennaio 2023 ore 18.30
MAO Museo d’Arte Orientale, Torino
Il 24 e 25 gennaio il MAO Museo d’Arte Orientale ospita un doppio appuntamentonell’ambito del public program della mostraBuddha10.
Martedì 24 gennaioore 18.30 saranno ospiti del museo Reiko Whitfield e Miacaela Tobin per una conversazione e narrazioni alternative su identità migranti, background intersezionali, decolonizzazione, self-empowerment, cura e supporto reciproco.
Il termine diaspora è usato in relazione all’arte per parlare di artisti emigrati di prima o successive generazioni, che riprendono e utilizzano le proprie diverse esperienze culturali e identitarie, spesso creando nelle loro opere narrazioni alternative in contrasto a idee e strutture consolidate.
Mai prima d’ora è stato così importante per gli artisti raccontare le loro storie alle proprie condizioni, quindi mettiamoci in ascolto!
In questo pomeriggio molto speciale Rieko Whitfield, artista, scrittrice e musicista giapponese-americana di base a Londra, una delle fondatrici di Diasporas Now, piattaforma di solidarietà diasporica che si occupa di discorsi contemporanei sulle identità migranti, e Micaela Tobin, soprano e sound artist, filippina-americana di prima generazione di base a Los Angeles, presenteranno due dei loro più recenti lavori: due film/opere musicali che partono da mitologie speculative per togliere centralità alle traiettorie storiche del colonialismo eurocentrico.
In parte rituale sonoro, in parte narrazione diasporica, “BAKUNAWA: Opera of the Seven Moons” di Micaela Tobin è un’opera sperimentale e coinvolgente basata sull’omonimo album acclamato dalla critica di Tobin, che rivendica la mitologia pre-coloniale delle Filippine dopo secoli di violenta cancellazione culturale. Raccontando la storia di Bakunawa, un drago simile a un serpente della mitologia filippina, Tobin porta la sua voce al di fuori delle mura imperialistiche del teatro dell’opera e sulla Costa della California di fronte all’Oceano Pacifico – creando un ponte sonoro verso le isole delle Filippine in un atto di guarigione.
“Regenesis: An Opera Tentacular” di Rieko Whitman è una storia sui cicli della vita, sulla morte, sull’importanza della comunità ambientata in un mondo post apocalittico e narrata in modo non lineare tramite l’impersonificazione di avatar soprannaturali. La narrazione in tre atti è ispirata a Izanami, dea shintoista della creazione e della distruzione, che brucia fino a morire per dare vita al mondo. “Regenesis” mette in scena una mitologia speculativa evocando esseri soprannaturali che guariscano il corpo sofferente della terra, attraverso l’utilizzo di metodi di collective care e creando al contempo prototipi alternativi di futuri sostenibili.
Lo screening delle due opere musicali sarà seguito da una talk su temi diasporici in cui interverranno le due artiste, moderato da Ilaria Benini, editor della collana Asia di Add editore, ed esploratrice della scena culturale asiatica contemporanea.
Mercoledì 25 gennaio alle ore 18.30 il MAO ospita invece una serata con Chinabot, collettivo che vuole cambiare la discussione sulla musica asiatica. Canti Khmer, samples di karaoke, musica popolare giapponese, juke e batteria metal.
Sin dal suo lancio l’etichetta-collettivo londinese Chinabot ha ampliato e demistificato la percezione pubblica delle scene musicali sperimentali asiatiche pubblicando opere bizzarre, imprevedibili e innovative di artisti provenienti da varie regioni dell’Asia. Ogni uscita è stilisticamente varia e significativamente concettualizzata attraverso riferimenti culturali locali, esperienze di ascolto immersive che sono più adatte per il teatro d’avanguardia che per i club.
L’etichetta lavora per dare spazio alle varie unicità del continente asiatico a livello di culture, tradizioni e generi (sia musicali che identitari) e per dare spazio agli artisti provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’Asia. Ciò include come parte del suo modus operandi uno sforzo per l’ampliamento della conoscenza del continente che vada al di là delle scene giapponesi e cinesi, che ormai da tempo rappresentano la produzione creativa dell’Asia sulla scena mondiale, e la rappresentazione di temi di attualità e politica asiatica. Gran parte della produzione di Chinabot è infatti tematica, incentrata su governi, geopolitica e ambiente nel tentativo di stimolare la discussione e far luce su questioni sottorappresentate con artisti le cui opere abbracciano argomenti come disordini nazionali, decolonizzazione, femminismo, fluidità di genere e futurismo cyborg.
Per questa serata speciale il MAO ospita unaselezione di videoclip di artisti Chinabot e una talk con Saphy Vong, fondatore dell’etichetta, eGiulia Mengozzi, assistente curatrice presso il PAV Parco Arte Vivente, parte di ALMARE, collettivo dedicato alle pratiche contemporanee che usano il suono come mezzo espressivo, e di AWI – Art Workers Italia.
A seguire il concerto in streaming da Kyoto di JPN Kasai, che abbina musica popolare giapponese Ondo e Minyo a juke e footwork minimali, ed un live dello stesso Vong che mixa samples di canti Khmer, karaoke e batteria metal sotto lo pseudonimo di Neo Geodesia.
*Entrambi gli incontri si svolgeranno in inglese
Info e prenotazioni:eventiMAO@fondazionetorinomusei.it
Costo per i due eventi: 15 € intero | 10 € ridotto studenti