Giovedì 14 dicembre 2023, ore 18.30, Gymasium di CAMERA
(Via delle Rosine 18 – Torino)
A CAMERA – Centro Italiano per la fotografia di Torino continua il ciclo de I Giovedì in CAMERA con un appuntamento dedicato alla fotografia contemporanea e ai legami con il territorio, due aspetti che la Fondazione cura e sviluppa attraverso mostre nella sua Project Room, incontri e attività educative. Giovedì 14 novembre, alle ore 18.30 nel Gymnasium di CAMERA, si svolgerà l’incontro con il collettivo artistico Vaste Programme composto da Leonardo Magrelli (1989) – attualmente in mostra, insieme ad altri tre giovani artisti, nella Project Room di CAMERA nella collettiva Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari – e Giulia Vigna (1992).
L’incontro sarà l’occasione per conoscere il nuovo progetto di Vaste Programme dal titolo Come si fa la marmellata, a cura di ARTECO (Beatrice Zanelli) e JEST (Francesca Cirilli), che è anche una mostra attualmente visitabile presso la Pinacoteca G.A. Levis di Chiomonte in provincia di Torino.
Durante i primi mesi del 2023, il collettivo è stato invitato per una residenza di ricerca e produzione artistica al fine di realizzare un progetto inedito, in dialogo con i luoghi e il patrimonio storico-artistico conservato alla Pinacoteca G.A. Levis. Presenza e memoria, tempo e disfacimento, ribaltamenti di senso e di approccio sono i temi principali della ricerca che Vaste Programme ha sviluppato a partire dagli spazi abbandonati delle due dimore del pittore piemontese a Chiomonte e Racconigi.
Una riflessione metaforica, visiva e narrativa, sullo scorrere del tempo, che tutto consuma e altera – commentano le curatrici Beatrice Zanelli e Francesca Cirilli. Con Come si fa la marmellata i Vaste Programme invitano, con la leggerezza e la profondità che gli sono proprie, a ribaltare il nostro approccio al mondo e al tempo o, almeno, a provarci. Senza negare l’evidenza, cercano soluzioni creative e ludiche per affrontare lo scorrere del tempo e condizioni ecologiche, sociali e culturali sempre più complicate e avverse. Se il tempo e i rovi infestano e invadono le case, si possono almeno raccogliere le more per fare la marmellata…
Nel progetto si intrecciano immagini delle abitazioni di Giuseppe Augusto Levis in stato di abbandono – in parte realizzate con la tecnica di stampa sperimentale dell’antotipia che sfrutta la fotosensibilità di alcuni vegetali, in questo caso le more stesse – e un racconto in cui emergono storie personali e universali tratte da interviste agli ospiti di due Residenze Sanitarie Assistenziali, Casa Amica di Chiomonte e Residenza Angelo Spada di Racconigi. Proprio sulle tracce della vegetazione che inarrestabile riconquista i suoi spazi, il collettivo ha basato il suo progetto, andando a cercare le voci che avrebbero potuto rispondere, attraverso la loro esperienza di vita, alla semplice domanda: come si fa la marmellata?
Il progetto è risultato vincitore dell’avviso pubblico “Strategia Fotografia 2022” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e si inserisce in un programma di residenze d’artista sviluppato dalla Pinacoteca G.A. Levis di Chiomonte. L’obiettivo è ospitare artiste e artisti contemporanei, coinvolgendoli nella rilettura delle opere del paesaggista Giuseppe Augusto Levis – attivo durante i primi vent’anni del Novecento – e in un confronto con il territorio della Val di Susa, la sua natura, le sue tradizioni e le sue comunità, al fine di incrementare le collezioni civiche con un nucleo di opere d’arte contemporanea.
La mostra è accompagnata dalla pubblicazione How to Make Jam edita dalla casa editrice fotografica Witty Books.
Intervengono:
Leonardo Magrelli e Giulia Vigna – Vaste Programme
Beatrice Zanelli – curatrice, ARTECO e Pinacoteca G.A. Levis
Francesca Cirilli – fotografa e curatrice, JEST
Giangavino Pazzola – curatore, responsabile progetti di ricerca a CAMERA
È consigliato prenotare per l’incontro sul sito di CAMERA.
Il biglietto d’ingresso per l’incontro ha un costo di 3 Euro










Un incidente miracolosamente evitato. Da lì, l’inizio di una carriera artistica da “mille e una notte”. 1925: una graziosa studentessa dell’“Art Students League” di New York, cammina tranquillamente per le strade di Manhattan quando d’improvviso un’auto rischia di investirla. Per lei avrebbero potuto esserci gravi conseguenze, se un passante non fosse riuscito a trattenerla per un braccio evitandole seri guai. Incontro salvifico. Il destino aveva in mente ben altre cose per il futuro di quella giovane. Il suo nome: Elizabeth “Lee” Miller, nata nel 1907 a Poughkeepsie, nello Stato di New York, elegante e bella da togliere il fiato. Lui, il provvidenziale “angelo custode”: nientemeno che Condé Nest, editore di “Vanity Fair” e di “Vogue”, che, folgorato da “cotanta beltade”, le propone un contratto da fotomodella, dedicandole pochi anni dopo una copertina su “Vogue”. Lee diventa in breve una delle modelle più richieste dalle riviste di moda, ritratta da fotografi di gran calibro. Fra tutti e tanti: Man Ray, di cui fu, non solo modella, ma altresì musa ispiratrice ed amante. E forse proprio la frequentazione con il leggendario artista e padre della “fotografia surrealista” instillò in lei il desiderio di cambiar mestiere e “postazione”. Di stare cioè non più davanti, ma dietro l’obiettivo fotografico. Nel 1929 si trasferisce a Parigi, collabora con Ray e, insieme, sviluppano la tecnica della “solarizzazione”, così chiamata dai “dagherrotipisti”. Sue le parole di allora: “Preferisco fare una foto che essere una foto”. E fino agli anni ’50 (quando, dopo il secondo matrimonio con il pittore surrealista Roland Penrose e una vita accolta in tutte le sue estreme – e anche dolorose – sfaccettature, diventò soprattutto “Lady Penrose”, preferendo alla macchina fotografica, l’arte della cucina, anch’essa, estrosa e impeccabile) Lee Miller fu fotografa di “sguardo surrealista” di eccelsa bravura, eclettica senza limiti, tanto da diventare pur anche impavida corrispondente di guerra. A raccontarlo sono oggi i cento scatti (“Lee Miller. Photographer & Surrealist”), provenienti dall’“Archivio Lee Miller” presentati, fino al 7 gennaio del 2024, nelle antiche Cucine della “Palazzina di Caccia” di Stupinigi, in una lodevolissima mostra – a cura di “ONO Arte Contemporanea”, produzione “Next Exhibition” in collaborazione
con l’“Associazione Culturale Dreams” – che ripercorre, sotto la curatela di Vittoria Mainoldi, la vicenda umana e professionale dell’artista americana, scomparsa a Chiddingly nel 1977, ponendo l’attenzione su immagini che travalicano il reale, “caratterizzate dall’uso di metafore, antitesi e paradossi visivi volti a rivelare la bellezza inconsueta della quotidianità”. Ricco e ben studiato il percorso espositivo. In parete si galoppa dalle prime “sperimentazioni” in studio a Parigi, al mondo della “moda” e della “pubblicità” con lavori realizzati nello studio di New York, fino alle poetiche “nature morte” e ai “paesaggi” (mirabile “Portrait of Space”) testimonianza del suo trasferimento al Cairo, dopo il matrimonio (1932) con l’uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey. Assolutamente suggestivi e intriganti anche gli scatti dedicati agli artisti più famosi dell’epoca: da Charlie Chaplin, che posa con un candelabro in testa, a Picasso, a Ernst o alla superlativa Dora Maar, fino a Mirò a Magritte, al “ragazzo terribile” Cocteau e, ovviamente, a Man Ray. Poco prima dello scoppio della “Seconda Guerra Mondiale”, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra e, ignorando gli ordini dell’ambasciata americana di tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per “Vogue”. Nel 1944 diventa corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman (da lei fotografato con in viso la maschera antigas) per le riviste “Life” e “Time”. E’ lei
l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il “D-Day” e a documentare le attività al fronte e durante la Liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano anche gli orrori dei campi di concentramento di “Dachau” e “Buchenwald”. Ed é proprio nei giorni febbrili del dopo conflitto (1945), quando viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera, che l’inarrestabile Miller scatta quella che diventa la sua fotografia più celebre, presente in mostra: l’“Autoritratto nella vasca da bagno del Führer”: Lee al centro, a sinistra sul bordo della vasca una fotografia di Hitler, a destra una statuetta di “Venere al bagno”, davanti sul tappetino bianco i suoi scarponi sporchi di fango, su uno sgabello la sua uniforme e l’orologio. Immagine iconica. Violenta e triste. Nonostante l’eccentrica bizzarria. “Per lavare via – scrisse Lee – la polvere di Dachau”.


