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Sold out per la Giornata del Contemporaneo alla Gam

La Giornata del Contemporaneo è il grande evento annuale, promosso daAMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani. La manifestazione ha quest’anno come filo conduttore il tema dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile.

Anche la diciannovesima edizione presenta una programmazione ad hoc dei 24 Musei associati AMACI, che nel 2023 propongono un particolare focussviluppando il tema proposto da AMACI.

La GAM di Torino, Museo associato AMACI, partecipa alla Giornata del Contemporaneo offrendo l’ingresso gratuito per tutta la giornata di sabato 7 ottobre alle collezioni permanenti del Novecento e alle mostre temporaneeMichele Tocca. Repoussoir in Wunderkammer e Giuseppe Gabellone. Km. 2,6 in Videoteca.

Per questa occasione la GAM è felice di ospitare Michele Tocca – presente in GAM con la sua mostra personale, progetto vincitore del PAC 2021 – che condurrà un workshop dal titolo Un giorno con le nuvole.

 

UN GIORNO CON LE NUVOLE

Durata dalle 14:00 alle 17:00

Partecipazione gratuita su prenotazione

SOLD OUT

In un giorno di ottobre, un gruppo di visitatori del museo si incontra con un pittore che vuole indurli a guardare le nuvole, partendo dai nomi, cirri, cumoli e stratocumoli… e da chi li ha inventati per primo, il chimico e meteorologo romantico Luke Howard. 

I partecipanti al workshop saranno condotti, attraverso una serie di interrogativi e utilizzando il loro istinto, a osservare questo fenomeno fisico che è insieme meraviglioso e spaventoso, a tratti noioso, solo apparentemente malinconico. Dipingere le nuvole, disegnarle, schizzarle sono tutti gesti attraverso cui i partecipanti, guidati dall’artista Michele Tocca, tenteranno di ascoltare la natura complessa, precaria e insieme ripetitiva del fenomeno atmosferico, dandogli nuova voce nel momento in cui diventano pittura.

Al Mao Trad u/i zioni d’Eurasia: Frontiere liquide e mondi in connessione

Duemila anni di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia Orientale

A cura di Nicoletta Fazio, Veronica Prestini, Elisabetta Raffo e Laura Vigo

5 ottobre 2023 – 1 settembre 2024

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

Terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione, la mostra Trad u/i zionid’Eurasia si inserisce all’interno di una progettualità di ricerca composita che prende avvio al MAO dal 2023 al 2024, volta ad analizzare le traiettorie artistiche e le dinamiche culturali che hanno caratterizzato per secoli gli scambi tra Asia e continente europeo.

Trad u/i zioni d’Eurasia mette in luce il ruolo cruciale dell’Asia e del Mediterraneo quale fulcro di traduzione culturale e luogo di connessione, negoziazione e costante riproposizione.

La mostra Trad u/i zioni d’Eurasia esplora i concetti di traduzione, trasposizione e interpretazione culturale snodandosi attraverso una selezione di oggetti provenienti dall’Asia occidentale, centrale e orientale che permettono di interrogarsi su fenomeni quali lacircolazione materiale e immateriale, le modalità di trasformazione del significato e lafruizione avvenute tra Asia ed Europa nel corso di duemila anni di storia.

Indagando la migrazione di idee, forme, tecniche e simboli, in un dialogo aperto e inclusivo la mostra mira a evidenziare la reciprocità osmotica tra continenti e mari, per creare nuove narrazioni della cultura visiva e materiale che siano puntuali e relative piuttosto che universalizzanti e generiche.

L’approccio scientifico riflette anche la percezione sensoriale della materialità: sul modo in cui questi oggetti sono stati visti, percepiti e desiderati per la loro allure visiva e peculiarità cromatica – a partire dall’oro e dal blu – o per il fascino delle loro superficie, dato dalle qualità riflettenti, splendenti o trasparenti.

Lungi dal voler raggiungere l’esaustività, la mostra presenta una selezione di manufatti che offrono alternative al paradigma eurocentrico dell’eccellenza artistica, riaffermando il ruolo cruciale svolto dall’Asia centrale nella creazione e nella trasmissione di idee su scala globale. Vitale per questo fenomeno di contaminazione reciproca è il mar Mediterraneo, inteso come spazio intermedio, creatore di confini ma anche fenomenale catalizzatore di esplorazioni e contatti: una frontiera liquida dove i continenti convergono, le espressioni artistiche e i fenomeni culturali sono costantemente reinventati.

La mostra sarà suddivisa in aree tematiche con una particolare attenzione al colore – blu, rosso e oro – e alla materia – ceramica, tessuti, metalli, carta e pigmenti coloranti.

Lungo il percorso espositivo, i visitatori potranno ammirare tra l’altro splendide sete provenienti dall’antica regione della Sogdiana, in Asia Centrale, snodo di numerose vie carovaniere,ceramiche bianche e blu prodotte tra il Golfo Persico e la Cina, una raffinata selezione di“panni tartarici”, preziose stoffe d’oro e di seta del XIII secolo prodotte tra Iran e Cina durante la dominazione mongola, ammirate dall’aristocrazia medievale e dall’alto clero d’Europa, rari esemplari di tiraz (Egitto, X secolo), tessuti con iscrizioni ricamate che evidenziano l’importanza della calligrafia in ambito islamico, e una serie di bruciaprofumi zoomorfi in metallo (Iran, IX-XIII secolo), a ribadire la centralità delle essenze nelle società islamiche medievali.

Il progetto si avvale di numerosi prestiti provenienti da importanti collezioni e istituzioni italiane, che sottolineano e valorizzano la presenza sul territorio nazionale di una storia multiculturale condivisa: accanto a oggetti dell’Asia Centrale della collezione del MAO troveranno spazio tessuti, ceramiche e miniature raramente esposti della Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica, metallistica khorasanica della Aron Collection e importanti prestiti dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, dalla Chiesa di San Domenico di Perugia, dal Museo delle Civiltà di Roma, dalla Galleria Sabauda – Musei Reali e da Palazzo Madama di Torino.

Intesa come piattaforma organica di studio e ricerca, la mostra si trasformerà gradualmente nel corso dell’anno attraverso la rotazione di diverse opere e l’introduzione di nuove tematiche e stimoli percettivi, con nuove commissioni e installazioni di artisti contemporanei; sarà inoltre arricchita da una serie di conferenze e da un public program musicale e performativo.

In aggiunta, indispensabile per la comprensione delle diverse sezioni della mostra, sarà pubblicato un booklet di approfondimento distribuito gratuitamente, secondo la formula ormai consolidata del MAO e fortemente apprezzata dal pubblico, con testi a cura del team curatoriale e contributi esterni di Yuka Kadoi, Maria Ludovica Rosati e Mohammad Salemy.

Come già accaduto per i precedenti progetti espositivi del MAO, anche la mostra Trad u/i zionid’Eurasia propone un dialogo tra opere antiche e contemporanee.

L’artista internazionale Yto Barrada (franco-marocchina, nata nel 1971 a Parigi) collaborerà per “sovvertire” ulteriormente la museografia tradizionale, collegando la sua pratica all’attività museologica. La sua installazione site-specific si svilupperà gradualmente nel corso di un anno di esposizione, offrendo nuove potenziali riflessioni sul colore e sulla materialità delle opere esposte a partire dal libro di Emily Noyes Vanderpoel (1842-1939) Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color, pubblicato all’inizio del XX secolo, che analizza la proporzione di colore derivata da oggetti come piastrelle assire, tappeti persiani, la cassa di una mummia egizia e persino una tazza da tè e un piattino.

Il progetto di Yto Barrada è realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, dove l’artista realizzerà una mostra personale nell’autunno 2024. Yto Barrada è la vincitrice della quarta edizione del Mario Merz Prize, premio biennale istituito nel 2013 con l’intenzione di individuare e sostenere personalità nel campo dell’arte e della musica contemporanea in ambito internazionale.

All’interno della mostra troveranno spazio anche le opere MOSADEGH (2023) dell’artista iraniana Shadi Harouni, che utilizza la parola scritta per connettere la storia del suo Paese con l’esperienza universale legata alla perdita, alla repressione, alla guarigione e all’audacia, e l’installazione immersiva Shimmering Mirage (Black), 2018 di Anila Quayyum Agha.

Chiude il percorso una sezione editoriale a cura di Reading Room, spazio milanese dedicato alla diffusione e comprensione delle riviste contemporanee, con una selezione di pubblicazioni, zines e libri d’artista che propongono un approfondimento su alcune delle tematiche affrontate in mostra quali la trasparenza, il colore, l’artigianalità.

 

 

Grazie alla convenzione con L’Istituto dei Sordi di Torino, i contenuti della mostra saranno disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana e in versione audio.

Trad u/i zioni d’Eurasia è il terzo esito del ciclo espositivo Frontiere liquide e mondi in connessione che apre la Galleria dei Paesi islamici e la collezione permanente del Museo a ulteriori direzioni interpretative attraverso altre collezioni e contaminazioni curatoriali, sia locali sia internazionali. A partire dal 2023 sono state presentate le seguenti mostre: Lustro e Lusso dalla Spagna Islamica, a cura di Filiz Çakır Phillip e in collaborazione con la Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica – dal 19 gennaio al 4 giugno – e Metalli Sovrani. La festa, la caccia e il firmamento nell’Islam medievale, a cura di Veronica Prestini e in collaborazione con The Aron Collection – dal 14 giugno fino al 12 novembre 2023.

MAO Museo d’Arte Orientale

Via San Domenico, 11, Torino

ORARI

martedì – domenica: 10 – 18. Lunedì chiuso.

La biglietteria chiude un’ora prima. Ultimo ingresso ore 17.

TARIFFE

Intero 11€ – ridotto 8€.

Così il Caval ‘d brons rimase senza fontane

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il re, dopo aver scartato un primo progetto nel quale Emanuele Filiberto a cavallo scavalca una palizzata, approvò, invece, un bozzetto di un ritratto equestre del Duca poggiante su un basamento, arricchito da quattro figure allegoriche sotto le quali trovavano posto quattro grandi vasche per altrettante fontane

 

Situata al centro della piazza, la statua in bronzo (detta Caval ‘ d brons) raffigura il Duca Emanuele Filiberto a cavallo, nell’atto di rinfoderare la spada dopo la battaglia di San Quintino (1557). Il basamento in granito è ornato su ogni lato dallo stemma sabaudo con la corona ducale e da due bassorilievi in bronzo che rappresentano il Duca mentre fa prigioniero il Montmorency, Gran Connestabile di Francia, e mentre legge i preliminari di pace per il trattato di Cateau-Cambrésis. L’annuncio ufficiale della realizzazione del monumento dedicato a Emanuele Filiberto di Savoia fu dato il 17 dicembre 1831 dalla Gazzetta PiemonteseL’opera venne commissionata da Carlo Alberto all’artista Carlo Marocchetti (stesso autore del monumento dedicato a Carlo Alberto), torinese di nascita ma formatosi in Francia dove risiedeva abitualmente. Il re, dopo aver scartato un primo progetto nel quale Emanuele Filiberto a cavallo scavalca una palizzata, approvò, invece, un bozzetto di un ritratto equestre del Duca poggiante su un basamento, arricchito da quattro figure allegoriche sotto le quali trovavano posto quattro grandi vasche per altrettante fontane. Prima di dare esecuzione al progetto lo scultore Carlo Marocchetti decise di erigere “un non intiero simulacro del monumento al centro della magnifica piazza”; una curiosa prova generale a cui assistette con grande soddisfazione anche “Sua Maestà con un corteggio di autorità”. Ma, pochi mesi dopo la simulazione in piazza, cominciò a circolare a Torino un opuscolo con “Osservazioni relative al Gran monumento” che condannò quasi per intero l’opera. La critica sortì il suo effetto e così un decreto del 24 settembre 1833, stabilì i fondi di L. 210.000 per una “statua equestre in bronzo, collocata sopra un piedistallo circondato da quattro statue allegoriche, il tutto in marmo”; scomparirono definitivamente le fontane. Nonostante le modifiche all’impianto monumentale le polemiche non si placarono, in particolare il critico francese Jean-Paul Ducros rimproverava che le quattro statue agli angoli del basamento apparivano “troppo simmetriche per essere considerate ornamenti architettonici”. 

Dopo innumerevoli contrasti tra Ducros e Marocchetti, la questione si concluse con l’approvazione, da parte dell’Accademia delle Belle Arti, del disegno originariamente concepito dallo scultore. Finalmente, dopo essere stato esposto per due mesi e con grande successo nel cortile del Louvre, il 4 novembre 1838 il monumento venne solennemente inaugurato. Carlo Alberto fu pienamente soddisfatto del monumento ed il Marocchetti ebbe il titolo di barone con in dono un gioiello di gran valore mentre, il fonditore Soyer, ricevette una medaglia d’oro con l’effigie del re. Un’opera, questa, considerata oltre che il capolavoro del Marocchetti, anche uno dei più significativi esempi di politica culturale di Carlo Alberto che, per celebrare l’avvento del suo regno, decise di erigere il primo monumento pubblico all’aperto dedicandolo al Duca Emanuele Filiberto. Dopo due rimozioni, nel 1943 per proteggerlo dai bombardamenti e nel 1979 per restaurarlo, nel 2006 sono inziati i lavori per un accurato restauro e nell’ottobre 2007, tolto il drappo rosso che lo copriva, i cittadini, che attendevano numerosi in piazza San Carlo, hanno potuto finalmente rivederlo. Il monumento, identificato con l’affettuoso nomignolo di “Caval ‘ d brons”, è ormai riconosciuto come uno dei simboli della città di Torino. Ma per poter conoscere il monumento equestre nella sua totalità bisogna anche tenere conto e “spendere qualche parola” per la magnifica piazza che lo ospita. Come ricordato prima, l’opera di Marocchetti a Emanuele Filiberto di Savoia, sorge nel mezzo della centralissima piazza San Carlo, uno spazio progettato da Carlo Castellamonte nel 1637 su un sito occupato prima dall’anfiteatro romano, poi da un tratto delle mura e della spianata della città cinquecentesca. La realizzazione si concluse nel 1650 e divenne il punto nodale del primo ampliamento meridionale della città seicentesca; divenne anche sede di spettacoli grandiosi, manifestazioni ufficiali e parate e la sua prima denominazione fu Place Royale. La realizzazione della piazza, impostata sull’asse della Contrada Nuova (oggi via Roma), rese necessaria prima la demolizione delle vecchie strutture fortificate, ed in seguito la delimitazione del contorno da un sistema di palazzi barocchi porticati, caratterizzati da eleganti facciate unitarie e continue.Per chiudere il lato meridionale vennero progettati i due lotti gemelli, donati, poi in seguito, ad ordini religiosi di stretta protezione ducale: gli Agostiniani Scalzi che fondarono la chiesa e il convento di S. Carlo Borromeo e le Carmelitane Scalze che costruirono la chiesa e il convento di Santa Cristina. Nel corso del tempo, a causa dei progressivi frazionamenti delle proprietà e dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, gli edifici originari sono in gran parte andati distrutti e sono stati ricostruiti nel dopoguerra.Fino al 2004, la piazza è stata percorribile dal traffico veicolare e occupata in prevalenza dalle auto in sosta. Con gli interventi di riqualificazione dell’area centrale storica, è stato restituito a piazza San Carlo il suo ruolo da protagonista nello straordinario scenario della Torino Barocca. Il progetto di riqualificazione ha riportato la piazza al suo originario uso esclusivamente pedonale, mantenendo nella pavimentazione il disegno e i materiali esistenti in precedenza. Sperando che questo “tuffo nel passato per conoscere il presente” sia stato di vostro gradimento, Il Torinese vi da appuntamento alla prossima settimana alla scoperta di un’altra meraviglia di Torino.

Simona Pili Stella

(Foto: il Torinese)

Mirò approda al Mastio della Cittadella. A cura di Achille Bonito Oliva

Una mostra dal titolo “Omaggio a Mirò”, per la curatela di Achille Bonito Oliva

 

Mirò approda a Torino in una mostra straordinaria che aprirà i battenti il 28 ottobre prossimo al Mastio della Cittadella, in corso Galileo Ferraris 0. La curatela è affidata al critico d’arte Achille Bonito Oliva, fra i maggiori e stimati critici d’arte, in collaborazione con Maitre Vallès Bled, già direttrice di musei francesi, e Vincenzo Sanfo, esperto d’arte e organizzatore di grandi mostre internazionali.

L’esposizione racchiude circa cento opere dell’artista tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, completato il tutto da una serie di video inediti e fotografie che raccontano il privato e il pubblico del grande maestro del Surrealismo europeo.

L’importante nucleo di opere copre un periodo di sei decenni della carriera di Joan Mirò, a partire dal 1924 fino al 1981, concentrandosi soprattutto sul processo di trasformazione dei linguaggi pittorici che l’artista catalano ha iniziato a sviluppare nella prima metà degli anni Venti.

In occasione della guerra civile spagnola molti intellettuali e artisti tra cui Ernest Hemingway, Pablo Neruda, George Orwell, Pablo Picasso e Joan Mirò scesero in campo per difendere la Repubblica e denunciare le atrocità del regime fascista. L’apice dell’orrore fu segnato dal bombardamento aereo che rase al suolo la città di Guernica, il 26 aprile 1937, città simbolo della resistenza basca all’oppressione fascista.

Il 25 maggio dello stesso anno prese il via a Parigi l’Esposizione Universale che vide la partecipazione anche dei Regimi Totalitari. La Spagna partecipò all’Expo affidando il proprio padiglione alle mani di due grandi artisti, Picasso e Mirò.

Il primo realizzò una delle opere più significative del ventesimo secolo, ‘Guernica’, vero e proprio atto di denuncia della brutalità di ogni conflitto armato.

L’opera di Mirò fu chiamata ‘El Segador’, (il contadino catalano in rivolta); Mirò realizzò un murale di enormi dimensioni, circa cinque metri per quattro, costituito da sei pannelli di masonite. La pittura fu eseguita in maniera diretta e brutale, preceduta da leggeri schizzi preliminari.

Rappresenta un mietitore saldamente radicato nel terreno, che indossa il tradizionale capo catalano e le cui radici più profonde appartengono alla terra. Una sua mano è rivolta verso il cielo, nell’altra brandisce una falce.

Il lavoro rurale, gli strumenti agricoli, il legame con la terra natia e il contatto con la natura sono alcuni degli elementi tipici della poetica di Mirò, che ha anche risieduto in campagna, a Mont rog del Camp per superare i postumi di un esaurimento nervoso.

L’opera di Mirò ha un contatto con il mondo dell’infanzia. Mirò è un innocente venuto a contatto con l’orrore che dipinge. Le opere degli anni Trenta, caratterizzati dalla guerra civile spagnola e dal successivo conflitto mondiale, sono popolate di creature mostruose che gesticolano nel vuoto.

La mostruosità si rivela anche nel tipo di materiale scelto, attraverso una sperimentazione aggressiva dei materiali, al fine di violentare i metodi convenzionali della pittura.

La violenza che Mirò infligge alla figurazione è presente anche nelle opere realizzate negli anni Settanta, in cui taglia, colora e brucia le cinque tele esposte nella grande retrospettiva allestita al Gran Palais di Parigi nel 1974. In Mirò notiamo un notevole controllo della griglia compositiva e di quel gesto che sbroglia le matasse di filo, riesce a piegare il fil di ferro e modula sul supporto il flusso del colore.

“Joan Mirò – affermò il poeta Jacques Prevert – è un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”. E in tale giardino potremo passeggiare anche noi visitando la mostra che ci aspetta al Mastio della Cittadella dal 28 ottobre al 14 gennaio 2024, con nessun titolo più esemplificativo di quello di “Omaggio a Mirò”.

Mara Martellotta

Ricchezze e stupori di fronte ai pranzi dei “Sovrani a tavola”

La mostra aperta sino al 28 gennaio 2024

Il 2023 scelto nelle mostre della Reggia di Venaria come l’anno del cibo: il compimento con una grande, affascinante quanto sontuosa mostra, distribuita in 14 sale, che ha aperto ieri per concludersi il 28 gennaio prossimo, “Sovrani a tavola. Pranzi imbanditi nelle corti italiane”. Una mostra fortemente voluta da Guido Curto, Direttore generale del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude e affidata alla conoscenza e alla cura di Andrea Merlotti con la collaborazione di Silvia Ghisotti e Clara Goria, nell’elegante allestimento di Lorenzo Greppi. Duecento (ma il numero si amplia se andiamo a conteggiare quanto di meraviglie è posato sulle tavole imbandite) tra dipinti, arredi da tavola, splendidi servizi di porcellana e d’argento provenienti dalle varie corti italiane – una collaborazione preziosa alla mostra e un viaggio che si snoda tra Capodimonte e Caserta, tra il Quirinale e il Palazzo Reale di Milano, tra Palazzo Pitti e il Palazzo Reale di Napoli sino a quelli di Torino e Firenze: tacendo dei molti prestiti da collezioni privale e musei italiani ed esteri -, un racconto particolareggiato che parte tra il Cinque e il Seicento per giungere sino ai pranzi del Quirinale sabaudo. Che è qui, oggi e per i mesi futuri, tra le mura del Castellamonte, l’ultimo ospite del racconto, pieno di fascino e di stupore per il visitatore, come gran finale della mostra, quasi il suo fiore all’occhiello, “fotografando” e appropriandosi dello sfarzo del Salone delle Feste del palazzo che fu dei papi, lo stesso dove il Presidente della Repubblica ospita i tanti Capi di stato in visita per i pranzi di gala. Il lungo tavolo, tra lampadari sospesi e tele e arazzi, suddiviso in tre parti con altrettanti servizi per dare vita alla “mise en place”, derivati dal gusto della principessa Margherita, dal 1878 prima regina d’Italia, e legati ai canoni d’eleganza settecenteschi. Con la predilezione per la porcellana di area germanica, Meissen in primo luogo, qui rappresentata dal servizio a “Fiori blu con corona reale e dorature” per il pranzo e il servizio “a medaglioni con rilievi Dulong”, cui si ispira l’elegante “Medaglioni” della Richard Ginori per la tavola presidenziale.

Momenti che esprimono fascino e curiosità quelli dei pranzi dei sovrani sebbene raramente trattati dagli artisti. Di qui la grande ricerca dei curatori, per portare alla luce le occasioni pubbliche come quelle private delle teste coronate, non trascurando le rappresentazioni simboliche, le allegorie che racchiudono momenti e personaggi lontani nel tempo: in mostra, di anonimo fiammingo del finire del XVI secolo, “Il pranzo degli Asburgo”, proveniente da Varsavia, ovvero tre generazioni d’Asburgo, succedutesi sul trono delle Fiandre tra il ‘500 e il ‘600, Carlo V e Filippo II al centro della scena, a servirli i governatori di quei paesi, con un probabile Emanuele Filiberto ossequioso nei confronti del potente imperatore. Tra il pubblico (per i numerosi ospiti ammessi) e il privato altalena il “Banchetto offerto da Clemente IX a Cristina di Svezia il 9 dicembre 1668”, tramandatoci in grafica da Pierre-Paul Sevin, dove il pontefice occupa, davanti a una tavola riccamente imbandita, una posizione sopraelevata rispetto a quella della regina, in evidente segno di sudditanza e di rispetto, due silenziosi mondi chiusi in sé, se si pensa, ci dicono le cronache, che soltanto alla fine del pranzo venne offerta una poltrona a Cristina, accanto a Clemente, perché potesse avere con lui qualche attimo di conversazione.

Non ci sono nascosti neppure brani dei vari backstage, come quelle cucine alle spalle del settecentesco doge di Venezia Alvise Pisani o quello che può essere inteso come una studiatissima coreografia quel “Convito nuziale di Elisabetta Farnese” tramandatoci dallo Spolverini: un banchetto organizzato a Parma in occasione delle nozze di Filippo V con Elisabetta nel 1714, la sposa e la madre sotto un ampio baldacchino, in primo piano un gruppo di paggi sgambettanti in livrea rossa, rigorosamente tutti di rango nobiliare, che, dopo aver ricevuto le varie pietanze dalle cucine, le porta su grandi piatti d’argento ai gentiluomini di bocca, in uniforme scura, dai quali arriveranno, passando da mani a mani, alle commensali, ogni cosa sotto lo sguardo e il chiacchiericcio delle dame e dei gentiluomini della corte. Un rito, fatto di preparativi e vivande e uomini (assai relativo lo spazio lasciato alle donne, impiegate in mansioni ben umili, per cui raro ne è l’incrocio: per cui godetevi “La cuoca” di Bernardo Strozzi, nell’atto di preparare un tacchino, mentre già un pentolone scalda sul fuoco e un’anfora d’argento, segno di ricchezza del committente, fa bella mostra di sé in primissimo piano; proveniente dai Musei genovesi), uomini che potevano divenire vere e proprie celebrità, come quel Leonardo Gamucci, responsabile dell’approvvigionamento alimentare della corte fiorentina, immortalato da Giusto Suttermans o il nano Morgante, alias Braccio di Bartolo, intento a porgere la coppa di vino a Cristina di Lorena nella tela di Domenico Cresti detto il Passignano, proveniente da Vienna.

Da non perdere nelle sale successive, le delizie dei re, come “I fichi” e “I datteri” e il “Tartufo”

(usato tra le corti come doni, in special modo quella sabauda), tele commissionate dal granduca Cosimo III a Bartolomeo Bimbi per il suo casino della Topaia; e le immagini delle bevande esotiche, il caffè, la cioccolata e il tè, frutto degli ampi commerci della Compagnia delle Indie che hanno il potere, tra l’altro, di dare il via ai tanti servizi in pregiata porcellana, magari con i decori cinesi e giapponesi che verranno in seguito imitati dalle manifatture europee. Gioiello di queste sale “Un tè a Evian”, opera di Ludwig Guttenbrunn del 1787, proprietà di una nobildonna inglese che l’ha volentieri ceduta per la mostra e quindi esposta per la prima volta al pubblico: il quadro a olio, di non rilevanti dimensioni (43,2 x 57,8 cm), racconta il rito pomeridiano del tè all’interno della sala di una residenza nobiliare sul lago di Ginevra. Carlo Emanuele, principe di Piemonte, e la consorte Maria Clotilde di Borbone sono ospiti di due dame inglesi: un momento assai privato in cui il sovrano non disdegna di servire amabilmente la bevanda alla sua dolce metà.

Ancora carrellate su piatti e posate raffinatissime, servizi da dessert che hanno radici in Sèvres o in Meissen, coppe dai più delicati colori, tazzine e “rinfrescatoi da gelato”, la “marronière” che richiama un piccolo cesto di vimini vanno ad abbellire le tavole reali, in un susseguirsi di pezzi preziosi sempre più ricercati. Quando il “popolino” conquisterà la libertà di stampa, ci sarà anche posto per le caricature (attardatevi nella sala 10) e il pranzo delle loro maestà fu il momento più ironizzato, sovrani che inghiottono poveracci o tagliano il mondo come più loro fa comodo. Con il passare del tempo “L’illustrazione italiana” o “La domenica del Corriere” avrebbero immortalato le cene di gala con sempre maggiori particolari. Non vanno persi i vari menu che su carte preziose accompagnavano l’impazienza e il gusto degli ospiti: in un cartoncino del marzo 1911, accanto ai sette brani che delizieranno le divine orecchie, Léhar Verdi e Puccini in primis, andiamo a leggere che i “pollastri alla Montebello” saranno accompagnati dal Barbaresca Manissero e che gli “sparagi con salsa maltese” verranno gustati con il Grande Spumante Cinzano. Altri tempi.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Pittore Fiammingo, “Il pranzo degli Asburgo”, 1599 circa, olio su tela, Varsavia, Muzeum Narodowe; Ilario Giacinto Mercanti detto lo Spolverini (Parma 1657 – Piacenza 1734), “Convito nuziale di Elisabetta Farnese”, 1717 – 1721 circa, olio su tela, Parma, Collezioni d’Arte del Comune; Ludwig Guttenbrunn (1750-1819), “Un tè a Evian”, 1787, olio su tavola, collezione privata; il Salone delle Feste al Quirinale.

Un inno all’arte femminile alla galleria Malinpensa by La Telaccia

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Informazione promozionale

La mostra “Le donne nell’arte”

La mostra intitolata “Le donne nell’arte” è in programma presso la galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia dal 23 novembre al 6 dicembre 2023. Saranno protagoniste Dada C, Federica Caprioglio, Luisa Piccoli e Mimora

È una visione ottica sorprendente quella dell’artista Dada C, che raggiunge, in una sintesi di solida rappresentazione, risultati evidenti di singolare rilievo e di emozioni pure.

La ricerca continua, il gusto compositivo e l’evidente simbologia conducono in direzione di una ricerca assolutamente personale che ne sottolinea una emotività profonda capace di comunicarci sensazioni continue. Il recupero e l’attenzione ai materiali, quali elemento primario della stoffa modellata sempre con sapienza, si identifica nel lavoro di Dada C, accompagnato da uno straordinario equilibrio e da una solida strutturazione di affascinante raffinatezza e armonia. Tra le pieghe della stoffa vive, in piena sintonia con la sapienza dei contenuti, una spazialità di forte valenza formale costantemente ritmata di atmosfere e di una magistrale prospettiva. L’artista esalta la materia, sottolineandone l’importanza del riciclo e apportando all’opera un’essenza spirituale ricca di valori umani. Le opere dell’artista Dada C si muovono tra istinto e profonda analisi e si avvalgono di una personale espressiva animata dalla capacità introspettiva che si concretizza in una concezione dinamica e di un senso volumetrico di evidente indagine denso di maestria e di resa assoluta. Il suo stile, ben definito di una compositiva libera, si riconosce appieno perché la forza vitale tra colore e materia accende il soggetto di notevoli effetti tecnici e di giochi tra pieni e vuoti. Le sue opere sono caratterizzate da una sperimentazione tecnica impegnativa, risultano ricche di vitalità, di magnetismo e di un processo creativo interessante che si distingue e vive attraverso il suo percorso artistico. Osservando le creazioni di Dada C percepiamo una forte vibrazione della materia che si fonde all’elemento cromatico in un rapporto equilibrato tra spazio, forma e luce, dando al soggetto dinamicità e senso di esecuzione.

Il messaggio simbolico, la fantasia vivace e il rilevante effetto scenico vivono nel suo iter con passione e professionalità. È una narrazione, quella dell’artista Dada C, consolidata da studio e originalità, dove lo spirito universale della materia, di forte impatto estetico -emotivo, trasmette un’impronta particolare e unica alla sua arte. Sono opere di puro stato d’animo che rivelano una matura elaborazione e una padronanza dei mezzi che, palpitante di amore e di un delicato intimismo, si liberano in una dimensione capace di conquistarci e di farci sognare.

Dada C è nata a Urbino e cresciuta a Fermignano, patria di Donato Bramante. I suoi quadri vengono realizzati con stucco francese lavorato con apposite spatole su tela e poi colorati con colore acrilico. La caratteristica che li differenzia sta nelle sfumature e nel chiaroscuro che viene personalizzato dalla mano dell’artista. Le opere sono realizzate con tecnica mista su tela, riciclo su stoffa.

Poetessa del colore e del disegno, l’artista Federica Caprioglio si dedica ad un filone fantasioso in cui i soggetti della natura prendono vita e forma in una visione umana ricca di bellezza e di armonia uniche.

Con uno stile rinnovato e una costruttiva di realtà figurativa, l’artista realizza opere dal sapore fiabesco, dove tutto, come per incanto, splende di vibrazioni cromatiche e di stati d’animo. Attraverso un tratto pulito e delicato il linguaggio artistico della Caprioglio esprime sensazioni e riflessioni continue in grado di suscitare all’osservatore un senso di serenità interiore. Le suggestive cadenze luministiche, la chiara stabilità del tratto e la fervida fantasia aprono un discorso pittorico preciso e sincero in piena padronanza dei mezzi. La sua tecnica mista quale acquerello, gessetti, matite e tempera su carta, ottiene un risultato di carica singolare e di riflessione cromatica autonome e espressive molto raffinate e delicate, dove il disegno prende rilievo di un racconto poetico e prezioso. La Caprioglio sa creare un’atmosfera di personalità e sentimento che ci affascina e che rivela pieno temperamento. Il valore universale della natura, degli animali e dell’essere umano è, per l’artista, di alta concezione; ed è in questa profonda sensibilità che lei opera.

Troviamo uno spazio pittorico intenso di pregnanza contenutistica; l’aspetto surreale, che è fortemente sentito dall’artista, le consente di penetrare oltre l’aspetto visivo. La sua pittura è un’emozione continua, intrisa di forza lirica e di uno stile che la caratterizza e le fornisce pienezza dell’atto creativo. Dai tronchi dell’albero e dalle rocce nascono personaggi fantastici dalle sembianze umane perfettamente adattati al paesaggio che li circonda. L’artista dà corpo e anima ai suoi soggetti in un’atmosfera magica dalla notevole espansione interpretativa che la distingue e che rende le sue opere inconfondibili, ricche di autentica passione e di amore per la vita.

La vitalità pittorico-espressiva è immediata e così anche la riconoscibilità del suo linguaggio comunicativo. Ogni quadro è la scoperta di un racconto unico dove l’osservatore che ammira l’opera ne è testimone. Tra luci e ombre magistrali e la severa preparazione dell’acquerello, scopriamo un’ideazione originale pulsante di un lineare senso della composizione. Si tratta di un mondo irreale, legato, come una fiaba, ai ricordi dell’infanzia, che si carica di uno spazio infinito capace di sorprenderci e che si colora di tensioni emozionali. È una ricerca di serena compositiva, quella dell’artista Caprioglio, fatta di costante presenza emozionale, di esigenza interiore e di rispetto per la natura, dove l’indagine psicologica, che emana un profondo e ricorrente messaggio, è struttura portante dell’opera. Nell’iter della Caprioglio ogni particolare trova risonanze di sogno e di realtà offrendoci una narrativa simbolica e un’immaginazione continuamente stimolante.

Federica Caprioglio, nata a Torino, si laurea in Scienze Naturali all’Università di Torino. Ha fatto diverse mostre, Expo Arte internazionali e segue progetti espositivi anche con il Comune di Torino. Della sua arte afferma: “La composizione degli elementi di un quadro è frutto di una ricerca di soggetti naturali che, trasfigurati, diventano qualcos’altro, come ad esempio tronchi o pietre che acquistano sembianze animate. Cerco in ogni forma naturale ciò che gli occhi della fantasia mi suggeriscono”.

L’artista Luisa Piccoli, con un linguaggio di grande spessore umano, porta alla luce una figurazione di notevole tensione lirica e di poetica creatività che si distingue rilevante e personale.

L’artista realizza opere ispirandosi alla condizione umana e sociale con profonda essenza emotiva. Offre al fruitore vari e importanti spunti di riflessione e di messaggi significativi sempre con rispettabilità e sentimento. I suoi sono racconti di pura contemplazione che svolgono una funzione molto impegnativa e simbolica. Cromatismi singolari, fantasia di composizione e azione formale offrono alle opere una ricchezza di valori pittorici notevoli, dove il gioco delle figure vive in simbiosi con i diversi materiali utilizzati dall’artista. L’intera visione pittorica di Luisa Piccoli si presenta attraverso un’intensa spiritualità, in cui trovano sublimazione pensieri, ricordi e valori di chiaro effetto emozionale e concettuale. I soggetti si avvalgono di uno stile unico, che si riconosce appieno e che si esprime con un linguaggio comprensibile, tanto da comunicare all’osservatore una libertà essenziale e suggestiva, capace di trasmettere all’opera sentimento e purezza d’animo. Quella di Luisa Piccoli è un’arte altamente psicologica che si anima di vita interiore e di una rielaborata scena universale del mondo, ritmata da una dinamica realistica e da uno stile ben definito. La Piccoli è un’artista intensamente emotiva che indaga sia sull’esistenza sia sulle proprie emozioni, trasmettendo messaggi di pace e amore universali. Le sue composizioni sono memorie di simboli che scorrono inarrestabili e sempre più intensi nell’opera, con fascino e poesia. L’artista realizza una strutturazione fortemente originale e dal grande impatto visivo, che si libera in una interpretazione consapevole e una tecnica personale autentica. Le sue opere sono piene di equilibrio, dense di resa formale e di suggestivi accordi tonali, in cui traspare l’interiorità dell’artista e si orientano verso tematiche di grande spessore contenutistico e di analisi introspettiva. Vibranti accostamenti di collage vengono esaltati da un vigoroso aspetto della materia e creano nell’opera effetti dinamici capaci di esprimere una forte energia vitale. Si sviluppano, in uno spazio pittorico ricco di sensibilità e limpidezza d’animo, emozioni uniche e riflessioni immediate capaci di evidenziarne una forte carica emotiva. Luisa Piccoli, sempre attenta ai particolari, indaga sull’identità dell’uomo con verità e con un qualificato contenuto, in una dimensione spirituale profonda che vive all’interno del suo iter.

Luisa Piccoli nasce a Bisceglie (Bari) nel ‘53. Ha conseguito la maturità classica, Accademia delle Belle Arti di Bari. Pittrice, scultrice, scrittrice, poeta e  scenografa. Professoressa di Arte e Immagine. Viaggiatrice e ricercatrice spirituale e sociale. Ha trascorso la sua vita fra Bisceglie, Udine e Vienna. Ha fatto diverse mostre personali, collettive e concorsi ricevendo successo di pubblico e critica. 

Nelle opere dell’artista Mimora, l’elemento predominante dell’aspetto umano, che non è di immediata lettura per il fruitore, vive in totale simbiosi con una funzione narrativa carica di emotività, all’insegna di contenuti profondi e di una ricerca interiore molto sensibile.

La materia dell’acrilico su tela produce nel suo iter un’affascinante resa stilistica e di evidente atmosfera, regalando al soggetto una suggestione singolare. Il colore fluido e caldo viene steso con un reale progetto e una personale struttura, e vive in perfetta armonia con la dimensione segnica e la vibrazione lirica nel tratto. Tra realtà e astrazione, l’artista Mimora dipinge in una totale libertà espressiva. La resa formale, la gestualità del disegno e l’equilibrio cromatico sono dimostrazione di un impianto pittorico originale di notevole estro creativo e di padronanza della tecnica. La pittura dell’artista Mimora è di autentica comunicazione, in continua evoluzione ed evidenzia una ricerca in costante espansione naturale che definisce tutta la sua produzione. Le sue opere hanno bisogno non solo di essere osservate, ma anche di essere ascoltate. Sono immagini che tracciano un racconto intriso di emozioni, sentimenti e stati d’animo. La realtà sconfina nell’astrazione, spaziando nell’opera con una affascinante ideazione accompagnata da un profondo significato, oltre che da una forza interpretativa e una personalità stilistica. Sofferenza, passione, vissuto e fantasia si liberano verso un’ampia elaborazione sempre colma di interiorità e umanità. Mimora realizza opere che si impreziosiscono di simboli, di contenuti e di valori, denotando una grande sensibilità e una profonda capacità artistica.

Mimora nasce a Brescia. Ha conseguito il Diploma di Laurea all’Accademia di Belle Arti ‘’G.B.Cignaroli ‘’ di Verona, con una tesi in Anatomia Artistica sulle malformazioni fisiche. Innamorata dell’arte in ogni sua forma, coltiva varie passioni tra cui la fotografia. Da sempre risulta appassionata al mondo del vecchio circo e alla parte speciale di umanità che lo contraddistingue, verso il quale l’artista nutre un profondo autentico interesse e trasporto. Le opere rappresentano quasi sempre Freaks: è il mondo dei reietti, degli incompresi, inclusi nel nostro mondo normale perché diversi nella loro fisicità. I dipinti si presentano con pennellate fluide, colori strutturati che trasmettono quell’alchimia antica del bene e del male. Le opere hanno un divenire consequenziale tra l’astratto e il concreto e pongono questa ricerca dell’artista in un percorso legato solo alle percezioni, al di là del tempo.

Mara Martellotta

 

 

Alla Promotrice i grandi maestri, piccoli capolavori e l’acerbo di certe opere

181a Esposizione, sino al 15 ottobre

Ci si muove sempre con una certa, seppur piacevole, “fatica” ad ogni annuale inaugurazione tra le opere pittoriche e di scultura che riempiono le sale della Promotrice torinese (da venerdì scorso il 181° appuntamento, in programma sino al 15 ottobre) di via Balsamo Crivelli. Anche un rito, d’obbligo, di saluti, di abbracci, di sorrisi, di qualche scantonamento, postestivi. Numeri non indifferenti, 675 le opere esposte, 357 gli artisti presenti, momenti in cui si scopre, all’interno delle dodici sale, come scrive Angelo Mistrangelo, Vicepresidente della Società Promotrice delle Belle Arti, “la magia del colore e delle strutture compositive”. L’allestimento, ancora una volta, nelle mani dell’instancabile Orietta Lorenzini, a cui si deve egualmente la redazione del catalogo, che ospita autori del passato e contemporanei, pronti ad affrontare attraverso le loro opere “una realtà colta con un senso di intima, meditata e misurata resa espressiva”.

Grande attenzione ai lavori degli artisti scomparsi, “che contribuiscono a stabilire connessioni, riferimenti, contenuti nell’ambito della creatività tra Novecento e nuovo Millennio, ricerca e sperimentazione”: dalla “Pioggia di stelle” di Mastroianni del 1990 ai “santoni” che hanno il largo tratto di Spazzapan, dal “Paesaggio” di Albino Galvano alle “conchiglie” di Soffiantino, dalla “Serie” di Nini Maccagno al “Porto” di Enrico Paulucci, dal “Totem” di Mario Sturani del ’36 al “Paesaggio” di Giulio da Milano, al “Leprotto”, suggestiva acquaforte di Mario Calandri.

Nel salone d’entrata, trovano posto la “Magia” di Gabriella Malfatti e le vivaci “Marionette” di Giorgio Cestari, la “Sonata per violino” di Giancarlo Gasparin con perfette atmosfere d’altri tempi, la gioia del colore trasmessa dal “Vigneto” di Bruno Molinaro, gli eterni cieli di Antonio Carena, gli stornelli e la delicatezza delle nuvole nella tela di Anna Maria Palumbo, la lineare “Danzatrice” di Claudia Sacerdote e il “Prigione” di Sergio Unia. Una lunga sequenza di opere si snoda attraverso le sale, colori e forme, realismo e astrazione, classicheggiante e sperimentazione, momenti di concreto interesse e prove che necessitano ancora di maggiore irrobustimento. Le prove dello scomparso Attilio Lauricella, le forme possenti che Tatiana Veremejenko ha impresso ai suoi personaggi femminili, la fantasia dei fenicotteri di Giacomo Gullo (“Non dare i biscotti ai fenicotteri”), una bravura troppo presto strappata dal Covid, le forme evanescenti del “Mercato andaluso” di Elio Pastore.

E ancora le presenze di Luciana Bey, di Anna Borgarelli, della “Primavera di mezzo inverno” di Magda Tardon e degli acquerelli inconfondibili di Lidia Dalloste, la bella prova nella lunga fila di alberi (“Sentiero illuminato”) di Giuseppe Faretina, grafite e matite colorate che giocano con i chiaroscuri. E ancora, attraversando qua e là, la matura composizione di Adriana Caffaro Rore (“Deposizione di Cristo”), i “Ricordi in bianco e nero” di Simonetta Secci, il taglio prezioso e inconsueto che Giacomo Sampieri dà al suo “Sulla strada”, le mani ferite e il viso struggente della donna offerta da Alessandro Fioraso in “Che cosa mi rimane”, fatto di soffocata disperazione il mare di Silvana Sargiotto (“Onda su onda”).

Nessuno me ne voglia, ma attraversando le sale, pur con l’apprezzamento innegabile della maggior parte delle opere esposte, di tanto in tanto, di fronte a prove che rimangono esclusivamente prove, acerbe e inconcluse, si rimane sconcertati dalla pochezza e dall’approssimazione di alcuni tentativi, improvvisazioni, debolezze, pretesti e pretenziosità, elucubrazioni fasulle, vuoti montaggi. È il male inesorabile, senza se e senza ma, delle piccole o grandi associazioni e delle partecipazioni, vittime di certe leggi che non fanno che indebolire una intera doverosa rassegna. Sarebbe augurabile una setacciatura maggiore, una mano maggiormente stretta e un occhio più attento e libero, numeri non troppo corposi, una far chiarezza autoimposto, magari tra mille difficoltà e rinunce, che incontrerebbe con maggior ragione quanto ognuno dovrebbe intendere come una delle tante nostre Grandi Bellezze.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Bruno Molinaro, “Vigneto” (2019), Giacomo Sampieri, “Sulla strada” (2022), Alessandro Fioraso, “Che cosa mi rimane” (2023)

Francesco Manacorda nominato nuovo Direttore del Castello di Rivoli

Il Consiglio di Amministrazione del Castello di Rivoli annuncia la nomina di Francesco Manacorda quale Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.
Il nuovo Direttore assumerà l’incarico a far data dal 1° gennaio 2024.

Francesco Manacorda è stato Direttore Artistico della V-A-C Foundation (2017-22); Direttore Artistico della Tate Liverpool (2012-17), Direttore di Artissima (2010-12) e Curatore presso la Barbican Art Gallery (2007-09). Dal 2006 al 2011 è stato Docente presso il dipartimento di Curating Contemporary Art del Royal College of Art, Londra. Ha co-curato nel 2016 la Biennale di Liverpool e nel 2018 l’undicesima edizione della Biennale di Taipei.

Francesco Manacorda è stato scelto al termine di una manifestazione d’interesse pubblica da una commissione giudicatrice presieduta da Francesca Lavazza, Presidente del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, e composta da Richard Armstrong, che è stato Direttore The Solomon R. Guggenheim Foundation dal 2008 fino a luglio 2023; Andrea Ruben Levi, collezionista, Amico Benefattore del Castello di Rivoli, membro del Board of Trustees del New Museum di New York; Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, collezionista, Presidente dell’omonima fondazione, Presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT; Sir Nicholas Serota, Presidente Arts Council England, già Direttore Tate.

Francesco Manacorda succede in qualità di Direttore a Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Museo nel 2009 e dal 1° gennaio 2016, che andrà in pensione il 31 dicembre 2023.

“Renato Leotta. CONCERTINO per il mare”

Al “Castello di Rivoli”, le foglie di Posidonia diventano multiforme e ipotetica struttura d’arte nelle opere dell’eclettico “creativo” torinese

Fino al 28 gennaio 2024

“Le opere di Leotta scaturiscono da una lenta e prolungata osservazione di un luogo o di un paesaggio. Anche le forze della natura, i cicli lunari e degli oceanici entrano prepotentemente nel lavori dell’artista che, spaziando dal linguaggio fotografico tradizionale al video, dalla pittura al recupero di materiali d’archivio, indaga i rapporti fra mare, cielo e terra nel tentativo di creare un possibile dialogo tra mondi reali e ideali”. Così scriveva a proposito di una mostra da lei curata – “Sole” – e presentata nel 2019 da Renato Leotta, sempre al “Castello di Rivoli”, la storica dell’arte Marianna Vecellio. Definizione chiara, illuminante (quel tanto che basta per spingerci alla prova) rispetto al modo di “fare” ed “intendere l’arte” da parte dell’artista torinese, classe ’82, residente ed attivo fra Torino e Acireale. Ora, il “Castello – Museo d’Arte Contemporanea”, di piazza Mafalda di Savoia a Rivoli, torna ad accendere i riflettori su Leotta, presentando fino al 28 gennaio 2024 e per la prima volta in Italia, nella “Torre Nord” del secondo piano, il suo progetto “CONCERTINO per il mare”, vincitore dell’“Italian Council Edizione X”, Bando internazionale promosso dalla “Direzione Generale Creatività Contemporanea” del “Ministero della Cultura” a supporto della creatività contemporanea italiana e presentato, nel settembre 2022, alla 17esima “Biennale di Istanbul” nell’“Hammam Çinili”, edificio ottomano risalente al XVI secolo.

La mostra, curata da Marcella Beccaria e articolata in un complesso espositivo “a più voci”, è incentrata su un ampio progetto di ricerca che prende avvio dall’osservazione dell’ecosistema dei fondali del Mediterraneo. Proponendo una possibile forma di comunicazione interspecie, l’artista ha inteso dare una sua personale interpretazione alla “struttura interna” delle foglie di “Posidonia” oceanica (praterie – polmone del Mediterraneo, da anni vittime di un declino sensibile a causa della crescente antropizzazione costiera), leggendole come fossero una “partitura musicale”, tale da produrre tracce sonore udibili all’orecchio umano, che l’artista ha organizzato in un’“installazione sonora” e in un vero e proprio “concerto” eseguito dal vivo. “Portando all’attenzione l’importanza di un ecosistema circolare, ‘CONCERTINO per il mare’ invita ad ascoltare storie di migrazione, adattamento, incontri e lotte per la sopravvivenza attraverso il tempo, da un passato  lontano fino a un futuro incerto”.  Progetto di amplissimo respiro, che ha comportato lo studio e l’osservazione di più siti costieri del Mediterraneo, “CONCERTINO” ha generato nelle Sale Storiche del “Castello” un’“installazione sonora”, per la prima volta in dialogo con una serie di “stampe fotografiche” (realizzate da Leotta con tecniche sperimentali) e “Ondina”opera-concerto – in tre movimenti – che  sarà eseguita dal vivo dall’“Orchestra Filarmonica di Torino”, diretta da Giampaolo Pretto, presso il “Salone dei Concerti” del “Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi” (via Mazzini 11, a Torino), sabato 4 novembreore 21, dopo l’esordio nel settembre di un anno fa con i musicisti della “Borusan Istanbul Philharmonic Orchestra”, nei giorni di inaugurazione della “Biennale di Istanbul”.

Gianni Milani

“Renato Leotta. CONCERTINO per il mare”

Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea, piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org

Fino al 28 gennaio 2024

Orari: dal merc. al ven. 10/17; sab. e dom. 11/18

Nelle foto:

–       Renato Leotta: “Concertino”, 2022; fotografia dall’archivio. Courtesy l’artista

–       Renato Leotta

“Francesco Hayez. L’officina del pittore romantico”, grande mostra negli spazi della Gam

Arte, storia e politica si intrecciano

 

Torino dal 17 ottobre 2023 al 1 aprile 2024 ospiterà negli spazi della Gam, Galleria Civica d’Arte Moderna, una mostra personale dedicata al pittore Francesco Hayez, dal titolo “Hayez. L’officina del pittore romantico”, promossa dalla Fondazione Torino Musei, Gam di Torino e Gruppo Sole 24 Ore, curata da Fernanda Mazzocca e Elena Lissoni.

L’esposizione è promossa in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di opere esposte.

In questa grande esposizione sabauda si intrecciano politica, storia e arte alla scoperta del mondo dell’artista, all’interno dell’officina del pittore, per svelarne tecniche e segreti. Si tratta di un percorso espositivo originale che pone a confronto disegni e dipinti, articolato in dieci sezioni, organizzate cronologicamente, che partono dalla formazione avvenuta tra Venezia e Roma, dove Hayez ha goduto della protezione e dell’amicizia di Canova fino alla prima affermazione a Milano e alle prove della maturità.

Accanto a opere inedite o poco viste, si potranno ammirare capolavori più popolari come “La Meditazione”, proveniente dai Musei Civici di Verona, Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, e l’”Accusa Segreta”, proveniente dai Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, cui è accostato il “Consiglio della Vendetta”, un prestito piuttosto prestigioso che proviene dal Liechtenstein, The Princely Collections Vaduz Vienna.

Significativi anche alcuni dipinti dell’artista custoditi dalla GAM come il “Ritratto di Carolina Zucchi a letto” (L’ammalata) e l’”Angelo Annunziatore”.

MARA MARTELLOTTA

GAM

Via Magenta 31

17 ottobre 2023, 1 aprile 2024

Orario 10-18.