ARTE- Pagina 52

“La permanenza del segno”: Vincenzo Gatti alla Fondazione Amendola

Le sale espositive della Fondazione Giorgio Amendola, in via Tollegno 52, a Torino, ospitano la mostra di Vincenzo Gatti dal titolo “La permanenza del segno”, a cura di Armando Audoli. La mostra sarà visitabile fino al 5 maggio. Vincenzo Gatti presenta una vasta scelta di opere alla Fondazione Amendola, circa 40, che coprono un lungo periodo, dai primi anni Settanta fino a oggi, testimone della sua ricerca costante e appassionata legata alla grafica. Fin dagli inizi il vero protagonista delle opere è il segno, declinato in ogni forma, brulicante e atmosferico nelle incisioni, allargato e quasi snervante nella tensione dei disegni e delle recenti opere di grande formato, che trovano nuovi sviluppi espressivi con l’uso del pastello grasso su carte patinate.

Vincenzo Gatti, nato a Torino nel 1948, per vent’anni titolare della cattedra di Tecniche dell’incisione all’Accademia Albertina di Torino, sembra voler mettersi continuamente alla prova, dimenticando il consumato mestiere per sperimentare altre procedure, e entrando in territori grafici anche eterodossi, con una sorta di superamento critico dei risultati raggiunti. I temi trattati sono legati a varie esperienze, dalle seduzioni gestuali o pop degli inizi, alle visioni d’interni, tra luci e ombre, delle acque forti, agli scenari del mito della natura che favoriscono le metamorfosi della figura umana. Questo argomento ricorrente nell’immaginario dell’artista è riscontrabile anche in alcune terracotte presenti in mostra, e fa riferimento alla cultura visionaria e inquieta che ha percorso l’Europa tra Ottocento e Novecento.

Fondazione Amendola, via Tollegno 52, Torino

Apertura lunedì-venerdì 9:30/12:00 – sabato ore 10:00-12:00

 

Mara Martellotta

Nomi celebri e belle scoperte, dal Figurativo all’Informale

Il “Novecento” alla Galleria Aversa, sino all’11 maggio

La Galleria Aversa allarga i propri spazi e con gli spazi i propri confini. Con la mostra “Il Novecento, dal Figurativo all’Informale” (nei locali posti nel cortile aulico del Palazzo Luserna di Rorà di via Cavour 13, sino al 11 maggio prossimo) non rinuncia certo a quell’Ottocento cui da sempre ci ha abituato ma amplia i suoi interessi al secolo successivo, un lungo quanto prolifico periodo dell’arte italiana giù giù quasi sino ai giorni nostri, un terreno fertile di proposte e di esperienze pittoriche, un percorso che ha visto l’affermazione di varie correnti, dal Liberty al Divisionismo sino all’Informale. Un’esposizione che deve gran parte della sua ricchezza al lascito della collezione dello storico e critico d’arte Marco Rosci, collaboratore per venticinque anni de La Stampa, curatore di mostre d’arte moderna e contemporanea, autore di importanti testi e professore universitario, scomparso pressoché novantenne a Novara nel 2017.

 

Roberto e Jacopo Aversa hanno raccolto oltre trenta artisti, con grande ricchezza di tecniche e di formati, di volti e di paesaggi, di classicità e di sperimentazioni, da Nino Aimone a Bruno Cassinari, da Felice Casorati a Salvatore Fiume a Dario Fo, da Pinot Gallizio a Nedda Guidi a Ugo Nespolo, da Alessandro Lupo a Francesco Messina a Enrico Paulucci, da Carol Rama a Piero Ruggeri a Luigi Spazzapan, da Andrea Tavernier a Felice Vellan a Cesare Maggi. In un itinerario che potrebbe partire dalla “Preghiera” di Cesare Ferro, posta nella prima sala, un abito scuro, la espressività raccolta e indagatrice quasi di due occhi in un viso di donna, due mani giunti che dimostrazione la leggerezza ma altresì la solennità del momento di raccoglimento. Ma non vanno dimenticati “I fiori della mamma”, un pastello su tela di Giovanni Battista Carpanetto, il messicano Rufino Tamayo, che fondeva le tradizioni del proprio paese con le correnti che si sviluppavano in Europa, le proposte dello svedese Bengt Lindström, con la sua pittura ispirata ai miti e alle leggende della Lapponia, nato in un piccolo villaggio del Norrland e, attraverso gli studi e la passione per la pittura, approdato a Stoccolma e quindi a Copenhagen e Chicago e Parigi, affascinato dagli affreschi di Cimabue e Giotto ad Assisi, varie mostre in giro per il mondo, da Barcellona a Tokio, da Seul a Colonia a Milano.

Come Franco Costa, uno dei più importanti autori di manifesti del secondo Novecento, formatosi tra Zurigo e Parigi e il Sud America, collaboratore dei maggiori stilisti, da Valentino a Lancetti a Dior, legato a nomi quali Fellini, Stanley Kubrick, Matisse e Picasso, nel 1980 divenuto artista ufficiale della America’s Cup; come le opere di Mirko Basaldella e di Nedda Guidi, all’interno di questo panorama novecentesco che in questa Torino di primavera sta interessando gallerie e fondazioni di prestigio.

e. rb.

Nelle immagini: con la “Preghiera” di Cesare Ferro, in esposizione alla galleria Aversa, tra gli altri, anche opere di Pinot Gallizio e Nedda Guidi.

Selezionati gli artisti e le artiste di Futures 2024

Gli artisti e le artiste selezionate nel 2024 nell’edizione di Futures sono Anna Adamo, Giorgio di Noto, Giulia Vanelli, Ivo Sekulovski e Lucrezia Zanardi. Si tratta del programma europeo indirizzato alla promozione della fotografia contemporanea del quale Camera è l’unico rappresentante in Italia.

Attraverso un percorso di rafforzamento della propria ricerca artistica e attività di accompagnamento di natura espositiva, educativa, promozionale e relazionale, pensate su scala nazionale e Internazionale, il programma permetterà loro di entrare in contatto con oltre cento artisti provenienti da venti nazioni diverse e con gli staff curatoriali dei 21 musei e fondazioni per la fotografia che fanno parte della piattaforma.

Le artiste e gli artisti che parteciperanno alla settima annualità di Futures sono stati individuati da Walter Guadagnini, direttore artistico di Camera, e da Giangavino Pazzola, curatore associato del centro e coordinatore del programma.

Al fine di compiere una mappatura esaustiva e individuare le esperienze più significative e innovative nel contesto italiano, Camera ha deciso, per la prima volta nella storia di coinvolgere nell’individuazione delle candidature altri tre esperti del settore: la curatrice e fondatrice di Leporello.photobooks et al., Chiara Capodici, l’editore Tommaso Parrillo, fondatore di Witty Books e Giulia Pollicita, ricercatrice e curatrice della Fondazione Morra Greco.

 

Mara Martellotta

Inaugurazione della mostra di Roberto Demarchi “Forma, Parola, Musica”

Si inaugura giovedì 11 aprile, dalle ore 18, in corso Rosselli 11, a Torino, la mostra di Roberto Demarchi dal titolo “Forma, Parola, Musica”. Il richiamo del titolo dell’esposizione è al musicista Joseph Haydn, che nel 1786 ricevette l’incarico da un canonico di Cadice di comporre una musica sulle “Ultime sette parole di Cristo sulla croce”. Haydn aggiunse un’introduzione e un terremoto finale. Aldous Huxley scrisse:”Ciò che meglio descrive l’inesprimibile è la musica”. Si potrebbe aggiungere che ciò che meglio descrive l’invisibile è la pittura. Quando il “logos”, cioè la parola o il pensiero che esso sottende si accompagna alla musica e alla pittura, l’assoluto e il sublime non sono poi così lontani.

Telefono: 348 0928218

rb.demarchi@gmail.com

 

Mara Martellotta

‘Le donne nell’arte’ in mostra alla Galleria Malinpensa by La Telaccia 

Informazione promozionale

Si intitola “Le donne nell’arte” la mostra che viene ospitata dal 9 al 20 aprile presso la galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia.

Un omaggio a artiste diverse tra loro, ma tutte capaci di una profonda introspezione psicologica. La prima in mostra è Paola Dalla Pellegrina, nata a San Bonifacio, in provincia di Verona, che prova un’autentica venerazione per la natura in tutte le sue forme e manifestazioni, soprattutto per gli elementi vegetali e per l’acqua. Dagli elementi naturali trae forza ed energia, e il rigoglio verde d’estate la ritempra puntualmente. È capace di fantasticare sulla forma di una radice, di una foglia o di un fiore, di percepire le piante come esseri silenziosi ma palpitanti, di una bellezza commovente, capace di nascondere i significati da interpretare. Per l’artista vedere abbattere un albero le provoca un vero dolore fisico. Le figure femminili cui si ispira sono quelle del maestro Lei Ji Matsumoto, le cui anime ammirava da piccola e su cui si esercitava provando a riprodurle.

“La pittura dell’artista Dalla Pellegrina – spiega l’art director della galleria La Telaccia Monia Malinpensa -risulta caratterizzata da un’ evidente introspezione psicologica, ancorata ai veri valori di ricchezza umana e di contenuto, sempre condotta con potenza creativa e logica strutturale. La vibrante resa stilistica, la personalissima sintesi della forma e la grande comunicatività testimoniano una composizione moderna, a dimostrazione di un risultato figurale di notevole carica interpretativa. Il tratto deciso, il colore vivido e incisivo, e la stesura magistrale della tecnica mista ad acrilico e olio su tela, trovano all’interno dell’opera una narrazione simbolica di immediata sensibilità”.

La seconda artista in mostra è Lucilla Restelli, nata a Rho, in provincia di Milano, dove risiede e lavora, e dove ha frequentato corsi di disegno e pittura presso la scuola degli Artifici dell’Accademia Brera di Milano. Dal 1989 partecipa a concorsi di pittura collezionando numerosi premi e segnalazioni in campo europeo e internazionale. Nella sua lunga carriera ha sempre cercato nuove forme ed espressioni accostandosi, oltre che alla pittura ed esperienza di collage di materiali inusuali, alla lavorazione della ceramica e alla scultura quale il bronzo e l’acciaio. Dal 2010 è entrata a far parte della società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.

“Lo straordinario equilibrio di contenuti e dell’aspetto segnico, che si coglie tra la materia e il colore, attraversa le opere dell’artista Lucilla Restelli, con un’espressività sia visiva sia tecnica in cui rivivono emozioni e sensazioni uniche. Lo spazio prospettico, la magica luce, le suggestive ombre e il deciso tracciato vengono strutturati con una propria identità compositiva e con un rigore tecnico evidente che ci comunica una padronanza dei mezzi non comune. L’indiscussa creatività e l’alto livello formale raggiungono nell’opera alti livelli di spessore artistico e culturale, che coinvolgono il fruitore in un’attenta osservazione ai dettagli”.

Terza artista in mostra è Monica Simoni, nata a Montecatini Terme e che vive e lavora in Toscana. Negli anni ’80 la sua passione per l’arte la dimostra e riesce a apprendere forma dopo diversi mesi passati a New York, dove ha avuto la possibilità di conoscere i maestri dell’astrattismo come Frank Stella e Morris Louis. L’innamoramento per le linee pulite e razionali la ispira a interpretare a modo suo queste intersezioni, che rappresentano la base su cui ha costruito il suo percorso artistico.

“L’artista Monica Simoni – afferma Monia Malinpensa – si serve dell’acrilico su tela con una buona padronanza della tecnica, e realizza opere interpretate con un’abilità operativa e con uno stile ricco di personale espressione costantemente fondato sui valori pittorici e sui contenuti. L’interessante alternanza di trame cromatiche e di soluzioni grafiche è densa di emozionali valenze simboliche, sempre misurate dal senso dell’equilibrio. La geometria netta e il suo linguaggio essenziale rivelano un tratto nitido e rapido, indice di una dimensione dinamica e di un vivido fervore creativo. Intrisa di chiara astrazione, la sua pittura esprime una ricerca artisticamente valida, in un si coglie un’attenta analisi del colore e di una compiutezza grafica”.

L’ultima artista in mostra, ma non meno importante, è la barese Anna Vavalle. L’artista vive a Siena e insegna Storia dell’arte presso il Liceo di Scienze Umane “Piccolomini” di Siena. Parallelamente alla sperimentazione del processo creativo in architettura, la sua ricerca come artista ha avuto origine dalla tensione tra intellegibilità e percezione, laddove i nostri sensi si aprono alla bellezza. C’è un’intelligenza innata nella natura che percepiamo nel disegno delle venature di una foglia, nella spirale di una conchiglia o nella forma di un fiore. L’arte è l’incontro col mistero della forma, e l’artista risulta ispirata dall’equilibrio tra creazione naturale e creazione umana, dall’armonia spirituale che genera.

“L’armonica partitura cromatica, ritmata con una dinamica gestualità del segno – afferma Monia Malinpensa- contraddistingue l’operare dell’artista Anna Vavalle, arricchendosi di un’espressività pittorica altamente emotiva e di elevata sensibilità spirituale. Il colore, a volte pacato, a volte vivace, crea nel fruitore emozioni uniche che si uniscono in un dialogo profondo, intriso di meditazione e sollecitazione dell’anima. L’artista, protesa alla continua ricerca, realizza opere astratte ispirate alla natura e all’essenza dell’essere umano, con dissolvenza intense sia cromatiche sia segniche. La capacità della tecnica di acrilico su tela, con l’intensità del colore e di magistrale stesura, ed evidenzia manualità di notevole spessore artistico.”

 

Mara Martellotta

Gino Mazzoli, la mostra al Museo di Moncalvo

Il museo civico di Moncalvo con la mostra di Gino Mazzoli (Casale 1900-1974) vuole riportare in vita uno dei più importanti pittori del secolo scorso nati in Monferrato, famoso in vita poi pressoché dimenticato ingiustamente con il passare delle mode.

Figlio di Rodolfo, abile scalpellino di marmo e pietra e di Adele Pallavicini discendente dei marchesi di Ghemme, disobbendo al padre che, iscrittolo all’Accademia Albertina di Torino, sognava per lui un avvenire di scultore che seguisse le orme di Leonardo Bistolfi, anch’egli casalese e figlio di un artigiano del legno, Gino preferì seguire il corso di pittura tenuto da Giacomo Grosso.

Gli inizi del percorso artistico di Mazzoli sono segnati dall’influsso del grande maestro, ai tempi osannato per la straordinaria perfezione tecnica e il virtuosismo accademico, attenuato da lui a favore di un pacato intimismo e da emozioni scapigliate.

Costantemente fedele al figurativo mai si avvicinò all’arte aniconica, convinto, allo stesso modo di Casorati, che l’annullamento della forma avviasse ad un nichilismo privo di valori. In mostra sono presenti splendidi disegni e dipinti che trattano varie tematiche, dall’autoritratto referenziale di pittore severo e professionale ai ritratti della moglie Tilde, quasi sacrale simbolo dell’eterno femminino, dipinta con la proverbiale “tavolozza francescana” di parco colore; dai paesaggi verdeggianti del Monferrato e dell’Alto Adige alle nature morte con semplici oggetti, frutta, verdura, fiori colti sotto l’orto di casa secondo la poetica del quotidiano.

Giuliana Romano Bussola

“Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno”

In mostra al Museo Archeologico Regionale di Aosta

 

Il Museo archeologico regionale di Aosta dedica un’importante retrospettiva a Felice Casorati e alle generazioni di artisti e artiste che egli ha formato.

Il titolo della bella mostra ospitata dal Museo Archeologico Regionale di Aosta si intitola “Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno” e comprende oltre cento opere di uno degli artisti italiani più affascinanti della prima parte del Novecento.

Felice Casorati è stato uno degli artisti più importanti del Novecento in Italia e uno dei più longevi della sua epoca, avendo attraversato il periodo delle avanguardie, il ritorno all’ordine, il periodo del fascismo fino ad approdare al dopoguerra. Felice Casorati nacque a Novara nel 1883 da un ufficiale in servizio permanente, Francesco, e da Caterina Borgarelli. A causa del mestiere del padre, la famiglia si trasferisce frequentemente e Felice si trova a vivere a Padova, dove compie gli studi laureandosi in legge. Tuttavia, mentre sembra essere avviato ad una carriera nel settore giuridico, maturò una profonda passione per le arti, per la musica in particolare, dilettandosi come pittore. Nel 1907 provò a inviare alcune opere alla VII Biennale di Venezia, tra cui il Ritratto della signora Elvira, oggi in collezione privata, che fu accettato.

La critica era convinta di trovarsi di fronte a un giovane molto puomettente, che aveva solo 24 anni. Tra il 1908 e il 1911 si trasferisce a Napoli, spostandosi poi a Verona, dove fondava la rivista La via lattea, per la quale eseguiva anche degli schizzi e illustrazioni in stile art nouveau. Nel1912 partecipa all’IX biennale di Venezia ed espone 41 opere alla mostra di Ca’ Pesaro, che diventerà per lui più importante tanto da indurlo a rifiutare un invito alla Biennale nel 1920.

Casorati dapprima si avvicinò al simbolismo, con uno sguardo aperto sugli scenari internazionali e fu, in particolare, affascinato dalla secessione viennese dei vari Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e colleghi, ma guardò anche a Cézanne e fu molto vicino ai principali critici e collezionisti del suo tempo, da Piero Gobetti a Lionello Venturi, da Antonio Casella a Riccardo Gualino. In particolare Casorati strinse una profonda amicizia con Riccardo Gualino, che gli commissionò opere, tra cui la decorazione del suo teatrino privato e fece sviluppare in lui l’interesse per le arti applicate. Nel capoluogo piemontese è stato il maestro più influente dell’Accademia di Belle Arti, ma ha anche avuto una sua scuola privata in cui sono cresciute interessanti figure, tra le quali la moglie Dafne Maugham e parecchie altre artiste, in controtendenza con un’Italia profondamente maschilista, come la scrittrice Lalla Romano, Marisa Mori e Nella Marchesini. Alla fine del percorso della mostra è proposta una piccola scelta di opere di sue adepte.

Le opere in mostra illustrano cronologicamente tutto il cammino dell’artista e arrivano da collezioni pubbliche e private, come “Le Sorelle” o “Le ereditiere”, provenienti dal Mart di Rovereto del 1908, in cui emerge la bravura del pittore nell’utilizzo del nero. Nell’opera intitolata “Le due sorelle” è possibile cogliere il legame profondo dell’artista con la pittura di Piero della Francesca, in particolare, che Roberto Longhi aveva riletto nel suo primo saggio a lui dedicato sette anni prima. Accanto ai ritratti, molto interessanti in quanto appartenenti a collezioni private, si ricordano le opere di paesaggio degli anni Dieci, come “La bianca e nera città turrita”, una tempera su cartone che proviene da una collezione privata. Sono anche parecchie le sculture in mostra come “Maschera rossa” e “Maschera nera” del 1914, altre meno note come “L’attesa” o il “Viso di donna”, rispettivamente terra cotta e terra cruda, realizzate una prima volta alla fine degli anni Dieci.

Di interesse anche i bozzetti che Casorati realizzò per il teatro alla Scala, che ci presentano un artista più gioioso.

 

Mara Martellotta

A Torino la mostra MIIT Factory, una riflessione sul concetto di arte

Ha inaugurato sabato 6 aprile scorso, al museo MIIT di corso Cairoli 4 la mostra MIIT Factory, un’occasione di dialogo e di confronto con esperti, istituzioni, associazioni e reti per delineare le direzioni e le strategie più opportune su cui poter lavorare in futuro.

Il tema risulta molto ampio nell’accezione più allargata, l’arte, quale elemento di confronto, pace, dialogo, libertà, amore, scambio di cultura e tradizione artistica, innovazione, ma in particolare ricerca e sperimentazione nel senso più autentico della mission di una Factory.

L’esposizione è una mostra internazionale dedicata all’arte, alle ricerche e sperimentazioni visive di artisti quali Paolo Avanzi, Lucia Albertini, Enrico Frusciante, Bruno Molinaro, Vito Garofalo, Giuseppe Oliva, Massimo Ricchiuto, Maria Elena Ritorto, Adriano Savoye e altri.

La mostra è anche dedicata ai sentimenti e alle condizioni umane in cui l’arte, da sempre, si fa portavoce, al desiderio di liberazione dell’anima e della mente attraverso ogni forma espressiva, capacità di esprimere se stessi e la nostra società con la propria creatività.

L’esposizione intende sollecitare gli artisti e gli osservatori a un confronto su queste tematiche di forte attualità che possono essere declinate con stili e forme estetiche diverse, per scavare e indagare nell’animo umano nella storia, sulla contemporaneità e il futuro dell’arte.

In mostra sono una ventina di artisti contemporanei che si confrontano con varie tecniche materiali, dall’olio all’acrilico, dalla grafica all’acquerello, dai video alle installazioni e alle sculture.

A lato una seconda mostra che evidenzia le tappe della Via Crucis dei bambini, molto toccante, di Christel Sobke, artista tedesca che vive e lavora alle isole Baleari e a Tenerife.

 

Mara Martellotta

 

 

‘Oltre lo sguardo’, Spazio 44. Espone Nibbi

 

Mostra curata da Edoardo di Mauro

 

Si aprirà il 5 aprile prossimo alle 18.30 presso la galleria d’arteSpazio 44 la mostra intitolata “Oltre lo sguardo “di Gianluca  Nibbi e curata da Edoardo di Mauro.

“La pittura e, più in generale, il ricorso a tecniche definite tradizionali sono state troppo affrettatamente definite inadeguate ai tempi e appaiono tuttora vittime di superficiali interpretazioni critiche, assillate da una rincorsa affannosa ai parametri di un gusto antico che più ci si sforza di definire, più sfugge in mille direzioni- afferma il curatore della mostra Edoardo di Mauro.

La tecnica pittorica mantiene una invidiabile vitalità che le consente di calcare egregiamente la scena, adeguandosi alle mutazioni di una società in rapida e frenetica evoluzione, in virtù del suo essere da sempre teknè intesa nella accezione etimologica di pratica manuale implicita al concetto originario di arte.

Le ultime generazioni di pittori, quelli apparsi sulla scena all’inizio degli anni Duemila, usano il tramite pittorico per stabilire con lo scenario contemporaneo un rapporto di evocazione, sublimando il reale per trarne gli umori riposti, sfidando la fotografia  e costringendola a adeguarsi rincorrendola sul suo terreno.

Gianluca Nibbi è  un artista che si è formato all’Accademia Albertina, culla di talenti pittorici.

Il suo stile denota una autentica passione, non mediata da concessioni al gusto del momento.

Per Nibbi la pittura è sinonimo di intensità emotiva e viscerale, manualità sofferta e al pari meditata, autentica e rinnovata teknè.

I suoi lavori, di dimensioni spesso imponenti, sono in grado di scuotere emotivamente il fruitore e si sposano perfettamente con il termine di “contemporaneità evocata “ usato dal critico Edoardo Di Mauro per delimitare la predominante espressiva della giovane arte che per Nibbi, già attivo da diversi anni, è  una valida definizione per evidenziare la costante attualità del progetto visivo. I temi da sempre prediletti sono concreti, ma anche drammatici, tratti dalla realtà.

La realtà di zone vaste e periferiche del mondo, con i volti innocenti di bimbi o più segnati di adulti, uomini e donne che, ad onta di una condizione esistenziale spesso ai limiti dell’umano, esprimono un autentico candore ed una insopprimibile gioia di vivere.

Con la pittura Nibbi riesce a infondere a queste immagini un tocco di magia e, per dirla con Baudelaire, di ‘surrealtà’, facendole levitare dalla materialità del reale, dagli archivi della documentazione al significato sempiterno superioredell’immagine simbolica.

In questa personale presso Spazio 44 l’artista presenta diversi lavori inediti, che rappresentano visioni di realtà lontano da noi, sebbene la velocità di movimento attuale conceda molto più di un tempo la possibilità di una visione diretta degli eventi narrati.

Gianluca Nibbi continua, però, a insistere coerentemente su una visione romantica aliena dalla ricerca fotografica di stampo sociologico che spesso  corre il rischio di scadere nel reportage esotico.

Nibbi, invece, si concentra sulla potenza espressiva dei volti, in grado di emanare un’aura atemporale ed ultraterrena, sulla dinamicità oscillante tra il dramma e l’ebbrezza della festa e dei riti dionisiaci. La scelta dei soggetti non è  casuale e l’artista compie su di essi un’attenta ed accorta riflessione, evidenziata anche dall’uso recente per diverse tele del colore ad olio al posto dell’acrilico, che richiede una pazienza maggiore nella composizione,  trascendendo in una perdita di tempo come “perdita del tempo”.

Come sottolineato dall’artista, che ha una piena consapevolezza teorica del suo progetto, quest’ultimo consiste in uno studio di volti, isolati nell’immediatezza dello sguardo frontale che scruta il fruitore, o rappresentati  nel dinamismo di gruppo, in un viaggio che parte dall’Africa per proseguire in India e concludersi a ridosso della secolare cultura tibetana.

L’attenzione di Nibbi si concentra prevalentemente verso la trasposizione dello spazio ideale della tela dei tratti somatici di giovani e adolescenti, ai quali alla purezza della gioventù  si somma l’appartenenza a mondi solo in parte contaminati da consumismo, dai bisogni effimeri e dalla comunicazione invasiva di un Occidente ormai completamente globalizzato.

Il titolo della mostra “Oltre lo Sguardo” sintetizza con rara efficacia la volontà di andare alla ricerca di una diversa visione valoriale dell’esistenza.

La mostra, che inaugura il 5 aprile alle 18.30, chiuderà i battenti il 24aprile.

Orari dal lunedì al venerdì 14/19. Sabato e domenica su appuntamento.

 

Mara Martellotta

“Gli Egizi e i doni del Nilo”: l’’Egizio, Villa Bertelli e il Comune di Forte dei Marmi in mostra

 

 

Esiste un sottile fil rouge tra una località turistica come Forte dei Marmi e la città di Torino, creato dalla mostra che il Museo Egizio allestirà al Forte Leopoldo I quest’estate, dal titolo “Gli Egizi e i doni del Nilo”, curata da Paolo Marini, a sua volta curatore e coordinatore scientifico delle mostre itineranti del museo. Promossa dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi, la mostra sarà inaugurata giovedì 1 agosto prossimo dal Sindaco di Forte dei Marmi Bruno Murzi, dal Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci e dal Direttore del Museo Egizio Christian Greco, e si concluderà il 2 febbraio 2025.

Si tratta, per il Museo, della prima e unica mostra itinerante, in occasione di un anno di ristrutturazioni della sede torinese dedicate al bicentenario della sua fondazione. L’importanza di questa mostra coincide anche col fatto che il 26 aprile prossimo si celebreranno i 110 anni dalla nascita del Comune di Forte dei Marmi.

“Gli Egizi e i doni del Nilo” proporrà un viaggio nel tempo alla scoperta dell’antica civiltà nilotica in 24 reperti che risalgono dall’epoca predinastica del 3900 – 3000 a.C. all’età greco-romana(332 a.C. – 395 d.C.). Vasi, stele, amuleti e papiri, oltre alla maschera funeraria di età romana (30 a.C. – 395 d.C.), una riproduzione del volto del defunto realizzata in cartonnage e destinata alla protezione magica della mummia, offriranno al pubblico un’idea del museo più antico al mondo, l’Egizio di Torino, dedicato alla civiltà sviluppatasi sulle rive del Nilo. Proprio nell’autunno 2024 il Museo Egizio, che custodisce circa 40.000 reperti, di cui 12.000 in esposizione, celebrerà il suo bicentenario. La mostra di Forte dei Marmi rientra tra le iniziative che, nel corso dell’anno, celebreranno questo importante traguardo, non solo a Torino. Tra i reperti in mostra un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del primo periodo intermedio (2118 – 2180 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scavo. Queste imbarcazioni, in genere, rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla galleria della cultura materiale del Museo Egizio proviene il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076 – 722 d.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare gli organi del defunto. Il percorso espositivo verrà arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimento storico/scientifico sui reperti di diversi periodi storici. Sarà anche presentata una riproduzione digitale in 3D della monumentale statua di Ramesse II, uno dei reperti singoli del Museo Egizio, considerato inamovibile. In preparazione una audioguida in italiano e in inglese con la voce dello scrittore fortemarmino Fabio Genovesi.

“Dopo una prima trasformazione del Museo Egizio, avvenuta nel 2015, oggi si appresta a vivere una nuova stagione di cambiamenti in occasione del suo bicentenario. Verranno effettuati lavori che porteranno alla ricollocazione dei reperti e a interventi strutturali di abbellimento, a cominciare dal cortile, che diventerà un vero e proprio ‘giardino egizio’ aperto al pubblico, con bar e bookshop annessi. In quest’ottica, proprio nell’anno del bicentenario, è nata la collaborazione col Comune di Forte dei Marmi e con la Fondazione Villa Bertelli – hanno dichiarato la Presidente del Museo Egizio Evelina Christillin e il Direttore Christian Greco”.

“Il Comune di Forte dei Marmi, per la prima volta in Toscana – ha dichiarato il Sindaco Bruno Murzi – ospiterà la mostra ‘Gli Egizi e i doni del Nilo’, a cura del Museo Egizio di Torino, prima realtà museale in Italia e seconda nel mondo, in grado di raccontare questa meravigliosa storia millenaria. Con fiera soddisfazione abbiamo messo a disposizione gli spazi del Forte leopoldino nel cuore del paese, dove sarà possibile visitare la mostra e altre iniziative capaci di far diventare la nostra città, per qualche mese, centro pulsante di storia e cultura al fianco di una realtà italiana che è vanto per l’intero Paese”.

“Per la Fondazione Villa Bertelli è un onore e una grande gioia – ha spiegato il Presidente di Villa Bertelli Ermindo Tucci – presentare questa prestigiosa mostra, che ci ha permesso di collaborare col Museo Egizio proprio nel bicentenario della sua fondazione. Forte dei Marmi è una realtà turistica che, seppur nota in Italia e nel mondo, non vanta una storia antica. Tuttavia deve il suo nome alla realizzazione del simbolo del paese, il Fortino, che è una struttura fortificata voluta da Leopoldo I Granduca di Toscana, nonno di Leopoldo II, finanziatore, congiuntamente a Carlo V di Francia, della spedizione franco-toscana in Egitto nel 1828, diretta dal grande egittologo francese Jean François Champollion e dal giovane collega italiano Ippolito Rosellini. Si tratta di un legame storico che si riallaccia in questa occasione e che passa anche da Lucca, nostro capoluogo di provincia, dove nel Museo di Storia Naturale ha trovato dimora una collezione egizia comprensiva, fra gli altri, di un sarcofago e di una mummia di donna e di bambino. Ospitare questa mostra è anche una sfida di rinnovamento dell’immagine di Forte dei Marmi non solo come meta turistica ma anche culturale e artistica”.

 

Mara Martellotta